Notturno notturno
Presentato con grandi ambizioni
per nascondere un flop? Immagini di
recupero, molte anche di repertorio o propaganda, nel Kurdistan iracheno, della
guerra contro l’Is (il lamento della madre per il figlio morto, il plotone delle
miliziane, il carcere dei terroristi islamici, la scuola, i disegni e i ricordi
delle violenza attraverso i bambini). Mixate con una sola scena a soggetto, del
giovane caravaggesco che vive di espedienti, e con minute cartoline di viaggio,
l’attraversamento dei fiumi mesopotomaci, anche a guado, il traffico alla
frontiera siro-libanese. Un mondo piatto, fangoso. Di cieli bassi e luce
grigia. Tra Iraq, Siria, Libano, i luoghi menzionati, un mondo di squallore,
apatico.
Curvato nel montaggio sulla
politica, e allora confuso? Non pacifista. Non antinazionalista: scandito in
capitoli di confine, evita i confini “giusti”, divisori, bellicosi, quelli con
la Turchia per esempio. E arriva tardi nella guerra all’Is.
Lo spettatore ne media un mondo
senza respiro. Senza nemmeno anima. Mentre è un mondo di montagne e non piatto,
alla frontiera siro-libanese, nel Kurdistan. E di coraggio, nel Curdistan e non
solo – la frontiera con il Libano è stata passata da oltre due milioni di
siriani, quanto l’intera popolazione del Libano.
Gianfranco Rosi, Notturno
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