Quando il calcio era Totti
Una celebrazione, purtroppo chiusa
sull’amaro, con la polemica, lunga, incattivita, contro l’allenatore Spalletti
che non voleva più il quarantenne Totti, benché tonico (o non aveva preso
impegno con la società di convincerlo a smettere, per risparmiare sull’ingaggio?). E manca del tutto il Totti delle barzellette, di persona che le ha accettate con grandissima presenza di spirito - e ne ha anche tratto ampio beneficio, generoso, per opere di bene. Resta il piacere di un Totti bel ragazzo biondino, che smarca e segna con
tre\quattro geometrie calcolate, non casuali. Della grande famiglia Totti, fino
ai suoi bambini, con Ilaryi. Degli amici di sempre, tutti puliti - già il tatuaggio è
sospetto. Dei tanti allenatori che hanno dato a Totti e alla Roma, Mazzone,
Zeman, Capello, compreso il primo Spalletti (manca Boskov) - mentre dell’enigmatico
argentino mister Bianchi (bianci),
che voleva Littmanen e non Totti, si dice giusto il giusto. E un calcio
inventivo, frizzante, non lo smosciante possesso palla di questi anni – prendere
palla di fronte al portiere avversario, portarla rinculando fino al proprio
portiere, che poi nel migliore dei casi rinvia con un calcione, fuori campo, o
su una testa avversaria. Con la fedeltà alla squadra, che era – ed è, sarebbe –
il cemento del tifo, dell’orgoglio di bandiera, di un po’ di passione.
Già un com’eravamo del calcio, già
un Totti è così remoto?
Alex Infascelli, Mi chiamo Francesco Totti, Sky
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