Il mondo com'è (416)
astolfo
Disgelo – Non fu sempre guerra,
seppure fredda, nella guerra fredda. Alla morte di Stalin a Mosca, il 5 marzo
del 1953, seguì un periodo detto in russo del “disgelo” – da titolo di una
romanzo di Ilya Ehrenrburg, del 1954. L’ala dura del partito Comunista sovietico,
capitanata dal capo dei servizi segreti Beria, fu presto sconfitta: a luglio
Beria è in disgrazia, la polizia segreta sottomessa al partito, e il capo del
governo, Malenkov, e del partito, Krusciov, annunciano un nuovo indirizzo: più
beni di consumo, prezzi remunerativi ai produttori agricoli, soppressione dei
campi di lavoro forzato, amnistia
politica. Un gruppo di riforme che sarà ribattezzato col titolo del romanzo di Ilya
Ehrenburg allora in uscita, “Il disgelo”. Mentre si fanno contestare nella
stampa di partito gli abusi di potere autoritario e le spese di prestigio. E si
lasciano circolare voci sull’impreparazione sovietica a fronte della minaccia
hitleriana, ridimensionando Stalin nel suo titolo di maggior gloria, la sconfitta
di Hitler. Si riaprirono i contatti con gli Stati Uniti e i primi colloqui
furono avviati a Ginevra in vista di accordi di disarmo bilaterale. Si conclude
con un armistizio la guerra di Corea. Mosca partecipa alla conferenze internazionali
sulla Germania e sull’Indocina. Abbandona le pretese su Porkkala (Finlandia) e
Port Arthur (Cina). Smobilita un milione 200 mila soldati.
Il XXmo congresso del Pcus, quello della denuncia
dello stalinismo, lancia la strategia della coesistenza pacifica: competizione
economica con l’Occidente e sostengo sempre alle guerre di liberazione, ma la
guerra mondiale non è più in agenda.
Un periodo breve, che verrà alimentato dalle
voci sul rapporto di Krusciov al Pcus contro lo stalinismo, e porterà nel 1964
all’accordo per il bando degli esperimenti nucleari. Ma si è già chiuso politicamente
nel 1956, con la repressione in Polonia, dopo i fatti di Poznan a giugno
(l’insurrezione operaia è repressa dalle truppe sovietiche), e con l’invasione a
ottobre dell’Ungheria, contro la rivolta popolare.
Italo Calvino lo ricorda, ma in chiave si
direbbe contemporanea, di un dissidio con l’egemonismo cinese - nella “Nota
1979” al racconto che aveva scritto nel 1957, “La gran bonaccia delle Antille”,
sullo stallo in Italia tra Democrazia Cristiana e partito Comunista. Crede di
ricordare “la prospettiva di una guerra atomica che proprio allora divideva i
sovietici, che la presentavano come la fine della civiltà, dai cinesi che
tendevano a minimizzare i pericoli”.
Scomparsi
- Gli
scomparsi sono tanti, in ogni paese, persone di cui all’improvviso non si sa
più nulla. Sono stati 245 mila in Italia negli anni dal 1974, da quando se ne
tiene il conto, fino al 31 dicembre 2019. Rintracciate solo per due terzi. E
vanno ad aumentare, per effetto dell’immigrazione ma non solo. Nel 2018 sono stati
quasi 5 mila, con un aumento del 16 percento – in Francia 13 mila. Nel 2019
oltre quindicimila - 15.044 (di queste ne sono state ritrovate i due terzi,
9.846 – di cui 227 prive di vita).
Per classi di età, il maggior
numero sono minori. Soprattutto dei centri di accoglienza per immigrati. Nel
2019 le denunce di scomparsa di minori sono state 8.331, il doppio del 2018. In 2.955 casi i
minori scomparsi sono stati italiani, per 5.376 stranieri. Dall’1 gennaio 1974
al 31 marzo 2019 il numero dei minori scomparsi censito dal ministero dell’Interno
era di 122.208, per un terzo ancora da ricercare, 42.044. Un caso a settimana,
in media, in Italia riguarda bambini sottratti per liti familiari e finiti in Stati
esteri. Ma questo aspetto del fenomeno è legato soprattutto allo sfruttamento
dei minori, per lavoro illegale, accattonaggio, prostituzione. Il numero dei
bambini che ogni anno scompaiono nel mondo è attorno al milione
In Italia il fenomeno si è accresciuto
soprattutto con l’immigrazione. Dei 61.036 residenti in Italia che al 31 dicembre 2019 risultavano ancora da
rintracciare, erano italiani poco meno di un sesto, 9.959. I cinque sesti erano
stranieri, esattamente 51.077. È su questa quota di sparizioni che è molto
forte l’incidenza dei minori: erano 41.848 a fine 2019, i quattro quinti del
totale degli immigrati mancanti all’appello.
Dei 15.044 residenti di cui è stata denunciata
nel 2019 la scomparsa, più delle metà erano italiani, 7.905 (gli stranieri sono
stati di meno, 7.109) Le donne scomparse sono state 4.776. I minori molto più
della metà del totale, 8.331.
Su base regionale (i dati disponibili sono di
fine 2018) il fenomeno interessa in primo luogo la Sicilia: 26.635 denunce - sul
totale (1974-2018) di 229.687. Seguivano il Lazio, con 8.023 casi, la
Lombardia, 6.103, la Campania, 4.699, la Calabria, 4.659, e la Puglia (4.080.
Tedeschi-ebrei – In quarantamila
sono tornati a Berlino. Da Israele, non da un qualsiasi ghetto orientale.
Qualcuno a titolo di risarcimento, o così dice, “ci riprendiamo un po’ di
quello che ci hanno tolto”, in realtà perché in Germania si ritrovano, non
hanno mai smesso di essere tedeschi. A lungo in Israele, a Tel Aviv ma anche a
Gerusalemme, la lingua franca è stata il tedesco, puro o nella forma yiddish.
È più di un paradosso, che degli ebrei
si vogliano tedeschi. E ancora di più il viceversa, dei tedeschi ebrei, in petto, seppure recalcitranti e
maneschi. È ebrea la cosa più simpatica della Germania, il Maggiolino
Volkswagen. Era di Josef Ganz la Standard Superior del 1933, pubblicizzata come
“deutsche Volkswagen”, e come tale spiegata a Hitler al Salone dell’Auto di
Berlino in primavera, macchina popolare. Nel nome in codice, Maikäfer,
maggiolino, e in alcune componenti poi decisive per il successo: telaio a tubo
centrale, motore posteriore orizzontale, assali oscillanti, sospensioni
indipendenti. Ganz era ebreo. Volkswagen riconoscerà il debito nel 1961, quando
era incalzata in tribunale in una causa plurimiliardaria dal vecchio
costruttore Tatra, per dodici brevetti rubati alla Tatra 11, la prima
utilitaria tedesca. Cercò Ganz, lo trovò in Australia malato di cuore, effetto
di una cronica sindrome maniaco-depressiva, e gli chiese di certificare il suo
contributo originale al Maggiolino. Ganz testimoniò, gratis, ebbe solo una
decorazione di Prima classe per servizi resi alla Repubblica tedesca, il
Bundesverdienstkreuz I. Klasse des Verdiestordes der Bundesrepublik
Deutschland, e morì contento.
Il Novembre Rosso, col licenziamento del
kaiser e la proclamazione della repubblica, delle repubbliche, alla fine della
Grande Guerra, furono opera di ebrei. L’agitazione e la lega di Spartaco ebbero
in primo piano Rosa Luxemburg, Leo Logisches, Paul Levi. Preminente la presenza ebraica nella
repubblica socialista presieduta da Kurt Esiner, che il 7 novembre 1918 a Monaco
aveva liquidato i regnanti di Baviera – prodromo alla cacciata del kaiser. E
quando, il 6 aprile 1919, dopo l’assassinio di Eisner, fu proclama la
Repubblica dei Consigli, erano ebrei i membri più influenti: Erich Mühsam,
Ernst Toller, Frida Rubiner, Tobias Akselrod, Gustav Landauer, Ernst Niekisch. Così
pure Eugen Levine-Nissen, il capo degli spartachisti che subentrarono agli
anarchici.
astolfo@antiit.eu
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