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Il mondo com'è (415)
astolfo
Gulag – I campi di lavoro forzato nella
Russia sovietica sono durati fino al 1960 – ma “colonie di lavoro forzato”
furono tenute aperte, nelle aree polari, fino a perestrojka inoltrata, il regime di relativa liberalizzazione
inaugurato negli anni 1980 da Gorbacov, fino al 1987. Vi passarono 18 milioni
di russi e assimilati. Tutti “traditori del popolo”, trockijsti, antipartito,
categoria che sempre si rinnovava, a ogni mutamento di equilibri politici a
Mosca, e chi aveva nome germanico, polacco, baltico, cosmopolita (ebraico),
tutti spie, “nazionalisti”, più i soliti sovversivi, destrorsi, menscevichi,
socialrivoluzionari, anarchici, emigrati. I campi a “regime speciale” erano
situati nelle aree più remote o impervie, alcuni vicini o sopra il Circolo
polare, Pečora, Intra, Vorkuta, Kolyma.
I detenuti a “regime speciale” avevano
impresso un numero sulla pelle, indossavano una “uniforme” a strisce, non
potevano avere nessun contatto col mondo esterno. Tutto per creare una massa
lavoro di schiavi, “fino a esaurimento” – alla morte. Nel 1950 erano due
milioni e mezzo, uno in più del 1945. Erano addetti alle miniere polari e alle
grandi opere: la ferrovia Bajkal-Amur e quella transpolare, il canale
Mosca-Don, la metropolitana di Mosca, l’università della stessa capitale, di
cui costruirono gli edifici più alti e più belli.
Schlageter – Albert Leo,
riemerge periodicamente come eroe nazionale in Germania, che pure non ne
celebra molti – non ha il gusto della
celebrazione.
A Natale
del 1922 Raymond Poincaré, altrimenti benemerito per il franco omonimo, con cui
stabilizzerà nel ‘26 la moneta, rifugio tuttora solido ai ricchi del mondo
malgrado la svalutazione decretata nel ‘36 dal socialista Blum, smantellava
l’Europa. Chiedendo la condanna della Germania alla Commissione per le
riparazioni, da lui costituita a Parigi. Per la mancata consegna di 200 mila
pali del telegrafo previsti dai trattati di pace. Ora, non si può dire che
l’Europa è finita per i pali del telegrafo, ma così è.
Per la
Befana Poincaré scoprì la Germania inadempiente pure per il carbone. E invase
la Ruhr, lasciando i tedeschi senza carbone e senza ferro.
Gli
alleati si sfilarono, incaricando il delegato Usa Dawes di concorrere al Nobel
con un piano di ricostruzione della Germania - cui il cav. Mussolini, fresco
presidente del consiglio, contribuì con ben 800 milioni. Ma a Berlino intanto
destra e sinistra avevano deciso il boicottaggio nella Ruhr e la ricostituzione
dell’esercito, vietata da Versailles, al coperto di società sportive, di reduci,
di lavoro. La Germania aveva scelto la repubblica per essere accettata tra le
democrazie, ma ne fu respinta. Sotto accusa andò quindi la stessa repubblica,
il voto a Hitler sarà una presa d’atto: si può pure dire che la Germania
resistette dodici anni a Hitler, fino al ‘45.
La
Germania affrontò spavalda il gelo, ma la resistenza passiva le costò quaranta
milioni di marchi oro al giorno di mancata produzione, il marco si ridusse a un
miliardesimo di dollaro, Hitler emerse a Monaco col putsch fallito. I militari puntarono la semiclandestina “Organizzazione
Consul” contro i separatisti della Renania, in quanto filofrancesi, e
scatenarono i gruppi armati, di cui il tenente Albert Leo Schlageter era
animatore. Arrestato dai francesi, Schlageter fu fucilato il 13 maggio ‘23.
Nell’occasione fu arrestato anche Harro Schulze-Boysen, il futuro animatore
dell’“Orchestra Rossa”, la Rote Kapelle, sceso da Kiel quattordicenne a
combattere l’invasore. Schlageter era stato già in contatto in Slesia con
l’entità segreta O.C.. E con agenti inglesi, che lo incitavano a far fuori i
“negri bianchi” della Commissione interalleata, e a combattere i polacchi.
Karl Radek
ne rivendicò la figura, “pellegrino del nulla”, all’esecutivo
dell’Internazionale comunista il 20 giugno: “Durante il discorso della compagna
Zetkin ero ossessionato dal nome di Schlageter e dal suo tragico destino. Egli
molte cose ha da insegnarci, a noi e al popolo tedesco. Non siamo dei romantici
sentimentali che dimenticano l’odio di fronte a un cadavere, e neppure dei
diplomatici. Schlageter, il valoroso soldato della controrivoluzione, merita da
parte nostra, soldati della rivoluzione, un omaggio sincero. Noi faremo di
tutto perché uomini come Schlageter, pronti a donare la loro vita per una causa
comune, non diventino dei Pellegrini del Nulla”. Lo poteva, i camerati di
Schlageter ne imputavano la morte al governo Cuno, espresso dal Centro
cattolico e dai Democratici. Ma loro stessi avevano assassinato Rathenau,
l’uomo che aveva organizzato la Germania nella dura guerra, un patriota, che
però da ministro di Weimar aveva firmato la pace di Versailles. Tutto il
capitolo va riscritto.
Schlageter
piacerà anche a Giaime Pintor. Era una specie di condottiero: comandava un
gruppo d’assalto nei paesi baltici all’inizio del ‘19, contro i russi e i
polacchi, e contro la Novemberrevolution. I tenenti che non accettavano
la sconfitta comandavano anche battaglioni e reggimenti, erano dei capi. Una
storia dimenticata, la guerra per bande in Germania, che solo si legge in Yourcenar,
nel trucido “Colpo di grazia”. Farà da modello a quella tentata in Italia nel
‘45, mal riuscita malgrado i tanti morti, e in Grecia: il terrore viene con la
pace, dopo le crociate, nella belle époque, dopo il Vietnam.
I
Freikorp, gruppi volontari, impedirono alla Russia bolscevica d’incorporare la
Germania, ha stabilito nel 1975 la Repubblica federale. Gustav Noske, l’esperto
socialista di difesa e antisovversione, li sosteneva, benché fossero illegali.
La Repubblica federale stabilì nella stessa occasione, nel 1975, che l’assassinio di
Liebknecht e Rosa Luxemburg da parte dei Freikorp fu “un’esecuzione conforme
alla legge marziale”. C’era confusione: Jünger in quegli anni scriveva per i
nazionalisti “Standarte” e “Vormarsch”,
stendardo, avanzata, e per “Widerstand”, la resistenza – Werner Lass, suo
condirettore a “Vormarsch”, ex Freikorp, sarà del resto comunista.
La fine di Schlageter non è chiara. Fu catturato in un attentato
fallito alla ferrovia di Düsseldorf. Ma forse è stato venduto. Era andato
volontario nel ’14, lasciando gli studi, sul fronte baltico e in Slesia. Aveva
continuato la guerra nel dopoguerra, nei Freikorp. Il corpo fu sottratto alla morgue di Düsseldorf da Viktor Lutze, il
capo locale delle SA, compagno della prima ora di Hitler, e sepolto al paese
d’origine, Schönau im Wiesental, nel Baden, fuori della zona occupata. Ogni
anno si celebrava la data della fucilazione, il 26 maggio. I francesi hanno
distrutto nel ‘45 il monumento eretto nel ‘34 alla Golzheimer Heide presso
Düsseldorf. La celebrazione del decennale della morte, nel 1933, fu fastosa,
con l’inaugurazione di un momento sulla Zugspitze e un discorso di Heidegger,
rettore di Friburgo. Si rappresentava uno “Schlageter” per il compleanno di
Hitler, autore l’espressionista Hanns Johst, il futuro presidente dell’Accademia
Tedesca di Poesia contro il quale Brecht aveva lasciato la poesia per il teatro.
È il dramma che alla scena prima, atto primo, reca il celebre avvertimento:
“Quando sento la parola cultura, levo la sicura al mio Browning”.
Schlageter aveva fatto gli stessi studi, un paio d’anni dopo,
nelle stesse scuole di Heidegger, il collegio Sankt Conrad di Costanza,
ribattezzato Liceo Schlageter nel ‘36, il ginnasio Bertholds di Friburgo – Benjamin
studierà a Friburgo con lo stesso Rickert con cui Heidegger si sta
laureando, differenza di tre anni. Il futuro eroe della resistenza nazista era audace e pio,
animatore del Falkenstein, circolo di studenti bravi alla spada, e dei gruppi
cattolici, ferventi contro il Kulturkampf,
le leggi anticattoliche prussiane. Dal fronte manifesta l’intenzione di farsi
prete, “dopo aver pregato e cercato il sostegno dello Spirito Santo e della
Madre divina”.
Heidegger ne fece un modello germanico, opposto “all’oscurità, l’umiliazione,
il tradimento”. Un precursore posteriore: “Donde gli è venuta questa durezza
della volontà, capace di far sorgere nell’animo ciò che più è grande e
lontano? Studente di Friburgo, studente tedesco, sappilo, provalo, quando sulle
piste e i sentieri entri nei boschi e le valli della Foresta Nera, culla di
questo eroe: nella pietra originaria, nel granito, sono tagliati i monti tra i
quali il figlio di contadini è cresciuto”. Suggerì agli studenti una Völkische
Kameradschaft Schlageter, l’associazione Schlageter, e nel suo nome fece
giurare le matricole a fine anno, sul “Mein Kampf”.
Nel 1973 il cinquantenario della fucilazione di Schlageter si è celebrato in
sordina perché il giovane tenente era bandiera del “bolscevismo nazionale”: nel
‘19 in Slesia disegnò d’allearsi con l’armata a cavallo del generale rosso Budjenni
per stritolare la Polonia, “la colonia più solida dell’Occidente”. Schlageter è uno dei santi
laici che la Germania canonizza ai tornanti della storia, Friedrich Staps, l’attentatore
di Napoleone a Vienna nel nome della Rivoluzione, Karl Sand in preparazione del
Quarantotto, l’assassino di Kotzebue – di cui Dumas ha scritto la storia che
nessun tedesco ha scritto. Sa di Schlag,
razza, di buona pasta, di buona lana, uno dei nomi che sono un destino. E fu
fatale a molti che avevano combattuto la guerra civile fino al ‘23, nel Baltico
e altrove, già a sedici, quindici anni, come Staps e Sand e lui stesso. La
carriera criminale di Rudolf Höss, adolescente soldato di ventura in Iraq,
combattente dei Corpi volontari nella guerra per bande, cominciò con
l’assassinio del maestro Kadow, sospetto traditore di Schlageter. L’inventore
delle camere a gas era fatto così: da bambino andava a Lourdes, a Auschwitz
volle giardinetti, biblioteca, orchestra, anche il bordello - ma niente cappelle.
Höss massacrò Kadow a colpi di mazza, gli tagliò la gola, e lo finì a
pistolettate. “Schlageter era mio buon camerata”, si difese al processo, “con
lui ho sostenuto tanti duri combattimenti nel Baltico e nella Ruhr, insieme
abbiamo lavorato dietro le linee nemiche in Slesia, e battuto gli oscuri
sentieri del traffico d’armi”. In tribunale perché il complice Jurisch l’aveva
denunciato al giornale socialista Vorwärts, temendo di essere eliminato
a sua volta.
Schlageter non è solo, nazionalista e bolscevico.
Si può anzi dire storia nota, anche questa, la staffetta partigiana che amoreggia
col biondino SS, gli ebrei salvati dai cristiani, e i papi comunisti, in petto. Si può dire il sinistr-destr
anzi usuale, non solo nell’addestramento in caserma. È il “Destra e sinistra” di Joseph Roth, che è morto nel ‘39. È Merlino,
il fascista anarchico di Piazza Fontana, il nazimaoismo planetario. Era l’entrismo,
al tempo del partito Comunista di Togliatti.
Il feroce Ernst von Salomon prima del mite
Roth l’ha raccontato nel ‘30, nel best-seller
che abbagliò Cantimori, “I proscritti”. E Giaime Pintor fece tradurre a Einaudi
nell’inverno del ’40 in cui rinnovò la casa editrice, quando da sottotenente fu
membro a Torino della Commissione per l’armistizio con la Francia, che lo zio
generale Pietro presiedeva, con “stupenda sovraccoperta illustrata a colori”
del pittore Guttuso – i compagni riconoscenti gli dedicheranno la cellula del
Partito alla liberazione, molto attiva, c’erano pure Pavese e Calvino.
Sfrondati – Cardinale
Sfrondati è il nome di una collezione d’arte importante e famosa. Opera del cardinale
Paolo Emilio Sfrondati, nipote del papa Gregorio XIV, che avviò la collezione
con due opere di Santa Maria del Popolo a Roma, la Madonna della Seggiola e la
Madonna del Popolo (di cui ora non si trova più l’originale), due opere di
Raffaello. La collezione divenne presto famosa, per l’ampiezza e soprattutto per
la qualità delle opere – “era gigantesca ed era famosa in tutta Europa”, attesta
Federico Zeri, “Dietro l’immagine”, p. 85. L’imperatore Rodolfo II d’Asburgo,
altro grande collezionista, che gliela invidiava, mandò degli emissari a Roma
per studiarla, e studiarne l’acquisto. Tra i pezzi eccezionali, oltre Raffaello,
“L’amore sacro e l’amor profano” di Tiziano e “La predica del Battista” di
Veronese. Fece anche restaurare Santa Cecilia a Roma, dove poi sarà sepolto,
con l’annesso convento.
La
collezione fu racconta dal cardinale Sfrondati nel palazzo Spada a Roma – oggi
sede del Consiglio di Stato. Fu poi dissolta dallo stesso cardinale (per grande
parte confluì ai Borghese, nella galleria Borghese): in età, aveva avuto una
crisi religiosa, insieme col cardinale Baronio, il discepolo di san Filippo
Neri e storico dei santi.
I
cardinali Sfrondati e Baronio sono negli annali della chiesa anche per avere
sostenuto, nell’ultimo conclave cui hanno partecipato, nel 1605 (maggio 1605,
un conclave si era tenuto anche a marzo, ma il papa eletto, Leone XI –
Alessandro de’ Medici – era morto dopo 25 giorni), il futuro santo Roberto
Bellarmino. Che però non fu eletto, si disse, perché era gesuita.
astolfo@antiit.eu
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