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La Bce contro le banche
È fragoroso il
silenzio della Bce sulle banche, nel blocco ormai quasi annuale dell’attività
economica. Se non per raccomandare l’aumento della liquidità, con limitazioni
ai dividendi e l’esclusione del buy-back a sostegno delle quotazioni. In una situazione in cui le banche galleggiano sulla
liquidità – stimata in Italia di ammontare attualmente superiore al pil
nazionale.
I problemi
della banche sono due. L’inattività, con costi generali che comunque corrono - Intesa, Unicredit e ogni altro istituto, grande e piccolo, hanno soprattutto un problema di inappetenza. E
i crediti incagliati o insoluti che tornano a riemergere per l’inattività del sistema produttivo, i
famigerati minacciosissimi npl, non
performing loans.
Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha alleggerito
questo fardello. Dal lato consumo, facendosi carico dei mutui sui debiti degli studenti,
sui ratei automobile e sulle carte di credito. Dal lato produzione acquistando
obbligazioni aziendali, seppure di emittenti di rating elevato. In Europa solo minacciosi avvertimenti.
La Bce,
orientata da Draghi sulla politica monetaria, un fronte sul quale è finora vincente, è impacciata e quasi indispettita
a fronte dei problemi bancari. Anche se è, istituzionalmente, la banca delle
banche.
È facile dirsi o porsi contro le banche, e la Bce, bizzarramente,
sembra collocarsi su questo fronte.
Nella patrimonializzazione su cui insiste, altra
bizzarria, la Bce non cessa di raccomandare alle banche aumenti di capitale. Pagati da chi, dagli investitori che la Bce raccomanda di non remunerare?
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