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Vita triste del cabarettista
Vian è stato un personaggio della
Parigi dopoguerra, protagonisa della Rive
gauche intellettuale. Da musicista – trombettista jazz – e chansonnier, cabarettista animatore di Saint-Germain
des Prés, del Tabou, la cantina più in voga del dopoguerra poeta, scrittore di
molteplici racconti, sul filo dell’ironia, anche di gialli col nome di Vernon
Sullivan, attore, regista di film. Un intellettuale solido, “con 85 kg. di carcassa”,
e 1.85 di altezza, autore di 500, sic!, canzoni, di più di 500, animatore. Noto
in tutta la Francia in quanto bestia nera dei benpensanti, per l’antimilitarismo:
determinato, perfino cattivo – la canzonetta “Il disertore” fece eseguire il 27
maggio 1954, il giorno di Dien Bien Phu,
la fine a lungo attesa dell’assedio nazionalista al colonialismo francese nell’allora
Indocina (Vietnam, Laos, Cambogia).
Vian è autore énaurme, direbbe il père Ubu, di
poesia, romanzi, trattati, canzoni. Patafisico senza cattiveria, tra Jarry e
Queneau. Di attività prodigiosa, quantitativamente e anche qualitativamente, in
una vita breve, ma non accettato (situato, sistemato) dalla critica: è stato e
resta soprattutto un personaggio. Di famiglia ricca rovinata dal crac del 1929,
costretta ad affittare la villa con parco di proprietà, Boris crebbe con Yehuda Menuhin, il cui padre fu il
primo affittuario. A Ville d’Avray, che darà il titolo al primo film francese premio
Oscar, “Les dimanches de Ville d’Avray” (“L’uomo senza passato”). Dai dodici anni
handicappato da un reumatismo cardiaco, che lo consumerà ad appena 39 anni. Alle
cronache pure per essere stato abbandonato dalla moglie Michelle nel 1950, dopo
dieci anni di matrimonio, per Sartre (Michelle lo lasciò per fare qualche
viaggio con Sartre - il più documentato fu a Roma e Napoli, dove Sartre la presentò
agli amici, Moravia, Carlo Levi - ma presto fu anche lei abbandonata, senza mai essere stata ammessa
alla confraternita de Beauvoir-Sartre). Morirà nel cinema Marbeuf, mentre assisteva
all’anteprima del film tratto dal suo romanzo “Sputerò sulle vostre tombe”, un
film che lo aveva fortemente contrariato, soffocato da edema polmonare.
Ma è curiosamente personaggio e
scrittore malinconico, malgrado l’esprit,
e benché di nomea trasgressiva. La lettura degli estratti, invece dei testi a
seguire, ne fa anzi un uomo triste. E non per la scelta del curatore, Florian
Madisclaire, avendo qualche dimestichezza con gli scritti di Vian. La copertina
è allegra, una foto ridente di Vian in posa da mister Muscolo in spiaggia con
la seconda moglie Ursula Klüber piegata scherzosamente ad arco. Una vita energetica,
che si vuole felice, malgrado tutto. Una sorta di antitesi di Ennio Flaiano,
persona infelice ma di taglio corrosivo, e autore di opere che vivono per sé,
senza il personaggio autore, al cinema e nella scrittura. Vian è prodigo
piuttosto di infelicità.
La storia personale forse ha pesato,
l’abbandono della moglie per Sartre. Boris si rifece pronto con Ursula Klüber,
più giovane, bella e atletica, ballerina
della compagnia di Maurice Béjart e Roland Petit, attrice svizzera, che per cinquant’anni
ne curerà tenace la memoria. Coinquilino con lei di Prevert, col quale la coppia
condivideva il terrazzo. Ma negli ultimi anni, a partire dal 1950, prima o in
conseguenza dell’abbandono coniugale, deluso dallo steso mito di Saint-Germanin
che aveva creato. Studia molto, riflette, lavora a lungo a un “Trattato di
civismo”, contro la guerra, contro la “schiavitù del lavoro”, i partiti, le
istituzioni. Più utopico che anarchico.
Molto amato ancora oggi in
Francia, con numerose opere in catalogo. Paradossale. “La storia è interamente vera
perché l’ho immaginata da un capo all’altro”. Ma più svitato, saggiamente. Un
po’ aspro, e non per i dispiaceri (la malattia, l’abbandono, la marginalità),
per filosofia: “L’humour è la buona educazione della disperazione” – “si trovano
sempre scuse per vivere”. Ma non poi tanto, non c’è molta scelta in questa
scelta, non di aforismi o detti memorabili. “Dopotutto essere bianco è una
mancanza di pigmento più che una qualità speciale”. “Gli articoli di fondo non
risalgono in superficie”. “I profeti hanno sempre il torto di avere ragione”.
“Il denaro non fa la felicità di quelli che non ne hanno”. Più impegnato che
caustico. Per il jazz, per la pace, contro ogni forma di militarismo.
Boris Vian, Ça m’apprendra à dire des conneries, 1001Nuits, pp. 118 € 4,50
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