domenica 22 novembre 2020

Illeggibile Proust

Una prima prova della prosa che sarà della ”Ricerca”: assottigliata, convoluta, barocca ma fredda – fino alla “lettura” finale di Venezia, della basilica e della Piazetta, con una zeta. Con la coscienza-rivendicazione di fare opera di scrittura, di voler essere Grande Autore, nella critica-dileggio, parecchio inventata, di un Coleridge dalle grandi qualità ma “caso patologico” della mancanza di volontà.
Del saggio in sé, premessa perfida a “Il sesamo e i gigli”, la raccolta di Ruskin peraltro dallo stesso Proust curata, vale quanto scritto a suo tempo, alla traduzione presso Feltrinelli:
http://www.antiit.com/2016/10/il-piacere-della-lettura-e-il-ricordo.html
Alla rilettura il saggio è la prova generale della “Ricerca”: della prosa a onde, lo sciabordio, e del tempo (della vita) come ricordo, dilatabile a volontà, di ciò che è stato – vogliamo che sia stato – o avrebbe potuto essere – o vorremmo ora che fosse stato. Compresa la lettura: le letture sono diverse per ogni tempo o circostanza, e “ciò che esse lasciano soprattutto in noi è l’immagine dei luoghi e dei giorni in cui le abbiamo fatte”.
Alla rilettura in originale balza evidente, una gragnuola di pugni benché di mano leggera, la costruzione complicata della frase, spesso artificiosa, come esercizio di bravura.  Con parentesi logiche tra parentesi logiche, e subordinate sotto subordinate. Una prosa, si direbbe, del rinvio.
Comincia con una frase lunga una pagina. Continua col linguaggio puntiglioso, tutto incisi, che farà la “Ricerca”. Con il mondo dell’infanzia, pieno di nonni, zie, cugini, la “brioche benedetta”. E riferimenti volutamente ordinari - comuni, nazionali, identitari – come a sottolineare un futuro di grandezza: pranzi domestici e merende, con ricette da custodire, orti, villeggiature estive, campane, chiese, tutto ciò che fa la famiglia francese minuta, anche se bene ordinata. Ma come campo di esercitazione, niente affetti o passioni. La panoramica della camera del ragazzo, ora l’adulto che ricorda, è una frase lunga quattro pagine, con sei punti e virgola, senza che se ne ritenga un’immagine qualsiasi - la “lettura” sono le abitudini di lettura del ragazzo Proust. Sul corto raggio l’impressione risultante è precisa: un scrittore puntiglioso per programma più che per le occorrenze della memoria come si suole dire, aperto sempre a un’altra parentesi, alla specifica di una specifica, tanto da riuscire inafferrabile. La “musichetta” ci sarà, c’è, avendo tempo e voglia di rilevarla, ma come un basso continuo, a nessun effetto, se non la distanza, la distrazione - lui stesso lo dice qui divagando su Gluck, di cui apprezza i recitativi invece delle arie. Proust è un care-demanding, uno che chiede attenzione e benevolenza, ma allontana. Non per caso, con studio.    
C’è anche lo snobismo della lettura: “I letterati restano, malgrado tutto, le persone  di qualità dell’intelligenza, e ignorare un certo libro, una certa particolarità della scienza letteraria, resterà sempre, anche in un uomo di genio, un segno di rozzezza intellettuale. La distinzione e la nobiltà si danno anche nell’ordine del pensiero, in una specie di framassoneria di usi, e in un retaggio di tradizioni”. Con una recensione di Gautier, sul finale, entusiasta e ironica, e una stroncatura di Musset – accanto a Fromentin.
A cura di Matteo Noja, col testo francese a fronte.
Marcel Proust, La lettura, La vita felice, pp. 131 € 9
Journées de lecture
, Folio, pp. 81 € 2


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