sabato 12 settembre 2020

Campanella don Chisciotte e poeta del mondo unito

Centocinquanta pagine brevi di testi, assortite da una cinquantina di succosi dati e aneddoti, con l’introduzione del curatore. Una scelta diversa, nel mare magnum degli scritti campanelliani, con alcune pagine allora inedite dal “Senso delle cose”, trattazione privilegiata, e dall’“Epilogo Magno”.
Alvaro non è specialmente lettore di Campanella, dopo questa antologia non se ne conoscono altri scritti sul frate. Ma come per ogni cosa si applica, e come sempre mostra fiuto e intelligenza, colta. Di Campanella, per quanto incarico occasionale, è andato perfino a riscontrare la memoria nei luoghi di origine, Stilo e la concorrente Stignano, sul presupposto che era “figlio della comunità monastica e figlio del popolo”, trovandocela. Di un tipo particolare, che scopre corrispondere all’immagine persistente del frate, di veggente combattente: “Uomini siffatti a contatto con la cultura diventano smisurati in tutto, e credono alle idee assolute”. Dote e stimmata, si direbbe, dell’autodidattismo, col quale Campanella sostanzialmente crebbe: di studi regolari ma senza ambiente culturale di riferimento - Alvaro stesso mette in rilievo che il Fenomeno Galileo, col quale spesso confronta il frate calabrese, culminava secoli di civiltà condivisa.
“Campanella era un uomo ingombrante” è l’esordio: troppo innovatore ma “troppo acutamente malato del male del suo secolo”, il rigetto della modernità. “Alla chiesa della Controriforma prestò più di un’arma”. Al tempo di “un Galileo”, appunto, che però egli difese, “e di un Torricelli”, un secolo dopo Machiavelli. Ma rivoluzionario nell’animo. Nel progetto di Monarchia Universale – ultimo assertore della “Astraea” di Frances Yates – della “Città del Sole”. E nelle stesse variegate proposte che partorì per papi, cardinali, principi e ogni altro che potesse giovargli nei lunghissimi ventisette anni di carcere duro: aumentare le rendite del Regno di Napoli con beneficio dei sudditi, convertire senza violenza le Indie occidentali e orientali, come andare a cavallo senza fatica, come navigare senza remi e senza vento, e naturalmente il morto perpetuo.
Un fanfarone? No, è frate colto e perfino dotto. Buontempone per sopravvivere alla galera. E insopprimibilmente innovatore – anche nei suoi contributi, nota acuto Alvaro, alla Controriforma. Giusto un po’ don Chisciotte dal vero, prima di quello poi classico. Non senza senno politico. Un secolo dopo Machiavelli, che aveva bene avvertito la novità dell’epoca, la costituzione degli Stati nazionali. “Campanella” invece “appartiene al ceppo popolare degli apostoli”, per i quali l’etica conta e non il potere: “Machiavelli fa della psicologia esatta, Campanella è la fede armata” - “Egli seguita a credere nell’avvento del Regno di Dio fino alla fine della sua vita, nei dieci anni più fecondi sogna ancora, traccia su questo un’etica, una visione del mondo, una poesia”.    
È la riedizione dell’antologia curata da Alvaro nel 1935, per la collana, piena di grandi titoli, di Ugo Ojetti, “Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi”. Di una quindicina di anni fa, quando la Fondazione Alvaro era ben attiva, non sommersa da Duisburg e San Luca.

Corrado Alvaro (a cura di), Le più belle pagine di Tommaso Campanella, Ristampa anastatica a cura della Fondazione Corrado Alvaro, pp. 212 s.i.p.

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