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L’Italia non è in pericolo di fascismo ma di povertà
“Atti e inquietudini che si faranno regime” completa il
titolo. Sottinteso: potremmo tornare fascisti. Siamo stati fascisti in un certo
modo, e potremmo tornare a esserlo. Anzi: lo siamo già, manca solo la presa del
potere.
Un saggio politico, tre saggi politici dei tre studiosi della
Fondazione, sotto forma di storia. Sul “laboratorio dell’antidemocrazia”, tra
il 1920 e il 1922. Se non che la storia è alquanto diversa, nei fatti e nel
senso. Il sovranismo non è nazionalismo, non siamo a caccia di guerre. La Lega
non è fascismo, è proprio Lega, ossia l’autonomia del Nord rispetto al Sud, che
già si è presa per vari rivoli, e ancora insiste. E gli ex missini sono forse i
più impauriti dal vuoto politico – comunque perplessi. Resta un ottimo volume
documentario, sulla cristallizzazione dopo la Grande Guerra di una prospettiva
rivendicazionista, contro questo e contro quello. Preceduta dal nazionalismo
del primissimo Novecento, con l’ideologia della Nazione proletaria. E dalla “vittoria
mutilata”.
Ma, poi, nulla di nuovo. La Nazione proletaria è Pascoli,
nientemeno. La vittoria mutilata era Salvemini. Mussolini vi ha aggiunto le “scene”,
l’iconografia, con le squadracce, e ha capitalizzato sulla debolezza del re. Il
Partito Nazionale Fascista lo ha costituito nel novembre 1919. Un ann o dopo andava al potere, ma a capo di un
governo di coalizione, non come dittatore. Occupava gli spazi vuoti – la politica
non soffre il vuoto. Poi è diventato pure popolare, al di là e al di sopra del
suo controllo totalitario dell’opinione, e questo è – sarebbe, dovrebbe – l’unico
punto ancora problematico del fascismo. Al netto però delle inefficienze, carenze,
ritardi, incapacità, degli ultimi venticinque anni, della Seconda, la Terza o
la Quarta Repubblica. Di un vuoto politico schiacciante, altro che fascismo.
Siamo stati fascisti e non lo rifaremo. Forse faremo di peggio
ma non il fascismo – CasaPound è folklore. Il vuoto politico, lo strapotere d’interdizione
giustizialista, carrierista di fatto, la globalizzazione ormai più che trentennale,
hanno impoverito l’Italia. L’unico Paese occidentale che arranca, nel reddito,
nelle regole, nel funzionamento delle regole, mentre il resto del mondo va
veloce, tra innovazioni e crisi. In una con la scomparsa delle istituzioni: il
Parlamento, l’organizzazione politica, il sindacato, i governi, che vivacchiano
col non fare, e la stessa presidenza della Repubblica, che si vuole ultimo
baluardo della democrazia ma lascia governare per decreto, come nelle repubbliche
delle banane, e a nessun fine costruttivo. Questo è il problema. I vecchi
problemi sì, è bene conoscerli, non si finisce mai d’imparare, ma l’Italia è
nel 2020, non nel 1920.
Giulia Albanese-David Bidussa-Jacopo Perazzoli, Siamo stati fascisti, Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli, pp. 240 € 16
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