lunedì 21 dicembre 2020

Spia e gentiluomo

“In sé la pratica dell’inganno non è particolarmente faticosa; è una questione d’esperienza, di esperienza professionale, è una capacità che la maggior parte di noi può acquisire.  Ma mentre un imbroglione, un attore o un giocatore d’azzardo può rientrare dalla performance nei ranghi dei suoi ammiratori, l’agente segreto non ha questo sollievo”. Lo spione è prigioniero del suo ruolo: “Per lui l’inganno è anzitutto una questione di autodifesa. E deve proteggersi non solo dall’esterno, ma dall’interno”, da se stesso, “e contro gli impulsi più naturali”. Sono frasi del primo libro, subito di gran successo, di Le Carré nel 1963, che il suo amico Lane nell’epicedio sul “New Yorker” pone in apertura, come a dire “vita infelice di una spia”.
Il ricordo è però tutto in positivo. Di uno scrittore che fu una spia. E una spia forse fra le meno leali, poiché si celava sotto lo statuto di diplomatico (in Inghilterra il servizio segreto fa capo al Foreign Office, al ministero degli Esteri). Successore in Germania di George Blake, lo spione inglese cha faceva il doppio gioco per Mosca - dove ancora vive, centenario. Ma ne scrisse onestamente, quali che siano gli eventi reali cui possa avere preso parte personalmente. E soprattutto, nota il critico cinematografico della rivista newyorchese, che è anche uno specialista di Ian Fleming (e di Patrick Leigh Fermor), uno scrittore che regge agli anni. Non di genere, soprattutto se lo si compara, nello stesso genere, lo spionaggio, con Ian Fleming: uno scrittore e basta.
Ma fu un uomo anche, spia e tutto, di un’altra epoca. Lane cita da “The Pigeon Tunnel”, il libro di memorie di Le Carré non tradotto, la sua meraviglia, quando era giovane diplomatico a Bonn nei primi anni 1960: “Era un tempo, ci racconta, in cui vite pulite e produttive erano vissute, nello spirito del servizio pubblico, da tedeschi dal passato sporco, e quell’enigma – com’è possibile che si proceda e si prosperi, come nazione o come individui, quando per farlo ci vuole un atto così monumentale di dimenticanza? – chiaramente è rimasto incollato a Le Carré”.
Anthony Lane, John Le Carré missed nothing, “The New Yorker”, 14 dicembre 2020

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