Ersilia non c’è più, c’è la signora Amalia.
Nell’ufficio nuovo in via Senato a Milano, tra altre case nobili in vere
stanze, che sono salotti con boiseries e luce ombrata. La signora Amalia
che compra le patate bollite in salsamenteria. Non interamente. Le compra
bollite a metà. E questo crea uno strano effetto nella storia.
Martire padana, di Mortara e Lione, e
della lontana Gerona, con ascendenze gotiche, per quell’amal che è
perseveranza, la signora Amalia viene sempre ben messa, nel trucco, nell’acconciatura,
nell’abbigliamento. Segue la moda, con tatto. Ha fatto gli studi, ha la voce
impostata e i modi garbati, tutto quello che occorre a una segretaria di
direzione. Ha sposato all’età giusta, ai ventitré, segno di equilibrio. Ha
passato con suo marito indenni i primi cinque anni del mutuo, terribili per
ogni matrimonio, ha due figli e una figura perfetta, e quindi, sui trenta, può
dirsi realizzata, negli affetti, la famiglia, il fisico, il lavoro, il reddito.
Se esistesse la perfezione, lei la incarna. I capelli biondissimi e gli occhi
azzu-rissimi ne fanno un’attrazione, che è anche bene, l’ufficio di via Senato
essendo di rappresentanza, è bene che la gente ci venga. Che ci siano dei
disegni precisi non si potrà mai accertare, ma che molti vengano volentieri a
Via Senato per la presenza di Amalia è fuori di dubbio – molte cose si fanno, anche
molto a lungo, senza uno scopo preciso.
Le patate si vendono surgelate,
pre-bollite, per la solita storia di far guadagnare tempo. Ma le patate si cuociono
da sé. Se hanno una virtù è questa: una volta cuocevano lentamente sommerse
nella cenere, ora cuociono altrettanto tranquille nell’acqua, non c’è bisogno
di rimestarle, schiumarle, passarle, e anche a dimenticarsele qualche minuto di
troppo restano buone. Si pelano calde in un paio di gesti, si frantumano in cinque
o sei pezzi, e con l’aggiunta di olio e sale è fatta - avendo avuto cura di
usare la forchetta per non ossidarle tagliandole col coltello. Si possono
aggiungere capperi, alici a pezzetti, olive nere. Oppure si possono tagliare a
fette col coltello, all’uso longobardo, e fredde servirle in insalata, quindi
con l’aceto, la maionese, l’erba cipollina. O smashed, in poltiglia,
all’inglese o alla peruviana - ma qui si va sul complicato. Una preparazione,
comunque, che prende in tutto due minuti, non di più.
La patata bollita a metà sarà mangiata
acquosa e insapore. Eppure Amalia è accurata. Di uno che rimane a metà delle
cose si dice che è confuso, di Amalia quanto meno che rifiuta la casa, il
marito, i figli e se stessa. E invece no, ha attenzione per la sua persona e i
doveri dell’ufficio, e sempre tempo per la pettinatura, prima di uscire la sera
e ritrovare casa e marito. Le draghe romane sono al confronto sgangherate, che
la mattina arrivano con gli occhi cisposi, al più rispondono al telefono, di
malavoglia, e domenica portano a Ostia i figli e il marito con la pasta in
tegame e la torta al limone. Amalia è invece una vera signora. È l’eroina dei
suoi romanzi, che pensa che il cibo distrugge il corpo, la spesa l’animo, che i
figli crescono da soli, che suo marito non è suo amante, che trattiene i
sentimenti per il colpo di scena finale. Invisibile, ha eretto una barriera,
che per gli altri è piacevole ricorso, l’immagine di una bellezza, le si
sorride con gratitudine, ma per lei è irrequietezza e malinconia. Per cui
finisce sbollita e sciapita come la sua patata.
Cosa
manca alla signora Amalia per la perfezione è la sua stessa perfezione, la sua
modernità che è eternità. La quale allegoricamente segna il passo, è il destino
di ogni opera perfetta. Questa sua maniera di guadagnare tempo, che dovrebbe
farla tornare umana, in realtà lo elimina: il tempo è misura dell’uomo,
altrimenti non è, è il metronomo di una musica. Quello che c’era prima
dell’uomo è l’eternità, che è uguale a se stessa, un po’ stolida, e
indifferente. Lo stesso è il lavoro perfetto moderno, che esclude il piacere,
rinviandolo al tempo libero e al turismo, che sono un’industria. L’intoccabile
Amalia ne è simbolo. Nei paesi di lingua inglese, dove il tempo libero del week-end è già tradizione, le coppie si
preparano per il sabato pomeriggio, che però non sempre viene bene, lui può
essere stanco, lei avere il mal di pancia, e la patata cotta a metà non aiuta.
In Giappone gli sposi devono prenotare per tempo qualche ora in un Love Hotel,
i week-end sono affollati. Ma già nel
secondo Ottocento l’amore è un incontro fallito, in Baudelaire, Flaubert
e altrettali testimoni, accidiosi perditempo delle due rive parigine, quando il
tempo ancora non mancava. “Quello che si chiama amore”, il taciturno Beckett avrebbe
detto solenne in conclusione, “è l’esilio, con una cartolina di tanto in tanto
del paese”.
Ci sono mancanze a cui nessuna buona volontà rimedia.
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