Giuseppe Leuzzi
C’è un Dyonisos Taurokeos. C’è anche,
nell’“Aiace” di Sofocle, e a Andros, nelle Cicladi, una Atena Taurobolos, o
Tauropolos. Non si indaga abbastanza il
toro onnipresente, nella simbologia e nella toponomastica, in Grecia e nella
Magna Grecia, eredità dei Micenei, prima della civiltà greca e quindi della
Magna Grecia – dove pure le tracce sono frequenti e anche vistose.
Il Dizionario Italiano Olivetti elenca Taurina
(s. femm.), taurinense, taurino (agg.m.), taurisanese, tauriscio, taurite,
tauro,taurobiliare, taurobolo, taurocaptasie (sost. femm. pl. – ma di
“taurocaptasie, giochi del toro, in Tessaglia tratta a lungo Evans,
l’architetto di Cnosso, n.d.r.), taurocolato, taurocolico, tauroctonia,
taurocton, taurodesossicolico, taurodontìa.
Il Grand Tour, il viaggio italiano di iniziazione alla storia e
all’arte dei ricchi e nobili europei, escludeve fino a tutto il Settecento la
Magna Grecia e la Sicilia, cioè il Sud: troppo pericoloso. La fama è antica.
Sudismi\sadismi
In un soprassalto d’intelligenza Conte nomina Eugenio Gaudio,
calabrese, medico, ricercatore e manager, commissario alla Sanità in Calabria.
Gaudio rinuncia, o non accetta la nomina. E ha di che. Il “Corriere della sera”
non ha trovato di meglio che dirlo “indagato”: “In Calabria tocca a Gaudio (ma
è indagato)”, a corpo 36.
Gaudio, con un H-index (misura la qualità della ricerca)
elevatissimo, 75, ex preside di Medicina all’Aquila, ex rettore della Sapienza
fino all’altro ieri, uno che sa l’inglese come gli inglesi, per il giornale
milanese è solo “un indagato”. Per la solita faida tra giudici, a Catania: il
Procuratore nuovo contro il Procuratore vecchio, che accusa di avere pilotato
l’assunzione della figlia all’università. Gaudio non c’entra, ammesso che il
fatto criminoso ci sia stato, ma questo non interessa, basta poterlo dire “un
indagato”.
Quello che si dice “un avvertimento”. Che il “Corriere della sera”
fa dare opportunamente dal suo corrispondente in Calabria, Carlo Macrì.
Sulla stessa linea lo stesso giornale si affida a Marco Demarco, ex
direttore del “Corriere del Mezzogiorno”, la sua edizione napoletana, per ironizzare sul primadonnismo dei politici
nella pandemia. Demarco sceneggia De Luca vs.
De Magistris, il presidente della Regione Campania contro il sindaco di
Napoli (non bene: mette in scena De Luca ma non De Magistris, ma questo è un
altro discorso). Niente di più ridicolo, nella tragedia, del presidente della
Regione Lombardia e del suo assessore alla Sanità, traffichini, inconcludenti.
Ma questo si lascia a Crozza – il “Corriere della sera” sarà sempre
dell’opinione del suo segretario di redazione (da Tropea) che a Natale del
1955, al tempo di Mike Bongiorno e “Lascia o raddoppia”, sentenziò: “Se non ne
parliamo noi, non esiste”.
Cupole,
coppole e spesa storica - un’altra storia
L’insouciance del governo
– l’albagia, la supponenza, la disattenzione esibita - sulla Calabria, sulla
sanità e il relativo commissariamento, ha buttato la questione in ridere, per
cui, vedi Crozza e buon numero di quotidiani, la sanità nella regione è al
solito questione di cupole e coppole, mafiose. Mentre il problema è uno solo, e
neanche difficile, che un qualsiasi governo, anche mezzo governo, avrebbe
affrontato e risolto: la spesa storica.
Che la sanità venga garantita in base alla spesa storica è un abuso
e una stupidaggine. Vuol dire che i calabresi, con gran concorso di spese, se
non altro per i viaggi, dovranno continuare a correre, per curarsi, a Roma e a
Milano. Ma così è – è stato per dieci anni e continua a essere. È un aspetto
della ineguaglianza nella distribuzione della spesa pubblica. Non nuova, ma
ultimamente aggravata.
Il concetto di spesa storica è lo zoccolo di qualsiasi
trasferimento pubblico: “quanto hanno avuto l’anno scorso? aggiungiamoci uno
zero virgola”, e la pratica è chiusa. La burocrazia s’acquieta così, altrimenti
dovrebbe lavorare: calcolare, decidere. Ma questo semplicemente significa che
chi più ha più avrà. Che sembra lapalissiano, e lo è: una sciocchezza. E tutti
lo sanno. Compresi i ministri Pd meridionali nel governo a base 5 Stelle,
Boccia, Provenzano (ex Svimez, se non lo sa lui) e Speranza, che però non
cambiano: la sinistra si vuole aralda indefettibile del Mercato.
Su “basi storiche”, la spesa pubblica complessiva annua per servizi
(scuola, sanità, ferrovie, assistenza) e infrastrutture si è così divaricata a
dismisura. Va dai 27.874 euro pro capite della Valle d’Aosta ai 9.761 euro
della Calabria (la spesa pubblica annua in euro pro capite è calcolata da
Eurispes, sui Conti Pubblici Territoriali, come valori medi per il primo
Millennio, gli anni 2000-2017). Prima della Calabria vengono per ultime tutte
le regioni meridionali: Puglia, Sicilia, Campania, Basilicata, Molise,
Sardegna, Abruzzo. In ordine crescente di spesa, ma tutte al disotto
abbondantemente della media nazionale dei trasferimenti pubblici, che è stata
di 16.697 euro.
A seguire la Valle d’Aosta tra
le regioni privilegiate vengono Bolzano, Lombardia, Lazio e Trento, con
oltre 21 mila euro pro capite, Emilia, Friuli e Liguria con oltre 19 mila. Una
bella differenza.
Si
ricicla – senza la ‘ndrangheta?
“Oltre duemila
miliardi” di dollari sono stati riciclati dalle grandi banche, Deutsche,
l’olandese Ing la francese Société Générale (ma l’elenco è lungo: JPMorgan Chase, HSBC, Standard Chartered, Bank of New
York Mellon, American Express, Bank of America, Bank of China, Barclays, China
Investment Corporation, Citibank, Commerzbank, Danske Bank, First Republic
Bank, VEB.RF e Wells Fargo). Negli anni dal 1999 al 2017. Pur sapendo
della provenienza illecita, senza scrupolo.
Non è una novità. Si suppone, si sa, che le banche preferiscono il
denaro sporco, ci guadagnano molto di più (il pizzo…), in commissioni,
custodia, cambio. La novità è che il riciclaggio è documentato, dai FinCen
Files del dipartimento americano del Tesoro, i documenti del Financial Crimes
Enforcement Network del ministero, una sorta di polizia finanziaria. Il sito
americano di indiscrezioni Buzzfeed ne è venuto in possesso, e li ha pubblicati
il 20 settembre, coadiuvato dall’International Consortium of Investigative
Journalists, l’organizzazione dei giornalisti d’inchiesta. Sono oltre 200 mila files, che documentano altrettante
operazioni sospette.
I giornalisti d’inchiesta hanno accertato anche che la
documentazione non ha prodotto nessuna conseguenza - eccetto
un crollo temporaneo dei titoli bancari in Borsa il 21 settembre, il giorno
dopo la pubblicazione (ma la Borsa ha la memoria corta, l’incidente è
dimenticato). Né negli Stati Uniti, che del riciclaggio avevano
cognizione documentata da tempo, né
altrove, in Europa, in America Latina, in Asia: né i governi né le banche hanno
fatto nulla per arginare il riciclaggio. In Europa non c’è nemmeno un organismo
di segnalazione, se non di controllo, alla Bce o altrove (c’è in Italia, alla
Banca d’Italia attraverso l’estinto Ufficio Italiano Cambi, ma può agire solo
in via giudiziaria, cioè in tempi fuori dal tempo).
Ma anche questo si poteva dare per scontato. Il
problema è che questo traffico si svolge senza la ‘ndrangheta. E come è
possibile? I
servizi si devono svegliare, che ne è della Calabria über alles, al comando del mondo? Aisi e Aise, ancora uno sforzo.
Milano
“All’infuori dei polacchi, non c’è nell’intera
Europa gente che abbia, in fatto d’invasioni nemiche, la tremenda esperienza
degli italiani del Nord” – Guido Morselli, “Contro-passato prossimo”, 95.
“La grande pinacoteca di Brera fu fondata dal
viceré Beauharnais, che letteralmente sequestrò alle regioni veneta, lombarda, romagnola,
emiliana e marchigiana molti quadri che ormai erano avviati a rapida rovina”,
F. Zeri, “Dietro l’immagine”, 120. Un francese che non rubava. Ma ben un
francese, per pensare Brera.
“Non appena
i quadri” di Brera “giunsero a Milano, accadde un fatto che, ai nostri
occhi, può sembrare piuttosto bizzarro” , id.: “Una commissione li divise in
tre categorie: categoria A, da esporre, categoria B, da tenere in deposito,
categoria C, da vendere”. Come categoria C, “insieme a opere di nessuna
importanza furono venduti anche capolavori, o pezzi di capolavori”.
Tanto
bizzarra la vendita non è, prima dell’arte viene l’avidità.
“Tra poche ore le ambitissime sneaker della catena
Lidl saranno
finalmente acquistabili anche in Italia a 12,99 euro. Spazio anche a ciabatte,
calzini e t-shirt. Tutto in edizione limitata”. Blurb – gratuito? - gigantesco del “Corriere della sera” al
discount tedesco di periferia: l’indomani è un pandemonio a piazza Corbetta,
mezza Milano si litiga le scarpe e le ciabatte. Indifferente ai contagi e alle
ore di attesa.
C’è anche chi ne ha fatto incetta, delle scarpe-non
scarpe Lidl. Sempre sfidando il virus. All’ora di pranzo le stesse scarpe,
colorate ma non utili, erano in vendita su eBay e altrove a prezzi d’affezione.
I milanesi si facevano pagare la sfida al virus.
In primavera s’infetta di covid mezza
Lombardia: Lodi, Cremona, Mantova, Pavia, Brescia e fino a Bergamo. Questo
novembre, piena di anticorpi la Lombardia padana, è la volta di Varese e Como.
La Lombardia non si priva di nulla, anche a rischi di morire. Ma altrove questa
pratica si direbbe colposa.
leuzzi@antiit.eu
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