Il Medio Oriente arabo si smarca dalla
questione palestinese. È la novità del piano Trump. Che non passerà all’Onu,
poiché contrario alla Risoluzione 1967 sulla Cisgiordania, ma è nei fatti.
Per
questa stessa ragione il piano Trump non sarà però nemmeno proposto all’Assemblea dell’Onu:
perché i governi arabi che finora, almeno formalmente, hanno sostenuto i
Palestinesi, e la stessa Russia, già loro bastione in Consiglio di Sicurezza,
non vogliono più esporsi a loro favore. I potentati della penisola arabica,
l’Egitto, la Siria e - per il poco che conta in Medio Oriente - il Maghreb non
si occupano dei Palestinesi. La risoluzione della Lega Araba è una formalità.
Un equivoco durato mezzo secolo si
dissolve: il nazionalismo arabo è morto con Nasser. Rinverdito dieci anni fa
dalle “primavere arabe”, ma quello era un equivoco indotto
dall’amminisrtrazione americana, di Obama e Hillary Clinton.
sabato 1 febbraio 2020
Modello Deutsche Bank
Un “buco” di bilancio di sei miliardi
non si cumula in un anno, il 2019: viene da lontano – e non si è chiuso al 31
dicembre.
Le nuove gestioni – Deutsche Bank ha
rinnovato il management – caricano di
regola tutte le possibili perdite nel loro primo bilancio, imputandole alla
gestione precedente. Questo è anche il caso del gruppo tedesco, la maggiore
banca d’Europa, ma non esaurisce il potenziale di sofferenza.
Per valutare i
possibili sviluppi è utile il quadro che ne fa G.Leuzzi, “Gentile Germania”,
Robin ed., (il libro è di fine 2013, ma tuttora in edizione) alle pp.
97-100, § 4. Le colpe dell’Italia, “La ricetta Ackermann”:
“Sul debito
bisogna intendersi: la colpa qui, per la Germania, è senza dubbio dei latini.
Prendiamo il caso dell’Italia, dell’offensiva contro i Btp della primavera
2011, i buoni del Tesoro italiano. La Deutsche Bank, subito imitata dalle
banche tedesche minori, vendette tutti i suoi Btp, che allora quotavano a valori
superiori al nominale. Vendette cioè non per ricoprirsi da perdite ma per
guadagnarci. E a luglio ne informò il Financial
Times, dopo aver ricomprato Btp a termine, a prezzo prevedibilmente più
basso. E aver fatto incetta di credit default swap collegati ai
Btp, titoli di controassicurazione sul rischio insolvenza dell’Italia, sui
quali intanto lucrava un rendimento elevato. Con una mano. Con l’altra diffuse
a fine luglio un rapporto favorevole ai Btp.
“Un modello di speculazione. Fu l’inizio della crisi dell’Italia.
Innescata a freddo, non per caso. Era a capo di Deutsche Bank Josef Ackermann, “il
più potente banchiere del mondo” per il New
York Times. Potente coi politici, in Germania e fuori – in Italia aveva
Giuliano Amato a “maggior consulente”. Per Simon Johnson, capo economista al Fondo
Monetario, “uno dei banchieri più pericolosi del mondo”. Amministratore
delegato dal 2002, aveva impegnato Deutsche Bank nei mutui senza garanzie, la
bolla scoppiata nel 2007. Per queste e altre attività arrischiate della sua gestione
- la vendita di derivati agli enti locali in Italia e la manipolazione dei tassi
interbancari – la banca tedesca è tuttora la più coinvolta in azioni
risarcitorie, per fronteggiare le quali accantona in bilancio tre miliardi.
“Ackermann era stato a capo del Credit Suisse dal 1992 al 1996. Nel
1996 fu cooptato nel consiglio della Deutsche Bank e in quello della
Mannesmann, la banca e la fiduciaria più potenti della Germania. Nel 2002,
subito dopo l’ascesa al vertice della Deutsche, era stato accusato a Düsseldorf
di corruzione nell’acquisizione di Mannesmann da parte di Vodafone, nel 1999.
Assolto rapidamente, ebbe la sentenza cassata dalla Corte Costituzionale. In
appello, quattro anni dopo, aveva patteggiato un indennizzo di 3,2 milioni, col
diritto di dichiararsi non colpevole.
“Nella prima parte dell’affare, la cessione da parte di Olivetti di
Omnitel Pronto Italia, nota coi marchi Wind e Infostrada, a Mannesmann, la
Oliman, finanziaria di diritto olandese del gruppo italiano, allora di Carlo De
Benedetti, realizzò una plusvalenza di 14.200 miliardi di lire. Düsseldorf
contestava inizialmente – la traccia fu presto trascurata – il trasferimento di
tali ingenti somme, a carico e a beneficio di Mannesmann, in paradisi fiscali.
Olivetti si risparmiò nella vendita Omnitel 3.800 miliardi d’imposta al fisco
italiano, il 27 per cento della plusvalenza. Nello stesso 1999 Mannesmann aveva
ceduto Wind e Infostrada all’Enel, allora gestito da Franco Tatò, per 11 mila
miliardi.
“A settembre del 2008 Ackermann aveva salvato la Hypo Real Estate, il
gruppo tedesco specialista dei mutui, vicino al fallimento per la crisi. Un piano
pubblico di salvataggio da 35 miliardi era stato autorizzato dall’Ue a
condizione che i soci ne sottoscrivessero un quarto, 8,5 miliardi. I soci si
rifiutarono. Seguì una fase concitata, con Hypo falliva la Germania modello.
Angela Merkel si rivolse allora ad Ackermann, che in poche ore trovò la somma.
L’anno dopo Merkel contraccambierà, ricapitalizzando Deutsche Bank con la cessione
a condizioni di favore della banca di Deutsche Post – senza obiezioni di
Bruxelles. A metà ottobre 2013 la Süddeutsche
Zeitung calcolava in 290 miliardi gli interventi del governo tedesco dal
2008 a favore delle banche. Una cifra record. Ma molti interventi sono del tipo
propiziato da Ackermann, e poi a lui ricambiato”.
Con una
coda:
“Un metodo, insomma, che è una dittatura, il criterio gestionale dello
spregiudicato svizzero, del mordi e fuggi. Del breve e brevissimo termine, del
guadagno immediato, dello “strozzo”. Nel quale ha inciampato nell’ultimo
incarico, la presidenza di Zurich Insurance, avendo vessato il direttore
finanziario della compagnia al suicidio, agosto 2013. Una sorta di Shylock, il
mercante di Venezia di Shakespeare, meno loquace ma, se possibile, più
spietato, quello che chiedeva la libbra di carne viva a chi non pagava il
prestito.
“A maggio 2012 Ackermann sarà in pratica licenziato, dai piccoli azionisti
Deutsche, e dai grandi. Ma dodici mesi prima proiettava “una lunga ombra
sull’Europa”, notò il New York Times.
In precedenza, il 18 ottobre 2010, sul lungomare di Deauville, Angela Merkel
aveva imposto a Sarkozy, quindi all’Ue, il principio che “gli Stati possono
fallire” - la Grecia, ma non solo. Era la ricetta Ackermann: non ristrutturare
il debito (allungare le scadenze, tagliare gli interessi) ma farlo pagare con
l’austerità, anche cruenta. A questo fine limitando gli aiuti Ue. Il capo della
Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, francese, reagì furioso: “Non vi
rendete conto di cosa provocate”. Ma il suo presidente, lo statista emerito
Sarkozy, lo mise a tacere.
“Al contempo, in una
sorta di divisione del lavoro sporco, i consiglieri monetari di Angela Merkel
impediva-no alla Bce ogni intervento calmieratore, Axel Weber, Jürgen Stark,
Jens Weidmann. Tre personaggi influenti, accreditati portavoce della migliore
Germania, di saggezza incontestabile e potere decisivo. Anche se il curriculum
di Weidmann si limita a una laurea (non di dottorato), e ad alcuni anni di
servizio nella segreteria di Angela Merkel…”.
Cronache dell’altro mondo – alluvionali (53)
“L’America, la prima
democrazia, il primo Paese inventato al mondo, si è costruito su due crimini,
ancora oggi sotterrati: la schiavitù e lo sterminio dei nativi” – Paul Auster,
La Lettura”, 2 febbraio. Eco, deluso dal giornalismo nel suo ultimo romanzo-pamphlet “Numero zero”, ne spiega in sintesi la cosa a
Scalfari in una video intervista, stampata su “la
Repubblica” del 23 dicembre 2014: “Un tempo, se un presidente non piaceva –
fosse Lincoln o Kennedy – succedeva che gli sparavano. Già con Nixon e poi con
Clinton si è visto che si può distruggere un presidente tirando fuori le
intercettazioni oppure parlando di cosa
ha fatto la sera, con chi è andato a letto. Tutta la nostra politica è ormai su
questo piano. Il comandamento è: bisogna distruggere, delegittimare,
sputtanare”.
Kenneth Starr, uno degli avvocati di
Trump nella causa per impeachment, è
“un clown” (“The Nation”) per gli oppositori. Era un acclamato procuratore
speciale venti anni fa nel procedimento di impeachment
contro Clinton, osannato dal “Washington Post” e dal “New York Times”. Purché
sia bordello.
L’ossessione del bagno è uno dei focus
dei social, in siti molto frequentati come Quora e Reddit. Negli ultimi cinquant’anni,
calcola “The Atlantic”, il numero dei bagni per cittadino americano è
raddoppiato, da due persone per bagno a una per bagno. E crescono in ampiezza e
arredamento. Quello che era un disimpegno, e comunque l’ambiente più piccolo
della casa, si ingigantisce e si abbellisce. Non proprio a imitazione dei bagni
pubblici dell’antica Roma, ma sì nell’idea: un luogo dove passare il tempo.
I bagni si moltiplicano anche in ragione
dell’ansia. Ora da disastro ambientale. Per prevenire o alleviare la quale si
consuma molta acqua. Se necessario, con due e tre docce al giorno.
L’Italia all’estinzione
Niente nascite, niente futuro. “Il
Paese ai tempi del malessere demografico” è il sottotitolo. Non catastrofico,
il deficit demografico si può colmare con l’immigrazione. Che in un paese
solido è un arricchimento e non un problema – gli Stati Uniti, la maggiore
potenza mondiale, sono un paese di immigrati. A condizione però di un riordino
generale, a partire dalla cultura. Che si può sostenere con uno Stato solido,
sorretto da uno spirito nazionale compatto.
Golini, decano dei demografi
italiani, lo sa da tempo. Lo prospetta dagli anni dagli anni Novanta - succedendo
peraltro a Massimo Livi Bacci, che già negli anni da bere”, yuppie, dell’Italia
riccastra e rampante, avvertiva che senza nascite non c’è futuro. Le proiezioni
Onu, difficilmente a questo punto modificabili, danno all’Italia nel 2050 una
popolazione di 54 milioni di abitanti, rispetto ai 60 che conta da una trentina
d’anni a questa parte. I malthusiani del controllo delle nascite dovrebbero
esere contenti, tutto va per il meglio: meno bocche da sfamare, più elevato il
reddito pro capite. E invece sono preoccupati anche loro. Per almeno tre motivi:
per quanto ridotta, la popolazione sarà prevalentemente di vecchi; per i quali
non ci saranno più abbastanza risorse, per le pensioni e la sanità; il collasso
travolgerà anche i (pochi) giovani e attivi.
Lo Prete non ha dubbi, in
demografia il futuro è noto: “Altri dieci anni così e il paese sarà morto”.
Conciso e anche severo: “Si parla di emergenza demografica, ma abbiamo un calo
delle nascite da venti anni”. Da venticinque per l’esattezza, il primo segnale
veniva raccolto da “Il Mondo” nel 1995. E niente è stato fatto in questo quarto
di secolo per invertire la tendenza: favorire la costituzione di nuclei
familiari (alloggio), accudire gli infanti, consentire eventualmente a un
coniuge di non lavorare, per un periodo più o meno lungo (gli assegni familiari
coprono in Francia con tre figli lo stipendio iniziale), favorire il
reinserimento al lavoro dopo la maternità.
Forse no, l’Italia non finirà in
un decennio, forse si terrà su con gli immigrati. Ma non per sempre, finché il
suo patrimonio di conoscenze e di (scarso) capitale non si sarà esaurito. E non
nella leggerezza di spirito, o superficialità, oggi dominante. Meno donne fanno
meno figli. Per i problemi economici noti: il caro-casa, il reddito sempre più
incerto e in calo, l’insopprimibile allargamento della presenza femminile nel
mercato del lavoro. E per problemi anche di genere a generare. Ma il tutto nella
spensieratezza, che è la cifra dell’Italia in ogni aspetto: non solo non si
rimedia, non se ne parla neanche.
Santo Mazzarino, lo studioso del
crollo dell’impero romano, diceva la decadenza segnata dalla depressione. No, è
segnata dall’allegria – dalla frivolezza.
Antonio Golini-Marco Valerio Lo
Prete, Italiani poca gente, Luiss,
pp. 221, ill,. € 14
venerdì 31 gennaio 2020
I cannoni di Draghi
Massima onorificenza tedesca per
Draghi, la Croce al Merito. Prima del “whatever
it takes” con cui ha salvato il debito italiano e l’euro, Draghi ha debuttato
alla Bce con una “grosse Bertha”, come dissero i media tedeschi, col salvataggio
delle banche nordiche, tedesche soprattutto.
L’operato
di Draghi viene così sintetizzato, già nel 2014, in G. Leuzzi, “Gentile Germania”:
“È la prima cosa che Draghi ha fatto
subito dopo il suo insediamento l’1 novembre 2011: un intervento spettacolare
a salvaguardia delle banche. Un gigantesco prestito a tre anni a bassissimo costo
che ha salvato tutti, ma soprattutto le banche tedesche, olandesi, belghe e
austriache. Salutato come una “Grande Bertha” dai consulenti di Angela Merkel,
per una volta non critici - Stabile
Architektur für Europa, rapporto 2012/2013 del Consiglio degli esperti
economici, pubblicato a novembre 2012. Una cannonata: era “Bertha” il supercannone Krupp nella
Grande Guerra.
“Poi,
dieci mesi dopo, Draghi intervenne con altrettanta determinazione a salvare
l’Italia e la Spagna, e con esse l’euro. Creando, e annunciandolo irrevocabile,
lo strumento nuovo delle Omt, Outright Monetary Transactions, operazioni
monetarie di acquisto senza limiti di titoli di Stato di paesi membri in caso
di attacco contro gli stessi, quindi contro l’euro. Senza formalità, sul
mercato secondario come un qualsiasi operatore, con la stessa prontezza”.
In politica monetaria bisogna saper
decidere, e decidere all’istante. Come in politica del resto, seppure con meno
tempo e più incisivita, di taglio. Per farlo, bisogna sapere anzitutto di che
si tratta. Draghi resta per questo eccezionale: uno – l’ultimo? – che sa di che
si tratta nel pullulare di dilettanti ambiziosi che affollano il “nuovo” e purtroppo
hanno infettato il Millennio. A questo punto irreparabilmente – in Italia per
ancora tre anni, una lunga legislatura alla deriva.
La democrazia vuole un playmaker
L’“uomo
forte” Salvini è naufragato per una minuzia: citofonare un bravo ragazzo, con
codazzo di tv e media vari, per accusarlo di spaccio, solo perché figlio di un
tunisino? Allertato da una vicina e da un carabiniere che non amano “i negri”?
Forse no, forse ci sono dei limiti alla crescita della Lega, peraltro ancora
inspiegata. Ma forse sì: la politica si basa su percezioni, non su calcoli.
Muovere
la piazza su spinta di uno dei tanti solitari che incontriamo a blaterare sui
mezzi o al mercato è un limite. Di personalità, di mentalità, di cultura, e di consulenza
remunerata, di consigliori. Demenza consigliare una provocazione sulle turbe di
sconosciuti, demenza montarla. Si capisce che l’uomo non ha la stoffa, neanche
del politico cinico vecchio stampo (si fa ancora caso del “nuovo”, benché
inerte): nessun politico sarebbe andato al traino di una donnetta – avrebbe pensato
che gliela mandava il nemico, una provocazione.
Ma
l’“uomo forte” occupava, e ancora occupa, una forte rendita di posizione. Il
bisogno di governo è tale che si adatta a chiunque, basta occuparsi dei
problemi reali. Anche sbagliando. La democrazia si anima come lo sport, con i
playmaker.
Appalti, fisco, abusi (164)
Nexi in grande spolvero, stella di piazza Affari, traina il
Ftse-Mib, si celebra sui media, si
glorifica. Sembra il suo momento: il governo vuole i pagamenti tracciabili. Questioni
di antiricclaggio, di antievasione. Che si sa non sono vere, si tratta solo di
far guadagnare qualche centesimo alle banche. Ma questo è un altro discorso. Sulle
decisioni del governo, gli operatori (americani) del credito si affrettano a
mandare a casa carte gratuite. Nexi no, non rinnova nemmeno quelle in scadenza,
garantite da un conto in banca. Vuole per il rinnovo una pratica nuova: bisogna
andare in banca, aspettare, mettere una decina di firme – i fogli sono quattordici.
Perfino il sito Nexi riesce a complicare
senza necessità. Variabile, volubile.
Che propone insistente una chat a cui non risponde – se non per il classico
inutile “domande e risposte” precompilato.
L’efficienza di Nexi è quella delle
banche. La banca italiana deve spendere una buona mezzora di un funzionario per
uno strumento, la carta di credito, che altre rinnovano in automatico. Stampando carte che non saprà dove immagazzinare. Perché la tavola elettronica non le ricarica, nove su dieci.
Un mondo di servizi difficili. Di personale
anche incompetente, benché continuamente decimato? O solo demotivato.
Nexi e le banche non sono un’eccezione,
il mondo dei servizi è inefficiente oltre ogni aspettativa. Le utilities sono in prima linea, col
governo, per farsi pagare in automatico, online, su carta o Iban. Ma i siti dove farlo sono impraticabili, specie quelli degli operatori telefonici, Tim, Wind. E al 155 o
al 187 si perdono ore, più spesso senza esito – a un certo punto scartano.
Si provi a passare con Tim da una
tariffa Tutto Voce a una Voce Special (dimezza il carissimo abbonamento, raddoppiato senza preavviso due anni fa, semplicemente
passando dalla bolletta bimestrale a una mensile – dopo aver tentato quella di
ventotto giorni, tredici bollette in un anno invece di dodici….). Ci vuole un anno - cioè bisogna pagare 180
euro di sovrabolletta.
Questo dopo aver esperito molteplici
tentativi via 187 per avviare la pratica.
Si dice che la colpa dei disservizi sia
dei “consulenti” rumeni o albanesi. Ma due cambi di tariffa che si sono resi
necessari con Tim sono stati esperiti infine, dopo tre o quattro tentativi andati
a vuoto, uno da una consulente rumena e uno da una albanese.
La guerra è dei materiali
La guerra non è più nostra,
umana: “In questo scontro non si confronteranno, come al tempo delle armi lucenti, le capacità del singolo, ma quelle dei grandi
organismi. Produzione, stato della tecnica, chimica, organizzazione scolastica,
rete ferroviaria: sono queste le forze che, invisibili, lottano tra di loro
dietro le nuvole di fumo della battaglia dei materiali”. Ormai è scontato, ma
all’epoca no, al tempo della Grande Guerra. Di cui – poco o nulla celebrato
nelle celebrazioni – Jünger resta il testimone più
attendibile, la patina di un secolo lo conferma.
Non c’è gloria, la guerra è
uccidere. Qualcuno è morto sucida. Il tenente Sturm, cioè Jünger, procede alla sua solita routine, il passaggio da un bunker all’altro, più o meno raffazzonato
ingegnosamente, da una gavetta a un liquore, da un anno sempre nella stessa trincea,
dopo aver mirato al cannocchiale del fucile un soldato inglese che ha appena
dato il cambio di guardia, e forse lo ha ucciso. “Ci si scagliava verso la morte
senza vedere il nemico; si veniva colpiti senza sapere da che parte veniva lo
sparo”. Si combatteva anche alla baionetta, corpo a corpo, senza altro slancio che
della sopravvivenza.
Il secondo libro di Jünger,
1923 – poi dimenticato, da lui stesso recuperate nel 1960. Con gli stessi materiali
del primo, “Nelle tempeste d’acciaio”, che aveva fatto furore nella Germania
della sconfitta: i taccuini del giovane tenente, che, mentre studiava zoologia a
Heideberg, “improvvisamente, per una momentanea confusione dello spirito”, si
era trovato mobilitato. Ma non drammatizzati,
se non per la tensione interna alle considerazioni che vi si volgono. Che l’entomologo
futuro scrittore condivide con due compagni di trincea, al modo dei dialoghi platonici.
Con la nostalgia già di Parigi, ancora non conosciuta: di Baudelaire, del flâneur – come già di Stendhal nel primo
libro. Cioè dell’ipernemico.
Dialoghi-soliloqui platonici,
tristi. Ma qui si avvia l’entomologia dell’umano, singolo e in comunità (qui ristretta, nelle trincee al
fronte), che sarà la cifra di Jünger. Sovrastata già dalla tecnica, fredda.
Solo temperata dal cameratismo, dalla socievolezza. Dopo aver mirato alla
sentinella inglese, il tenente Sturm “continuava a chiedersi con insistenza:
era ancora lo stesso di un anno fa? L’uomo che ancora di recente stava scrivendo
una tesi di dottorato su «La riproduzione dell’ameba proteus per sezione artificiale»?” La guerra ha perduto
molti, oltre ad averne uccisi.
Ernst Jünger, Il tenente Sturm, Guanda, pp. 89 € 11
giovedì 30 gennaio 2020
Ombre - 498
Si
dileggia il piano Trump perché opera del genero affarista, e richiamo
elettorale alle presidenziali Usa. Ma Trump non è solo, ed è l’America – Obama
pensava diverso?
Dileggia
Trump l’Europa, che Trump non ha informato. Nemmeno dopo che ha pubblicato il
piano di suo genero – le cancellerie europee se lo procurano attraverso i
giornali. Quand’è che l’Europa scoprirà l’America?
Nessun
governo arabo ha protestato. Anche se il piano Trump imbarazza perfino Israele
– è un sostegno elettorale alla destra e all’estrema destra. E qui è il vero
nodo del Medio Oriente: l’ambiguità dei regimi arabi sulla questione palestinese. Il nazionalismo arabo è morto prima di Nasser. Solo l’Europa non ne è stata informata.
È
tornato a votare a Bologna e dintorni il vecchio “popolo della sinistra”, o non
sono, via Sardine, quelli che si erano
avventurato con Grillo e ora tornano all’ovile? Lo stesso Di Maio, padre candidato
missino pluritrombato, solo s’intede(va) da ministro dell’Industria con Camusso
e poi Landini.
Non
si può nemmeno dire che siano anti-sistema. Vanno col vento.
Bologna si governava bene anche col papa. La sua università
aveva tre volte l’organico accademico delle altre in altre città.
Totti, De Rossi, Florenzi, core de Roma,
sono d’improvviso dimenticati, ignorati, ceduti per niente. È il core de Roma
evanescente? Conta solo vincere, non la fedeltà ai colori. Anche a costo
(Totti, De Rossi) di rimetterci.
Mezzo Napoli domina e sconfigge la
Juventus. Che guadagna tre volte tanto. Ma con tre attaccanti e un quarto aggiunto
non fa un tiro in porta. Più un quinto attaccante che si vuole terzino e fa
fare i gol, agli altri. Tutti lo vedono, ma nessuno lo dice. È sempre la
sindrome Avvocato?
Fulco Pratesi difende una “magnifica magnolia
bianca” in via Jacopo Peri a Roma, dove la regina dei Belgi Paolo Ruffo di Calabria,
sua cugina, abita quando viene in Italia, contro il condominio che vuole
abbatterla. Si eliminano tranquillamente a Roma gli alberi dalle strade, quando
danno fastidio a qualche condomino, pretestando radici ingombranti, distanze
ravvicinate, malattie. Roma elimina ogni
anno il doppio degli alberi che pianta, pur in questa congiuntura Greta-green.
Si fa la Cristoforo Colombo, da Roma a
Ostia, come correndo in mezzo a dentiera sdentata. I pini crollati o abbattuti,
ormai la maggior parte, la Repubblica non li ha piantati.
Adele Grisendi, a lungo sindacalista
Cgil, di cui ha raccontato in “La famiglia rossa”, dice a Cazzullo che per il
libro fu messa all’indice, senza un dibattito o una contestazione: “Passai da
una rapida ascesa a un capitombolo rovinoso: mi misero in un sottoscala. La mia
colpa? Rispettare la componente socialista del sindacato”. “La famiglia rossa”
è del 2003, quando il partito Socialista era morto, e il partito Comunista
pure: l’odio del comunista (Pci) è eterno.
Uno rilegge Aciman, “Chiamami col tuo
nome”, o rivede il film di Guadagnino, dove il ragazzo è sedotto con arte e
artificio, e si chiede: dov’è il limite con l’illecito? A meno che il seduttore
non sia un prete, perché allora la curia vescovile paga buoni risarcimenti.
È l’etica degli avvocati a percentuale.
Del (basso) mondo anglosassone del “diritto” – della violenza (seduzione)
ipocrita.
Molti capi di Stato, molti allarmi e molti
buoni propositi sul clima a Davos. Dove si arriva solo in automobile. Da Zurigo
per 150 km. Ogni capo di Stato preceduto e seguito da una dozzina di automobili
– il presidente americano con trenta. Tutte rigorosamente tedesche, di grande ampiezza
e cilindrata, anche se portano un solo dignitario. Sarà per questo che Davos non
ha più aria buona per i tbc.
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La Grande follia della Guerra
Una storia vecchia, del 1962,
ma è la più nuova della Grande Guerra, il “suicidio del’Europa”, di cui si sono
da poco ultimate le celebrazioni – tradotta a suo tempo da Bompiani ma
bizzarramente non riproposta. Pur coprendone solo il primo mese. Che fa precedere
da ritratti succosi dei suoi protagonisti, regnanti e generali, nelle loro
albagie e idiosincrasie, quasi tutti ricostruiti con i propri detti famosi o
ricordi.
Minuzioso, dettagliato ma ben
raccontato. I capitoli introduttivi non lasciano alternative: la guerra non
fu casuale, era preparata da tempo, da tutti gli Stati maggiori e da tutti i
governi, Francia, Germania, Russia, Austria-Ungheria, Inghilterra. E data per
scontata – Bismarck ne aveva previsto anche l’innesco: “qualche dannato stupido affare
nei Balcani”. Solo il momento era incerto.
Il capitolo finale, attorno all’occupazione mancata di Parigi, che consentì alla
Francia la controffensiva, umanizza la Germania: anche il soldato tedesco si rifiuta di marciare, quando è stanco.
Le confessioni involontarie
dei protagonisti convergono, anche quando sono spiritose o autocritiche, verso
la follia – Barbara Tuchmann svilupperà questo aspetto nelle monografie de “La
marcia della follia”, da Troia al Vietnam: la guerra, anche scientifica,
preparatissima, studiatissima, è sempre un azzardo, crudele. Generali che non
si coordinano, e anzi si fanno la guerra. Armate che dormono in piedi, anche
sotto i colpi di cannone, dopo marce di 40 o 50 km., per due o più giorni. Una
Germania nettamente anglofila che fa la guerra all’Inghilterra. La guerra in
contemporanea su due fronti, all’Est e all’Ovest, eresia per Clausewitz, e per
l’intelligenza media.
Barbara Tuchmann, I cannoni d’agosto
mercoledì 29 gennaio 2020
Il mondo com'è (393)
astolfo
astolfo@antiit.eu
Accerchiamento
– Diventa
decisivo nell’arte militare, in alternativa all’attacco frontale, con la battaglia
di Annibale a Canne. Riferimento costate di tutti i manuali di arte bellica. I
principi della strategia e tattica militare sul campo sono in effetti inalterati
da millenni. La tattica di Annibale è assunta su questo presupposto: l’obiettivo
non è il fronte avverso, essenziale è attaccare sui fianchi, e poi colpire il
nemico da dietro.
Antiamericanismo – C’era già ai
tempi di Gramsci. Se nei”Quaderni del carcere” lo annota così:
“L’antimericanismo è comico, prima di essere stupido” (“Quaderni”, V, 105)
Brexit
–
Interviene a un secolo dalla celebrazione dell’impegno britannico in Europa con
la Grande Guerra – un impegno di massa e al fronte, diverso da quello antinapoleonico
due secoli fa. A centodieci anni dalla celebrazione
a Londra, alla presenza dei regnanti di tutta l’Europa,del funerale di Edoardo
VII, detto “lo zio d’Europa”. In senso diplomatico, poiché aveva creato
l’Intesa con la Francia, e in subordine con la Russia. E in senso proprio,
spiega Barbara Tuchmann, che fa l’elenco delle parentele dei regnanti inglesi
aprendo “I cannoni d’agosto”: “Era lo zio non solo del kaiser Guglielmo ma
anche, attraverso la sorella di sua moglie, l’imperatrice vedova Maria di Russia,
dello zar Nicola II. La sua propria nipote Alix era la zarina; sua figlia Maud
era la regina di Norvegia; un’altra nipote, Ena, era la regina di Spagna; una
terza nipote, Marie, stava per diventare regina di Romania. La famiglia danese
di sua moglie, oltre a occupare il trono di Danimarca, aveva generato lo zar di
Russia e fornito regnanti a Grecia e Norvegia. Altri familiari, progenie in
vari grado dei nove tra figlie e figli della regina Vittoria, erano disseminati
in abbondanza nelle corti d’Europa”.
La storica americana spiegava,
1962, anche l’ambivalenza: “Nei suoi nove brevi anni di regno”, del Re
socievole, del Re charmeur, “lo splendido
isolamento inglese aveva ceduto il posto, per la forza delle cose, a una serie
di “intese” e legami, ma non ad alleanze – all’Inghilterra non piace il
definitivo”.
Collapsologia – È la “nuovissima
filosofia” in Francia. Elaborata attorno all’istituto Momentum, di cu sono fondatori
e teorici Yves Cochet e Agnès Sinai. Cochet, matematico di formazione, è un
politico del movimento dei Verdi. È stato deputato in tre legislature, dal 1997
al 2011, deputato europeo alla terza e ala settima legislatura, ministro dell’Ambiente
per un anno, 2001-2002, nel governo socialista di Lionel Jospin . Promotore delle
produzioni bio e teorico della decrescita. Convinto del rischio di “collasso
permanente” della civiltà. Specialista dell’esaurimento delle riserve energetiche
fossili, specie del petrolio (una “Pétrole apocalypse” prediceva nel 2005).
Fautore del controllo delle nascite, contro la politica francese d’incremento
demografico. Anche, aggiunge ora, “per permettere agli occidentali di
accogliere meglio i migranti”. Programma una moratoria sull’allevamento
intensivo, e una serie di misure per ridurre il consumo alimentare di origine
animale. Vive, spiega in tv, “trincerato nella campagna a Nord di Rennes per prepararsi
al collasso che ci arriva in pieno muso”. Ma è stato citato dal settimanale
“The Sunday Times” (22 ottobre 2017) tra i parlamentari europei sospettati di molestie
sessuali – “una dozzina di giovani assistenti intervistate accusano i
parlamentari di palpeggiamenti e persecuzioni («ci trattano come carni»)”.
Agnès Sinaï teorizza la fine della
civiltà con la riduzione della biodiversità.
Kaiser – L’ultimo kaiser, Guglielmo II,
della Grande Guerra e il tramonto della Germania, era mezzo inglese e tutto anglofilo.
Presenziò in prima fila nel 1901, in lacrime, a piedi, al funerale della regina
Vittoria. Di cui era nipote, per parte di madre. Dopo averla assistita per
settimane moribonda - un fatto che aveva commosso gli inglesi.
Diresse
poi il funerale dello zio Edoardo VII, il successore di Vittoria – benché
Edoardo avesse, discreto ma perseverante, tessuto la rete dell’Intesa anti-tedesca
- corteggiando anche l’Italia. Di Edoardo aveva detto a Theodore Roosevelt: “È
un vero inglese e odia tutti gli stranieri, ma non mi preoccupa fin tanto che
non odia i tedeschi più degli altri stranieri”. Alloggiato per il funerale al
al castello di Windsor, negli appartamenti di sua madre, ne scrisse in questi
termini: “Sono orgoglioso di dire questo posto casa mia,e di essere un membro
di questa famiglia reale”. Colonnello onorario del primo reggimento Dragoni
Reali, usava in gioventù distribuire sue foto nell’uniforme dei Dragoni, facendo
precedere la firma dal detto presuntamente delfico, “aspetto il mio tempo”.
Gli Stati Uniti non rientravano nel suo orizzonte, ma la tedesca Pennsylvania gli tributo la laurea honoris causa - che gli revoco solo a fine 1918, a guerra perduta.
Gli Stati Uniti non rientravano nel suo orizzonte, ma la tedesca Pennsylvania gli tributo la laurea honoris causa - che gli revoco solo a fine 1918, a guerra perduta.
Concepiva sempre grandi disegni,
di imperi e regni. Nel 1904 invitò Leopoldo del Belgio a Berlino e illustrò
lungamente, “nella maniera più cortese del mondo”, dirà il re belga, gli antenati
gloriosi di Leopoldo, i duchi di Borgogna. Finendo col proporgli la
restaurazione del ducato, mettendo insieme mezza Francia, l’Artois, le Fiandre
francesi e le Ardenne – “mi lasciò a bocca aperta”, dirà Leopoldo.
Ranuccio Bianchi Bandinelli, germanista
oltre che archeologo, che gli fece visita durante il Ventennio, lo ricorda nel
“Diario di un borghese”, in esilio in Olanda ma sempre sul Reno. La Germania, racconta Bianchi Bandinelli, aveva un principe buono,
Federico III, amico della Francia, che però morì dopo 99 giorni di regno.
Guglielmo II, che amava Watteau, Puccini e la Sicilia, esordì apprezzabilmente:
licenziò Bismarck, e Zanzibar cedette agli inglesi in cambio di Helgoland. Apprezzato a
Londra per il sense
of humour, spiegò al “Daily Telegraph” in un’intervista a puntate che la
guerra voleva farla al Giappone. Per la Cina.
Bismarck aveva modellato la Germania come
una grande Prussia. Avrebbe potuto essere meglio una Grande Italia, piena
com’era di emigrati di ritorno, contadini, artigiani, campanili, palazzi,
nobiliari e mercantili, città libere e città capitali di vecchi principati, con
musei e piazze, benché vuote di naiadi, e maestri di cappella. Prima di
Bismarck c’era la Prussia e c’erano gli altri. Non solo a Colonia e a Monaco,
tra i cattolici devoti.. La Prussia non c’era neppure a Danzica, e da poco era
a Königsberg, che a lungo fu città libera.
I tedeschi erano prolifici, ma vivevano
per due terzi in paesi di duemila abitanti e meno. Il kaiser amava questa Germania
non prussiana, ma con la sferza. Anche se un braccio aveva anchilosato. In esilio
in vecchiaia, dopo aver distrutto la Germania e l’Europa, segava legna: per
esercitare il braccio buono faceva ciocchi degli alberi del parco. Circondato
sempre da affetto e rispetto. Nel treno con l’argenteria i tedeschi gli avevano
mandato una collezione di dodicimila foto. Invisibile, non c’è spazio
nell’occhio per dodicimila immagini, ma consolatoria.
Lo stesso “vento di soave” siculo Guglielmo
giovane aveva prussianizzato. Bordeggiando la Sicilia su uno yacht monumentale, essendo egli un
Hohenzollern, forse in omaggio alla Triplice, o per indispettire i francesi che
col binocolo lo controllavano da Tunisi, restaurò la tradizione sveva
nell’isola col culto del “vento di soave”: nella sua bontà, ambiva a farsi
amare dai siciliani, nobilitandoli con ascendenze nordiche. “Ancora ieri”,
scriverà a fine 1918 “Junius”, Luigi Einaudi, prendendo, inavvertitamente?, lo
pseudonimo di Rosa Luxemburg, “con implacabile tracotanza, il segretario
tedesco agli Esteri von Kuhlmann invocava la tradizione imperiale degli
Hohenstaufen e le loro bramosie di terre italiane”.
Nel 1933, in visita al kaiser esiliato a
Doorn, Bianchi Bandinelli ci trovò un nipote, secondo figlio del Kronprinz, che
così descrive: “Giovanotto dall’aria tra il romantico e il vizioso, tornato da
poco dall’America, dove dice di aver lavorato da Ford”. Era Luigi Ferdinando,
che aveva passato cinque anni a Dearborn, la prima fabbrica del vecchio Ford,
sempre più antisemita. Il kaiser parlò per tutto il pranzo, nel silenzio
generale, solo interrotto dal nipote che prendeva in giro un generale, “un
vecchio generale intagliato nel legno”, il quale non ribatteva. Alla Mahlzeit, l’ora del sigaro col cognac,
il ricordo dello storico Beloch, del suo vezzo di frapporre fra il lavoro
serale e quello della mattina una lieve sbornia di vino genuino, “dà lo spunto
a una serie d’allusioni all’indirizzo del nipote, che sembra un gran
costruttore di tali intercapedini serali”. Il Parlamento nazista si apriva quel
giorno a Potsdam, “sacra alle memorie del grande Federico e cittadella dei
fedeli della monarchia”, che Hitler maltrattò.
“La cosa che mi ha più impressionato”,
scrive Bianchi Bandinelli, “è la stretta parentela intellettuale fra il kaiser
e Hitler”. Ma è dubbio che Guglielmo avrebbe tollerato il Führer. Era stato studente a Bonn, cinquant’anni dopo Marx,
iscritto allo stesso club aristocratizzante di studenti nel quale Marx aveva militato,
il Borussia. Nonché modernizzatore della Germania ingessata di Bismarck, e del
mondo arabo, cui portò la ferrovia fino a Baghdad, e riformatore della scuola.
Nel 1900, col nuovo secolo, introdusse l’inglese in tutte le scuole, e il liceo
inglese o scientifico. Non fece il colpo di stato che il principe ereditario
Eugenio chiedeva contro i socialisti nel 1912, quando vinsero le elezioni. Solo
il quartogenito Augusto Guglielmo sarà nazi in famiglia, modesto. C’era insomma
di peggio. La guerra avrebbe fatto in odio ai suoi parenti inglesi, i
Sassonia-Coburgo-Gotha, che nell’occasione si ribattezzarono Windsor: è
possibile. Di fatto, secondo tutte le testimonianze, non era sicuro di voler
fare la guerra alla Francia, di nuovo.
astolfo@antiit.eu
Quando l’America era innocente
Una rivendicazione,
nell’America di Trump, ma più una consolatio.
Un tuffo nell’Età dell’Innocenza Americana, a Concord, nel New England colto e
buono dopo la guerra civile. Con un
tocco di genere, anch’esso salutare – la storia è femminile.
Le quattro sorelle sbocciano,
sognano, amano, sposano, muoiono, nella concordia di fatto. Personale, familiare,
sociale e, si suppone, nazionale. Nel solco corretto – qui, 1861, unionista, il
fronte per il quale il padre assente professa come cappellano. I più agiati
compartecipano con i meno fortunati, e questi con i poveri. Tutto romantico
romantico, con accompagnamento di Chopin, Schubert, Beethoven, Brahms, Dvorak. Senza
rivendicazioni litigiose, di razze estranee o minoranze.
Venticinque anni dopo
l’ultima riduzione cinematografica, ma
già la sesta o la settima: la nostalgia è forte.
Greta Gerwig, Piccole donne
martedì 28 gennaio 2020
Secondi pensieri - 408
zeulig
Fede – “Non ho la fede”, dice l’agnostico - Scalfari, per esempio, che ama intrattenersi con cardinali e col papa. Lamentandosene. Ma se è un bisogno, c’è: quella è la fede. “La vera fede è forte, cieca e senza fondamento”, direbbe Szymborska, “Scoperta” (nella raccolta “In ogni caso”). .
zeulig@antiit.eu
Fede – “Non ho la fede”, dice l’agnostico - Scalfari, per esempio, che ama intrattenersi con cardinali e col papa. Lamentandosene. Ma se è un bisogno, c’è: quella è la fede. “La vera fede è forte, cieca e senza fondamento”, direbbe Szymborska, “Scoperta” (nella raccolta “In ogni caso”). .
Filosofia . Quella dei philosophes non regge, non oltre
l’aneddoto. Anche di aneddoti che avrebbero potuto avere sviluppo approfonditi,
meno smart, di pronta presa. Tipo l’“anima”
di Angélique, la figlia di Diderot, come la bambina si spiegava col padre
nell’agosto del 1867: “Qualche giorno fa mi è venuto in mente di chiederle
cos’è l’anima. «L’anima?», mi risponde. «Ma si fa dell’anima, quando si fa
della carne?»”
Freud
–
“Le letteratura «freudistica» ha creato un nuovo tipo di «selvaggio»
settecentesco sulla base «sessuale» (inclusi i rapporti tra padri e figli)” -
Gramsci, “Quaderni dal carcere”, I, 62. Le parole virgolettate sono molto
“freudistiche”. Ma cosa non lo è? È il limite del decostruttivismo – di Freud
(del Freud volgare).
Guerra –Non c’è guerra “giusta” – mandare gli
eserciti a morire , sia pure per un nobile scopo. Questo può essere solo di
difesa, ma non di attacco, per qualsivoglia ragione sia pure di rappresaglia.
Clausewitz, il teorico più accettato della guerra, che la guerra nella vulgata
riconduce nell’alveo della pace – “la guerra non è che la continuazione della
politica con altri mezzi” – non teorizza una guerra di difesa, ma una comunque
di attacco. Anche se combattuta in difesa. Il rapport guerra-politica della
famnosa frase va invertito: la guerra è un atto di una politica di guerra. La
guerra non può essere di schermaglie o di attrito, ma va combattuta e vinta come
e con una “battaglia decisiva”, è il suo primo precetto. L’occupazione del territorio
del nemico e il controllo delle sue risorse è il secondo: fare la guerra a
spese del nemico invece che proprie. Il terzo è vincere nell’opinione pubblica,
solo apparentemente democratico o pacifista: questo obiettivo si acquisisce con
“grandi vittorie, e con l’occupazione dell capitale del nemico”, per fiaccarne
il morale. Il fondamento è: “La guerra è un atto di forza per ridurre un
avversario al nostro volere”.
Clausewitz in
realtà non fa che teorizzare l’arte della guerra romana – eccettuando la sua
parte migliore, la prospettazione dell’assimilazione, della cittadinanza
romana, che fu la vera ricetta, bellica e politica, dell’imperialismo romano.
Clausewitz è
anche uno che il trattato redige per spiegare quale deve essere la guerra della
Germania alla Francia (scriveva negli anni di Waterloo): “Il cuore della
Francia sta tra Bruxelles e Parigi”, spiegava – la Francia si conquista passando
per il Belgio, come faranno il Kaiser e Hitler.
Mondo
–
Si vede (articola, istituisce, interpreta) per riflesso. Ovvio e assodato, ma
non nel senso dell’esistenza umana, dell’uomo – della vita e la storia
dell’uomo. Quanto mondo, i miliardi di galassie, esiste sono in quanto esiste
l’uomo – e probabilmente, seppure concepibili, non ci sono altri mondi:
l’infinità stessa (la concezione dell’infinità) è solo umana.
Esiste in quanto è “visto”
(sentito, avvertito, sistematizzato). È - c’è - ma si legge (istituisce,
regolamenta) per effetto della percezione. Degli organi della percezione e dei
canoni (fisiologici, storici, etici) che li regolano, attraverso i sensi e la
mente. Non è una creazione dell’uomo ma una sua istituzione sì. “The mode of the person becomes the mode of
the world\ For that persone and, sometimes, for the world itself”, Wallace
Stevens, “Conversation with three Women
in New England” - “il modo della persona
diviene il modo del mondo,\ Per quella persona e, a volte, per il mondo stesso”
(trad. di Massimo Bacigalupo). Ed è anche vero “che il senso dell’essere cambia
mentre parliamo”.
Opinione pubblica - “La verità dei fatti,
l’oggettività. Per mio conto si riduceva tutta al «rassemblement des
subjectivités», «consensus opinantium»”, Guido Morselli, “Dissiaptio H.G.”
(58). Ma in conseguenza, anzi a specchio, di fatti o eventi: “Se ci troviamo
d’accordo che bisogna, a dati intervalli,pagare le tasse e accendere le stufe,
vuol dire che il freddo e il fisco sono, non fantasie, cose da prendere sul
serio”..
Passato – Privarsene è una
mutilazione, per quanto orgogliosa – c’è l’orgoglio masochistico.
Suicidio - Sant’’Agostino
lo condanna al primo libro della “Città di Dio”: è l’omicidio di se stessi.
Niente liberazione dalle miserie della vita, come argomentavano gli stoici.
Senza eccezione per i primi cristiani, che invocavano il martirio. Né per l’ecatombe suicida recente,
del sacco dei Roma, il primo, quello dei visigoti di Alarico nel 410, che non
risparmiando le violenze indussero molti a togliersi al vita di propria mano –
in questi casi bisogna prendere esempio da Giobbe, il santo ammonisce. Dante
sarà clemente, sant’Agostino non lo fu. E dunque, per i diversi pesi tra il
santo e il poeta nella vita civile e divina, il suicidio è un omicidio.
Unica eccezione sant’Agostino
fa per Sansone, perché si diede la morte per ordine di Dio. Preceduto in questa
distinzione da Platone, “Fedone”, che fa dire a Socrate in punto di morte “non
dover darsi la morte da sé prima che un dio non ne abbia mandato
un’ingiunzione”. Ma un dio qualsiasi – non potrebbe esserlo il proprio daimon?
Fino a qualche
anno fa la chiesa si è allineata a sant’Agostino. Il Secondo Concilio di Orléans,
nel 533, dispose il rifiuto della benedizione religiosa al suicida. E
trent’anni dopo, al I Concilio d Braga, la non sepoltura in terra consacrata.
Verità – Vetrina da marciapiede? Gramsci, “La
città futura”, 408 (1917), lo dice dei politici di governo nella guerra: “La
verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati gargagnan”,
protettori. La sintassi della frase, fuori contesto, ne fa un’affermazione non
invalida in assoluto.
zeulig@antiit.eu
Sciascia subito contro – la Sicilia, l’Italia
La disperanza molto prima
della caduta - l’opera è pubblicata nel 1961: “Incredibile è anche l’Italia: e
bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l’Italia”. E già
il leitmotiv di molte riflessione a
venire: “Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia”.
Con incursioni sempre da
lince nella legge, o giustizia: L’assillo di chi non ne ha: “Non, per il confidente, la legge che nasce dalla
ragione ed è ragione, ma la legge di un uomo, che nasce dai pensieri e dagli umori dì quest’uomo, dal graffio che
si può fare sbarbandosi o dal buon caffè che ha bevuto, l’assoluta
irrazionalità della legge, ad ogni momento creata da colui che comanda”, la
guardia municipale, il maresciallo, il questore, lo stesso giudice – “da chi ha
la forza, insomma”. Il confidente
siamo noi.
Un racconto, anche, in
tralice, di quando il Sud credeva al Nord. Il Nord è intelligente e onesto, al
punto di amare il Sud. Il Sud è disonesto e violento.
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Adelphi, pp.
137 € 10
lunedì 27 gennaio 2020
Problemi di base trumpiani - 535
spock
Trump vuole riequilibrare l’interscambio con Europa e Cina: ha torto o ha ragione?
spock@antiit.eu
Trump vuole riequilibrare l’interscambio con Europa e Cina: ha torto o ha ragione?
Sostiene Trump che gli Stati Uniti fanno
più per il clima che il resto del mondo: ha torto?
Lo stesso per la difesa dell’Europa?
E del governo eletto di Serraj in Libia?
Sostiene Trump che gli Stati uniti non
possono fare guerre interminabili, nemmeno in Medio Oriente: ha torto?
Gli Stati Uniti fanno le guerre in Medio
Oriente per conto di chi - del petrolio di cui la Cina ha bisogno, e l’Europa?
Si dice Trump, si intende la vergogna,
ma di chi?
Torna il cazzone americano – l’Europa
sconfitta disse cazzoni gli americani vincitori?
spock@antiit.eu
Il Pci che si voleva liberale - Calvino iironico e tragico
Quei comunisti che si
volevano liberali – Calvino si diverte
Opera di lunga lena – Calvino
ci lavorò dal 1953, anno a cui si riferisce lo scrutinio elettorale al
Cottolengo, l’istituto che ospita i disabili a Torino – al 1963. Non a motivo
della complessità o intreccio, che non ci sono, ma delle perplessità dello scrittore.Passato dalla militanza senza riserve nel partito Comunista a una quasi abiura,
a una riflessione-indisposizione verso l’ideologia. Irridente, per questo, a
tratti. “Vorrà dire che il comunismo ridarà le gambe agli storpi, la vista ai
ciechi?”, è la riflessione irritata di Amerigo Ormea, scrutatore al seggio elettorale
dell’istituto.
Resta il racconto del
Cottolengo. Le figure dei disabili lì ricoverati, fisici e psichici, delle
suore che li accudiscono, del prete. Lo scrutatore invece si perde. La
conclusione cala Calvino, come notava Piovene nella quarta di copertina della
prima edizione Einaudi, 1963, in “una sua personale, psicologica incertezza
critica”: lo “scrittore dell’oggettività” diventa “lo scrittore
dell’oggettività di quella incertezza”.
Nella sua propria
presentazione, omessa da Einaudi e ora recuperata nell’edizione Oscar, Calvino
spiega il racconto in termini a noi contemporanei, “temi” del racconto dicendo
“quello della infelicità di natura, del dolore, la responsabilità della procreazione”.
Ma confluendo nell’esegesi di Piovene: il racconto, “soprattutto, è una
meditazione su se stesso del protagonista (un intellettuale comunista), una
specie di «Pilgrim’s Progress» dì uno storicista che vede a un tratto il mondo
trasformato in un immense «Cottolengo»”.
L’irruzione del male – del
reale – nel giardinetto appartato dell’intellettuale. Per quanto materialista,
comunista, critico - cioè avvertito. Calvino, spiega nella nuova introduzione,
fu al Cottolengo per pochi minuti nel 1953, non come scrutatore ma come
candidato del Pci, che interveniva nei colelgi dove veniva chiamato per delucidare
qualche problema pratico agli scrutatori. Cominciò a scrivere il racconto
trascrivendo, spiega, le battute intercorse fra gli scrutatori del Pci e quelli
della Dc, ma poi non seppe quadrare il racconto. Risolse l’impasse facendosi
nominare scrutatore alle amministrative del 1961, proprio al Cottolengo. Dove
passò due giorni. Che lo segnarono ancora peggio: “Il risultato fu che restai
completamente impedito dallo scrivere per molti mesi”.
L’esito – inavvertito? - è la
malinconia di un individuo pensante in un partito “totalitario”, in una
“chiesa” (“il partito la pensa così, il partito ha altre idee”) che non è “religione”
ma è “politica”, quindi una camicia di forza ancora più stretta. In un’area in
cui il Parito non può arrivare, e forse non concepisce, degli storpi, gli
inetti, gli invalidi. Necessariamente dubbioso, quindi, sul “tesoro dell’utopia
sepolto sotto le fondamenta dela dottrina «scientifica»”. Tanto più per essere,
essere stato, animato da certezze. Del tipo: “Agiva in lui – più che uno
spirito di tolleranza e adesione verso il prossimo – il bisogno di sentirsi
superiore, capace di pensare tutto il pensabile, anche i pensieri degli
avversari, capace di comporre la sintesi, di scrivere dovunque i disegni della
Storia, come dovrebbe essere prerogativa del vero spirito liberale. In quegli
anni in Italia il partito comunista s’era assunto tra i molti altri compiti,
anche quello dì un ideale, mai esistito, partito liberale”.
Una critica perfino
oltraggiosa, alla fine, beffarda, dell’essere o essere stato comunista – comunista
del Pci. Il ritardo forse, la difficoltà del racconto, pertanto semplice oltre
che breve, stava nell’incertezza, “lo dico o non lo dico”. Comune agli
intellettuali comunisti, necessariamente delusi – molti aspetteranno il 1989
per dire che dal 1956 non credevano più, e perfino per sostenere di non avere
mai creduto.
Con la cronologia dettagliata
di Calvino messa a punto da Barenghi e Falcetto per i “Romanzi e racconti” dei
Meridiani.
Italo Calvino, Una giornata da scrutatore, Oscar, pp.
140 € 12
domenica 26 gennaio 2020
Ecobusiness – verde moda
Alta moda green: tessuti creati con alghe, bottoni in polvere di marmo, borse
in foglia di legno o pelle di salmone, occhiali in fibra di fico d’india. Per
creare i quali complessi processi di lavorazione sono stati necessari, con
emissione di CO2, e scarti potenzialmente venefici sono stati prodotti.
Australia, il maggiore produttore,
utilizzatore ed esportatore di carbone. La vendetta dell’ambiente?
Ma sono state incriminate 140 persone
per avere appiccato i fuochi – 50 dei quali minori. La protezione ambientale si
vendica?
Una Tesla Model 3, a partire da 50 mila
euro, emette più CO2 di una Mercedes C220 diesel, prezzo a partire da 37 mila
euro.
Una borraccia per ogni scolaro, mezzo
milione di borracce. E nelle università, negli ospedali, nelle aziende? Una
borraccia per ogni italiano adulto, 50 e più milioni di borracce. È l’ultima
frontiera dell’ecobusiness.
La plastica è riciclabile. Le borracce,
che sono miste, plastica e ferro?
Le borracce dopo il sacchetto di “plastica
riciclabile”. Tutti i sacchetti sono riciclabili, ma quelli Montefibre sono
meglio.
Tre ricoperture obbligatorie – “lo vuole
l’Unione Europea” – al supermercato per ogni formaggio dolce, anche piccolo. L’ecobusines
è l’industria degli imballaggi?”
“Nel
2006 c’erano solo 25 anni residui di riserve (di gas naturale, n.d.r.) e il
prezzo era salito alle stelle. Questo ha portato gli Stati Uniti a inventarsi
lo shale gas (gas dalle argille, ndr
) e grandi oil companies a fare scoperte di successo in aree prima inesplorate: in
dieci anni siamo passati a oltre 200 anni di riserve residue e il prezzo negli
Stati Uniti si è ridotto di circa dieci volte”, Marco Alverà,
amministratore delegato Snam.
Tre milioni
mezzo i veicoli circolanti a Roma, auto, veicoli commerciali, moto: uno
e mezzo per abitante.
Roma è la seconda città al
mondo per “ore perse”nel traffico – la prima è
Bogotà.
L’uomo dice che l’uomo non esiste
La Dissipatio è Humani Generis.
L’ultimo romanzo scritto da Morselli, sul suicidio, poco prima di commetterlo.
Una divagazione di fantascienza, da day
after, come esperienza normale, quotidiana.
Il personaggio prova il
suicidio in una grotta, non ci riesce, e all’uscita trova il mondo disabitato,
disanimato. Nel suo villaggio, nella vicina città di Crisopolis (Zurigo), nel
mondo intero tra amici e conoscenti: tutti scomparsi.
È un racconto filosofico,
Morselli torna alla fine alla sua prima vocazione, gli studi di filosofia. Non
un racconto, se non per quel senso di deserto da cui il personaggio si sente
invaso. Della “stipsi affettiva” (p. 60) – “ciò che mi manca è il gusto di me
stesso” (67). Con A. Smith concordando a un certo punto che siamo tutti morti,
se la morte è insensibilità. Altre esperienze così liquidando: “Sino a
Ezechiele (dieci secoli dopo Mosè) nessun indizio di una vita ultraterrena”
(81).
La colpa è della Storia. “Gli
uomini hanno scatenato, in trenta secoli, circa 5.000 guerre. Hanno avuto il torto (la trovata risale a Albert Camus),
se non di cominciare la Storia, di proseguirla”
(65). Per esempio oggi (siamo a cinquant’anni fa): “La loro colpa peggiore, o più
recente”, è “l’Imbruttimento del mondo” – cui si sogliono “aggiungere altre imputazioni:
l’Inquinamento, l’Inferocimento (anzi, con eufemismo, la «violenza»). L’Inflazione.
(Senza eufemismo: la peste monetaria)” (ib.). Ma l’abbandono è esilarante all’irrealtà,
al nulla che circonda il personaggio. Cioè alla realtà. Con “Berdiaeff l’esistenzialista”
ipotizzando che “materialismo estremo avrebbe prodotto immaterialismo” (60).
Non conseguente, non molto. Con
la coscienza del solipsismo in agguato, della riflessione avulsa e
inconseguente. Quella che: “la società, dopotutto, è una cattiva abitudine”
(74). Giustificandosi con Nietzsche,”solipsista non confesso ma furioso” (67), “il
tremulo Marcel Proust, il belante Frédéric Amiel” – “pesi massimi (e noiosi
eroi) dell’introversione”, che però “non sapevano cosa significhi «voglio il
mondo per me solo»” (68). Non sapevano che l’uomo dice che l’uomo non esiste.
Un addio in forma di odio-di-sé. Un caso smisurato di autonientificazione: “La società, dopotutto,
era semplicemente una cattiva abitudine”. Incisivo: un riesame ribadito,
moltiplicato, dell’umano come aporia, dell’insignificanza della vita. Malgrado
il robusto sé che si vuole misura di tutto, la riflessione. O a causa di essa,
del rifiuto di essa – delle sue aporie. Che però solo si giustifica se dalla
riflessione si pretende troppo – per l’assolutizzazione dell’umano. Di cui il
personaggio è conscio, ma senza tranne le conseguenze: “Mi sto convertendo al realismo
più piatto”. Che “si può permettere il lusso di essere irrazionale e inspiegabile.
Anche pazzesco” (58).
Guido Morselli, Dissipatio H.G., Adelphi, pp.154 € 12
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