A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (439)
Giuseppe Leuzzi
“Tutto vuol
persuadere” sul Ring - il viale circolare ricavato a Vienna sul percorso delle
vecchie mura, uno dei segni distintivi della città - “che Vienna è la capitale
del Sud, a trecento brevi chilometri dal Mediterraneo” – Guido
Morselli, “Contro-passato prossimo”, 41.
Il “Drang nach Süden”, o “spinta verso il Sud”, ricorre
spesso nella pubblicistica tedesca. In termini militareschi, di offensiva – e
segnatamente contro l’Italia, l’unico Sud non tedesco della Germania. Ma è una
bella formula, “Sud” potrebbe anche essere un asset, un patrimonio
– se Vienna ci tiene a contrassegnarsene nel mondo tedesco. Se ne
impadroniscono naturalmente la Riviera romagnola e il Lombardo-Veneto dei
laghi.
Un’altra storia
Con la Lombardia a un quarto abbondante di tutti i contagiati in tutta Italia (276.486 fino
a ieri, su 995.463, il 27,7 per cento), e quasi la metà dei morti (il 44 per
cento, 18.571 su 42.330). Con Varese che da sola conta oggi (ieri) 3.400 nuovi
contagi in una giornata, otto-nove volte la vituperata Calabria, non c’è dubbio
su come va affrontata la pandemia. Su come andrebbe affrontata, e invece non si
fa, oggi come non si è fatto in primavera. Bisogna dunque ripetersi.
Se il virus si fosse manifestato e diffuso a Napoli invece che a Milano non sarebbe stato circoscritto agli inizi, entro un cordone sanitario, rigido, guardato dai militari se necessario? Non è fantastoria, è un’ipotesi reale. Si sarebbe cortocircuitata Napoli, e
magari la Campania, subito, radicalmente. Basta poco, a volte. È successo
invece a Milano e la cosa non si è fatta. Non si fa, non si può fare.
Un virus non è come il terremoto, che non ha contromisure. Oppure: è un
terremoto ma rimediabile.
Un cordone sanitario avrebbe salvato la stessa Milano, con tutta la Lombardia.
Che invece, vivendo spensierata sulla pelle degli altri, ha potuto allegramente
infettare il vicino Piemonte, la vicina Emilia, il vicino Veneto, le zone
integrate produttivamente con la Lombardia, Vercelli-Novara, Piacenza, Verona. O
la Toscana, per dire, che dopo la Lombardia si sta liquidando gli anziani che
deve mantenere in Rsa, le residenze sanitarie assistenziali – oggi ne ha di
infettati uno su otto, oltre mille su novemila, più qualche centinaio di
operatori.
Per ragioni di geopolitica, oppure di politica – il governo deve proteggere i
“suoi” – il cordone sanitario non si è fatto. Se non nella forma, dopo otto
mesi e ridicola, dell’affiancamento della Calabria alla Lombardia.
L’odio-di-sé al tempo del Covid 19
Il ministro della Salute Speranza non ha esitato a inguaiare la Calabria e
la Sicilia, il ceto medio-piccolo che è il tessuto produttivo delle due
regioni, di negozianti, ristoratori, baristi, artigiani, che poco o nulla, e
tardi, vedranno dei ristori mentre l’avviamento va in fumo e i debiti
soffocano. “La Calabria ha un Rt di 1,86”, sbruffa , l’indice dei
contagi. Non un contagiato contro uno positivo, né mezzo, come si dovrebbe, ma
addirittura due: il virus galoppa in Calabria, a suo dire, mentre non è così,
fortunatamente – non era la Calabria l’unica regione italiana da cui la
Germania accettava ingressi? Ma il ministrino è segretario di Leu, cioè è a
capo di un partito, perbacco, e recita lo statista, impietoso.
L’appartenenza politica è un diritto, un buon diritto. Ma non a scapito della
salute, degli altri. Si può capire la sottovalutazione della Campania (gialla)
e la sopravvalutazione della Sicilia (arancione) in una logica politica: la
Campania è governata a sinistra, la Sicilia a destra. Ma la Calabria è solo un
falso scopo: ci voleva un po’ di Sud in rosso. Per calmare la Lombardia?
La Lombardia è un orco, un mostro assetato di sangue altrui? Assurdo. Ma c’è un
che di assurdamente leghista, nel decreto del governo sulle chiusure. Hanno
chiuso la Calabria, singolarmente al di sotto di tutti gli indici di allarme -
rapporto tamponi-contagi, occupazione terapie intensive, ricoveri ospedalieri
rispetto alla capienza, morti - per dire che tutto il mondo è paese.
Mandando senza rimorsi al fallimento un’economia essenzialmente locale, di
piccoli commercianti, ristoratori, pasticcieri, produttori, artigiani, e di già
ridotti consumi, per il reddito ridottissimo. Con una giunta regionale
presieduta, seppure da facente funzioni, da un leghista, Spirlì, che si vuole
una macchietta – non conta niente, e lo sa. Aspettando l’inevitabile
‘ndrangheta. Tutto banale, ridicolo, il virus già domani ce lo farà dimenticare, ma bisogna pure dirlo, ricordare tutte queste scemenze.
Speranza, il ministro che avrà il secondo, ferale, lockdown sulla
coscienza, è peraltro tassativo solo sulla Calabria: “Ha l’Rt a 1,86 ma contano
anche gli altri parametri”, insiste, “non avrebbe retto a tre settimane di
raddoppio, lo dicono gli scienziati”. Invece la Campania sì, la Toscana, il
Lazio, la Puglia. Perché sono tutte regioni dove lui è al governo.
Speranza è di Potenza, non si può nemmeno dire il Nord alla Feltri che inguaia
il Sud – benché telecomandato da Bersani. Può essere quello che è da solo: c’è
sempre un meridionale severo con il meridione - l’odio-di-sé meridionale è
sostanzioso. Certo, nel suo caso si può dire almeno fruttuoso, per la carriera.
Storia comica dei commissari alla sanità - altrui
Si ride con Tremonti, il ministro dell’Economia dei governi Berlusconi.
L’ultimo dei quali, nel 2010, commissariò la Sanità in Calabria: “A seguito
delle richieste della Commissione Bilancio della Camera venne fuori la storia
della sanità calabrese di cui non c’era traccia scritta. La risposta che diedero
dalla Regione è che venivano tramandate per tradizione orale, come se si fosse
ai tempi di Omero. È tutto vero, eh”?
Si ride amaro. Specie in tempi di peste galoppante. Anche perché la “leggenda
metropolitana” (Tremonti) è sinceramente creduta pure in Calabria. Ma sarà un
seguito di risate. Fino al generale Saverio Cotticelli, che non sa, non
ricorda, di avere predisposto il piano anti-Covid in estate, di averlo
perlomeno firmato, dato che è in “Gazzetta Ufficiale”. Licenziato da Conte e
Speranza due giorni dopo averlo riconfermato. E al suo successore appena
nominato, Giuseppe Zuccatelli, che non crede alle mascherine, al
distanziamento, e alle altre “fregnacce” con cui il governo gestisce la
pandemia. O al loro predecessore per quattro lunghi anni, Massimo Scura, che
non ha fatto nulla, ha litigato con tutti, e alla fine ci ha scritto su un
libro.
Ma la cosa è seria: in dieci anni il deficit da risanare è semmai aumentato, e
non un solo posto letto è stato aggiunto. La Calabria, due milioni circa di
abitanti, era ed è in rosso nel comparto sanitario per 160 milioni di euro. La
provincia di Massa e Carrara, 200 mila abitanti, lo è stata per 400 milioni, e
ne è uscita. Normalmente succede così.
Si dice commissariamento ma in Calabria sono stati mandati tre vecchietti, per
arrotondare la pensione, di novemila euro, al mese, più le trasferte, la
macchina con autista, e la scorta. E non si vuole pensare altro, che vengano
messi lì per garantire il lucroso settore ai partiti di appartenenza, Pd
(Scura), 5 Stelle (Cotticelli) e ora (Zuccatelli) Leu. Tutti peraltro
coordinati, in veste di sub-commissario, da Andrea Urbani, dirigente del
ministero della Salute, direttore generale della programmazione. Perché i
commissari hanno due sub-commissari, retribuiti, e un certo numero di
dirigenti, che muovono tra le Asl e le aziende ospedaliere.
Zuccatelli, il nuovo commissario, trombato alle elezioni del 2018, ebbe subito
dal suo compagno Speranza tre sub-commissariati in Calabria, in due aziende
ospedaliere e alla Asl di Cosenza. Prima di questo commissariato, ora, alla
intera regione. Urbani vanta nel curriculum, alla voce sub-commissario alla
regione Calabria, “lo sblocco di premialità per oltre 400 milioni di euro,
oltre ad un sensibile aumento dei valori Lea”, livelli elementari di
assistenza. Che invece si lamentano sempre bassi – è uno dei motivi per cui la
Calabria è stata messa in quarantena da Speranza. È comunque un dirigente molto
richiesto, tra Pd e Leu: è stato revisore dei conti all’Istituto di
Astrofisica, e all’Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari regionali, nonché
consulente al commissariamento della sanità del Lazio, dal 2010 al 2013. E da
sempre con le mani in pasta in Calabria.
La sanità in Calabria è stata commissariata da Berlusconi il 30 luglio 2010.
Primo commissario il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti,
affiancato poi da due vice-commissari, il generale della Finanza in pensione
Luciano Pezzi e il manager siciliano Giuseppe Navarria – che presto lasciò il
posto a Luigi D’Elia, succeduto da Andrea Urbani. Zuccatelli, l’ultimo della
serie, è uno che vive a Cesena, e da lì amministra le sue commissarie in
Calabria – si sposta, se proprio è necessario, solo in automobile, con autista.
Il generale dei 5 Stelle Cotticelli, generale dei Carabinieri, visto in tv da
Giletti, è non si sa se più ingenuo - faceva pena per la, diciamo così,
ingenuità – o rincoglionito. Massimo Scura, nominato il 14
marzo 2016, a 72 anni, di Gallarate in provincia di Varese, ex
manager Pd in Toscana, alla Asl 7 di Siena e all’Asl 6 di Livorno,
sub-commissario sempre Urbani, uno dei sub-commissari, si è reso celebre per la
lite continua, quattro anni, col suo compagno di partito Oliverio, presidente
della Regione. Ora propaganda un libro in cui dice che in Calabria tutto è
‘ndrangheta - ma è rinviato a giudizio a Catanzaro per somme indebitamente
erogate, oltre un milione, a cinque veterinari.
E la sanità in tutto questo? E la Calabria? Una farsa tragica. Ma non senza
colpe. Dei governi, soprattutto di sinistra, e degli stessi calabresi eterni
penitenti. Ultima il colpo di grazia a un’economia fragile. Che vive, male, di
piccoli operatori. I quali non supereranno la chiusura, per quanto
caparbiamente impegnati a sopravvivere. C’è già scritto nel “Bollettino economico”
della Banca d’Italia, al rapporto annuale delle economie regionali: “Lo scorso
anno (2019, n.d.r.) il pil calabrese in termini reali risultava inferiore
ancora di 14 punti percentuali rispetto ai livelli del 2007; gli indicatori
disponibili ne indicano per il 2020 una ulteriore caduta”. Questo prima della
chiusura. Una economia debole anche nella domanda, nei consumi – non ci sono
redditi accatastati cui poter attingere in mancanza di entrate. Inventive si
segnalano interminabili di piccoli e minimi imprenditori per sopravvivere, ma
l’inverno sarà lungo.
Calabria
Toccano personaggi “tragici” alla sanità calabrese, come commissari:
pensionati, ben pagati, nullafacenti, e un po’ svaniti. Il generale
5 Stelle ingenuo o svaporato, il trombato di Leu negazionista, il burocrate Pd
litigiosissimo. Ma nessuno si ribella: la Calabria si diceva anarcoide e
ingovernabile, e invece è prona a tutto.
“Il volo del calabrone (bourdon in francese, n.d.r.) si dice «Il
volo del Calabrone» (in it., n.d.r.). Credevo che volesse dire «il bandito
calabrese». Ecco come si creano le confusioni orribili, funeste al
ravvicinamento dei popoli” – Boris Vian, “Croniche di jazz”.
Muccino fa uno spot pubblicitario per la Calabria di otto
minuti, con due protagonisti bellissimi, Raul Bova e Rocio Muñoz Morales,
marito e moglie, e molte coppole, baciamani, e altri cliché.
Infuriando la Regione Calabria, che glielo ha commissionato. Che però ha pagato
il filmetto 1,7 milioni, il costo di due film a soggetto di 100 minuti. È
difficile in effetti liberarsi del provincialismo, i cliché sono
tuttora radicati.
Fra i tanti doni ricevuti da Giacomo Debenedetti, Walter Pedullà annovera (“Il
pallone di stoffa”, 149) l’espressionismo linguistico, da Debenedetti
inaugurato nel racconto “16 settembre 1943”, arricchendo l’italiano con
l’yiddish e il romanesco: “E scoprimmo che miscelando il calabrese con
l’italiano eravamo espressionisti inconsapevoli come quel personaggio di
Molière ignaro del fatto che parlando fa della prosa”. L’ironia in effetti è
inscindibile dal calabrese – anche disfattista, il calabrese non se ne libera.
Risa, Reggio Calabria, è toponimo della “Chanson d’Aspremont”, secolo XII,
volgarizzata due secoli dopo da Andrea di Barberino. Forse adattamento da Nisa,
dizione comune nell’antichità: è il nome della ninfa nutrice di Bacco, ed è
toponimo ricorrente in Grecia (in Tracia, Macedonia, Beozia, Eubea, Nasso,
Epiro), in Arabia e in Libia – c’è anche una Nisa indiana, di cui resta incerta
l’ubicazione, nella storia di Alessandro Magno in India.
Ha una battuta cattiva Claudio Noce nell’autoritratto d’infanzia “Padrenostro”:
al padre che l’ha portato in vacanza in Calabria dal nonno con la sua famiglia
allargata chiede: “Ma sono tutti tuoi parenti?”, “Sì”, “E sai il nome di tutti”,
“No”.
Il padre non ha altri rapporti con la Calabria. Ma tiene la sera, al ritorno
dal lavoro, il figlio sulle ginocchia quando ha già dieci anni. E non lo
rimprovera mai, anche quando fugge da scuola, o da casa all’alba: preoccupato
soprattutto di ritrovarlo, e di farlo tornare in sé.
Arcangelo Fiorello incanta a Venezia il pubblico di “Incontri”, la Biennale di
Musica, con tredici minuti di tre pezzi ardui di Luigi Nono per tuba e
elettronica. Con commenti esilarati del “Gazzettino
di Venezia” e dei periodici culturali. Fiorello, venticinquenne di Anoia, diplomato al “Cilea” di Reggio, vincitore di
plurimi concorsi, è ignoto ai
giornali calabresi, che pure ogni giorno faticano a riempire le pagine –
esaurite le liste di assessori e vice-assessori comunali. Non è il “nemo
propheta in patria”, il musicista non disturba nessuno, è che solo il made
al Nord ha valore.
L’unico italiano a Vienna, alla messa in Santo Stefano, alla presenza
dell’Arcivescovo e dell’imperatore Francesco Giuseppe, il 5 giugno del 1910,
dopo “la processione del Corpus Domini, rituale kermesse della monarchia”, è
nel romanzo “Contro-passato prossimo” di Guido Morselli un “on. Morabito,
deputato di Riva” - di Riva del Garda è da supporre. Cioè un calabrese.
Morselli aveva fatto il militare in guerra in Calabria, e nel romanzo si
diverte.
Ufficiale di complemento degli Alpini, richiamato in guerra, Morselli era stato
assegnato a Catanzaro, dai primi di aprile del 1943, al 114mo reggimento di
Fanteria. Vi rimase quasi tre anni. Alla smobilitazione visse senza entrate –
senza nemmeno vestiti civili. A pensione da un’anziana vedova, la signora
Gigetta, che divideva con lui i suoi parchi pasti. Si diede da fare con lezioni
d’inglese. Ma si era portato o aveva trovato buoni libri, e vi scrisse “Realismo
e fantasia”, un saggio di filosofia che teneva in gran conto - lo mandò pure a
Croce.
leuzzi@antiit.eu
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