zeulig
Fascismo – È una causa o
un effetto? Causa di razzismo, xenofobia, sessismo. Effetto di incultura, frustrazione,
impoverimento. È un effetto con una causa, un rapporto perfino ovvio che Eco no
considera nell’“ Ur-fscismo”.
Eco
sa – lo sanno tutti, lui comunque lo ha appena detto – che il fascismo s’innesta
– forse nasce, ma sicuramente vi s’innesta – sulla depressione economica e sula
frustrazione dei ceti medio-bassi. Sull’impoverimento. In un quadro (un futuro)
di paura. Nasce cioè come movimento di difesa. Ma poi se ne dimentica – lo dimentica
Eco, non il fascismo - deliziandosi con la trovata dell’Ur-fascismo, che da Noè
in poi, o da Adamo?, da Caino?, nasce e
cresce nell’uomo con “la naturale paura della differenza”. Che perciò si fa “naturalmente”
razzista, xenofobo, sessista. Una deriva che però tanto naturale – umana – non
è, umana essendo al contrario la curiosità, cioè la ricerca del nuovo, e quindi
del diverso, che ciò che ha assicurato
la sopravvivenza e la “formazione” dell’umanità.
Si
prenda il maschilismo. Che è del fascismo storico, ma assente oggi –
minoritario, muto. Oggi che i capi
dei movimento neo fascisti, in Italia, Francia, Germania (e la Birmania? e la
Liberia? per dire dei Nobel per la pace) sono donne. O la Neolingua, la lingua
di legno, il quattordicesimo componente del fascismo di Eco – di origine orwelliana, ma Orwell la diceva
del sovietismo. Oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto,
l’insostenibile conformismo di una borghesia che si pretende progressista e
aperta mentre è guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice. Tutto
vero, ma anche tutto falso, si può dire di Eco alla Eco – dire quasi la stessa
cosa. Ottima la sua conclusione : “L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le
spoglie più innocenti”. Vero anche questo. Ma
bisogna vigilare con occhi liberi, senza paraocchi.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del
Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il
franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu
un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per
antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se
solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il
meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e
tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu
bellicista dopo essere stato pacifista.
Di “eterno” il fascismo non ha nulla, è un movimento politico europeo, del
Novecento, tra le due guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il
franchismo postbellico, o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu
un pilastro alleato, sono già un’altra cosa. Il fascismo per
antonomasia, mussoliniano, italiano, quello che è durato di più, anche se
solo un ventennio, e che è stato il più vociferante e presenzialista, era il
meno definito e anzi contraddittorio: anticlericale e clericale, innovatore e
tradizionalista, rivoluzionario e reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu
bellicista dopo essere stato pacifista.
Fascismo
è violenza. Di gruppi specifici o isolati, come fu lo squadrismo fascista,
essenzialmente toscano ed emiliano. Che oggi si reincarnerebbe nell’hooliganismo,
bullismo, di periferia, immigrato. La sindrome francese, senza sapere o
riflettere che la periferia francese non è quella italiana – e nemmeno quella
britannica: senza sapere o riflettere sulle realtà reali.
Ma
la distinzione fra causa ed effetto è necessaria per capire il populismo oggi. Che
sicuramente è vaccinato contro il fascismo, sia pure non razzista né sessista –
contro un governo non democratico. Ma altrettanto sicuramente s’innesta su un
impoverimento ormai trentennale, che ha colpito le generazioni del millennio e
ora anche il ceto medio protetto – dal lavoro, l’occupazione, la previdenza, l’assistenza.
Guerra giusta – “Ci sono
guerre giuste, non ci sono eserciti giusti”, A. Malraux, “La speranza”, 468
Intolleranza - È poco tollerata
– discussa, analizzata. Resta in subordine nel vagamente inteso – opinione
comune, sentimento generalizzato. Mentre è concetto sensibile, di difficile
equilibrio o armonizzazione. Trascendendo i concetti politici cardine: totalità,
maggioranza e la minoranza, destra e la sinistra, democrazia e dittatura. E le
dialettiche entro cui il suo opposto, la tolleranza, si configura. Intolleranza
è del singolo, che vi esercita la dissidenza. Che è un diritto, ma talvolta
opprimente, fino al terrorismo. O, nell’opinione pubblica, la minoranza che
diventa schiacciante, e per essere minoranza non ritiene di doversi un equilibrio – rispetto
dell’altro, anche se è maggioranza (o a maggior ragione se lo è, si direbbe). Si
arroga la pagella, la promozione, e fin la censura. Coltiva e impone la legge
del sospetto. Ha superiore concetto di sé, personale non so anche sociale e
politico.
L’intolleranza
della tolleranza è concezione ardua. Ma censibile di fatto.
Intellettuale –
Anti-manicheo, lo sintetizza-definisce Malraux ne “La speranza”, e quindi
anti-politico.
La verità si vuole indecisa, e
frammentata. Se è l’obiettivo o il terreno di esercitazione dell’intellettuale,
come riduzione “politica” (ideologica) del filosofo. Anche se – di fatto,
operativamente, socialmente – è o opera
come “gregge di menti indipendenti”, poteva dire sarcastico Harold Rosenberg,
il critico d’arte coniatore dell’action
painting.
Italia
–
Esisteva prima di essere costituita istituzionalmente. In Virgilio e altrove –
“Italiam non sponte sequor”, obietta Enea a Didone che vorrebbe trattenerlo,
debbo andare in Italia anche se non vorrei. Chi scrive da sempre si indirizza
all’Italia - alle singole città o ai principati me nel complesso all’Italia. Lo
stesso i commercianti, banchieri, viaggiatori: fanno riferimento all’Italia – a
questa o quella città, questo o quell’ambiente, ma in Italia, dicendolo o
sottintendendolo. Come in qualcosa geograficamente definita, visibile, poiché è
al di là delle Alpi, il “limes” è incontestabile. E di lingua comune, già
quando non era ancora toscana.
Non si pone bene in mente questo tratto.
Che è costitutivo del modo di essere italiano: una comunità di lingua e di
cultura, di usi e modo di vivere (edilizia, agricoltura, ambiente, urbanistica,
architettura…), invece che di leggi e dominio (potere, governo), di un sistema politico
e istituzionale unificato – agito, imposto.
È del resto vero che l’Italia non ha
ancora forgiato lo Stato.
Il ritardo è comune anche alla Germania,
dove la nazione ha preceduto lo Stato. E, come in Italia, ha preso forme improduttive
e dissolventi: autoritarismo, corruttela. Un non-essere che si definisce al confronto
in Europa con lo Stato massimo (Francia, Spagna) e minimo (Gran Bretagna).
Libri sacri - “Il libro
sacro di cui si sconoscono meglio le condizioni in cui è stato scritto è il Corano”,
nota Calvino nel romanzo anti-romanzo
“Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Questo fa una differenza? Non si
direbbe – anzi, il “Corano” è tra i libri profetici il più dispersivo in
aneddotica non afferente, non al sacro, nemmeno nella forma allegorica metaforica.
I libri sacri vivono della fede, non della lettura critica. Lo stesso
Calvino riporta della sterminata aneddotica maomettana la storia dello scrivano
che, scandalizzato che il Profeta non corregga un suo errore di scrittura, abbandona
la scrittura e perde la fede.
I libri sacri e profetici possono con tenere di tutto. Anche bestemmie?
La Bibbia in abbondanza.
Tradizione – Può essere
innovativa – se è fertile, non morta. La “tradizione del nuovo”, che Harold
Rosenberg individuava per l’arte contemporanea: il modo come la storia procede,
per tentativi ed errori, condizionati da ciò che si è stati e si è.
zeulig@antiit.eu
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