Calvino sfida il lettore - e Umberto Eco
“Sorrisi e Canzoni TV” e “la
Repubblica” avviano la serie promozionale del “tutto Calvino” con il romanzo dei
non-romanzi, una “narrazione” cerebrale, che ogni poche pagine, ogni capoverso,
se possibile ogni riga, si raffredda. Nel nome del Lettore di romanzi, anzi
della Lettrice – il lettore tipo, maiuscolo, si vuole sia avido di romanzi. Al
quale Calvino ne serve uno per ogni capitolo – solo l’inizio, il capitolo
iniziale, che però, si capisce, è già un racconto. Secondo un intreccio dei
“generi” romanzeschi non casuale. Che Calvino stesso schematizza nell’indice,
nei titoli. E in una lettera al critico Guglielmi, qui proposta come
introduzione (se ne riproduce il dettaglio da una ulteriore sintesi dello
stesso Calvino all’Istituto italiano di cultura di Buenos Aires, qui ripreso in
nota): “Un romanzo tutto sospetti e sensazioni confuse; uno tutto sensazioni
corpose e sanguigne; uno introspettivo e simbolico; uno rivoluzionario
esistenziale; uno cinico-brutale; uno di manie ossessive; uno logico e
geometrico; uno erotico-perverso; uno tellurico-primordiale; uno
apocalittico-allegorico”. Di fatto, malgrado le sensazioni forti dei titoli,
tutti gelidi, volutamente.
Contro
il nouveau
roman
Un paradosso dichiarato: Calvino
pretende la celebrazione del libro con un non libro. Meglio: col racconto di un
romanzo, come avrebbe potuto essere e non è. Fatto di dieci ipotesi di romanzo. Con
una punta di nouveau roman, la
descrittiva minuta di ogni gesto o persona, il viaggiatore alla stazione, il
soffritto di cipolla, il jogging, la
tintura dei capelli, le geografie, le geometrie, eccetera, parodistica. Nel
genere pastiche, ma lo scherzo non
dura se ripetuto, interminabile – diventa pietra dura, la “fissa” su cui si
ironizza. Proust, che ne ha lasciato esempi piacevoli, vi si esercitava con
gusto, ma con scherzi brevi e su un autore riconoscibile, non su un filone,
una tendenza, un mercato. Calvino ne fa il tema di questo “Se una notte”,
nella conferenza di Buenos Aires in questi termini: “L’impresa di cercare di
scrivere romanzi «apocrifi», cioè che immagino siano scritti da un autore che
non sono io e che non esiste”. Ma la parodia è aspra, cattiva, a tratti
ossessivamente sprezzante. O allora la (vecchia?) prosa di arte, il ricamo arabo, non figurativo, la calligrafia.
Il lettore può provare a leggere
il “romanzo inesausto” come proposta di visita al laboratorio dello scrittore.
Come un open day dell’autorialità, perché
possa vedere come si lavora. A disposizione del visitatore mettendo vari
abbozzi e non un artefatto-prodotto completo, finito. Un esempio dal reale di work-in-progress, teorico e pratico. A
cui però già l’introduzione – la lettera al critico, abuso editoriale? - che si
dilunga sul perché e come l’autore ha voluto deliziare (deludere) il Lettore,
maiuscolo, con un romanzo fatto di dieci generi di romanzo, di dieci ipotesi di
generi di romanzo, toglie tutta la poesia, cioè la voglia di leggere. Gli estri
ci sono, ma gettati lì, come a dire: “Ci so fare ma non voglio, non mi piace,
non m’interessa”. Una parodia di fatto del romanzo come genere, negli anni in
cui si profetava la fine del romanzo.
Contro
Eco
Si può anche leggere il
romanzo-non-romanzo come una canzonatura di Umberto Eco, che aveva appena celebrato il romanzesco nel “Superuomo
di massa”, 1976 - per la Cooperativa Scrittori, ultimo residuato del Gruppo 63 (e si apprestava a praticarlo, con “Il nome
della rosa”, 1980).
Ma bisogna sapere troppe cose.
Anche che Eco reagirà cinque anni dopo con un elogio sperticato del “Conte di
Montecristo”, e della letteratura (romanzi) di consumo, a puntate, di colportage, di massa, popolare – il
saggetto si legge come introduzione al “Conte di Montecristo” nella Bur. Con
tutti i loro difetti, spiegava lungamente perfido, il “Conte di Montecristo”
dicendo “uno dei romanzi più mal scritti
i tutti i tempi e di tutte le letterature”, stiracchiato, perché pagato un
tanto a riga, di uno scrittore che sapeva “scrivere” - “I tre moschettieri”
“fila via che è un piacere”, “secco, rapido”… Un duello a distanza, senza sfide
e senza padrini, ma cattivo. Quindici anni dopo Eco metteva Calvino, nelle “Sei
passeggiate nei boschi narrativi”, accanto a Campanile, Carolina Invernizio e
Ian Fleming. Sotto un titolo che rifà esplicito le “Lezioni americane” - da
Calvino intitolate “Sei proposte per il prossimo millennio”. Per un pubblico
sempre americano – un duello in campo neutro, o forse perché in Italia con la
Seconda Repubblica della letteratura non interessava più nulla a nessuno. Un
duello con ottimi argomenti da parte di entrambi, entrambi partendo dal Gruppo
63, dall’ipotesi di rinnovare l’italiano letterario e la letteratura, entrambi
convincenti, ma l’uno opposto all’altro, senza mai nominarsi. Marciando su terreni
diversi, Calvino esploratore, Eco storico - ma queste cose nei duelli non
contano.
Controvoglia
In questo come in molti altri
libri d’invenzione Calvino è narratore manifestamente controvoglia, che ha
difficoltà a tenere teso il filo della narrazione, come ce l’aveva a parlare,
avendo in uggia il parlarsi addosso – volendo parlare delle cose essenziali, vaste programme? È autore di un’opera
voluminosissima, in tutti i generi, anche nella scrittura giornalistica e
d’occasione, meno che nel romanzo – tre o quattro li ha lasciati inediti. Ne ha
scritti, come questo, ma di genere-non genere. Un tipo di racconto nuovo invece
articola, e inclassificabile. Si annovera nella scrittura fantastica, ma non
era narratore di fiabe, fantasy, fantascienza, gotico, del terrore, o altro
filone del genere. Era scrittore di scritture, di ricerca. Presto insofferente
– non incapace, ne ha scritti, e non di malavoglia – al racconto tradizionale,
di personaggi e sviluppi più o meno storicizzabili, abituali, conservativi. Un
po’ avulso com’è noto dalla politica, o a disagio, la realizzava (intendeva
realizzarla) nel suo ambito, letterario – fu anche funzionario editoriale e
lettore professionale. Come innovatore.
Nulla di più semplice della sua
prosa. Frasi corrette, svelte. “Cose” di tutti, di tutti i giorni, non usa
eccezionalità, trovatine, agudezas.
Eccetto quelle della normalità, della quotidianeità. Attraverso le quali
conduce il lettore in strani percorsi. Il cap. I (ogni proposta di romanzo è
preceduta da un capitolo introduttivo, con
progressione ordinale, in numero romano, ma è scollegata dalle altre)
spiega al Lettore, a cui confidenzialmente dà del tu, come vedersi, mentre
compra “Se una notte d’inverno un viaggiatore” e poi si dispone a leggerlo.
Nulla di più semplice anche come tema – piano, tradizionale. Ma inconsueto: il
piacere della lettura propone in questa “novità”.
Contro
Joyce
Come nei racconti di Borges,
tradizionali nel taglio e inconsueti nell’argomento, lo svolgimento, l’esito.
Per un qualche aspetto a sorpresa ammirabile. È lo stesso per Calvino? Calvino
non chiude, lascia il filo dipanato, il congegno visibile. Lo “straniamento” di
Sklovskij e Brecht pratica con naturalezza, ovvietà. Non vuole
l’immedesimazione, tiene il lettore a distanza. E questo disorienta, respinge.
Col sospetto, per il lettore avvertito, tutto sommato, della trovatina. Non per
circonvenire il lettore, ma come di un autore in lite con se stesso. Che
procede sfidandosi - sfidando se stesso, figurarsi il Lettore. L’“opera aperta”
ha questo handicap: affatica l’autore
ancora prima del lettore.
Nella lettera-introduzione
Calvino si appella “al” Joyce che non nomina – Joyce è un nome che non ricorre
mai nella vastissima produzione di Calvino – del “romanzo che racconta una
giornata qualsiasi di un tizio di Dublino in diciotto capitoli ognuno con una
diversa impostazione linguistica”. Se non che Joyce aveva voglia di raccontare,
tanto che ne sperimentò in continuazione forme nuove. Come Calvino, si direbbe.
Solo che Calvino sembra invece disappetente lui per primo, al limite
dell’anoressia. O come uno chef che lavorasse per disappetenti, e riduce
l’oggetto, il tema del suo lavoro, la narrazione, a ghirigori mentali su un
muro che non scalfisce – come nelle foto di Mario Mazzetti di Pietralata,
l’endocrinologo che non riusciva a scalfire il male e lo rappresentava nei
muri ciechi. A distanza, non si infetta, non si spreca.
Esercizi
di stile
Un novista condannato al
novismo, a una sorta di moto perpetuo, dell’insoddisfazione, irrequietezza,
rigurgito acido - la ricerca può essere applicata, fra ipotesi e prove, o fine
a se stessa.
Negli stessi anni del
“Viaggiatore” Calvino è allegro traduttore, editore e riscrittore di
Queneau, cioè di una scrittura probabilistica. Una deriva del surrealismo, in
ambito matematico, o l’indistinto ipotetico della meccanica statistica
applicato alla scrittura. L’idea di “Se una notte” gli viene, dice, mentre
traduce il Queneau più ostico, “Esercizi di stile”. Apostolo ancora fervido
della letteratura dell’Oulipo nella quale è stato cooptato a Parigi, della
letteratura “potenziale” – per una narrazione caricaturale, non a caso del
Lettore, entro un gioco del tipo “vieni a prendermi”. Essendo partito da
Raymond Roussel, che in Italia si conosce solo per la morte a Palermo romanzata
da Sciascia, come un vagabondo un po’ svitato, ma è un iper-letterato che
studiava ”operazioni romanzesche”, dice Calvino - punto di partenza e punto di
arrivo le allitterazioni… Calvino non ha amato, forse non ha nemmeno letto,
l’“Ulisse” né le altre “stravaganze” linguistiche di Joyce, ma allora?
Contro
il Lettore
“Se una notte d’inverno” si legge
più correttamente come una continua beffa della narrazione, del piacere di
raccontare. Calvino stesso lo dice nel progetto, riflesso nell’indice, i dieci
“romanzi” avendo organizzato secondo una traccia che espone nei titoli: “Se una
notte d’inverno un viaggiatore\ Fuori dell’abitato di Malbork\ Sporgendosi
dalla costa scoscesa\ Senza temere il vento e la vertigine\ Guarda in basso
dove l’ombra s’addensa\ In una rete di linee che sì allacciano\ In una rete di
linee che s’intersecano\ Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna\ Intorno a
una fossa vuota\ Quale storia laggiù attende la fine?” Un esercizio goliardico.
O l’anti-romanzo – il punto
interrogativo finale. Se il Lettore eletto dovesse fermarsi alla
lettera-introduzione e al primo capitolo con annesso “romanzo”, come dargli
torto? Un lettore scampato. O uno che sa, come l’autore, “che il meglio che ci
può aspettare è di evitare il peggio”.
“Sorrisi e canzoni” e “la Repubblica” hanno
scelto quest’opera per promuoversi in edicola, cioè tra quanti, per età, mezzi
o abitudini di lettura, non si erano ancora avvicinati a Calvino. È buona
scelta? Certamente ardita.
È l’edizione Oscar, con la
presentazione dello stesso Calvino, e la corposa cronologia di Barenghi e Falcetto per i “Romanzi e racconti” di
Calvino nei Meridiani.
Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore,
Sorrisi e Canzoni TV-La Repubblica, in edicola, pp. XLVII + 276 € 9,90
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