Un’omelia sentita, più che
un’enciclica dottrinale, sulla fratellanza e la pace, e un appello reiterato a
favore dell’immigrazione. Che papa Francesco spiega infine così, con i
ringraziamenti come ora usa: “In questo spazio di riflessione sulla fraternità
universale, mi sono sentito motivato specialmente da san Francesco di Assisi, e
anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu,
il Mahatma Gandhi e molti altri”.
Una camminata piana, su un
sentiero lineare, lo stesso tracciato dalle sue precedenti encicliche, senza se
e senza ma. Che si invidia ma lascia poi perplessi. Sulla verità. Sul
meticciato culturale. Sullo stesso dialogo religioso. E sulla guerra e la
globalizzazione.
Si
prenda il tema moralmente più semplice, quest’ultimo. Dice il papa
nell’enciclica che la globalizzazione colpisce i poveri. Mentre è vero il
contrario, che ha portato al benessere, o a qualcosa di simile, per la prima
volta nella storia tre o quattro miliardi di persone, diciamo tre quarti
dell’Asia e mezza America Latina – e ci sta provando perfino con l’Africa. Ha
impoverito gli europei e gli americani, quelli che il papa non considera, e
parecchio sembra disprezzare, se non odiare. La critica vera, dal punto di
vista morale, sarebbe: la globalizzazzione ha reinventato, allungato,
irrobustito la “massimizzazione del profitto”, con le delocalizzazioni e il
lavoro per conto. La strategia è capitalistica, certamente, e quindi dubbia, di
parte. Ma intelligente, o furba: basata su un criterio di inclusione e non di
esclusione. Come fu la rivoluzione
industriale, fino al taylorismo. E poi col fordismo – lavoro e consumi di
massa.
E la
guerra: contro ogni guerra? “Oggi è molto difficile sostenere i criteri
razionali maturati in altri secoli per parlare di possibili «guerre giuste».
Mai più la guerra!” Un imperativo che dovrebbe immortalarlo. Ma: contro ogni
guerra? Talvolta non è necessario difendersi, non con la guerra? “Ogni guerra lascia
il mondo peggio di come lo ha trovato”. Questo è vero, ma non per questo non
bisogna combatterle, se necessario. Perché la guerra può essere necessaria. Per
esempio contro il nazismo invasore, e annientatore. “La guerra è un fallimento
della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte
alle forze del male”. Senza considerare quando è il male che si fa guerra.
Al
centro l’equivoco del meticciato. Inteso mescolanza aperta di ogni e qualsiasi
cultura. Che è insensato, lui stesso lo
sa, lo ha già detto e lo ripete: “Non c’è peggiore alienazione che sperimentare
di non avere radici”. Ma, procedendo al suo solito d’un fiato, una volta preso l’aire, a lungo sostiene il contrario: “Il mondo cresce e si riempie di nuova bellezza
grazie a successive sintesi che si producono tra culture aperte, fuori da ogni
imposizione culturale”. È il capitolo forse più sentito, “Un cuore aperto a
tutto il mondo”. Fino agli indigenismi, anche morti e folklorici, turistici,
sotto il titolo “Il sapore locale”. Cioè per la differenza invece che per
l’unità - non accanto? La cultura non è imposizione, certo, ma argomentazione e
convinzione sì.
Una camminata piana, su un sentiero lineare, lo stesso tracciato dalle sue precedenti encicliche, senza se e senza ma. Che si invidia ma lascia poi perplessi. Sulla verità. Sul meticciato culturale. Sullo stesso dialogo religioso. E sulla guerra e la globalizzazione.
Si prenda il tema moralmente più semplice, quest’ultimo. Dice il papa nell’enciclica che la globalizzazione colpisce i poveri. Mentre è vero il contrario, che ha portato al benessere, o a qualcosa di simile, per la prima volta nella storia tre o quattro miliardi di persone, diciamo tre quarti dell’Asia e mezza America Latina – e ci sta provando perfino con l’Africa. Ha impoverito gli europei e gli americani, quelli che il papa non considera, e parecchio sembra disprezzare, se non odiare. La critica vera, dal punto di vista morale, sarebbe: la globalizzazzione ha reinventato, allungato, irrobustito la “massimizzazione del profitto”, con le delocalizzazioni e il lavoro per conto. La strategia è capitalistica, certamente, e quindi dubbia, di parte. Ma intelligente, o furba: basata su un criterio di inclusione e non di esclusione. Come fu la rivoluzione industriale, fino al taylorismo. E poi col fordismo – lavoro e consumi di massa.
E la guerra: contro ogni guerra? “Oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di possibili «guerre giuste». Mai più la guerra!” Un imperativo che dovrebbe immortalarlo. Ma: contro ogni guerra? Talvolta non è necessario difendersi, non con la guerra? “Ogni guerra lascia il mondo peggio di come lo ha trovato”. Questo è vero, ma non per questo non bisogna combatterle, se necessario. Perché la guerra può essere necessaria. Per esempio contro il nazismo invasore, e annientatore. “La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. Senza considerare quando è il male che si fa guerra.
La
sorpresa maggiore viene all’ultimo, nell’equazione dialogo = indifferenza
religiosa, sia pure fra religioni monoteiste. In quel relativismo che tanto
preoccupava il suo predecessore papa Ratzinger, come inizio appunto
dell’indifferenza. “In una società pluralista” la verità volendo plurale.
Finendo peraltro per confinare il “dialogo delle religioni” all’imam di Al
Azhar el-Tayyeb, che odia Israele, e anche gli ebrei nel mondo islamico
vorrebbe espulsi. L’enciclica è lo sviluppo del Documento sulla Fratellanza
Umana firmato da papa Francesco e l’imam ad Abu Dhabi il 4 febbraio del 2019 –
che una “Preghiera cristiana ecumenica” corona.
In
questa come nelle precedenti encicliche, papa Francesco procede con l’allegria
del rivoluzionario. Di rivoluzionario come lui si pensa, di fatto populista,
uno di quelli cui piace “andare in televisione” e dire “la frase definitiva”, insomma
épater le bourgeois, e come suole
parlandosi addosso, invece che riflessivo, col saggio equilibrio che si lega
alla funzione Sulla traccia
dell’amore che tutto unisce, tema della “Lumen Fidei”, a quattro mani con
Benedetto XVI, una serie di problemi teologici e morali sollevando. Non uno
scandalo, una enciclica in fondo è una lettera circolare. Questa è
sull’immigrazione libera, e si può capire, fino a un certo punto. Ma contro
ogni guerra, e per l’indifferenza religiosa?
Con
riferimenti costanti ai predecessori, san Giovanni Polo II e Benedetto XVI. E
citazioni di Simmel, Ricoeur, Wenders, Vinicius de Moraes. Un papa conversatore
in salotto, come si è compiaciuto con Scalfari, Petrini e altri interlocutori
distinti, o con le tante nomine sbagliate, più che un meditativo, un mistico,
un creativo (organizzativo).
A
cura di Alessandra Smerilli, con utili indici di Giuliano Vigini.
Papa Francesco, Fratelli tutti, San Paolo, pp. 284 €
2,90
In questa come nelle precedenti encicliche, papa Francesco procede con l’allegria del rivoluzionario. Di rivoluzionario come lui si pensa, di fatto populista, uno di quelli cui piace “andare in televisione” e dire “la frase definitiva”, insomma épater le bourgeois, e come suole parlandosi addosso, invece che riflessivo, col saggio equilibrio che si lega alla funzione Sulla traccia dell’amore che tutto unisce, tema della “Lumen Fidei”, a quattro mani con Benedetto XVI, una serie di problemi teologici e morali sollevando. Non uno scandalo, una enciclica in fondo è una lettera circolare. Questa è sull’immigrazione libera, e si può capire, fino a un certo punto. Ma contro ogni guerra, e per l’indifferenza religiosa?
A cura di Alessandra Smerilli, con utili indici di Giuliano Vigini.
Papa Francesco, Fratelli tutti, San Paolo, pp. 284 € 2,90
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