venerdì 7 agosto 2020

L’epoca dei risentimenti

“La paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari”. È l’assunto di Todorov. Che scrive negli anni del primo terrorismo islamico, di Al Qaeda, alle Torri Gemelle di New York e alle ferrovie di Madrid e Londra, alla ricerca di molte vittime, e mette le mani avanti: non conosco le situazioni “altre, vivo in Europa e sento e conosco solo la paura”. Ma parte da questo presupposto, per contestare Samuel Huntington, 1996, “Lo scontro di civiltà”. Senza però proporre soluzioni, solo un avvertimento a stare in gaurdia. Da se stessi.
“Oltre lo scontro delle civiltà” è il sottotitolo. “Lo scontro delel civiltà sarebbe: le democrazie occidentali da un lato, l’islam dall’altro. Due mondi, fissati nelle loro differenze storiche, culturali, religiose, e così votati al conflitto. Di fronte ala minaccia, niente più posto per il dialogo e la mescolanza. E nessun’altra alternativa che la “fermezza”. Cioè la guerra. Con ogni mezzo. Si può essere ver amente sicuri, quando si ragiona così, che la barbarie e la civiltà continueranno a trovar si dal lato che si crede? Se l’imperativo è difendere la democrazia, è anche cruciale di non lasciar si dominare dalla paura e trascinare in reazioni sproporzionate. Perché la Storia ce lo insegna: Il rimedio può essere peggiore del male”.
Un saggio un po’ scontato, non la solita “scoperta dell’ordinario” in cui Todorov eccelle. Ma è del 2008, già una quindicina di anni fa il tema si poneva. E ancora si pone: per un motivo? Todorov scriveva all’indomani del terrorismo feroce di Al Qaeda, ma prima dell’Is, altra barbarie, e prima delle immigrazioni in massa degli anni 2010, in America e in Europa. Il Novecento è stato dominato dallo scontro fra i regimi dittatoriali e le democrazie. Il Duemila? Todorov è deluso dalla “liberazione” post-sovietica: troppi rigurgiti amari nel “sue” Est – il bulgaro Todorov si sente giustamente uno dell’Est, benché abbia vissuto dal 1963, dai suoi 24 anni, fino alla morte, nel 2017, in Francia. Ora il problema è far convivere il niqab con lo string a scuola “ma entrambi sono vietati”. Uno a Uno dunque?
Con un excusrus sugli incontri-scontri delle due civiltà, e le note variazioni sulla ricchezza culturale e la varietà dottrinale dell’islam, che nessuno omette o rifiuta. Mentre il punto è un altro: l’islam può venire ad ammazzarci, con Al Qaeda, con l’Is, e con quello che sarà, per quante colpe possiamo avere? Più semplicemente, può installarsi a casa nostra, e dopo dire che è sporca e sudicia. Non è un fatto di razzismo. Non è un problema di cultura. È un problema di prepotenza. Todorov trova naturalmente un islam non prepotente, ma è la scoperta dell’Africa – la quale era stata scoeprta rima di Gesù Cisto.
L’eguaglianza è un discorso affascinante, oltre che necessario. Ma nell’indistinto o nell’appiattimento? Ovvio che no. Todorov ci prova, ma senza molta verve. Non ci sono più le grandi divisioni, o frontiere, ad aiutare. Nazionali, politiche, tra dittature e democrazie. Nemmeno geografiche, tra Nord e Sud, lui stesso lo nota: l’Australia è al  ud, la Manciuria ben al Nord – o tra Est e Ovest – il raffronto, dice ancora lui, è difficile tra Cina e Brasile. Oggi c’è la mondializzazione, dietro il Giappone si è mossa tutta l’Asia. E ovunque c’è effervescenza, gli have nots si sentono in qualche misura depauperati e reagiscono, vogliono poter partecipare al Grande Mercato. Il “risentimento” non è – non si manifesta – acuto, ma è diffuso. La paura invece è dichiarata, in forme politiche nebulose, ma tutte a loro volta risentite. 
Tzvetan Todorov,
La paura dei barbari, Garzanti, pp. 284 € 14

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