sabato 7 novembre 2020

Letture - 438

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Calvino-Eco – Duellanti, a distanza? La lettura di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino, 1979, si propone inesorabile  come un corpo a corpo con Umberto Eco. Col romanzesco, col romanzo. In varie pieghe del calviniano “romanzo dei non romanzi”. È l’unica lettura che se ne può fare, a  meno di non derubricare la letteraria corvée a un momento di malumore, un momento lungo. Si legge invece difilato il romanzo-non-romanzo come una canzonatura di Umberto Eco, che aveva  appena celebrato il romanzesco nel “Superuomo di massa”, 1976 - per la Cooperativa Scrittori, ultimo residuato del Gruppo 63. E si apprestava a praticarlo in proprio, con “Il nome della rosa”, 1980.

La satira emerge in vari punti della narrazione. E chiaramente, per ironia raddoppiata, nella presentazione che il capo dei servizi segreti dell’Ircania – che era la Persia caspica, una giungla umida, ma Calvino intende la Russia, un posto di “tundre ghiacciate” – fa di una cacciatrice di libri e di un falsario di libri: “Per questa donna”, dice il direttore Arkadian Porphyritch, “leggere vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione e d’ogni partito preso, per essere pronta a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci s’aspetta, una voce che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura: dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per dire. Quanto a lui, invece”, il traduttore mentitore, “voleva dimostrarle che dietro la pagina scritta c’è il nulla; il mondo esiste solo come artificio, finzione, malinteso, menzogna. Se non che questo, noi potevamo ben dargli i mezzi per dimostrare quel che lui voleva”. “Noi”, Roba nostra, dice il direttore generale (generale direttore) Arkadian, dei servizi segreti.
Si può anche dire che Eco prese Calvino in parola nei romanzi successivi. Il romanzesco adattando alle ipotesi stralunate di Calvino - il romanzo di “linee che si allacciano”, “linee che si intersecano”, o della “fossa vuota”… . In “L’isola del giorno prima”, “La regina Loana”, e anche in “Baudolino” e nello stesso “Cimitero di Praga”, come racconto a tre livelli.
Di fatto, Eco contrattaccò subito con un elogio sperticato del “Conte di Montecristo” e della letteratura (romanzi) di consumo - a puntate, di colportage, di massa, popolare - nell’introduzione al “Conte di Montecristo” della Bur, tuttora in commercio. Perfidamente dicendo il bestseller di Dumas “uno dei romanzi più mal scritti i tutti i tempi e di tutte le letterature”, stiracchiato, perché pagato un tanto a riga, di uno scrittore che invece sapeva “scrivere” - “I tre moschettieri” “fila via che è un piacere”, “secco, rapido”…
Un duello a distanza, senza sfide e senza padrini, ma cattivo. Quindici anni dopo Eco metteva Calvino, nelle “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, accanto a Campanile, Carolina Invernizio e Ian Fleming. Sotto un titolo che rifà esplicito le “Lezioni americane” - da Calvino intitolate “Sei proposte per il prossimo millennio”. Per un pubblico sempre americano – un duello in campo neutro, o forse perché in Italia con la Seconda Repubblica della letteratura non interessava più nulla a nessuno.
Un duello con ottimi argomenti da parte di entrambi, entrambi partendo dal Gruppo 63, dall’ipotesi di rinnovare l’italiano letterario e la letteratura, entrambi convincenti, ma l’uno opposto all’altro, senza mai nominarsi. Marciando su terreni diversi, Calvino esploratore, Eco storico - ma queste cose nei duelli non contano.
 
Dante
– “È la grande «scoperta» del Novecento” – risvolto editoriale di Bologna-Fabiani (a cura di), “Ezra Pound. Dante”: “A capirlo, ripensarlo, perfino riscriverlo, furono anzitutto i grandi poeti: Pound, Eliot, Mandel’stam, Borges”.
Corrado Bologna, id., p. XI: “Pound deve molto a Dante. Ma qualcosa anche Dante, il Dante del Novecento, deve a Pound, proprio perché lui, insieme a Eliot,  all’inizio del secolo lo aveva riportato alla luce da un plurisecolare oblio e nuovamente immesso con tutta la sua forza nella modernità, nello stesso momento in cui (in Italia, n.d.r.) la critica crociana, negando il valore poetico della «struttura» della ‘Commedia’, cancellava il senso di quell’immenso esercizio di passione e d’intelligenza istruttiva”.
E ancora Bologna, id. p. XVIII: “La funzione Pound  nel recupero di un Dante d’avanguardia, maestro vivo e scandaloso di lingua e di scrittura non sarà mai abbastanza sottolineata”.
 
Dostoevski
j – Si professa aristocratico, scrivendo al fratello dalla fortezza di Omsk in Siberia, dove è rinchiuso da fine 1849,  ai lavori forzati per sedizione, la condanna a morte essendogli stata commutata dallo zar con il carcere alla vigilia di Natale (la grazia gli fu comunicata sul patibolo): “Noi aristocratici”. E per questo odiato dal “popolo”, il paio di centinaia di codetenuti, per delitti comuni,  che non faranno che disprezzare, ingiuriare, percuotere ogni giorni di tutt’e quattro gli anni della pena Dostoevskij e gli altri “politici” (intellettuali, quindi nobili) suoi compagni di pena. La lettera,  nella voluminosa corrispondenza che Alice Farina cura per Il Saggiatore, è anticipata da “la Repubblica” ieri.
Le biografie lo dicono di famiglia commerciante per parte di madre, e per il ramo maschile figlio di un medico militare, alcolista, morto per le bastonature dei contadini che angariava, figlio a sua volta di un arciprete – il quale, è vero, vantava ascendenze nobili in Lituania.
 
Giornalisti – “Cuochi della realtà”, Ennio Flaiano, “Aethiopia, appunti per una canzonetta”, 1935-1936.
 
Intellettuale – Anti-manicheo, lo sintetizza-definisce Malraux ne “La speranza”, e quindi anti-politico.
 
Psicoanalista – “Che cos’è uno psi- se non un prete che monetizza i suoi servizi senza accordare l’assoluzione?” – Yasmina Khadra, “L’outrage fait à Sarah Ikker”.
 
Pound - È stato l’innovatore della metrica, rispetto agli stantii canoni miltoniani in lingua inglese, e petrarcheschi nel continente. È la sintesi perentoria che del Pound d’avanguardia, studioso del Due-Trecento, provenzale e toscano, dà Corrado Bologna introducendo l’antologia di scritti danteschi di Pound –“Ezra Pound. Dante”, p. XVII: “Difficilmente si potrebbe sottovalutare la portata della sua influenza sulle ricerche metriche condotte nella seconda metà del Novecento” – in Italia il “Dante dal vivo” e “la forma del verso” tardano a penetrare. Bologna attesta l’influenza riconosciuta ampiamente da Alfredo Giuliani e Edoardo Sanguineti
 
Spagna – Unamuno così la spiega al generale Millan Astray all’inizio delle guerra civile - secondo la testimonianza di un personaggio dal vero di Malraux, “La Speranza”, il dottor Neubourg: “Una Spagna senza Biscaglia e senza Catalogna sarebbe un paese simile a voi, mio generale, guercio e monco”.
Unamuno “detesta Azaña”, e non si aspetta nulla di buono da Franco. Azaña, capo del Fronte Popolare che aveva contribuito a creare, era il presidente della Repubblica, che da capo del governo cinque anni prima aveva promosso le leggi repubblicane contro l’esercito e la chiesa, e per la forte autonomia della Catalogna, portando il re all’abbandono, e l’elettorato a destra – nella successiva legislatura di destra la rivolta delle Asturie si era risolta nel massacro di religiosi e fedeli, e in un primo  intervento militare di Franco, quale capo del Tercio, la Legione Straniera spagnola, i “Mori”. Unamuno, si fa raccontare Malraux, “vede ancora nella Repubblica, e in essa sola, il mezzo dell’unità federale della Spagna,: è contro un federalismo assoluto, ma anche contro la centralizzazione con la forza: e vede ora nel fascismo questa centralizzazione”.
 
Tacchi-Venturi – Il fascistissimo gesuita celebrò le nozze di Moravia con Elsa Morante nella chiesa di Anacapri nel 1941, testimoni Longanesi, Pannunzio, due massoni professi, con Capogrossi e Morra.
Un gesuita d’azione, poco gesuitico. Segretario generale uscente dei gesuiti, accoltellato nel 1928 per un’oscura lite patrimoniale tra gesuiti e paolini, fece valere l’incidente nella stampa di regime come un attentato della massoneria, per il suo fervido sostengo alla guerra antimassonica di Mussolini. L’anno successivo si presentò mediatore fra Mussolini e la Santa Sede per il concordato.
Siciliano, era antimeridionalista, e razzista – dovrà per questo vivere appartato nel dopoguerra, fino alla morte nel 1956. Ea chiamato il “gesuita di Mussolini”, di cui faceva capire di essere il confessore, benché Mussolini  fosse ateo professo.

letterautorer@antiit.eu

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