Pound che inventò Dante nel Novecento
“Pound ci stupisce perché sembra
aver pensato prima di noi quel che noi ora pensiamo su Dante”, è la prima
riflessione di Bologna, che con Fabiani si è preso la cura di dare infine alle
stampe il volume delle riflessioni di
Pound su Dante che Vanni Scheiwiller inseguì per poco meno di mezzo secolo,
senza mai poterlo mandare in libreria, per un motivo o per un altro. Ma non
“sembra”, riflette ancora Bologna: “Quel che oggi noi pensiamo”, su Dante,
“nasce spesso dalle sue idee”, di Pound, “e scorre fino a noi lungo rivoli
carsici, in un’attività di scrittura fitta e dispersiva”.
Pound
è stato per prima conosciuto come dantista, e studioso dello stil novo, dei
trovatori e dello stil novo. Apprezzato fuori, bene e male è all’origine del revival dantesco nel Novecento, insieme
con T.S. Eliot, altro americano, peraltro da lui influenzato. E per questo
anche riconosciuto, dopo la guerra, che lo aveva visto militare per l’Italia
fascista. Non in Italia, con rare eccezioni - Massimo Bacigalupo. Anzi, come
filologo rifiutato con disprezzo. Sulle letture poundiane di Dante si espresse
duro Contini nel 1958, per ragioni politiche, in una nota su “Studi danteschi”,
di cui era direttore, a seguire a una recensione del saggio “Inferno”, allora
pubblicato in edizione italiana: “Un presunto principe della cultura”,
“personaggio «d’attualità»”, per il fascismo, “apprenti sorcier analfabeta che presume di poter maneggiare, con effetti
ancor più penosi che grotteschi, gli strumenti della tecnica, inclusi i
manoscritti di Guido”.
Su
Pound e Guido Cavalcanti si era già espresso sarcastico vent’anni prima anche
Praz. Che però successivamente, a una rilettura, si era ricreduto. Ma già, in
parallelo col rifiuto di Contini, la lettura di Pound veniva fatta propria da
Luciano Anceschi, in una con i poeti saggisti, Alfredo Giuliani, Edoardo
Sanguineti. Da quest’ultimo con entusiasmo, celebratore del “disorganicamente
organico poundiano”. E successivamente da Maria Corti. “La funzione Pound nel recupero di un Dante d’avanguardia, maestro
vivo e scandaloso di lingua e di scrittura, non sarà mai abbastanza
sottolineata”, può così concludere Bologna.
Maestro
non solo del Dante d’avangaurdia.
Viene da Pound la rilettura – la messa in luce – del “Paradiso”, dopo la sagra
ottocentesca dell’“Inferno”. Degli studi e le novità di Dante stilista e
linguista. Con una curiosa funzione di maestro d’italiano, lui che l’italiano
lo apprese da subito, ma senza padroneggiarlo – resta incerto anche nelle
lettere. Abbastanza però per saper leggere. Maestro di lingua italiana Maria
Corti lo scoprirà tardi, sorpresa, lavorando al proprio Cavalcanti. Un ottimo
artigiano – Pound si fabbricava i mobili di casa, perdeva ore e giorni nella
grafica, era applicato anche negli studi. Al punto che il giudizio di Contini si
può rovesciare.
Fabiani
ne accerta la preparazione filologica, che dice massima per i suoi tempi, e
l’amplissima frequentazione delle letture allora correnti. Facendone perfino un
anticipatore di metodologie e richiami cui Contini sarebbe arrivato molto più
tardi. E ne porta plurimi esempi. Pound individua e mette in rilievo “la
continuità col pensiero di Riccardo di san Vittore”. Per primo individua “la poetica della luce che attraversa la
cantica paradisiaca”. È il primo, nell’Otto-Novecento, a saper leggere il
“Paradiso”. Eccetera.
Il
critico canadese Hugh Kenner, che introduce la raccolta secondo il vecchio
progetto di Scheiwiller, spiega che Pound si avvicinò a Dante da filologo:
“L’accostamento alla ‘Commedia’, che risale agli anni di università, non avvenne,
come per Eliot, sulla base di una conoscenza superficiale dell’italiano, bensì
dopo un periodo di studio sistematico di tale lingua e sotto la spinta di uno
specifico interesse filologico e linguistico”. Lo stesso che lo porterà, da
Londra dopo Venezia, a rinnovare polemicamente la poesia inglese: c’è Dante anche
in questa battaglia, attraverso le traduzioni, e la metodologia delle
traduzioni, in fatto di metrica, di ritmica, di fluidità – e di uso sapiente della metafora, di cui Dante è per Pound il maestro dei maestri.
La passione per Dante fu precoce
in Pound – per Dante in originale, moltissimi passi nei saggi qui inclusi trova
intraducibili, e riproduce per esteso, anche qualche canto. “A lume spento”, la
prima raccolta di poesie da lui pubblicata, a proprie spese, a Venezia, nel
1908, Bologna può dire “titolo esplicitamente dantesco”.
La lettura è anche agevole, Pound
scrive disteso. Talvolta fulminante, in uno dei tanti scritti su Guido Cavalcanti qui riproposto: “Il culto provenzale era stato culto delle
emozioni. Il culto toscano è culto delle armonie della mente”. Innovativo:
trova e prova “il debito dei poeti elisabettiani verso i toscani” - di fatto fa una lettura appassionante di Dante e Shakespeare in parallelo, oltre a trovare i debiti di Shelley e Yeats, mentre riduce il poema di Milton a un melodramma di maniera. Moderno,
naturalmente: “Non v’è dubbio che Dante concepisse l’Inferno, il Purgatorio e
il Paradiso come stati e non come luoghi”. Gran lettore, angelico, del
“Paradiso”. Trova in Dante, e fa gustare, anche l’umorismo.
Una immedesimazione, si direbbe, i
“Cantos” di Pound” sanno molto di Dante. Ma a distanza, da lettore critico.
Alla p. 61, il riferimento a
Coleridge, alla sua bellzza “καλον quasi καλουν”,
data in nota come “citazione non identificata”, viene dai “Principles of Genial
Criticism”, 1807.
Una storia a parte in coda al
volume, che Bologna e Fabiani raccontano, è quella del libro che Scheiwiller
fortemente voleva, e portò fino alle bozze, comprese le presentazioni
commissionate ad hoc, una a Maria Corti, e all’ultimo ogni volta fermava.
C’è anche un “Dante e Pound”, a
cura di Maria Luisa Ardizzone, 1998: una raccolta di saggi, italiani e
stranieri.
Corrado Bologna-Lorenzo Fabiani
(a cura di), Ezra Pound. Dante,
Marsilio, pp. 205, ril. € 20
Nessun commento:
Posta un commento