lunedì 5 ottobre 2020

L’Italia non è in pericolo di fascismo ma di povertà

“Atti e inquietudini che si faranno regime” completa il titolo. Sottinteso: potremmo tornare fascisti. Siamo stati fascisti in un certo modo, e potremmo tornare a esserlo. Anzi: lo siamo già, manca solo la presa del potere.
Un saggio politico, tre saggi politici dei tre studiosi della Fondazione, sotto forma di storia. Sul “laboratorio dell’antidemocrazia”, tra il 1920 e il 1922. Se non che la storia è alquanto diversa, nei fatti e nel senso. Il sovranismo non è nazionalismo, non siamo a caccia di guerre. La Lega non è fascismo, è proprio Lega, ossia l’autonomia del Nord rispetto al Sud, che già si è presa per vari rivoli, e ancora insiste. E gli ex missini sono forse i più impauriti dal vuoto politico – comunque perplessi. Resta un ottimo volume documentario, sulla cristallizzazione dopo la Grande Guerra di una prospettiva rivendicazionista, contro questo e contro quello. Preceduta dal nazionalismo del primissimo Novecento, con l’ideologia della Nazione proletaria. E dalla “vittoria mutilata”.
Ma, poi, nulla di nuovo. La Nazione proletaria è Pascoli, nientemeno. La vittoria mutilata era Salvemini. Mussolini vi ha aggiunto le “scene”, l’iconografia, con le squadracce, e ha capitalizzato sulla debolezza del re. Il Partito Nazionale Fascista lo ha costituito nel novembre 1919. Un ann  o dopo andava al potere, ma a capo di un governo di coalizione, non come dittatore. Occupava gli spazi vuoti – la politica non soffre il vuoto. Poi è diventato pure popolare, al di là e al di sopra del suo controllo totalitario dell’opinione, e questo è – sarebbe, dovrebbe – l’unico punto ancora problematico del fascismo. Al netto però delle inefficienze, carenze, ritardi, incapacità, degli ultimi venticinque anni, della Seconda, la Terza o la Quarta Repubblica. Di un vuoto politico schiacciante, altro che fascismo.
Siamo stati fascisti e non lo rifaremo. Forse faremo di peggio ma non il fascismo – CasaPound è folklore. Il vuoto politico, lo strapotere d’interdizione giustizialista, carrierista di fatto, la globalizzazione ormai più che trentennale, hanno impoverito l’Italia. L’unico Paese occidentale che arranca, nel reddito, nelle regole, nel funzionamento delle regole, mentre il resto del mondo va veloce, tra innovazioni e crisi. In una con la scomparsa delle istituzioni: il Parlamento, l’organizzazione politica, il sindacato, i governi, che vivacchiano col non fare, e la stessa presidenza della Repubblica, che si vuole ultimo baluardo della democrazia ma lascia governare per decreto, come nelle repubbliche delle banane, e a nessun fine costruttivo. Questo è il problema. I vecchi problemi sì, è bene conoscerli, non si finisce mai d’imparare, ma l’Italia è nel 2020, non nel 1920.  
Giulia Albanese-David Bidussa-Jacopo Perazzoli, Siamo stati fascisti, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, pp. 240 € 16

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