Ma la romanità non è bonaria
Molinari si promuove con un
contributo “storico” a Gigi Proietti, pieno di cose – interviste, ricordi, pezzi forti, estratti – e di umori. All’insegna della romanità, “Mandrake a
Roma” è il sottotitolo. Ma di una romanità bonaria. E questo è in sintonia con
Proietti ma non con la romanità - Proietti del resto, benché nato a Roma, e a via Giulia, era tosco-umbro di famiglia, con la quale ha vissuto a lungo da immigrato, provvisorio, cambiando residenza in continuazione, più che da romano-romano. Petrolini lo era, scettico per
non essere violento, e comunque cinico, ma di Petrolini Proietti prendeva solo
il porgere, nelle imitazioni.
Si confonde la romanità con la
bonarietà. Mentre è armata. Proietti per primo lo sapeva che sempre si è
difeso – muore con l’aureola, ma quanto ha faticato. Fino a Petrolini – fino a
Mussolini, che mezza Trastevere mandò al confino sigillandone i covi, una
deportazione, seppure in costosi condomini popolari d’architetto, ai Quattro
Venti e a Donna Olimpia – il romano romanesco sapeva di coltello facile. Molinari
apre la golosa compilazione celebrando l’apologo del cavaliere bianco e del
cavaliere nero, ma appunto: il cavaliere nero non è bonario.
Stefano Costantini-Paola Ermini (a cura di), Gigi
Proietti,
“la Repubblica”, pp. 144, gratuito col quotidiano
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