Letture - 438
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Calvino-Eco – Duellanti, a
distanza? La lettura di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino,
1979, si propone inesorabile come un
corpo a corpo con Umberto Eco. Col romanzesco, col romanzo. In varie pieghe del
calviniano “romanzo dei non romanzi”. È l’unica lettura che se ne può fare,
a meno di non derubricare la letteraria corvée
a un momento di malumore, un momento lungo. Si legge invece difilato il
romanzo-non-romanzo come una canzonatura di Umberto Eco, che aveva appena celebrato il romanzesco nel “Superuomo
di massa”, 1976 - per la Cooperativa Scrittori, ultimo residuato del Gruppo 63.
E si apprestava a praticarlo in proprio, con “Il nome della rosa”, 1980.
La satira emerge in vari punti della narrazione. E chiaramente, per ironia
raddoppiata, nella presentazione che il capo dei servizi segreti dell’Ircania –
che era la Persia caspica, una giungla umida, ma Calvino intende la Russia, un
posto di “tundre ghiacciate” – fa di una cacciatrice di libri e di un falsario
di libri: “Per questa donna”, dice il direttore Arkadian Porphyritch, “leggere
vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione e d’ogni partito preso, per essere
pronta a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci s’aspetta, una voce
che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là
dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura: dal non detto, da
quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per
dire. Quanto a lui, invece”, il traduttore mentitore, “voleva dimostrarle che
dietro la pagina scritta c’è il nulla; il mondo esiste solo come artificio,
finzione, malinteso, menzogna. Se non che questo, noi potevamo ben dargli i
mezzi per dimostrare quel che lui voleva”. “Noi”, Roba nostra, dice il
direttore generale (generale direttore) Arkadian, dei servizi segreti.
Si può anche dire che Eco prese
Calvino in parola nei romanzi successivi. Il romanzesco adattando alle ipotesi
stralunate di Calvino - il romanzo di “linee che si allacciano”, “linee che si
intersecano”, o della “fossa vuota”… . In “L’isola del giorno prima”, “La regina
Loana”, e anche in “Baudolino” e nello stesso “Cimitero di Praga”, come racconto
a tre livelli.
Di fatto, Eco contrattaccò subito
con un elogio sperticato del “Conte di Montecristo” e della letteratura
(romanzi) di consumo - a puntate, di colportage,
di massa, popolare - nell’introduzione al “Conte di Montecristo” della Bur,
tuttora in commercio. Perfidamente dicendo il bestseller di Dumas “uno dei romanzi più mal scritti i tutti i tempi e di tutte le letterature”,
stiracchiato, perché pagato un tanto a riga, di uno scrittore che invece sapeva
“scrivere” - “I tre moschettieri” “fila via che è un piacere”, “secco, rapido”…
Un duello a distanza, senza sfide
e senza padrini, ma cattivo. Quindici anni dopo Eco metteva Calvino, nelle “Sei
passeggiate nei boschi narrativi”, accanto a Campanile, Carolina Invernizio e
Ian Fleming. Sotto un titolo che rifà esplicito le “Lezioni americane” - da
Calvino intitolate “Sei proposte per il prossimo millennio”. Per un pubblico
sempre americano – un duello in campo neutro, o forse perché in Italia con la
Seconda Repubblica della letteratura non interessava più nulla a nessuno.
Un duello con ottimi argomenti da
parte di entrambi, entrambi partendo dal Gruppo 63, dall’ipotesi di rinnovare
l’italiano letterario e la letteratura, entrambi convincenti, ma l’uno opposto
all’altro, senza mai nominarsi. Marciando su terreni diversi, Calvino
esploratore, Eco storico - ma queste cose nei duelli non contano.
Dante – “È la grande
«scoperta» del Novecento” – risvolto editoriale di Bologna-Fabiani (a cura di),
“Ezra Pound. Dante”: “A capirlo, ripensarlo, perfino riscriverlo, furono
anzitutto i grandi poeti: Pound, Eliot, Mandel’stam, Borges”.
Corrado Bologna, id., p. XI: “Pound deve molto a Dante. Ma qualcosa
anche Dante, il Dante del Novecento, deve a Pound, proprio perché lui, insieme
a Eliot, all’inizio del secolo lo aveva
riportato alla luce da un plurisecolare oblio e nuovamente immesso con tutta la
sua forza nella modernità, nello stesso momento in cui (in Italia, n.d.r.) la
critica crociana, negando il valore poetico della «struttura» della ‘Commedia’,
cancellava il senso di quell’immenso esercizio di passione e d’intelligenza istruttiva”.
E ancora Bologna, id. p. XVIII: “La funzione Pound nel recupero
di un Dante d’avanguardia, maestro
vivo e scandaloso di lingua e di scrittura non sarà mai abbastanza sottolineata”.
Dostoevskij – Si professa aristocratico, scrivendo al fratello dalla fortezza di Omsk in Siberia, dove è
rinchiuso da fine 1849, ai lavori
forzati per sedizione, la condanna a morte essendogli stata commutata dallo zar
con il carcere alla vigilia di Natale (la grazia gli fu comunicata sul
patibolo): “Noi aristocratici”. E per questo odiato dal “popolo”, il paio di
centinaia di codetenuti, per delitti comuni, che non faranno che disprezzare, ingiuriare, percuotere
ogni giorni di tutt’e quattro gli anni della pena Dostoevskij e gli altri “politici”
(intellettuali, quindi nobili) suoi compagni di pena. La lettera, nella voluminosa corrispondenza che Alice
Farina cura per Il Saggiatore, è anticipata da “la Repubblica” ieri.
Le biografie lo dicono di famiglia commerciante per parte di madre, e
per il ramo maschile figlio di un medico militare, alcolista, morto per le bastonature
dei contadini che angariava, figlio a sua volta di un arciprete – il quale, è
vero, vantava ascendenze nobili in Lituania.
Giornalisti – “Cuochi
della realtà”, Ennio Flaiano, “Aethiopia, appunti per una canzonetta”,
1935-1936.
Intellettuale –
Anti-manicheo, lo sintetizza-definisce Malraux ne “La speranza”, e quindi
anti-politico.
Psicoanalista – “Che cos’è
uno psi- se non un prete che monetizza i suoi servizi senza accordare l’assoluzione?”
– Yasmina Khadra, “L’outrage fait à Sarah Ikker”.
Pound - È stato l’innovatore
della metrica, rispetto agli stantii canoni miltoniani in lingua inglese, e petrarcheschi
nel continente. È la sintesi perentoria che del Pound d’avanguardia, studioso
del Due-Trecento, provenzale e toscano, dà Corrado Bologna introducendo l’antologia
di scritti danteschi di Pound –“Ezra Pound. Dante”, p. XVII: “Difficilmente si
potrebbe sottovalutare la portata della sua influenza sulle ricerche metriche condotte
nella seconda metà del Novecento” – in Italia il “Dante dal vivo” e “la forma
del verso” tardano a penetrare. Bologna attesta l’influenza riconosciuta
ampiamente da Alfredo Giuliani e Edoardo Sanguineti
Spagna – Unamuno così la
spiega al generale Millan Astray all’inizio delle guerra civile - secondo la
testimonianza di un personaggio dal vero di Malraux, “La Speranza”, il dottor
Neubourg: “Una Spagna senza Biscaglia e senza Catalogna sarebbe un paese simile
a voi, mio generale, guercio e monco”.
Unamuno “detesta Azaña”, e non si aspetta nulla di buono da Franco. Azaña,
capo del Fronte Popolare che aveva contribuito a creare, era il presidente
della Repubblica, che da capo del governo cinque anni prima aveva promosso le
leggi repubblicane contro l’esercito e la chiesa, e per la forte autonomia
della Catalogna, portando il re all’abbandono, e l’elettorato a destra – nella
successiva legislatura di destra la rivolta delle Asturie si era risolta nel
massacro di religiosi e fedeli, e in un primo
intervento militare di Franco, quale capo del Tercio, la Legione Straniera
spagnola, i “Mori”. Unamuno, si fa raccontare Malraux, “vede ancora nella Repubblica,
e in essa sola, il mezzo dell’unità federale della Spagna,: è contro un
federalismo assoluto, ma anche contro la centralizzazione con la forza: e vede
ora nel fascismo questa centralizzazione”.
Tacchi-Venturi – Il
fascistissimo gesuita celebrò le nozze di Moravia con Elsa Morante nella chiesa
di Anacapri nel 1941, testimoni Longanesi, Pannunzio, due massoni professi, con
Capogrossi e Morra.
Un
gesuita d’azione, poco gesuitico. Segretario generale uscente dei gesuiti, accoltellato
nel 1928 per un’oscura lite patrimoniale tra gesuiti e paolini, fece valere
l’incidente nella stampa di regime come un attentato della massoneria, per il
suo fervido sostengo alla guerra antimassonica di Mussolini. L’anno successivo si
presentò mediatore fra Mussolini e la Santa Sede per il concordato.
Siciliano,
era antimeridionalista, e razzista – dovrà per questo vivere appartato nel
dopoguerra, fino alla morte nel 1956. Ea chiamato il “gesuita di Mussolini”, di
cui faceva capire di essere il confessore, benché Mussolini fosse ateo professo.
letterautorer@antiit.eu
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