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Quinte colonne in Europa
“Quando mia madre è arrivata in
Francia non portava il velo e non parlava neppure l’arabo, cercava di
integrarsi”, Fatiha Agag-Boudjahlat a Stefano Montefiori su “La Lettura”, l’anno
era tra il 1970 e il 1980, non molto tempo fa: “Noi tornavamo a visitare i parenti in Algeria una volta
ogni tre anni quando andava bene. I miei nipoti ci vanno di continuo, tre volte
l’anno, con i voli low cost. Vivono
in Francia ma il sistema di valori, l’orizzonte, è l’Algeria”.
Fatiha Boudjahlat è una insegnante
di liceo franco-algerina. Quarantenne, femminista, polemista, con numerosi
saggi di successo (Montefiori la intervista per l’ultimo, “Combattre le
voilement”) e con un paio di fallimenti politici (movimenti, candidature) già
alle spalle - riconosciuta e non contestata solo in quanto avvocata della Francia
una e repubblicana (laica). Ma parla chiaro.
L’islamismo non è fine a se
stesso, punta a una guerra civile: “Gli islamisti non vedono l’ora che qualche
invasato di estrema destra faccia un attentato contro dei musulmani per provare
che la Francia è islamofoba e cattiva. È il loro sogno”.
Non ci sono quinte colonne, ma l’islam come un’enclave in Europa:
“Ma non credo a una guerra civile. Penso che evolveremo verso una forma di
apartheid, che rinunceremo alla nostra idea di Stato-nazione francese.
Perderemo la battaglia, ci adegueremo all’idea di muticulturalismo all’anglosassone,
così lontana dalla nostra storia, in cui la gente sfinita dirà: «Lasciateli
vivere come vogliono, applichino pure la sharia
tra di loro, basta che non vengano a mescolarsi con noi»”.
Non c’è radicamento: “Ce l’ho, e
tanto, con le persone della mia generazione, con i miei fratelli figli di immigrati,
come me. Lo vedo come si comportano con i miei venti nipoti. È gente che in
Francia si è realizzata professionalmente, eppure per prima cosa hanno mandato
i loro figli alla moschea, che è quasi sempre ormai il luogo dell’ortodossia
religiosa, perché è il discorso più estremista a vincere. Oggi non si può
essere che iper-musulmani, altrimenti arriva l’accusa di tradimento”.
Non è un problema di spesa
sociale. “È quel che tendeva a pensare il presidente Macron, che di formazione
è un liberale multiculturale anglosassone, per il quale basta che ognuno abbia
soldi a sufficienza e i problemi spariscono. Non è così, anche i musulmani, in
Francia, di solito stanno bene, meglio di quanto potrebbero mai stare nei paesi
d’origine. Solo che in troppi preferiscono crogiolarsi nel vittimismo e
ascoltare il discorso degli imam radicali”.
La schizofrenia dilaga: “I miei
nipoti sono completamente perduti. Figli di figli di immigrati, a differenza di
me non si sentono francesi perché i loro genitori non parlano loro che del bled, il paese natale in Algeria”.
Antifrancesi, ma in Francia: “Si
guardano bene dal tornare a viverci stabilmente”, al bled, “gli ospedali sono disastrosi”, lo Stato sociale non c’è,
eccetera: “Quindi si vive in Francia, ma si guarda la tv algerina, con i salari
francesi si mettono da parte soldi per comprare grandi case in Algeria, e per
fare vacanze in Algeria andando tutti i giorni al ristorante, perché, grazie
agli euro guadagnati in Francia, «il ristorante non costa niente»”.
Siamo alla terza generazione, e
non c’è rimedio: “I ragazzini pensano che l’Algeria sia il paradiso in terra e
nessuno insegna loro ad amare anche la Francia. Io ci provo e per questo vengo
chiamata «araba di servizio»”.
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