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Il signor Nessuno
“Era il rovescio di ogni cosa che
m’incuriosiva, il rovescio delle case, il rovescio dei giardini, il rovescio
delle strade, il rovescio delle città, il rovescio dei televisori, il rovescio
delle lavastoviglie, il rovescio del mare, il rovescio della luna”. Ancora nel
1978, mentre cogitava questo “Palomar”, forse
lo stava scrivendo, Calvino immaginava un “Fulgenzio” che la sua giovinezza
vede così (“Lo specchio, il bersaglio”,
sul “Corriere della sera” 14 dicembre 1978, ora in “Prima che tu dica
«Pronto»”). Insoddisfatto: “Ma quando riuscivo a raggiungere il rovescio,
capivo che quello che cercavo io era il rovescio del rovescio, anzi il rovescio
del rovescio del rovescio, no; il rovescio del rovescio del rovescio….”.
Questo è quello che fa il signor
Palomar. In spiaggia d’estate guarda e indaga le onde e il topless, fa la
“nuotata serale”, perplesso, forse stanco, trova nel giardino di casa lo
strombazzare degli uccelli, specie il “fischio del merlo”, con qualche fastidio
(“ma i dialoghi umani sono qualcosa di diverso?”), strappa le erbacce,
osserva i tre “pianeti esterni” per una notte visibili tutt’e tre insieme,
Marte, Saturno e Giove. Poi si sposta in città. A Roma combatte i piccioni,
“lumen-pennuti”, “progenie degenerata e sozza e infetta, né domestica né
selvatica ma integrata nelle istituzioni pubbliche, e come tale
inestinguibile”. E osserva gli storni, perplesso – sull’intelligenza animale, o
delle trasmigrazioni. Indeciso la sera se guardare la tv o il geco. A
Parigi va dal formaggiaio, dal macellaio, allo zoo di Vincennes, che gli richiama
lo zoo di Barcellona, e al Jardin des Plantes. Ogni capitoletto segnando con
tre cifre, 1, 2, 3, ma non nello stesso ordine, spiega infine in nota, le cifre
si spostano col racconto. Perché ognuna di essere corrisponde a un particolare
senso tematico della zona del capitoletto che designa: “Gli 1 corrispondono
generalmente a un’esperienza visiva” (“un’immagine”), “nei 2 sono presenti
elementi antropologici, culturali in senso lato”, “i 3 rendono conto di
esperienze di tipi più speculativo”, cosmo, tempo, infinito, io, mondo –
passando così “dall’ambito della descrizione e del racconto a quello della
meditazione”. A Parigi seguono “i viaggi di Palomar”. Che iniziano con “I
silenzi di Palomar” – i silenzi per cui Calvino era famoso. Combattuto tra “il
parlare in certa misura e il non parlare mai”. Prova ad occuparsi della diatriba
tra i giovani e i vecchi. Ma non si appassiona che a modelli, fisici,
matematici, logici. Prova a farne forme di vita, non ci riesce. E allora guarda
il mondo, come se non fosse mondo. Insomma, ha “difficoltà di rapporti con il
prossimo”, ci “soffre molto”, e finisce per pensare al mondo senza di lui.
Una parabola della vita – di
Calvino. Un exploit notevole, ma niente più di questo, niente di appassionante
o memorabile. Poco empatico, come si dice oggi, e un pizzino anzi misantropo.
Scorre in fretta, come il fischio
del merlo, si chiude con disappunto, per il signor Palomar a disagio, e per sé.
Il racconto di un’inappetenza.
Italo Calvino, Palomar, Sorrisi e Canzoni tv + la
Repubblica, pp. 132 € 8,90
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