Senza speranza alla guerra di Spagna
Il 20 luglio “il cannone colpiva
regolarmente come il cuore di tutta quella folla, al di sopra dei deboli colpi
di fucile che partivano da tutte le finestre e da tutte le porte, al di sopra
delle grida, dell’odore di pietra cada e di bitume che montava da Madrid”. Un
soldato ha disertato lasciando la caserma. Al bar gli chiedono ansiosi della
caserma. Lui spiega che il comandante ha detto: “Bisogna salvare… la
Repubblica”. “La Repubblica?” “Sì. Visto che è caduta nelle mani dei
bolsecvichi… degli ebrei e degli anarchici”. È il terzo capitolo del racconto
epico, da parte repubblicana, della guerra civile appena avviata in Spagna. Il
racconto di un Malraux non più giovane volontario non è ironico, se non
involontariamente: la resistenza al bar, la diserzione di un solo soldato
accasermato, le ragioni del colonnello, anche lui ben repubblicano.
Questa prima parte s’intitola
“L’illusione lirica”. È solo l’inizio della guerra ma non sarà diversa dopo: il
titolo “La speranza” sembra antifrastico. Anche se titola l’ultima parte, la
battaglia di Guadalajara, dove le truppe repubblicane si difenderanno dall’attacco italiano. E anche se i miliziani saranno infine
inquadrati, e se ne tenterà perfino
l’addestramento formale, a muoversi organizzati e disciplinati, e impegnati a
fare qualcosa piuttosto che niente, dividersi per partito, contarsi, ricontarsi.
Più che l’entusiasmo, contano in guerra i mezzi e l’organizzazione: Malraux lo
fa spiegare alla fine dell’“Illusione lirica” dal capo dei servizi di
sicurezza, che chiama Garcia. Mentre “le rivoluzioni sono le vacanze della vita.
C’è sempre un po’ di teatro all’inizio di ogni rivoluzione”.
Di curiosità sterminata, Malraux
è dannunziano il giusto. Impegnatissimo da giovane contro le ingiustizie del
colonialismo, antifascista in prima linea, “Saint-Just dell’antifascismo”, già
autore rivoluzionario itinerante di due romanzi subito famosi, “I
conquistatori” e “La condizione umana”, organizzatore e comandante in Spagna a
luglio del 1936, a trentacinque anni, col grado di colonnello e divisa di
Lanvin, di una squadriglia internazionale nella guerra di Spagna, “Escadrilla
España” o “Escadrilla Malraux”, per la quale mobilita risorse private,
volontarie (stanti le reticenze del governo socialcomunista francese, il Fronte
Popolare di Léon Blum, malgrado il coinvolgimento dichiarato di Germania e Italia),
resistente successivamente in Francia contro l’occupazione, anche se non dalla
prima ora, anzi tardi, nel 1944 – senza negare l’amicizia con Drieu La
Rochelle, suicida sotto processo per collaborazionismo. Il vero romanzo è di
Malraux stesso, uno scrittore, anche uno riflessivo, con la febbre
dell’attivismo. Ministro della Cultura di De Gaulle, ripulirà le facciate di
Parigi, avviando una gigantesca opera in tutta Europa di recupero urbano e
restauro. Qui racconta la guerra di Spagna. In tempo reale, si può dire: avvia
nella primavera del 1937 - fermi o abbattuti i suoi velivoli, già oggetto di
manutenzione radicale e recuperi fortunosi - il racconto e lo pubblica a
ottobre. Spesso fuori quadro, agitato
più che efficiente, nel romanzo come nella propria mitografia. Ma sapiente, fin
dalle prime battute, sui connotati reali e gli sviluppi della guerra. E
dolente: rassegnato anche se combattivo, per il dover essere.
C’è già pure la terminologia
sclerotica, sovietica, o di cliché,
non si quanto partecipe o critica, che avrebbe dominato per decenni: il
“volontario”, il “militante di base”, il “compagno di strada”, l’“attivista”.
Gli uomini si salutano col pugno, gridando “Salud!”, come “un coro costante e
fraterno” – “la più grande forza della rivoluzione è la speranza”. Hanno facce
giovani e allegre. E per qualche verso bizzarri nella narrazione. Nell’entusiasmo
sempre divisi, anche ostili gli uni agli altri, per fazioni politiche e per
sottosezioni, gruppi, squadre dello stesso orientamento o partito, sindacalisti,
anarchici, socialisti di destra, socialisti di sinistra, pacifisti - tutti
eccetto i comunisti - da subito, subito dopo i primi giorni del “sollevamento”.
Malraux sarà con questo romanzo
un “utile idiota” a Parigi dell’apparato propagandistico di Stalin, di Willi
Müntzenberg, mobilitato per testimoniare l’internazionalismo, contro il
“Ritorno dall’Urss”, deluso e acrimonioso, che Gide pubblicava in contemporanea
con “La speranza”. Ma ha qui, a saperlo leggere, tra le tante divisioni e
leggerezze del fronte repubblicano, un’anticipazione dello stalinismo feroce
che stava per prendere il sopravvento, la grande disfattista novità della guerra civile in
Spagna. Con un occhio già misericordioso, quasi presciente della loro sorte sotto i colpi dei comunisti, per gli anarchici - “E Cristo? Un anarchico che ce l’ha fatta”.
Il racconto in sé è poca cosa.
Organizzato, a capitoli alterni, tra le vicissitudini della squadriglia, che si
chiama España ma per la quale Malraux utilizza soprattutto i volontari italiani
(tre essi “Scali”, uno dei personaggi principali, bombardiere e intellettuale raffinato, un po’ Chiaromonte un po’ lo stesso
Malraux) e quelle dei gruppi di ferrovieri, sindacalisti, operai, contadini,
giovani borghesi, etc., nella guerra di terra, tiene alla lettura per il ritmo
che Malraux sa mantenere equilibrato, fra la concitazione e l’aneddoto
liberatorio. Ma niente resta, nessun vero personaggio, nessuna impresa. Lo
stesso Malraux si frantuma in più personaggi o spicchi di personaggi, Magnin,
Manuel, Scali, et al. Solo emerge una
indomabile confusione, o allegria dell’agitazione, volontaria, volontariamente
disorganizzata.
Resta anche, stranamente per un
racconto prolisso e da instant book, e
forse contro le intenzioni dell’autore, l’analisi delle forze in campo: delle
motivazioni, gli obiettivi, le risorse. Molte storie della guerra di Spagna
sono state scritte, ma il romanzo di Malraux sembra più nuovo e più vero.
Il franchismo viene tuttora
analizzato negli effetti e non nelle cause – come il fascismo in Italia del
resto (le esercitazioni sulle cause del fascismo sono vecchie di almeno mezzo
secolo). In una prospettiva ancora politica invece che storica – che aiuterebbe
di più. Ma di una politica squilibrata, velleitaria, che si propone fini, per
buoni o cattivi che siano, per cui non ha i mezzi – i mezzi intellettuali,
evaporato il sovietismo.
Con un quadro, all’ultimo capitolo
della “Illusione lirica”, che anticipa in breve, in due pagine, la storia vera
della fine della Repubblica in Spagna che la storiografia, anche qui, ancora
non recepisce – non capisce? non vuole? Malraux se lo fa spiegare, anche
questo, dal solito Garcia: ci sono stati due colpi di Stato contro la
Repubblica, uno è il pronunciamento,
dei generali e le “vecchie famiglie”, ed è fallito, l’altro (siamo ancora ad
agosto-settembre del 1936 ma “Garcia” ci vede chiaro), “è degli “Stati
fascisti”, di “organizzazione italo-tedesca, aviazione italo-tedesca”. E non
tanto tedesca quanto italiana, di Mussolini “spada dell’Islam”, che organizza i
Mori in Marocco, e a difetto manderà in Spagna gli italiani – i Mori in
Marocco, il Tercio, la Legione Straniera spagnola, è il corpo che Franco
legittimamente comandava prima della guerra civile, ma Mussolini ha avuto un
ruolo, che va indagato.
Un’epopea curiosamente rassegnata
quando ancora c’era entusiasmo. Benché da un punto di vista repubblicano a
oltranza. Di un volontarismo tanto entusiasta quanto imbelle. E maschile: non
ci sono donne in questo lungo, particolareggiato racconto di guerra: “La
speranza” è all male – il nome
Ibarruri ricorre un paio di volte, ma bisogna sapere in proprio che era una
donna. Al racconto della resistenza al bar segue un quadretto tragicomico: le
squadre d’assalto repubblicane hanno rimediato un cannone e lo usano come un
pistola, o una catapulta: non sanno puntare, non sanno che l’affusto va
ancorato, le granate vanno dove capita.
La grafia dei nomi è rispettata,
un miracolo per uno scrittore francese – eccetto che per l’eroe italiano della
squadriglia, uno che ha lanciato i volantini su Milano dopo De Bosis, è stato
abbattuto dall’aviazione di Balbo, è stato condannato a sei anni di confino a
Lipari, da cui è evaso per portarsi in Spagna, e morirà in Spagna in azione, ma
si chiama Marcelino, con una sola l.
Si legge oggi come un trattamentone da film - che seguirà due anni
dopo - più che un romanzo, di personaggi e intreccio. I dialoghi sono continui,
frantumati, una sorta di sceneggiatura.
Nuova traduzione di Giovanni Pacchiano,
con la vecchia introduzione di Enzo Golino.
André Malraux, La speranza, Bompiani, pp. 480 € 16
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