A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (438)
Giuseppe Leuzzi
“Era
a Firenze da trent’anni, ma vi aveva vissuto anche in anni lontani, da
studente. Non aveva preso niente dalla città, come tutti noi del nord, così
diversi per voce, pronuncia e prontezza di riflessi” – Giacomo Devoto,
commemorando l’illustre clinico Enrico Greppi, in morte, nel 1969 (“Civiltà di
persone”). Il leghismo ha radici profonde.
La questione
meridionale criminale
Con
Sciascia, riflette Walter Pedullà ne “Il pallone di stoffa”, 179-180, “il narratore,
il confessore, il commissario di pubblica sicurezza e il giudice”, tutto assieme, la questione meridionale “è diventata anzitutto una questione c
riminale”. È stato giusto, con i
corleonesi che stringevano Palermo tra delitti quotidiani, e i più efferati,
non si può dargli toro – i corleonesi era difficile anche immaginali. Ma lo è
ancora?
È
una cappa. “Prima o poi ogni giacobinismo diventa ancien régime”, conclude Pedullà: “Quello del realista, empirico o
illuminista che sia, è un sguardo che per non essere un visionario o un
sognatore percepisce solo reati e punizioni previsti dal codice”. E nient’altro?
“Sciascia tiene a tiro i servizi segreti, ma essendo da neorealista un visivo,
colpisce ciò che appare in superficie o nascosto negli archivi”.
I siciliani sono francesi
I siciliani sono francesi.
Sono stati arabi, e poi normanni e angioni, francesi. Quando erano punici e
greci, erano in realtà siculi di lingua punica e greca.
Poi gli spagnoli sono venuti,
ma non si sono mischiati.
Visi s’incontrano sbalzati
dalle tappezzerie di Bayeux. Intagliati nel marmo bianco patinato, le code
degli occhi leggermente all’insù, teste ovali, riccioline, minute, come
l’ossatura, occhi chiari. È impressionante quanti se ne incontrino. I nomi
francesi sono in maggioranza, i nomi anagrafici – i luoghi sono sempre greci e
arabi: i normanni, seminomadi, curavano poco il territorio, molto il clan,
il gruppo familiare. Lo sostiene
convinto, con cifre, percentuali, mappe, un amico di Palermo che non
nomineremo, come incitamento a venire allo scoperto e farsene il copyright.
Quando la Sicilia avrà
riavuto l’onore e creerà un vero servizio anagrafico, come i public records, americani, la tenuta degli alberi genealogici di ognuno, le
origini francesi saranno incontestabilmente acclarate. L’amico ne è certo. I
siciliani sono di fatto di ogni bordo, e cultura. Ma anche francesi,
indubbiamente. Non ne hanno la burocrazia, non avendo avuto un regno unito e
una Vesailles, ma il rivoluzionarismo sì, del tipo jacqueries (oggi gilets jaunes). E l’amore delle parole.
Lui è albanese: crespo, nero –
del genere che solitamente si dice arabo (molto, troppo, in Sicilia si vuole arabo,
specialmente dagli anni 1970, da quando gli arabi si sono arricchiti) ma lui è albanese
di nome e provenienza, albanese di montagna, di Piana degli Albanesi. Sua
moglie, bionda, il corpo abbondante, le ossa minute, la pelle diafana, gli
occhi verde-azzurri, ne sostiene il ragionamento con una dentatura smagliante.
Napoli
“Non sempre i meridionali sono convinti
meridionalisti, l’ismo di chi le prova tutte per dare lavoro in ogni campo al Sud.
Non solo i settentrionali gli fanno male, danneggiano il Mezzogiorno anche i
meridionali”, Walter Pedullà, “Il pallone di stoffa”, 331: da presidente Rai,
lo scrittore aveva ottenuto un’edizione del Tg 2 da Napoli che però i
giornalisti napoletani snobbarono.
Bakunin ci passò quindici mesi, eccezionali, da giugno 1865 ad agosto 1867, tanto da progettare di tornarci definitivamente. Fondò a Napoli un Circolo dei socialisti rivoluzionari, che sarà nel 1869 la prima Sezione italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Ma fu a Bologna che riuscì a organizzare una rivolta, nel 1874 – anche se con l’aiuto del napoletano Cafiero.
Sua figlia Sofia, nata su Lago Maggiore
nel 1870, andrà sposa a Napoli del grande chirurgo Giuseppe Cacciopoli, e sarà
la madre di Renato Cacciopoli, il genio matematico che andò in cattedra a 27
anni a Padova. Tornato a Napoli, Renato Cacciopoli si esibì personalmente nel
1938 in varie contestazioni della visita di Hitler a Mussolini. Evitò il carcere
col manicomio, per sospetta follia. Dopo la guerra fu matematico sempre in
cattedra, membro dei Linccei e premio Lincei – finirà suicida nel 1959, dopo l’abbandono
da parte della moglie, per il dirigente del partito Comunista Mario Alicata, calabrese
ma deputato di Napoli-Caserta.
L’idea di fare passare Renato Cacciopoli
per pazzo fu della zia Marussia Bakunina, “Maria”, nata a Krasnojark ma
addottorata a Napoli, dove insegnava la Chimica all’università. Anche lei
cooptata all’Accademia dei Lincei nella sessione del 1947, insieme col nipote.
Alla morte di Bakunin, i tre figli, Sofia,
Maria e Carlo, furono accolti, con la madre Antossia, a Napoli da Carlo
Gambuzzi, avvocato socialista, che li ospitò nella sua villa di Capodimonte.
Si fa molto caso di “Napoli”, il breve saggio di W.Benjamin e A.Lacjs, col concetto di “porosità”, su cui molti a Napoli si esercitano. Ma il saggio si apre con questa constatazione: “Impressioni di viaggi fantastiche hanno colorato la città. In realtà è grigia”. E
termina paragonando Napoli e la porosità al kral
degli Ottentotti, il villaggio circolare, comunitario della popolazione bantu
del Sud Africa.
Anche Goethe, a proposito dei lazzaroni, nella seconda
tornata a Napoli di ritorno dalla Sicilia, avrebbe menzionato il kral degli Ottentotti, ma non nell’edizione
definitiva del “Viaggio in Italia”. In questo secondo soggiorno, fa visita a William Hamilton, dice wikipedia, che gli mostra la sua collezione di reperti
archeologici. Tra questi individua due candelabri di probabile
provenienza pompeiana, al che Hackert lo invita a tacere e a non indagare oltre sulla
loro provenienza.
Goethe approfondisce in
questa seconda tappa napoletana gli usi e le abitudini del popolo, del quale elogia
l’operosità e l’efficienza nella pulizia delle strade, a differenza di altre
città che aveva visitato in precedenza.
Avvicinandosi
a Napoli, nel viaggio in Italia dell’ottobre 1951, Sartre si sente (“Verso
Napoli”, due pagine all’inizio della compilazione postuma “La regina Albermarle
o l’ultimo turista”) “chiudere il cuore”. Per il solito catalogo: “L’amo e ne
ho orrore”, etc.. Ma per un motivo preciso:
“Niente querencia. È l’immagine arida
dell’uomo”. Niente affettività, oggi si direbbe empatia.
In
effetti crudele, nella disinvoltura – da sempre metropoli.
Accolse
Gor’kij, esule politico, trionfalmente nel 1906. Nei circoli socialisti, nei grandi
alberghi, e nella stampa. Con cronache
passo passo delle sue giornate, e foto sui giornali, che lo mostrano contento e
a suo agio, malgrado il poco o nullo italiano, come uno di casa.
L’entusiasmo
si trasmise allo scrittore, per il teatro napoletano, di cui resterà sempre appassionato,
e per la politica – trasferendosi a Capri, vi aprirà una scuola di formazione socialista
per esuli russi.
A
Napoli, il “napoletano” Boccaccio fa furbo il perugino Andreuccio, a spese dei
napoletani. Una rivalsa? Non si saprebbe immaginare quante ne ha sofferte il
giovane Boccaccio commerciante a Napoli.
Il
siciliano non ha il futuro (Sciascia), il napoletano non ha il no. Zola, che
avversava il Sud più di Sciascia, gli trova (“Mes voyage. Lourdes. Rome.
Carnets inédits”) “una singolare avversione per il No: se gli domandi qualcosa
a cui deve rispondere negativamente, fa una smorfia, oppure sta zitto e non si
muove, in breve: esprime la sua negazione eufemisticamente. Solo l’uomo libero
nega”. Che sembra una condanna, e probabilmente lo è. Ma Zola così prosegue:
“Solo l’umo libero nega, solo lui distrugge, annienta l’oggetto, provando
piacere nel negare e nel contraddire i dati di fatto”. E allora? “L’uomo naturale
è invece imbarazzato quando deve contrapporsi” – l’uomo libero non è naturale?
Meta preferita del Grand Tour, ne sopporta
i limiti, di ammirazione condita dalla delusione, immancabile. Ma,
certo, secondo il repertorio di Ramondino e Müller, “Dadapolis”, tutti hanno fatto
a Napoli esperienze straordinarie, mostruosamente straordinarie, inattese,
anche sconvolgenti. Tutti i “viaggiatori”. I napoletani ne sono salvi? Si direbbe
un’osteria, tenuta da un oste giudizioso o astemio.
Nel
repertorio dell’urbanista Giovanni Laino delle “immagini molto diffuse” della
città in calce a “Dadapolis”, Napoli non ne ha uno solo positivo. Come “luogo
doppio” – “vulcanica e mediterranea”, “serena sull’abisso”, “legale e illegale”,
“miserabile e opulenta”. Ma su fondo negativo: città della miseria, città
mostruosa, città corrotta, città di rapina, città camorra, città complessa. E
da ultimo, “alla fine degli anni Ottanta”, del Novecento, “tavolo da gioco” –
la più positiva: ognuno vi gioca la sua parte.
leuzzi@antiit.eu
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