skip to main |
skip to sidebar
Il mito Sherlock Holmes
Bellissimo illustrato, di
copertine e oggetti d’epoca e di foto, il personaggio e l’autore sintetizzati
con grande precisione. Dalla formidabile presentazione con Watson: “Vedo che
siete stato in Afghanistan”. Alla “morte” di Sherlock Holmes decisa un mese
dopo la morte del proprio padre di Conan Doyle. Alla partecipazione di Franklin
D. Roosevelt, il presidente americano, a un club holmesiano. Ai due film di
Sherlock Holmes che i russi trovarono nel bunker di Hitler. Alle statue erette
al personaggio in Svizzera e in Giappone. Ai francobolli di San Marino e del
Nicaragua.
Ci sono anche gli imitatori. Non
proibiti all’epoca, il diritto d’autore non era esclusivo. Ma Conan Doyle non
gradì, e Leblanc prima poi tutti gli altri dovettero storpiare il nome celebre.
Non male per un soggetto che era nato con un nome diverso, Sherrinford Holmes –
poi Conan Doyle sentì dire di un vecchio nome irlandese, Sherlock, e lo adottò.
Morto Conan Doyle le imitazioni sono state moltiplicate, senza più nomi
storpiati, a iniziativa del figlio Adrian, e del biografo principe, John Dickson
Carr, il giallista. Sono americane più che inglesi. Anche Oudin, con dieci
racconti vittoriani, di Sherlock Holmes ai quattro pizzi dell’impero, si è
esercitato, in “Sherlock Holmes et le cobra d’or”.
Di italiano figura solo,
nell’indice, il nome di Umberto Eco. Cui però nel testo corrisponde un
riconoscimento: “Con questo romanzo (“Il nome della rosa”, n.d.r.) il pastiche holmesiano ha conquistato i
suoi quarti di nobiltà”. Oudin dice holmesiano il protagonista di Eco,
Guglielmo di Baskerville: “Fiancheggiato dal discepolo Adso, oppone agli
inquisitori la logica dei metodi deduttivi”.
Un repertorio vasto. Con i grandi
interpreti al cinema, Basil Rathbone, Christopher Plummer, Roger Moore (in un
tentativo di resuscitare Irene Adler, con Charlotte Rampling quindi, e John
Houston di contorno), e al teatro, William Gillette. I club, più americani che
inglesi. I luoghi, e i musei. Il “canone”, avviato da mons. Reginald Knox per
scherzo – il monsignore, teologo (autore di un classico “Enthusiasm”, contro il
fondamentalismo religioso), giallista in proprio di buona reputazione, umorista
(“Come scrivere un cattivo romanzo poliziesco”), cappellano cattolico di
Oxford, lo avviò nel 1911, dopo la ripresa di Sherlock Holmes da parte di Conan
Doyle per le insistenze dei lettori, con una conferenza, “Studies in the
Literature of Sherlock Holmes”, in cui parodiava le analisi seriose applicate
al personaggio. Con un dizionario essenziale dei personaggi – e la questione, a
proposito di Watson: “È o no un imbecille?” Una guida al turismo. Una
bigliografia di Conan Doyle e una di Sherlock Holmes. L’indice dei tanti nomi.
Sherlock Holmes, “la creatura che
ha superato il suo creatore”, al debutto non era piaciuto. “Uno studio in rosso”
fu rifiutato da alcuni editori, e non
vendette. Conan Doyle si affermò col successivo “Micah Clake”, un romanzo
storico, che fu un successo. Sherlock Holmes fu salvato dagli editori
americani. E il mito è tuttora fiorente in America più che in Inghilterra, per
il numero di club holmesiani, le celebrazioni, le imitazioni. Per il cinema
anche: Sherlock Holmes è il personaggio più filmato, più di Napoleone: nel 2008
contava già 204 film, Napoleone solo 194.
Bernard Oudin, Enquête sur Sherlock Holmes, Découvertes
Gallimard, pp. 96, ill. € 13,10
Nessun commento:
Posta un commento