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L’Europa invasa dall’America, latina
Si parte con una saga di Vinland:
Freydig Eriksdóttir, figlia di Erik il Rosso, violenta ma accorta, naviga instancabile
verso Sud, con i suoi recalcitranti, su un modesto knörr lungo la costa americana: gli Stati Uniti (“il paese di Aurora”), Cuba, Chichen Itza (Aztechi), Panama, e
un assaggio di Inca (il Cipango di Colombo, il paese favoloso dell’oro).
Navigano un po’ schiavi un po’ padroni. Con tutto quello che si sa: la scoperta
del cavallo, del bue e della ruota, e quella del mais, del cotone e del cioccolato,
con le epidemie virali che decimano i nativi. Poi un diario di Colombo, fatto morire
per contrappasso, sotto una carica di cavalleria, indigena. Poi Atahualpa,
l’ultimo Inca, dopo una complicata guerra civile, conquista l’Europa - rovesciando l’inca Garcilaso de la Vega citato
in esergo: “Per la confusione nella quale vivevano, senza alcuna intelligenza, la
loro conquista fu facile” (e realizzando probabilmente una intervista impossibile di Calvino, 1975, con Montezuma). Per ultimo le avventure di Cervantes, finché non
cerca fortuna in America.
Il racconto della conquista si
chiude a Firenze, città dei tradimenti, con
Lorenzino-Lorenzaccio che fa fuori il prode Inca invitandolo nel letto della
moglie. Quizquiz - inutile sapere chi è- ne continua la lotta: sottrae Bologna al papa, pacifica bene o
male Firenze, sposa Caterina dei Medici, vedova di Enrico, il figlio di Francesco
I, e prepara l’attacco a Roma. L’imperatore successore di Atahualpa si
chiamerà Carlo Capac, come Carlo Quinto, e come questi farà il sacco del
papa, che sta antipatico a Binet - il papa si rifugia dal sultano Selim II.
Cervantes accoltella un mite
artigiano e se va a spasso per l’Europa, con Domenikos Theotokopulos - che noi
sappiamo sarà chiamato El Greco. Anche loro ce l’hanno col papa. Poi fanno Lepanto,
e finiscono alla torre di Montaigne. Conversazioni, ironie e saggezze, finché
Cervantes non si fa la signora della torre – vecchio topos, “la moglie di Montaigne”, tipo la moglie di Socrate. Dopodiché
da solo, a Bordeaux, s’imbarca per l’America.
Un racconto alla Virginia Woolf
di “Orlando”, fra storia rifatta e fantasia. Un po’ serioso: il titolo antifrastico
è di quante distruzioni siano capaci le civilizzazioni – e di chi la fa l’aspetti.
Binet si diverte, il naso di
Cleopatra è la sua passione, con gusto nel caso della semiologia, il celebre “La
settima funzione del linguaggio”. Il lettore un po’ meno. La conquista americana
dell’Europa, probabilmente il nucleo originario del libro, è colta e
sorprendente, oltre che irridente – ma è vero, l’Europa trova sempre motivi per
litigare. Anche se sceneggiata alla chanson de geste, che però è un mito fondante, non un divertimento. I due apocrifi, delle saghe norrene e del diario di Colombo,
e l’avventura scalcagnata, anche nella scrittura, di Cervantes, non fanno
ridere.
Un libro molto premiato, anche
dall’Accademia di Francia. Ma l’Europa alla deriva dagli Usa non
era già vecchia teoria woodyalleniana?
Laurent Binet, Civilizzazioni, La Nave di Teseo, pp.
384 € 19
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