Quando il mondo era civile
Una figura di intellettuale come
usava. In una tarda raccolta, nel 1975, a seguito del successo a sorpresa di un volume di scritti linguistici intitolato a “Civiltà di parole”, degli articoli, i
discorsi celebrativi e qualche reminiscenza di studiosi e scrittori.
Devoto divaga e diverte, ogni
riga una sorpresa. Fine linguista, nato a Genova, cresciuto a Milano,
professore a Firenze, sempre partecipe delle vicende politiche ma col distacco del
letterato di fine giudizio, fece il giuramento richiesto da Mussolini ai professori ordinari “con tranquillo cinismo” (Gennaro Sasso), come poi fu immune al
contagio comunista, professandosi “federalista europeo” - con Enzo Enriques Agnoletti,
Piero Calamandrei, Corrado Tumiati, Paride Baccarini, l’élite liberal-radicale di
Firenze). La raccolta si legge come una serie di conversation-pieces,
quasi distratte ma accurate, e piene a ogni risvolto di curiosità e verità. Che
si parli di Manzoni o di Arrigo Levasti – e Giovanni Canna? Ma tutto merita la
lettura.
Una lettura – una scrittura –
come usava non molto tempo fa. Don Milani merita, Croce, Gentile, e Pareto,
Schiaffini, i tre Manzoni, privato, linguista, dissacrato, o Gobetti, così
breve e così al punto (niente di meglio, neanche nel recente revival: perché
mazziniano, perché poi marxista e spregiatore di Mazzini, il tutto in 26 anni).
Giacomo Devoto, Civiltà di persone
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