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sabato 21 novembre 2020

Il mondo com'è (415)

astolfo

Gulag – I campi di lavoro forzato nella Russia sovietica sono durati fino al 1960 – ma “colonie di lavoro forzato” furono tenute aperte, nelle aree polari, fino a perestrojka inoltrata, il regime di relativa liberalizzazione inaugurato negli anni 1980 da Gorbacov, fino al 1987. Vi passarono 18 milioni di russi e assimilati. Tutti “traditori del popolo”, trockijsti, antipartito, categoria che sempre si rinnovava, a ogni mutamento di equilibri politici a Mosca, e chi aveva nome germanico, polacco, baltico, cosmopolita (ebraico), tutti spie, “nazionalisti”, più i soliti sovversivi, destrorsi, menscevichi, socialrivoluzionari, anarchici, emigrati. I campi a “regime speciale” erano situati nelle aree più remote o impervie, alcuni vicini o sopra il Circolo polare, Pečora, Intra, Vorkuta, Kolyma.
I detenuti a “regime speciale” avevano impresso un numero sulla pelle, indossavano una “uniforme” a strisce, non potevano avere nessun contatto col mondo esterno. Tutto per creare una massa lavoro di schiavi, “fino a esaurimento” – alla morte. Nel 1950 erano due milioni e mezzo, uno in più del 1945. Erano addetti alle miniere polari e alle grandi opere: la ferrovia Bajkal-Amur e quella transpolare, il canale Mosca-Don, la metropolitana di Mosca, l’università della stessa capitale, di cui costruirono gli edifici più alti e più belli.
 
Schlageter – Albert Leo, riemerge periodicamente come eroe nazionale in Germania, che pure non ne celebra molti – non  ha il gusto della celebrazione.
A Natale del 1922 Raymond Poincaré, altrimenti benemerito per il franco omonimo, con cui stabilizzerà nel ‘26 la moneta, rifugio tuttora solido ai ricchi del mondo malgrado la svalutazione decretata nel ‘36 dal socialista Blum, smantellava l’Europa. Chiedendo la condanna della Germania alla Commissione per le riparazioni, da lui costituita a Parigi. Per la mancata consegna di 200 mila pali del telegrafo previsti dai trattati di pace. Ora, non si può dire che l’Europa è finita per i pali del telegrafo, ma così è.
Per la Befana Poincaré scoprì la Germania inadempiente pure per il carbone. E invase la Ruhr, lasciando i tedeschi senza carbone e senza ferro.
Gli alleati si sfilarono, incaricando il delegato Usa Dawes di concorrere al Nobel con un piano di ricostruzione della Germania - cui il cav. Mussolini, fresco presidente del consiglio, contribuì con ben 800 milioni. Ma a Berlino intanto destra e sinistra avevano deciso il boicottaggio nella Ruhr e la ricostituzione dell’esercito, vietata da Versailles, al coperto di società sportive, di reduci, di lavoro. La Germania aveva scelto la repubblica per essere accettata tra le democrazie, ma ne fu respinta. Sotto accusa andò quindi la stessa repubblica, il voto a Hitler sarà una presa d’atto: si può pure dire che la Germania resistette dodici anni a Hitler, fino al ‘45. 
La Germania affrontò spavalda il gelo, ma la resistenza passiva le costò quaranta milioni di marchi oro al giorno di mancata produzione, il marco si ridusse a un miliardesimo di dollaro, Hitler emerse a Monaco col
putsch fallito. I militari puntarono la semiclandestina “Organizzazione Consul” contro i separatisti della Renania, in quanto filofrancesi, e scatenarono i gruppi armati, di cui il tenente Albert Leo Schlageter era animatore. Arrestato dai francesi, Schlageter fu fucilato il 13 maggio ‘23. Nell’occasione fu arrestato anche Harro Schulze-Boysen, il futuro animatore dell’“Orchestra Rossa”, la Rote Kapelle, sceso da Kiel quattordicenne a combattere l’invasore. Schlageter era stato già in contatto in Slesia con l’entità segreta O.C.. E con agenti inglesi, che lo incitavano a far fuori i “negri bianchi” della Commissione interalleata, e a combattere i polacchi.
Karl Radek ne rivendicò la figura, “pellegrino del nulla”, all’esecutivo dell’Internazionale comunista il 20 giugno: “Durante il discorso della compagna Zetkin ero ossessionato dal nome di Schlageter e dal suo tragico destino. Egli molte cose ha da insegnarci, a noi e al popolo tedesco. Non siamo dei romantici sentimentali che dimenticano l’odio di fronte a un cadavere, e neppure dei diplomatici. Schlageter, il valoroso soldato della controrivoluzione, merita da parte nostra, soldati della rivoluzione, un omaggio sincero. Noi faremo di tutto perché uomini come Schlageter, pronti a donare la loro vita per una causa comune, non diventino dei Pellegrini del Nulla”. Lo poteva, i camerati di Schlageter ne imputavano la morte al governo Cuno, espresso dal Centro cattolico e dai Democratici. Ma loro stessi avevano assassinato Rathenau, l’uomo che aveva organizzato la Germania nella dura guerra, un patriota, che però da ministro di Weimar aveva firmato la pace di Versailles. Tutto il capitolo va riscritto.
Schlageter piacerà anche a Giaime Pintor. Era una specie di condottiero: comandava un gruppo d’assalto nei paesi baltici all’inizio del ‘19, contro i russi e i polacchi, e contro la Novemberrevolution. I tenenti che non accettavano la sconfitta comandavano anche battaglioni e reggimenti, erano dei capi. Una storia dimenticata, la guerra per bande in Germania, che solo si legge in Yourcenar, nel trucido “Colpo di grazia”. Farà da modello a quella tentata in Italia nel ‘45, mal riuscita malgrado i tanti morti, e in Grecia: il terrore viene con la pace, dopo le crociate, nella belle époque, dopo il Vietnam.
I Freikorp, gruppi volontari, impedirono alla Russia bolscevica d’incorporare la Germania, ha stabilito nel 1975 la Repubblica federale. Gustav Noske, l’esperto socialista di difesa e antisovversione, li sosteneva, benché fossero illegali. La Repubblica federale stabilì nella stessa occasione, nel 1975, che l’assassinio di Liebknecht e Rosa Luxemburg da parte dei Freikorp fu “un’esecuzione conforme alla legge marziale”. C’era confusione: Jünger in quegli anni scriveva per i nazionalisti “Standarte” e “Vormarsch”, stendardo, avanzata, e per “Widerstand”, la resistenza – Werner Lass, suo condirettore a “Vormarsch”, ex Freikorp, sarà del resto comunista.
La fine di Schlageter non è chiara. Fu catturato in un attentato fallito alla ferrovia di Düsseldorf. Ma forse è stato venduto. Era andato volontario nel ’14, lasciando gli studi, sul fronte baltico e in Slesia. Aveva continuato la guerra nel dopoguerra, nei Freikorp. Il corpo fu sottratto alla morgue di Düsseldorf da Viktor Lutze, il capo locale delle SA, compagno della prima ora di Hitler, e sepolto al paese d’origine, Schönau im Wiesental, nel Baden, fuori della zona occupata. Ogni anno si celebrava la data della fucilazione, il 26 maggio. I francesi hanno distrutto nel ‘45 il monumento eretto nel ‘34 alla Golzheimer Heide presso Düsseldorf. La celebrazione del decennale della morte, nel 1933, fu fastosa, con l’inaugurazione di un momento sulla Zugspitze e un discorso di Heidegger, rettore di Friburgo. Si rappresentava uno “Schlageter” per il compleanno di Hitler, autore l’espressionista Hanns Johst, il futuro presidente dell’Accademia Tedesca di Poesia contro il quale Brecht aveva lasciato la poesia per il teatro. È il dramma che alla scena prima, atto primo, reca il celebre avvertimento: “Quando sento la parola cultura, levo la sicura al mio Browning”.
Schlageter aveva fatto gli stessi studi, un paio d’anni dopo, nelle stesse scuole di Heidegger, il collegio Sankt Conrad di Costanza, ribattezzato Liceo Schlageter nel ‘36, il ginnasio Bertholds di Friburgo – Benjamin studierà a Friburgo con lo stesso Rickert con cui Heidegger si sta laureando, differenza di tre anni. Il futuro eroe della resistenza nazista era audace e pio, animatore del Falkenstein, circolo di studenti bravi alla spada, e dei gruppi cattolici, ferventi contro il Kulturkampf, le leggi anticattoliche prussiane. Dal fronte manifesta l’intenzione di farsi prete, “dopo aver pregato e cercato il sostegno dello Spirito Santo e della Madre divina”.
Heidegger ne fece un modello germanico, opposto “all’oscurità, l’umiliazione, il tradimento”. Un precursore posteriore: “Donde gli è venuta questa durezza della volontà, capace di far sorgere nell’animo ciò che più è grande e lontano? Studente di Friburgo, studente tedesco, sappilo, provalo, quando sulle piste e i sentieri entri nei boschi e le valli della Foresta Nera, culla di questo eroe: nella pietra originaria, nel granito, sono tagliati i monti tra i quali il figlio di contadini è cresciuto”. Suggerì agli studenti una Völkische Kameradschaft Schlageter, l’associazione Schlageter, e nel suo nome fece giurare le matricole a fine anno, sul “Mein Kampf”.
Nel 1973 il cinquantenario della fucilazione di Schlageter si è celebrato in sordina perché il giovane tenente era bandiera del “bolscevismo nazionale”: nel ‘19 in Slesia disegnò d’allearsi con l’armata a cavallo del generale rosso Budjenni per stritolare la Polonia, “la colonia più solida dell’Occidente”. Schlageter è uno dei santi laici che la Germania canonizza ai tornanti della storia, Friedrich Staps, l’attentatore di Napoleone a Vienna nel nome della Rivoluzione, Karl Sand in preparazione del Quarantotto, l’assassino di Kotzebue – di cui Dumas ha scritto la storia che nessun tedesco ha scritto. Sa di Schlag, razza, di buona pasta, di buona lana, uno dei nomi che sono un destino. E fu fatale a molti che avevano combattuto la guerra civile fino al ‘23, nel Baltico e altrove, già a sedici, quindici anni, come Staps e Sand e lui stesso. La carriera criminale di Rudolf Höss, adolescente soldato di ventura in Iraq, combattente dei Corpi volontari nella guerra per bande, cominciò con l’assassinio del maestro Kadow, sospetto traditore di Schlageter. L’inventore delle camere a gas era fatto così: da bambino andava a Lourdes, a Auschwitz volle giardinetti, biblioteca, orchestra, anche il bordello - ma niente cappelle. Höss massacrò Kadow a colpi di mazza, gli tagliò la gola, e lo finì a pistolettate. “Schlageter era mio buon camerata”, si difese al processo, “con lui ho sostenuto tanti duri combattimenti nel Baltico e nella Ruhr, insieme abbiamo lavorato dietro le linee nemiche in Slesia, e battuto gli oscuri sentieri del traffico d’armi”. In tribunale perché il complice Jurisch l’aveva denunciato al giornale socialista Vorwärts, temendo di essere eliminato a sua volta.
Schlageter non è solo, nazionalista e bolscevico. Si può anzi dire storia nota, anche questa, la staffetta partigiana che amoreggia col biondino SS, gli ebrei salvati dai cristiani, e i papi comunisti, in petto. Si può dire il sinistr-destr anzi usuale, non solo nell’addestramento in caserma. È il “Destra e sinistra” di Joseph Roth, che è morto nel ‘39. È Merlino, il fascista anarchico di Piazza Fontana, il nazimaoismo planetario. Era l’entrismo, al tempo del partito Comunista di Togliatti.
Il feroce Ernst von Salomon prima del mite Roth l’ha raccontato nel ‘30, nel best-seller che abbagliò Cantimori, “I proscritti”. E Giaime Pintor fece tradurre a Einaudi nell’inverno del ’40 in cui rinnovò la casa editrice, quando da sottotenente fu membro a Torino della Commissione per l’armistizio con la Francia, che lo zio generale Pietro presiedeva, con “stupenda sovraccoperta illustrata a colori” del pittore Guttuso – i compagni riconoscenti gli dedicheranno la cellula del Partito alla liberazione, molto attiva, c’erano pure Pavese e Calvino.
 
Sfrondati – Cardinale Sfrondati è il nome di una collezione d’arte importante e famosa. Opera del cardinale Paolo Emilio Sfrondati, nipote del papa Gregorio XIV, che avviò la collezione con due opere di Santa Maria del Popolo a Roma, la Madonna della Seggiola e la Madonna del Popolo (di cui ora non si trova più l’originale), due opere di Raffaello. La collezione divenne presto famosa, per l’ampiezza e soprattutto per la qualità delle opere – “era gigantesca ed era famosa in tutta Europa”, attesta Federico Zeri, “Dietro l’immagine”, p. 85. L’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, altro grande collezionista, che gliela invidiava, mandò degli emissari a Roma per studiarla, e studiarne l’acquisto. Tra i pezzi eccezionali, oltre Raffaello, “L’amore sacro e l’amor profano” di Tiziano e “La predica del Battista” di Veronese. Fece anche restaurare Santa Cecilia a Roma, dove poi sarà sepolto, con l’annesso convento.
La collezione fu racconta dal cardinale Sfrondati nel palazzo Spada a Roma – oggi sede del Consiglio di Stato. Fu poi dissolta dallo stesso cardinale (per grande parte confluì ai Borghese, nella galleria Borghese): in età, aveva avuto una crisi religiosa, insieme col cardinale Baronio, il discepolo di san Filippo Neri e storico dei santi.
I cardinali Sfrondati e Baronio sono negli annali della chiesa anche per avere sostenuto, nell’ultimo conclave cui hanno partecipato, nel 1605 (maggio 1605, un conclave si era tenuto anche a marzo, ma il papa eletto, Leone XI – Alessandro de’ Medici – era morto dopo 25 giorni), il futuro santo Roberto Bellarmino. Che però non fu eletto, si disse, perché era gesuita.

astolfo@antiit.eu

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