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giovedì 5 novembre 2020

Secondi pensieri - 433

zeulig

Fascismo – È una causa o un effetto? Causa di razzismo, xenofobia, sessismo. Effetto di incultura, frustrazione, impoverimento. È un effetto con una causa, un rapporto perfino ovvio che Eco no considera nell’“ Ur-fscismo”.
Eco sa – lo sanno tutti, lui comunque lo ha appena detto – che il fascismo s’innesta – forse nasce, ma sicuramente vi s’innesta – sulla depressione economica e sula frustrazione dei ceti medio-bassi. Sull’impoverimento. In un quadro (un futuro) di paura. Nasce cioè come movimento di difesa. Ma poi se ne dimentica – lo dimentica Eco, non il fascismo - deliziandosi con la trovata dell’Ur-fascismo, che da Noè in poi,  o da Adamo?, da Caino?, nasce e cresce nell’uomo con “la naturale paura della differenza”. Che perciò si fa “naturalmente” razzista, xenofobo, sessista. Una deriva che però tanto naturale – umana – non è, umana essendo al contrario la curiosità, cioè la ricerca del nuovo, e quindi del diverso, che  ciò che ha assicurato la sopravvivenza e la “formazione” dell’umanità.  
Si prenda il maschilismo. Che è del fascismo storico, ma assente oggi – minoritario, muto. O
ggi che i capi dei movimento neo fascisti, in Italia, Francia, Germania (e la Birmania? e la Liberia? per dire dei Nobel per la pace) sono donne. O la Neolingua, la lingua di legno, il quattordicesimo componente del fascismo di Eco  – di origine orwelliana, ma Orwell la diceva del sovietismo. Oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto, l’insostenibile conformismo di una borghesia che si pretende progressista e aperta mentre è guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice. Tutto vero, ma anche tutto falso, si può dire di Eco alla Eco – dire quasi la stessa cosa. Ottima la sua conclusione : “L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti”. Vero anche questo. Ma bisogna vigilare con occhi liberi, senza paraocchi.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato pacifista.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato pacifista.
Fascismo è violenza. Di gruppi specifici o isolati, come fu lo squadrismo fascista, essenzialmente toscano ed emiliano. Che oggi si reincarnerebbe nell’hooliganismo, bullismo, di periferia, immigrato. La sindrome francese, senza sapere o riflettere che la periferia francese non è quella italiana – e nemmeno quella britannica: senza sapere o riflettere sulle realtà reali.
Ma la distinzione fra causa ed effetto è necessaria per capire il populismo oggi. Che sicuramente è vaccinato contro il fascismo, sia pure non razzista né sessista – contro un governo non democratico. Ma altrettanto sicuramente s’innesta su un impoverimento ormai trentennale, che ha colpito le generazioni del millennio e ora anche il ceto medio protetto – dal lavoro, l’occupazione, la previdenza, l’assistenza.
 
Guerra giusta – “Ci sono guerre giuste, non ci sono eserciti giusti”, A. Malraux, “La speranza”, 468
 
Intolleranza - È poco tollerata – discussa, analizzata. Resta in subordine nel vagamente inteso – opinione comune, sentimento generalizzato. Mentre è concetto sensibile, di difficile equilibrio o armonizzazione. Trascendendo i concetti politici cardine: totalità, maggioranza e la minoranza, destra e la sinistra, democrazia e dittatura. E le dialettiche entro cui il suo opposto, la tolleranza, si configura. Intolleranza è del singolo, che vi esercita la dissidenza. Che è un diritto, ma talvolta opprimente, fino al terrorismo. O, nell’opinione pubblica, la minoranza che diventa schiacciante, e per essere minoranza  non ritiene di doversi un equilibrio – rispetto dell’altro, anche se è maggioranza (o a maggior ragione se lo è, si direbbe). Si arroga la pagella, la promozione, e fin la censura. Coltiva e impone la legge del sospetto. Ha superiore concetto di sé, personale non so anche sociale e politico.
L’intolleranza della tolleranza è concezione ardua. Ma censibile di fatto.  
 
Intellettuale – Anti-manicheo, lo sintetizza-definisce Malraux ne “La speranza”, e quindi anti-politico.
La verità si vuole indecisa, e frammentata. Se è l’obiettivo o il terreno di esercitazione dell’intellettuale, come riduzione “politica” (ideologica) del filosofo. Anche se – di fatto, operativamente, socialmente –  è o opera come “gregge di menti indipendenti”, poteva dire sarcastico Harold Rosenberg, il critico d’arte coniatore dell’action painting.
 
Italia – Esisteva prima di essere costituita istituzionalmente. In Virgilio e altrove – “Italiam non sponte sequor”, obietta Enea a Didone che vorrebbe trattenerlo, debbo andare in Italia anche se non vorrei. Chi scrive da sempre si indirizza all’Italia - alle singole città o ai principati me nel complesso all’Italia. Lo stesso i commercianti, banchieri, viaggiatori: fanno riferimento all’Italia – a questa o quella città, questo o quell’ambiente, ma in Italia, dicendolo o sottintendendolo. Come in qualcosa geograficamente definita, visibile, poiché è al di là delle Alpi, il “limes” è incontestabile. E di lingua comune, già quando non era ancora toscana. 
Non si pone bene in mente questo tratto. Che è costitutivo del modo di essere italiano: una comunità di lingua e di cultura, di usi e modo di vivere (edilizia, agricoltura, ambiente, urbanistica, architettura…), invece che di leggi e dominio (potere, governo), di un sistema politico e istituzionale unificato – agito, imposto.

È del resto vero che l’Italia non ha ancora forgiato lo Stato.
Il ritardo è comune anche alla Germania, dove la nazione ha preceduto lo Stato. E, come in Italia, ha preso forme improduttive e dissolventi: autoritarismo, corruttela. Un non-essere che si definisce al confronto in Europa con lo Stato massimo (Francia, Spagna) e minimo (Gran Bretagna).   
 
Libri sacri - “Il libro sacro di cui si sconoscono meglio le condizioni in cui è stato scritto è il Corano”, nota Calvino nel  romanzo anti-romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Questo fa una differenza? Non si direbbe – anzi, il “Corano” è tra i libri profetici il più dispersivo in aneddotica non afferente, non al sacro, nemmeno nella forma allegorica  metafor
ica.
I libri sacri vivono della fede, non della lettura critica. Lo stesso Calvino riporta della sterminata aneddotica maomettana la storia dello scrivano che, scandalizzato che il Profeta non corregga un suo errore di scrittura, abbandona la scrittura e perde la fede.
I libri sacri e profetici possono con tenere di tutto. Anche bestemmie? La Bibbia in abbondanza.  
 
Tradizione – Può essere innovativa – se è fertile, non morta. La “tradizione del nuovo”, che Harold Rosenberg individuava per l’arte contemporanea: il modo come la storia procede, per tentativi ed errori, condizionati da ciò che si è stati e si è.

zeulig@antiit.eu

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