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Una vita di corsa, di successo, piena, di dubbi
Una vita particolare. Figlio di
due attori russi, la madre ebrea, il padre buon ortodosso, lui battezzato e
educato cattolico, nei disegni della madre, nomade per i prim quindici anni,
prima di “diventare francese”, l’ambizione della madre. Figlio della madre in realtà,
che come attrice, sempre in realtà, non
sapeva fare niente, ma aveva deciso che lei e il suo figliolo erano francesi,
dovevano diventare francesi, e che il figlio sarebbe stato un grande scrittore
e un diplomatico frabncese. E così avvenne, dopo un periodo di stenti
post-rivoluzionari, dapprima in Lituania, poi a Varsavia, nel 1921. Dove Romain
fece le scuole, dai sette ai quattordici anni. Nel 1928 infine in Francia, dove
la madre ottenne un impiego come direttrice di una pensione a Nizza. Romain
proseguì gli studi e li completò a Parigi, lontano dalla madre, ma da lei
sempre finanziato, anche se con piccole rimesse, e incoraggiato. Si arruolò
nell’aviazione, fece la guerra, e quan do alla Liberazione nel 1944 tornò a
Nizza, scopri che la madre era morta da tre anni.
È il testo di una lunga recitazione,
sotto forma di intervista, un monologo-narrazione che Gary tenne alla radio
canadese nel 1980, pochi mesi prima del suicidio - che
niente qui lascia presagire: sarà suicida a 65 anni, dopo almeno trenta
romanzi, alcuni racconti e molti reportages,
mentre faceva l’aviatore, il resistente, il diplomatico, il grand reporter, lo sceneggiatore ai
capricci di Hollywood, il regista anche di un paio di film, il marito di una
scritrice inglese e poi di Jean Seberg, quello che si dice una vita piena, che
però lui derubrica: “Si vive una vita
meno di quanto si è vissuti da essa”, spiega.
L’intervista Gary vuole una
professione d’amore. Alla donna, alla femmnilità – che nasce, spiega, al solito
semiserio, con Gesù, col Cristo. Un racconto pieno di humour. La prima metà è
dedicata alla madre: un fenomeno. Morte compresa. Quando Romain, eroe di guerra,
medaglia della Resistenza, fresco di nomina alla smobilitazione nel servizio diplomatico,
scopre che la madre è morta da tempo, non sa capacitarsi come abbia potuto
scrivergli per tutti quegli anni a Londra. Semplice: aveva affidato biglietti e
cartoline con frasette di circostsnza a un’amica svizzera, che poteva
inoltrarli a sua scelta via Svizzera -
come usava in guerra – per tenere su il morale del figlio.
Una vita avventurosa. Gary fu
pilota in guerra. Dapprima come interprete tra i piloti polacchi, che nel 1939
passarono con i loro aerei a Londra, e il co-pilota inglese della Raf. Poi
anche pilota in proprio, bombardiere e anche navigatore - finché la Raf non scopri
che aveva il naso rotto e non poteva respirare se non a bocca aerta, e lo
assegnò ai servizi a terra. Beneamato dal Generale De Gaulle, cui tributa in
continuazione pensieri commossi. Decorato in guerra, compagnon de la Libération
per l’impegno nella Resistenza. Consacrato a Londra nel 1944 come autore,
dopo vari romanzi sfortunati, con “Educazione europea”, letto come un’epopea
della resistenza polacca, di cui nulla sapeva, ma conosceva la lingua, la storia e la
geografia della Polonia.
Un altro mondo. Dell’arruolamento
nell’aviazione a 24 anni, alla scuola piloti, l’unico scartato a fine corso perché
naturalizzato e non nativo, e assegnato a compiti di fureria, col grado di caporale
maggiore invece che di sottotenente - un
insulto nazionalista a chi voleva sopra ogni cosa essere francese. Costretto
per un periodo alla Legione Straniera per punizione, sempre poco gradito ai
comandi. Passato all’armistizio con la Resistenza e trasbordato da Meknès in Marocco
a Londra, a colloquio con De Gaulle. Il primo romanzo, a 19 anni, “Le vin des
morts”, rifiutato dall’editore Denoël con trenta pagine di esame psicologico di
Marie Bonaparte. Il secondo, “Geste d’amour”, inviata a Gallimard, rifiutato
con uno sprezzante “signore che poi è stato fucilato, credo, per collaborazionismo”
(Drieu, probabilmente), mentre Malraux, dallo stesso editore, gli parla
amabilmente, lo incoraggia, lo invita - un ventenne oggi?
Molti racconti di Hollywood nei
sei anni in cui fu a Los Angeles console francese, e poi come marito di Jean
Seberg, e come sceneggiatore. Una sfilza di racconti scoppiettanti, sorprendenti.
Come di una vita sempre eccitata.
Racconti forse anche veri, anche se date e circostanze non sono precise.
Molto polemico. Essendo stato autore
controverso, molto premiato ma in lite con la critica. Con molti pseudonimi. Il
più famoso è l’ultimo, Émile Ajar, che si conquistera una sua propria identità di
autore e come tale viene celebrato – la beffa gli alieno ulteriormente i
critici. Esordisce come Roman Kacew. Poi sarà Fosco Sinibaldi, “L’homme à la
colombe”, una satira dell’Onu, dove era addetto alla comunicazione dell’ambasciata
francese, ogni giorno a dire bugie. Da ultimo Shatan Bagut.
Romain Gary, Il senso della mia vita, Neri Pozza, pp. 112 € 13,50
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