martedì 8 dicembre 2020

Su un mare, minaccioso, di liquidità

Tesla ha superato i 400 dollari di quotazione a Wall Street, e si fa già l’ipotesi di quota 800. Una valutazione che consentirebbe a Musk, il patron di Tesla, di comprarsi senza problemi la Mercedes – anche Volkswagen volendo, non ci fosse la proprietà pubblica. E che dovrebbe essere un richiamo per la liquidità in cerca di collocazione, e invece fa paura.
Il 25 novembre Wall Street (l’indice Dow Jones) ha sfondato quota 30 mila punti (oggi è 30.070). Sarà stato l’ultimo trionfo di Trump, nel 2016 il Dow Jones era poco più della metà, a 18 mila punti. Non è infatti un boom campato sul nulla, come quello che sfociò nella crisi bancaria 2007-2009, con i mutui spazzatura, alla sesta o alla settima ipoteca. In parallelo, e di poco meno, il 50 per cento, è cresciuto nei quattro anni anche il debito pubblico americano, da 18 a 27 mila miliardi – dodici volte il temutissimo debito italiano.
Quello delle Borse – sulla scia di Wall Street, anche se con meno euforia, si muovono le Borse europee e asiatiche – non è un crescita basata sul nulla: ha a fondamento il quantitative easing  delle banche centrali, la creazione illimitata – ha statuito la Federal Reserve americana – di liquidità. Che però ha un fine, e quindi una fine: stimolare la domanda, rianimare i prezzi al livello di galleggiamento del sistema, l’inflazione al 2 per cento. Ma è lo steso una liquidità drogata. Fino a quando?
È anche vero che molte quotazioni sono spropositate. Google a 1.810 dollari, Amazon a 3.133 - con variazione giornaliere di 30 e anche di 40 dollari, quanto basta per farsi una fortuna in poche ore, sapendo o potendo manovrare, ma senza altro senso economico. Sono quotazioni che non hanno base, e quindi come finirà?
La paura è quella del crack dot.com, vent’anni fa. Il 10 marzo 2000 il Nasdaq, il listino a Wall Street delle novità,  aprì al massimo storico, e chiuse con una perdita di 84 punti, l’inizio di una valanga. Amazon crollò da 107 a 7 dollari – Bezos è un mago della capitalizzazione di Borsa, più che della logistica (naturalmente è uscito dal crollo più ricco). Si sgonfiò in poche settimane, drenando le risorse di molti milioni di risparmiatori, il boom delle dot.com, le mille germinazioni della nuova era digitale, pompate a livelli stratosferici - Soru quotava con Tiscali più degli Agnelli - e d’improvviso ridotte a zero o poco più.

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