Campanella don Chisciotte e poeta del mondo unito
Centocinquanta pagine brevi di
testi, assortite da una cinquantina di succosi dati e aneddoti, con
l’introduzione del curatore. Una scelta diversa, nel mare magnum degli scritti campanelliani, con alcune pagine allora
inedite dal “Senso delle cose”, trattazione privilegiata, e dall’“Epilogo
Magno”.
Alvaro non è specialmente lettore
di Campanella, dopo questa antologia non se ne conoscono altri scritti sul
frate. Ma come per ogni cosa si applica, e come sempre mostra fiuto e intelligenza, colta. Di Campanella, per quanto incarico occasionale, è andato
perfino a riscontrare la memoria nei luoghi di origine, Stilo e la concorrente
Stignano, sul presupposto che era “figlio della comunità monastica e figlio del
popolo”, trovandocela. Di un tipo particolare, che scopre corrispondere all’immagine
persistente del frate, di veggente combattente: “Uomini siffatti a contatto con
la cultura diventano smisurati in tutto, e credono alle idee assolute”. Dote e
stimmata, si direbbe, dell’autodidattismo, col quale Campanella sostanzialmente
crebbe: di studi regolari ma senza ambiente culturale di riferimento - Alvaro
stesso mette in rilievo che il Fenomeno Galileo, col quale spesso confronta il
frate calabrese, culminava secoli di civiltà condivisa.
“Campanella era un uomo
ingombrante” è l’esordio: troppo innovatore ma “troppo acutamente malato del
male del suo secolo”, il rigetto della modernità. “Alla chiesa della
Controriforma prestò più di un’arma”. Al tempo di “un Galileo”, appunto, che però
egli difese, “e di un Torricelli”, un secolo dopo Machiavelli. Ma rivoluzionario
nell’animo. Nel progetto di Monarchia Universale – ultimo assertore della
“Astraea” di Frances Yates – della “Città del Sole”. E nelle stesse variegate
proposte che partorì per papi, cardinali, principi e ogni altro che potesse
giovargli nei lunghissimi ventisette anni di carcere duro: aumentare le rendite
del Regno di Napoli con beneficio dei sudditi, convertire senza violenza le
Indie occidentali e orientali, come andare a cavallo senza fatica, come
navigare senza remi e senza vento, e naturalmente il morto perpetuo.
Un fanfarone? No, è frate colto e
perfino dotto. Buontempone per sopravvivere alla galera. E insopprimibilmente
innovatore – anche nei suoi contributi, nota acuto Alvaro, alla Controriforma.
Giusto un po’ don Chisciotte dal vero, prima di quello poi classico. Non senza
senno politico. Un secolo dopo Machiavelli, che aveva bene avvertito la novità
dell’epoca, la costituzione degli Stati nazionali. “Campanella” invece
“appartiene al ceppo popolare degli apostoli”, per i quali l’etica conta e non
il potere: “Machiavelli fa della psicologia esatta, Campanella è la fede armata”
- “Egli seguita a credere nell’avvento del Regno di Dio fino alla fine della
sua vita, nei dieci anni più fecondi sogna ancora, traccia su questo un’etica,
una visione del mondo, una poesia”.
È la riedizione dell’antologia curata
da Alvaro nel 1935, per la collana, piena di grandi titoli, di Ugo Ojetti, “Le più
belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi”. Di una
quindicina di anni fa, quando la Fondazione Alvaro era ben attiva, non sommersa
da Duisburg e San Luca.
Corrado Alvaro (a cura di), Le più belle pagine di Tommaso Campanella,
Ristampa anastatica a cura della Fondazione Corrado Alvaro, pp. 212 s.i.p.
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