L’epoca dei risentimenti
“La paura dei barbari è ciò che
rischia di renderci barbari”. È l’assunto di Todorov. Che scrive negli anni del
primo terrorismo islamico, di Al Qaeda, alle Torri Gemelle di New York e alle
ferrovie di Madrid e Londra, alla ricerca di molte vittime, e mette le mani
avanti: non conosco le situazioni “altre, vivo in Europa e sento e conosco solo
la paura”. Ma parte da questo presupposto, per contestare Samuel Huntington,
1996, “Lo scontro di civiltà”. Senza però proporre soluzioni, solo un
avvertimento a stare in gaurdia. Da se stessi.
“Oltre lo scontro delle civiltà”
è il sottotitolo. “Lo scontro delel civiltà sarebbe: le democrazie occidentali
da un lato, l’islam dall’altro. Due mondi, fissati nelle loro differenze
storiche, culturali, religiose, e così votati al conflitto. Di fronte ala
minaccia, niente più posto per il dialogo e la mescolanza. E nessun’altra
alternativa che la “fermezza”. Cioè la guerra. Con ogni mezzo. Si può essere
ver amente sicuri, quando si ragiona così, che la barbarie e la civiltà
continueranno a trovar si dal lato che si crede? Se l’imperativo è difendere la
democrazia, è anche cruciale di non lasciar si dominare dalla paura e
trascinare in reazioni sproporzionate. Perché la Storia ce lo insegna: Il rimedio può
essere peggiore del male”.
Un saggio un po’ scontato, non la
solita “scoperta dell’ordinario” in cui Todorov eccelle. Ma è del 2008, già una
quindicina di anni fa il tema si poneva. E ancora si pone: per un motivo?
Todorov scriveva all’indomani del terrorismo feroce di Al Qaeda, ma prima
dell’Is, altra barbarie, e prima delle immigrazioni in massa degli anni 2010, in
America e in Europa. Il Novecento è stato dominato dallo scontro fra i regimi
dittatoriali e le democrazie. Il Duemila? Todorov è deluso dalla “liberazione”
post-sovietica: troppi rigurgiti amari nel “sue” Est – il bulgaro Todorov si
sente giustamente uno dell’Est, benché abbia vissuto dal 1963, dai suoi 24
anni, fino alla morte, nel 2017, in Francia. Ora il problema è far convivere il
niqab con lo string a scuola “ma entrambi sono vietati”. Uno a Uno dunque?
Con un excusrus sugli
incontri-scontri delle due civiltà, e le note variazioni sulla ricchezza
culturale e la varietà dottrinale dell’islam, che nessuno omette o rifiuta.
Mentre il punto è un altro: l’islam può venire ad ammazzarci, con Al Qaeda, con
l’Is, e con quello che sarà, per quante colpe possiamo avere? Più
semplicemente, può installarsi a casa nostra, e dopo dire che è sporca e sudicia.
Non è un fatto di razzismo. Non è un problema di cultura. È un problema di prepotenza.
Todorov trova naturalmente un islam non prepotente, ma è la scoperta
dell’Africa – la quale era stata scoeprta rima di Gesù Cisto.
L’eguaglianza è un discorso
affascinante, oltre che necessario. Ma nell’indistinto o nell’appiattimento? Ovvio
che no. Todorov ci prova, ma senza molta verve.
Non ci sono più le grandi divisioni, o frontiere, ad aiutare. Nazionali, politiche,
tra dittature e democrazie. Nemmeno geografiche, tra Nord e Sud, lui stesso lo
nota: l’Australia è al ud, la Manciuria
ben al Nord – o tra Est e Ovest – il raffronto, dice ancora lui, è difficile
tra Cina e Brasile. Oggi c’è la mondializzazione, dietro il Giappone si è mossa
tutta l’Asia. E ovunque c’è effervescenza, gli have nots si sentono in
qualche misura depauperati e reagiscono, vogliono poter partecipare al Grande Mercato.
Il “risentimento” non è – non si manifesta – acuto, ma è diffuso. La paura
invece è dichiarata, in forme politiche nebulose, ma tutte a loro volta
risentite.
Tzvetan Todorov,
La paura dei barbari, Garzanti, pp.
284 € 14
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