L’uomo è sparito – è un sintomo, un’ombra
L’uomo “tedesco”, Musil specifica al primo paragrafo, è per modo di dire:
è l’uomo, l’essere umano. Sintomo allora di che cosa? Della civiltà. Dell’Europa.
Del progresso. Che sono spariti, vittime dell’organizzazione dell’egoismo. Del
capitalismo che tutto subordina all’interesse. A una forma di egoismo limitato
e di fatto improduttivo.
L’uomo “tedesco” come sintomo di un’impossibilità, di ogni idea dominante.
Ora non più possibile, al lume dell’ideologia, del partito preso, del pregiudizio.
Essendo crollata o svanita ogni fede, ogni regola di vita. Non c’è più l’uomo,
ce ne resta il sintomo.
Un saggio incompiuto, cioè non
portato a termine, del 1923. Ma tutta la saggistica di Musil è di fatto incompiuta
– ambiziosa ma inconcludente: sull’Europa, su Ernst Mach. Problematica invece che
risolutiva. Problematica dello stesso concetto di crisi. Inafferrabile, si
direbbe , come il suo “uomo senza qualità”, senza spessore, quasi senza storia. Le considerazioni vagano dalla situazione della generazione musiliana al teorema della umana mancanza di forma, al ruolo della ideologia nella vita, e ai fatti - al tempo, al ruolo, agli amici e ai nemici dei fatti. Concetti complessi, i fatti, le forme, le ideologie, affrontati con curiosità analitica (filosofica) ma da dilettante. Sullo stesso tema, la trasformazione che il capitalismo – l’interesse, il
guadagno – ha imposto alla vita, al lavoro, Ernst Jünger negli stessi anni ci
vedeva meglio, al di là del rifiuto o della
critica.
Con una postfazione, postanalitica, di Antonello Sciacchitano.
Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, Pendragon,
pp. 116 € 14
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