Letture - 141
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Casinò –
Figlio del caos? L’etimologia è incerta, anche perché ritorna, per questo
accentato, dal francese. Ma la più probabile lo collega a “Casina”, una delle
commedie riconosciute di Plauto, della ragazza “figlia del caso” – una commedia
che sarebbe stata ispirata dal greco Difilo, da una commedia che aveva a
protagonista Casina e si intitolava “L’estrazione a sorte”.
Classico – È romantico, Proust, “Journées de lecture”, 71:
“La preferenza dei grandi scrittori va ai libri degli antichi. Quegli stessi
che sembrarono ai loro contemporanei i più «romantici» non leggevano che i
classici”. Perché il pubblico è romantico, lo scrittore è classico: “Si
potrebbe quasi arrivare a dire, rinnovando forse, con questa interpretazione
d’altronde tutta parziale, la vecchia distinzione tra classici e romantici, che
sono i pubblici (i pubblici intelligenti, beninteso) che sono romantici, mentre
i maestri (anche i maestri detti romantici, i maestri preferiti dai pubblici
romantici) son classici”. Il fascino è classico, anche, l’antico.
Freud –
Il “guignol austriaco, - M.
Houellebecq, “Serotonina”.
Glaciazioni –
Storia vecchia, non sole geologicamente – e immodificabile: “Tutta la storia umana
s’è svolta nell’intervallo tra due glaciazioni che ora sta per finire”,
scriveva Calvino nel 1975 come promozione per una ditta giapponese di whisky
(poi pubblicata sul “Corriere della sera” come “La glaciazione”, e ripreso in
volume in “Prima che tu dica «Pronto»”), prima del “buco nell’ozono”.
Govoni – Lo
ricordano due lettori sul “Robinson”, che pubblica le loro lettere, chiamandolo
Carlo. Nessuno legge “Robinson”, o le lettere. Giusto sfogliarlo?
Lettura - “Si
vuole sempre un po’ uscire da sé, viaggiare, quando si legge”, Proust,
“Journées de lecture”,74
Morte –
Meglio non essere nati, meglio la morte che la vita, etc., tutto l’armamentario
schopenhaueriano, “le forse venti citazioni in fila” del “Mondo come rappresentazione
e come volontà”, dapprima Proust sceneggia -
“riassumo naturalmente le citazioni” – nelle “Giornate di lettura”, da
Voltaire a Byron, Erodoto, eccetera, come Schopenhauer li ha citati, collegandoli
agli “Aforismi sulla saggezza della vita”, opera evidentemente compilativa,
dice sempre Proust, di cui “Schopenhauer può dire il più seriosamente del
mondo”: ‘Compilare non è il mio genere’”. Salvo poi concludere per sé, subito
dopo, in relazione all’amicizia, “poiché non siamo tutti, tutti i viventi, che
dei morti ancora non entrati in funzione”, etc. etc.
Nietzsche – È
declinato in “l” da Cavino nel “Piccolo sillabario illustrato”, “l” da Lou
Salomé – in un’ottima sintesi del rapporto-non rapporto tra i due. “Nei suoi
inquieti amori con Nietzsche, Lou Salomé avrebbe ben voluto provocare nell’amico
una levitazione non solo spirituale ma anche fisica”, Nietzsche le rispondeva
che poteva levitare solo con la mente. Da qui la successione delle cinque
vocali che Calvino immagina della lettera “L”: “L’ale li l’ho, Lou!” Lambiccato
ma il senso è quello.
Occidente –
“L’Occidente allo stadio orale” ripercorre Houellebecq, “Serotonina”.
Padre –
Resta sempre in ombra, semisconosciuto?
È tutto per David Livermore, il regista della Scala, che parlando con
Iolanda Barrera, su “L’Economia”, attribuisce tutto il talento e tutto quanto
ha fatto al padre: “Volevo fare qualcosa che rendesse felice il mio babbo:
amava l’opera e desideravo che la persona che amavo di più sulla terra fosse
fiero di me”. Un padre, però, che tiene nascosto e quasi segreto – sarà stato
un signore inglese, a giudicare dal nome, ma altro?
Poesia
–
Si vuole giovane? Pasolini è morto di 53 anni, Baudelaire di 46 – alla stessa età
Nerval si è impiccato. Leopardi di 41 anni, Campana di 47.
Moltissimi i russi morti presto: Griboëdov di
trentaquattro anni, Puškin di trentasette, Lermontov, che trovò pure il tempo
per valorose campagne nell’esercito, di ventisette. Nel Novecento Chlebnikov è morto di
trentasette anni, di vagabondaggio e miseria, Gumilëv di trentacinque, di
piombo rivoluzionario, Blok di quarantuno, di toska, la fatica di vivere, ubriachezza e amori infelici, Esenin e Majakovskij,
i due vitalisti suicidi, di trenta e trentasette, Mandel’štam di quarantasette,
ai lavori forzati nel ghiaccio.
Trentasette potrebbe ritenersi l’età fatidica,
segnata da Puškin e Majakovskij, dieci più dei poeti del secondo Novecento. Attorno
al 1970 – o al mitico Sesantotto – morivano i poeti in musica di ventisette
anni: Tomi Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones - Tenco di 29. Esistenze
già piene, di poesia, e di sesso, droga
e depressione. Reincarnazioni di Freud, si direbbero - o sue vittime: della
sessualità serpentesca, da animale a sangue freddo. O è l’artista che presto
non ha più nulla da dire – il manager che fa un’ultima puntata sulla morte? O erano
i figli della guerra, che avendo vissuto in pace non reggevano la paura? Un tempo
si moriva di trentatré, a partire da Alessandro Magno, poi l’età per questo
tipo di sparizioni è calata. Sono i
numeri che reggono il mondo? E chi li calcola con tanta stolida arguzia?
Tedeschi-ebrei – Sebald,
“Storia naturale della distruzione”, nell’edizione originaria in inglese ha un
saggio su Améry e uno su Peter Weiss. Due scrittori tedeschi che si sono
scoperti all’improvviso non tedeschi – è il tema di Hannah Arendt – per le
leggi di Norimberga. Con padri o madri, loro come tanti, ormai cristiani,
qualcuno da tempo. E hanno avuto, hanno mentre scrivono, difficoltà a capirsi
diversi. Weiss dà spesso nei drammi nomi di ebrei a figure di tedeschi-tedeschi
– persecutori, torturatori, carcerieri. Ogni tanto congratulandosi. Weiss
scrive nel diario nel 1964: “Quanto sono contento di non essere tedesco”. Ma
nel poema dantesco “Die Ermittlung”, un inferno in 33 canti, dà nomi ebrei
perfino a assistenti al genocidio, come a comprenderli nella Colpa – Per “un senso
soggettivo di coinvolgimento personale nel genocidio” (Sebald, “On the natural
History of Destruction”, 189), seppure “nevrotico”.
Yiddish – Per Manldel’stam (“Il rumore del
tempo”, 1925, p. 33), “lingua melodiosa, interrogativa, sempre stupefatta e
delusa, con accenti marcati sui semitoni”. Stupefatta dunque, ancora poco prima
dell’Olocausto: gli ebrei si sorprendono a essere tedeschi.
letterautore@antiit.eu
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