giovedì 12 novembre 2020

Pound che inventò Dante nel Novecento

“Pound ci stupisce perché sembra aver pensato prima di noi quel che noi ora pensiamo su Dante”, è la prima riflessione di Bologna, che con Fabiani si è preso la cura di dare infine alle stampe il  volume delle riflessioni di Pound su Dante che Vanni Scheiwiller inseguì per poco meno di mezzo secolo, senza mai poterlo mandare in libreria, per un motivo o per un altro. Ma non “sembra”, riflette ancora Bologna: “Quel che oggi noi pensiamo”, su Dante, “nasce spesso dalle sue idee”, di Pound, “e scorre fino a noi lungo rivoli carsici, in un’attività di scrittura fitta e dispersiva”.
Pound è stato per prima conosciuto come dantista, e studioso dello stil novo, dei trovatori e dello stil novo. Apprezzato fuori, bene e male è all’origine del
revival dantesco nel Novecento, insieme con T.S. Eliot, altro americano, peraltro da lui influenzato. E per questo anche riconosciuto, dopo la guerra, che lo aveva visto militare per l’Italia fascista. Non in Italia, con rare eccezioni - Massimo Bacigalupo. Anzi, come filologo rifiutato con disprezzo. Sulle letture poundiane di Dante si espresse duro Contini nel 1958, per ragioni politiche, in una nota su “Studi danteschi”, di cui era direttore, a seguire a una recensione del saggio “Inferno”, allora pubblicato in edizione italiana: “Un presunto principe della cultura”, “personaggio «d’attualità»”, per il fascismo, “apprenti sorcier analfabeta che presume di poter maneggiare, con effetti ancor più penosi che grotteschi, gli strumenti della tecnica, inclusi i manoscritti di Guido”.

Su Pound e Guido Cavalcanti si era già espresso sarcastico vent’anni prima anche Praz. Che però successivamente, a una rilettura, si era ricreduto. Ma già, in parallelo col rifiuto di Contini, la lettura di Pound veniva fatta propria da Luciano Anceschi, in una con i poeti saggisti, Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti. Da quest’ultimo con entusiasmo, celebratore del “disorganicamente organico poundiano”. E successivamente da Maria Corti. “La funzione Pound nel recupero di un Dante d’avanguardia,  maestro vivo e scandaloso di lingua e di scrittura, non sarà mai abbastanza sottolineata”, può così concludere Bologna.
Maestro non solo del Dante d’avangaurdia. Viene da Pound la rilettura – la messa in luce – del “Paradiso”, dopo la sagra ottocentesca dell’“Inferno”. Degli studi e le novità di Dante stilista e linguista. Con una curiosa funzione di maestro d’italiano, lui che l’italiano lo apprese da subito, ma senza padroneggiarlo – resta incerto anche nelle lettere. Abbastanza però per saper leggere. Maestro di lingua italiana Maria Corti lo scoprirà tardi, sorpresa, lavorando al proprio Cavalcanti. Un ottimo artigiano – Pound si fabbricava i mobili di casa, perdeva ore e giorni nella grafica, era applicato anche negli studi. Al punto che il giudizio di Contini si può rovesciare.
Fabiani ne accerta la preparazione filologica, che dice massima per i suoi tempi, e l’amplissima frequentazione delle letture allora correnti. Facendone perfino un anticipatore di metodologie e richiami cui Contini sarebbe arrivato molto più tardi. E ne porta plurimi esempi. Pound individua e mette in rilievo “la continuità col pensiero di Riccardo di san Vittore”. Per primo individua “la poetica della luce che attraversa la cantica paradisiaca”. È il primo, nell’Otto-Novecento, a saper leggere il “Paradiso”. Eccetera.
Il critico canadese Hugh Kenner, che introduce la raccolta secondo il vecchio progetto di Scheiwiller, spiega che Pound si avvicinò a Dante da filologo: “L’accostamento alla ‘Commedia’, che risale agli anni di università, non avvenne, come per Eliot, sulla base di una conoscenza superficiale dell’italiano, bensì dopo un periodo di studio sistematico di tale lingua e sotto la spinta di uno specifico interesse filologico e linguistico”. Lo stesso che lo porterà, da Londra dopo Venezia, a rinnovare polemicamente la poesia inglese: c’è Dante anche in questa battaglia, attraverso le traduzioni, e la metodologia delle traduzioni, in fatto di metrica, di ritmica, di fluidità – e di uso sapiente della metafora, di cui Dante è per Pound il maestro dei maestri.
La passione per Dante fu precoce in Pound – per Dante in originale, moltissimi passi nei saggi qui inclusi trova intraducibili, e riproduce per esteso, anche qualche canto. “A lume spento”, la prima raccolta di poesie da lui pubblicata, a proprie spese, a Venezia, nel 1908, Bologna può dire “titolo esplicitamente dantesco”.
La lettura è anche agevole, Pound scrive disteso. Talvolta fulminante, in uno dei tanti scritti su Guido Cavalcanti qui riproposto: “Il culto provenzale era stato culto delle emozioni. Il culto toscano è culto delle armonie della mente”. Innovativo: trova e prova “il debito dei poeti elisabettiani verso i toscani” - di fatto fa una lettura appassionante di Dante e Shakespeare in parallelo, oltre a trovare i debiti di Shelley e Yeats, mentre riduce il poema di Milton a un melodramma di maniera. Moderno, naturalmente: “Non v’è dubbio che Dante concepisse l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso come stati e non come luoghi”. Gran lettore, angelico, del “Paradiso”. Trova in Dante, e fa gustare, anche l’umorismo.
Una immedesimazione, si direbbe, i “Cantos” di Pound” sanno molto di Dante. Ma a distanza, da lettore critico.
Alla p. 61, il riferimento a Coleridge, alla sua bellzza “καλον quasi καλουν”, data in nota come “citazione non identificata”, viene dai “Principles of Genial Criticism”, 1807.
Una storia a parte in coda al volume, che Bologna e Fabiani raccontano, è quella del libro che Scheiwiller fortemente voleva, e portò fino alle bozze, comprese le presentazioni commissionate ad hoc, una a Maria Corti, e all’ultimo ogni volta fermava.
C’è anche un “Dante e Pound”, a cura di Maria Luisa Ardizzone, 1998: una raccolta di saggi, italiani e stranieri.
Corrado Bologna-Lorenzo Fabiani (a cura di), Ezra Pound. Dante, Marsilio, pp. 205, ril. € 20

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