Come farsi uomo attraverso le donne
“A cinque o sei anni fui vittima di un’aggressione”. Gli levarono le
tonsille. “Tutta la mia rappresentazione della vita ne è rimasta segnata: il
mondo, pieno di botole, non è che un vasta prigione o una sala operatoria; io
non sono sulla terra che per divenire carne da medici, carne da cannoni, carne
da bara”.
Oppure si può cominciare così. Michel Leiris ha un problema. Ha “tendenza
a vedere l’organo femminile come una cosa sporca e come una ferita, non meno
attraente per questo, ma pericolosa per se stessa, come tutto ciò che è sanguinolento,
mucoso, contaminato”. Bataille, in qualità di psicoterapeuta, lo consiglia di
scrivere, ed ecco un lavoro fervoroso di cinque anni, dal dicembre 1930 al
novembre 1935, sul tema dell’“uomo ferito”. In pratica su Leiris quand’era bambino, e su
tutte le immagini, le zie – una è cantante, d’opera - e le donne cui si è
dedicato nelle orge solitarie.
Tutto, si può così sintetizzare, in questo passaggio all’età adulta è pieno di trappole. La maggior parte afferenti
all’onanismo. Michel Leiris fatto uomo si è legato al surrealismo, a Breton e Bataille,
e Bataille, psicagogo, gli consiglia di scrivere ciò che gli racconta – “fare
un libro che sia un atto”. E così, a 34 anni, come Dante che non conosce, a
“metà della vita” Leiris si racconta. O dell’inutilità dell’analisi a fini
terapeutici – delle associazioni, i sogni, le rimozioni, i complessi. Forse
utile a fini letterari, ma con pesantezze. Questa crescita, di sogni, ricordi, immagini di donne, si fa leggere, ma lascia insoddisfatti: e allora?
Delle donne
il catalogo è vasto. Ma sui modelli classici, di Lucrezia casta e Giuditta
vendicativa, su cui si ritorna a più
riprese in esteso, specie nel quadro di Cranach. E con ambientazioni implausibili.
L’antropologo e antichista Leiris al museo si sente come al bordello, e
viceversa, al bordello si sente come al museo: “Nell’uno e l’altro posto si è,
in certo modo, sotto il segno dell’archeologia: e se ho amato a lungo il
bordello è perché partecipa anch’esso dell’antichità, per il suo lato mercato
di schiavi, prostituzione rituale”.
Non è la sola agudeza.
L’opera romantica, “Tosca”, “Sansone e Dalila”, è “spazzatura” – l’opera ricorre,
ma è Richard Strauss e Wagner (Puccini Leiris recupera nell’edizione 1964, dopo
essere stato ospite a Torre del Lago, con due pagine emozionanti, le due finali
del volume). E “se il tempo è molto bello, càpita che io ne sia leggermente
angosciato: non è cattivo segno che faccia così bello?”. Quando ci si guarda
non si finisce più: l’angoscia, o la depressione, quello che è, si moltiplica e
dilaga, invece di allentarsi. Leiris stesso finisce con l’autoanalisi, sospeso
tra la materna Lucrezia e la determinata Giuditta - dopo aver passato in
rassegna una vasta serie di rapporti, anche inconcludenti, con femmine per
qualche verso borderline: fra “terrore e pietà”, si dice di se stesso.
Da “specialista, maniaco della confessione”. Pur sapendola “umiliante,
unitamente a ciò che comporta nello stesso tempo di scandaloso e di
esibizionista”. Una lunga esposizione all’aperto del cosiddetto rimosso? Che
Leiris però non aveva rimosso, se lo racconta, in dettaglio.
Avviato all’antropologia dopo studi inconcludenti, a
un primo “ubi consistam”, Leiris si diverte a ricordare e si interroga –
raccontare se stessi era un’epidemia anche negli anni 1930. Sui problemi in amore,
naturalmente. Sul “gusto dell’ermetisno”, dell’allegoria. E sull’“abitudine che
ho di pensare per formule, analogie, immagini”. Come fa in questo libro. E
negli altri? Certo, quando uno si interroga, non la finisce più, la miniera è
inesauribile. Forse anche produttiva, a fini terapeutici. Ma quando bisogna
comunque legarsi a ricordi, immagini, pruriti sessuali, la cosa può riuscire faticosa
– irritante per il lettore, ma quanto benefica per il paziente, se non per lo spin-doctor? Leiris stesso lo sa, nel momento in cui
scrive. Si giustifica. Ho scritto il libro, spiega, “verso la fine di una cura psicologica
che, malgrado la mia ripugnanza per tutto cià che pretende di guarire i mali
altri che quelli del corpo, il mio malessere interiore mi aveva forzato a
subire”. Contradetto da Zanzotto, nella postfazione a questa edizione, che spiega come le autobiografie (e le chiacchierate con lo strizzacervelli?) siano per ogni aspetto selettive, fuorvianti.
Preceduto da “La letteratura come tauromachia”,
deludente, a parte il titolo: un trattatello più intellettualistico che altro,
freddo - una prima agudeza: si scrive come un mano-a-mano nelle arene con il toro, lo scrittore contro il lingiaggio, contro se stesso.
Michel Leiris, Età d’uomo, SE, remainders, pp. 192 € 9
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