mercoledì 5 agosto 2020

Letture - 429

letterautore

Brexit – È in Orwell, 1938, “Omaggio alla Catalogna”, reduce dalla guerra di Spagna: “E finalmente l’Inghilterra: l’Inghilterra meridionale, forse il più mite paesaggio del mondo. È difficile, quando la si attraversi, soprattutto mentre ci si riprende dal mal di mare, col velluto di un treno internazionale sotto la testa, credere che qualcosa stia accadendo nel mondo… L’Inghilterra della mia infanzia: la linea ferroviaria scavata nella parete rocciosa e nascosta dai fiori di capo, i prati profondi dove i grandi cavalli lustri pascolano meditabondi, i lenti rivi orlati di salici, i verdi seni degli olmi, le peonie nei giardini dei cottages; e poi l’immensa desolazione tranquilla della Londra suburbana, le chiatte sul fiume limaccioso, le strade familiari, i cartelloni che annunciano gare di cricket e nozze regali, gli uomini i cappello duro, i colombi di Trafalgar Square, gli autobus rossi, i policemen in blu: tutto dormiente del profondo, profondo sonno dell’Inghilterra, dal quale temo a volte che non ci sveglieremo fino a quando non ne saremo tratti in sussulto dallo scoppio delle bombe”.

Dante – Galileo, cultore delle lettere, s’ingegnò a dimostrare che l’imboccatura dell’inferno di Dante corrisponde geometricamente a quella del lago d’Averno a Napoli - che lui non conosceva, se non attraverso Virgilio: legava Dante a Virgilio anche geometricamente, con la razionale follia del calcolo. In un’opera dimenticata ma esistente, due lezioni all’Accademia fiorentina, “Circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante”. Per l’indicazione che la “selva” si trovava “tra Cuma e Napoli” Galileo si rifà “al Manenti”, ma su questa identificazione architetta una complessa costruzione, di diametri, circonferenze, gradi, miglia e quarti di miglia che è inutile citare. Dopo questa premessa: “La selva dove (Dante) si trovò è, secondo il Manenti, tra Cuma e Napoli, e qui era l’entrata dell’inferno. E ragionevolmente la finge essere quivi: prima, perché ‘l cerchio della sboccatura dell’Inferno passa a punto intorno a Napoli; secondo perché in tal luogo, o non molto lontano, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi che dagli effetti orribil che fanno paion da stimarsi luoghi infernali; e finalmente giudica aver il Poeta figurata ivi l’entrata dell’Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose”, Virgilio.

Manenti potrebbe essere Giovanni, un veneziano del primo Cinquecento che la Treccani definisce “illetterato con la predilezione per le lettere”, autore anche di un poema in stile “Inferno” sulle prigioni veneziane. Gestore del lotto a Venezia e sensale d’affari, era stato processato per falsificazione e “stronzatura” di denaro – calo fraudolento della percentuale di metallo nobile, oro o argento, nella lega della moneta. Infine assolto, aveva però fato alcuni mesi di carcere. Di cui scrisse appunto come Dante all’inferno, anche lui con Virgilio accanto.

Femminista – Il primo fu Gesù, spiega convinto Roman Gary nella lunga intervista alla radio canadese prima di suicidarsi, “Il senso della mia vita” – sotto la divisa: “Si vive una vita meno di quanto si è da essa vissuti”. Su questo chiude convinto con una insistita perorazione l’intervista a futura memoria, per professare “la passione della femminilità sia nella sua incarnazione carnale e affettiva della donna, sia nella sua incarnazione filosofica dell’elogio e della difesa della debolezza”. Ribadendo: “E se mi si chiede di dire qual è stato il senso della mia vita, risponderò sempre”, pur non essendo mai entrato in chiesa, benché battezzato, se non per vedere qualche opera d’arte, “che questa è stata la parola del Cristo, nel senso che ha di femminile”. Avendo riconosciuto: “Questo mi mette talvolta in conflitto con le femministe”.

Semplice il suo ragionamento: “La prima voce femminile al mondo, il primo uomo che abbia parlato con voce femminile, è stato Gesù Cristo. La tenerezza, i valori di tenerezza, di compassione, d’amore sono valori femminili e, per la prima volta, sono state pro nunciate da un uomo che era Gesù”.

Ironia – “In Sicilia abbiamo tutto, ci manca il resto, diceva con ironia Pino Caruso”. “Con ironia” non è pleonastico, l’ironia non è nella battuta? Anche perché si sa, si ricorda, s’intuisce, Pino Caruso un comico? Aldo Grasso deve specificarlo perché non una: l’ironia non usa in Italia. Non  nella scrittura.

L’ironia non è italiana, l’understatement, benché ne sia maestro il fautore della favella toscana Manzoni. Alcuni letterati ne sono stati sprovvisti a prescindere, Moravia per esempio, Pasolini.

Machiavelli – Si firma, scrivendo a Guicciardini, “istorico, comico e tragico”.

Machiavellico – “Quando i Medici tornarono a Firenze, nel 1512, (Guicciardini) era ambasciatore in Spagna per conto della Repubblica e riuscì a prepararsi un rientro morbido, senza colpo ferire, mentre il segretario (Machiavelli) perse tutto in un colpo. Dunque, se Guicciardini era guicciardiniano, Machiavelli non era machiavellico” – Marcello Simonetta, “Tutti gli uomini di Machiavelli”, 97.

Pentimento - “È meglio fare e pentirsi che non fare e pentirsi”, è consiglio di Boccaccio, “Decameron”, III, 5.

Liborio Romano- Paolo Macry ne fa il prototipo dell’intellettuale notabile del Sud, quello con le migliori intenzioni che però inevitabilmente portano a esiti catastrofici. Per una concezione di sé avulsa dai luoghi, le comunità, la società – al meglio arroccata sull’antico, con l’invenzione di genealogie e ottimi lontani titoli. Storicamente fu l’artefice della dissoluzione del Regno del Sud, dopo l’Atto sovrano con  cui l’ultimo re Borbone, Francesco II, gli cedette le redini del comando il 25 giugno 1860 – già il 27 Romano faceva issare il tricolore. Organizzò le cose per favorire l’arrivo di Garibaldi a Napoli, anche assoldando plebaglia e marmaglia. Un ministro dell’Interno di Francesco II che fece affiggere i manifesti per Garibaldi “il liberatore d’Italia”. Non seppe però organizzare la luogotenenza di Garibaldi. Quando Garibaldi fu giubilato dal conte di Cavour inflessibile, protestò con asprezza, e si dismise dalla luogotenenza del principe di Carignano. Poi ci ripensò, e avrebbe voluto una unificazione senza gli abusi doganali e fiscali contro il Sud, ma Cavour non gli diede retta.

“La sua biografia”, dice lo storico (“Unità a mezzogiorno”, 80-91), “strato dopo strato, la complessa storia del Risorgimento meridionale”. Origini rurali, come (quasi) tutti, da élite provinciali, assorbite più che altro da interminabili contenziosi per e attorno alla terra, “deluse da un regime incapace di programmi ambiziosi, cautamente antiborboniche e cautamente liberali”. Dall’orizzonte amplissimo, naturalmente, rivoluzionario, utopico, e ristrettissimo: “Trascorre anni tra le carte delle liti patrimoniali della famiglia, ben dentro i conflitti imperituri che oppongono l’uno all’altro i notabili di Patù, il villaggio dov’è nato”. Non fu un camaleonte, opportunista. Ma uscì subito di scena, finita l’opera – benché questa dovesse molto, se non tutto, a lui.

Romanzo-realtà - Ci aveva pensato Giono, assiduo dell’affaire Dominici. Lo ha imposto Capote – imitato subito da Saviane in Italia. Ma si presta a curiose inversioni. Romain Gary, che divenne autore celebrato col romanzo “Le radici del cielo”, 1956, prima narrativa ambientalista ecologica, in difesa degli elefanti, allora cacciati liberamente in Africa, ebbe subito dopo la pubblicazione, il premio Goncourt e la larga risposta del pubblico, una corrispondenza con Raphaël Matta, una guardiacaccia francese in Costa d’Avorio, impegnato contro i bracconieri. Dai  quali fu poi ucciso. La vicenda Matta fu successiva al libro, ma si disse e tuttora si scrive che Gary aveva fatto il romanzo del povero Matta.


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