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sabato 5 dicembre 2020

Letture - 141

letterautore

Casinò – Figlio del caos? L’etimologia è incerta, anche perché ritorna, per questo accentato, dal francese. Ma la più probabile lo collega a “Casina”, una delle commedie riconosciute di Plauto, della ragazza “figlia del caso” – una commedia che sarebbe stata ispirata dal greco Difilo, da una commedia che aveva a protagonista Casina e si intitolava “L’estrazione a sorte”.
 
Classico
– È  romantico, Proust, “Journées de lecture”, 71: “La preferenza dei grandi scrittori va ai libri degli antichi. Quegli stessi che sembrarono ai loro contemporanei i più «romantici» non leggevano che i classici”. Perché il pubblico è romantico, lo scrittore è classico: “Si potrebbe quasi arrivare a dire, rinnovando forse, con questa interpretazione d’altronde tutta parziale, la vecchia distinzione tra classici e romantici, che sono i pubblici (i pubblici intelligenti, beninteso) che sono romantici, mentre i maestri (anche i maestri detti romantici, i maestri preferiti dai pubblici romantici) son classici”. Il fascino è classico, anche, l’antico.

Freud – Il “guignol austriaco, - M. Houellebecq, “Serotonina”.

Glaciazioni – Storia vecchia, non sole geologicamente – e immodificabile: “Tutta la storia umana s’è svolta nell’intervallo tra due glaciazioni che ora sta per finire”, scriveva Calvino nel 1975 come promozione per una ditta giapponese di whisky (poi pubblicata sul “Corriere della sera” come “La glaciazione”, e ripreso in volume in “Prima che tu dica «Pronto»”),  prima del “buco nell’ozono”.
 
Govoni – Lo ricordano due lettori sul “Robinson”, che pubblica le loro lettere, chiamandolo Carlo. Nessuno legge “Robinson”, o le lettere. Giusto sfogliarlo?
 
Lettura - “Si vuole sempre un po’ uscire da sé, viaggiare, quando si legge”, Proust, “Journées de lecture”,74
 
Morte – Meglio non essere nati, meglio la morte che la vita, etc., tutto l’armamentario schopenhaueriano, “le forse venti citazioni in fila” del “Mondo come rappresentazione e come volontà”, dapprima Proust sceneggia -  “riassumo naturalmente le citazioni” – nelle “Giornate di lettura”, da Voltaire a Byron, Erodoto, eccetera, come Schopenhauer li ha citati, collegandoli agli “Aforismi sulla saggezza della vita”, opera evidentemente compilativa, dice sempre Proust, di cui “Schopenhauer può dire il più seriosamente del mondo”: ‘Compilare non è il mio genere’”. Salvo poi concludere per sé, subito dopo, in relazione all’amicizia, “poiché non siamo tutti, tutti i viventi, che dei morti ancora non entrati in funzione”, etc. etc.
 
Nietzsche – È declinato in “l” da Cavino nel “Piccolo sillabario illustrato”, “l” da Lou Salomé – in un’ottima sintesi del rapporto-non rapporto tra i due. “Nei suoi inquieti amori con Nietzsche, Lou Salomé avrebbe ben voluto provocare nell’amico una levitazione non solo spirituale ma anche fisica”, Nietzsche le rispondeva che poteva levitare solo con la mente. Da qui la successione delle cinque vocali che Calvino immagina della lettera “L”: “L’ale li l’ho, Lou!” Lambiccato ma il senso è quello.
 
Occidente – “L’Occidente allo stadio orale” ripercorre  Houellebecq, “Serotonina”.
 
Padre – Resta sempre in ombra, semisconosciuto?  È tutto per David Livermore, il regista della Scala, che parlando con Iolanda Barrera, su “L’Economia”, attribuisce tutto il talento e tutto quanto ha fatto al padre: “Volevo fare qualcosa che rendesse felice il mio babbo: amava l’opera e desideravo che la persona che amavo di più sulla terra fosse fiero di me”. Un padre, però, che tiene nascosto e quasi segreto – sarà stato un signore inglese, a giudicare dal nome, ma altro?
 
Poesia – Si vuole giovane? Pasolini è morto di 53 anni, Baudelaire di 46 – alla stessa età Nerval si è impiccato. Leopardi di 41 anni, Campana di 47.
Moltissimi i russi morti presto: Griboëdov di trentaquattro anni, Puškin di trentasette, Lermontov, che trovò pure il tempo per valorose campagne nell’esercito, di ventisette.  Nel Novecento Chlebnikov è morto di trentasette anni, di vagabondaggio e miseria, Gumilëv di trentacinque, di piombo rivoluzionario, Blok di quarantuno, di toska, la fatica di vivere, ubriachezza e amori infelici, Esenin e Majakovskij, i due vitalisti suicidi, di trenta e trentasette, Mandel’štam di quarantasette, ai lavori forzati nel ghiaccio.
Trentasette potrebbe ritenersi l’età fatidica, segnata da Puškin e Majakovskij, dieci più dei poeti del secondo Novecento. Attorno al 1970 – o al mitico Sesantotto – morivano i poeti in musica di ventisette anni: Tomi Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones - Tenco di 29. Esistenze già piene, di poesia, e di sesso, droga e depressione. Reincarnazioni di Freud, si direbbero - o sue vittime: della sessualità serpentesca, da animale a sangue freddo. O è l’artista che presto non ha più nulla da dire – il manager che fa un’ultima puntata sulla morte? O erano i figli della guerra, che avendo vissuto in pace non reggevano la paura? Un tempo si moriva di trentatré, a partire da Alessandro Magno, poi l’età per questo tipo di sparizioni è calata. Sono i numeri che reggono il mondo? E chi li calcola con tanta stolida arguzia?
 
Tedeschi-ebreiSebald, “Storia naturale della distruzione”, nell’edizione originaria in inglese ha un saggio su Améry e uno su Peter Weiss. Due scrittori tedeschi che si sono scoperti all’improvviso non tedeschi – è il tema di Hannah Arendt – per le leggi di Norimberga. Con padri o madri, loro come tanti, ormai cristiani, qualcuno da tempo. E hanno avuto, hanno mentre scrivono, difficoltà a capirsi diversi. Weiss dà spesso nei drammi nomi di ebrei a figure di tedeschi-tedeschi – persecutori, torturatori, carcerieri. Ogni tanto congratulandosi. Weiss scrive nel diario nel 1964: “Quanto sono contento di non essere tedesco”. Ma nel poema dantesco “Die Ermittlung”, un inferno in 33 canti, dà nomi ebrei perfino a assistenti al genocidio, come a comprenderli nella Colpa – Per “un senso soggettivo di coinvolgimento personale nel genocidio” (Sebald, “On the natural History of Destruction”, 189), seppure “nevrotico”.
 
Yiddish – Per Manldel’stam (“Il rumore del tempo”, 1925, p. 33), “lingua melodiosa, interrogativa, sempre stupefatta e delusa, con accenti marcati sui semitoni”. Stupefatta dunque, ancora poco prima dell’Olocausto: gli ebrei si sorprendono a essere tedeschi.

letterautore@antiit.eu

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