L’inefficienza della efficienza. Ma un
sistema che, evidentemente, non si è voluto cambiare con l’epidemia in corso,
poiché i casi di infezione nei nosocomi sono sempre tanti.
sabato 29 febbraio 2020
Il virus è la privatizzazione
La Sanità lombarda è organizzata sul
principio della “privatizzazione”, le Asl e la sanità pubblica. I ticket sono
moderati, ma l’attesa nelle emergenze è di ore e anche di giorni, in attesa che
il paziente, sfinito, non provveda al
pagamento immediato di esami, lastre, ecografie. A tariffe convenzionate ma
esagerate – un’ecografia in ospedale costa 150 euro. È tutto qui il nodo del
coronavirus, di come è penetrato e si è diffuso negli ospedali.
Cronache del virus
“Nessuno vuole dare il cambio ai tre infermieri di Codogno.
«Abbandonati dai colleghi»”. È vero? Sì. È possibile? Non dovrebbe, gli infermieri
prestano giuramento, il cambio tra infermieri avviene “a vista” – se non c’è il
sostituto, il personale non può lasciare la postazione, anche se l’orario è
scaduto. Ma nessuna “visita fiscale” – seria, non per la forma – risulta essere
stata disposta su infermieri sotto giuramento di Ippocrate che dal 20 febbraio
si sono messi in malattia.
E la qualità dell’assistenza e le cure del personale rimasto
prigioniero in ospedale dal 20 febbraio?
Israele respinge i turisti italiani all’aeroporto. Ma
l’infezione è stata introdotta in Israele da un
viaggiatore proveniente da Milano.
Nel padovano si diffonde nome, cognome e indirizzo di una
bambina contagiata dal coronavirus.
Grandi timori per l’Africa: se il corona virus dovesse
infettare l’Africa a sud del Sahara che non ha ospedali né medici? Ma l’infezione
arriva da Milano, da un milanese sbarcato per affari a Lagos, in Nigeria.
Questa è una fake news, probabilmente, uno dei tanti scherzi feroci montati
sulla rete, ripresa dal giornale radio Rai 2 alle 8.30 di venerdì e poi
scomparsa, ma non inverosimile: il contagio che viene da Milano.
Non è fake invece
il presidente della regione Veneto Zaia che rimprovera ai cinesi di mangiarsi i
topi vivi. L’ha detto, evidentemente
pensa che i cinesi mangiano topi. Un presidente che governa cinque milioni di
persone, di campagna ma anche di città di antica tradizione, Padova, Venezia,
Verona.
I cinesi mangiano topi? La cultura non è una freccia – stupido Zaia non
può essere: è rispettassimo, votatissimo.
Letture - 412
letterautore
Dialetto – È la “lingua” su cui Hbo punta: dopo “Gomorra”, “L’amica geniale”. Ma un dialetto duro, inarticolato – di parole più spesso ridotte a un suono, nemmeno sillabico. Non una lingua, ma un linguaggio: della durezza. Anche di difesa, di chiusura a riccio, ma allora di sofferenza. Niente a che vedere col dialetto napoletano previo (il dialetto di Hbo è una forma di napoletano), dei De Filippo. Articolato invece, armonico, un arricchimento dell’italiano, cioè della comunicazione, nelle forme comiche e in quelle tragiche. Ora solo una forma di comunicazione veloce, e dubbia (confusa, confondente), piuttosto che aggiuntiva o arricchente. Che esclude di fatto, invece che coinvolgere. Il successo allora si spiega come un bisogno di violenza? Oppure come accettazione passiva di qualsiasi proposta, purché “forte”, decisa?
letterautore@antiit.eu
Dialetto – È la “lingua” su cui Hbo punta: dopo “Gomorra”, “L’amica geniale”. Ma un dialetto duro, inarticolato – di parole più spesso ridotte a un suono, nemmeno sillabico. Non una lingua, ma un linguaggio: della durezza. Anche di difesa, di chiusura a riccio, ma allora di sofferenza. Niente a che vedere col dialetto napoletano previo (il dialetto di Hbo è una forma di napoletano), dei De Filippo. Articolato invece, armonico, un arricchimento dell’italiano, cioè della comunicazione, nelle forme comiche e in quelle tragiche. Ora solo una forma di comunicazione veloce, e dubbia (confusa, confondente), piuttosto che aggiuntiva o arricchente. Che esclude di fatto, invece che coinvolgere. Il successo allora si spiega come un bisogno di violenza? Oppure come accettazione passiva di qualsiasi proposta, purché “forte”, decisa?
Dickinson – “Una orgogliosa cialtrona
dai giochi facili\ avara anche di
cuore”, la saluta Alda Merini in un componimento epigrammatico del “Canzoniere
di Sylvia 1986” – ripubblicato in “Confusione di stelle”. “Le lunghe sottane
nere” e “il culto velato” delle “pettinature informi” rimproverandole, “indici
di una vanità castigata oltre misura”.
Femminismo – L’ultima sua bandiera in
America – la penultima prima del #metoo – è stata la sollevazione nelle
università da parte contro gli insegnanti, anche donne, che usassero
l’intercalare “caro, cara” nel dialogo con gli studenti. Anodino, comunque
tollerato, dagli studenti ma offensivo per le studentesse, un’offesa sessuale e
quasi un’aggressione. Sigrid Nunez ne fa una storia sapida nel suo super
premiato, National Book Award e altri premi, “L’amico fedele”: la sollevazione
delle donne al corso di scrittura contro un insegnante poi suicida. Uno che era
stato in altra epoca perseguito dalle groupies,
o ragazze yé-yé, “stupide, infatuate ragazze” – perseguito nel senso di
aggredito sessualmente.
Nunez lo racconta bene, in breve, ma la
storia di vent’anni prima, “Disgrazia” di Coetzee.
Flânerie – È solo maschile? Lo
argomenta Sigrid Nunez aprendo “L’amico fedele”, p. 4: è possibile, si risponde
(fa rispondere al suo personaggio), la donna in strada deve stare in guardia,
non può andare sovrapensiero. Ma, poi, gli fa dire anche che per “la donna” c’è
un equivalente, lo shopping – “da intendersi,
nel caso, quella sorta di curiosare che le persone fanno quando non stanno cercando ci comprare qualcosa”.
È solo parigina? E solo legata ai libri,
dei bouquinistes, e quindi al
Lungosenna - bouquinistes sono,
erano, i rivenditori di libri usati, che usavano tenere le bancarelle in fila
sul Lungosenna, quando i libri avevano un mercato. Walter Benjamin ne ha fatto a lungo, inconcludente, l’anamnesi, perdendosi nei meandri di Baudelaire, che
pure era un dandy semplice, perfino
limitato – un figlio di mamma che si occupava di passare il tempo, senza
faticare.
Periferia – È il “di” d’obbligo,
nobilitante, per lo show business, di
cinema, canto, ballo, teatro, e anche luogo di riferimento – bistrot, bar – intellettuale: di periferia. Cantanti, attori, attrici, se non
sono di periferia è come se non avessero stoffa – nessuno\a a Roma viene dai Parioli,
da Prati, Trieste, Pinciano. Nemmeno più da Trastevere o Testaccio, tantomeno
dai quartieri medio e piccolo borghesi, per esempio Monteverde, da dove in gran
parte vengono e dove si sono formati, in scuole di canto, danza e recitazione pagate
dalla famiglie, complessini, teatrini.
Petmania – Una forma di compensazione?
Zadie Smith lo dice da New York, quintessenza della condizione urbana, a Luca Mastrantonio
su “7”, una compensazione alla durezza della vita in America: “Gli
animali sono un conforto: un gatto, un cane, un cucciolo è una tregua” dalle
durezze della vita quotidiana, anche della solitudine, “una distrazione dal
mondo”. E dunque anche in Italia, dove è molto diffusa?
La condizione animale c’entra poco – anzi consiglierebbe
il contrario, non la domesticità forzata, incrociata, ammaestrata.
Poesia – “Una gestazione infelice”
la vuole Alda Merini in una autointervista di cui si compiaceva (inclusa in
“Confusione di stelle”, lei che poetava piuttosto che parlare. Infelice per
essere faticosa, o per gli esiti? È come “partorire delle aquile”. Come gestante
soffrendo di “un vomito tremendo per tutte le cose”. Per aver concepito “a
volte facendo soffrire un altro”. E tuttavia per un qualche empito o bisogno di
amore – senza è l’inferno: “Quando la poesia viene generata dall’assenza o
dall’odio diventa un inutile sterpo, ma di questi doloranti sterpi è pieno
l’inferno”.
Rilke – Viene proposto in via di
beatificazione, in tema di amore. Amore dei bambini, della poesia e di Dio. Ma
lasciò la moglie a nemmeno un anno dal matrimonio e non si curò della figlia.
Vivendo a sbafo, alle cure di matrone “poetiche”. La moglie, Clara Westhoff, non era nessuno, scultrice di chiaro ingegno. La
figlia Ruth dedicherà la sua vita alla memoria e ai fasti del padre, e ai
settant’anni si ucciderà, a 71 per l’esattezza. Rilke non “era fatto per una
borghese vita di famiglia”, scrive wikipedia.
Scrivere
– È antipatico, argomenta Sigrid Nunez, “L’amico fedele”: “Se leggere effettivamente
fa crescere l’empatia, così ci dicono costantemente che succede, sembra che
scrivere la allontani un po’”.
“Nei laboratori di scrittura molte
storie cominciano con qualcuno che si alza la mattina”, nota Nunez, che ha sempre
insegnato scrittura creativa. Il vecchio diario delle elementari – “descrivi la
tua giornata”.
Simenon – Si considera sempre più,
ora anche negli Stati Uniti, oltre che in Francia e in Italia, “lo” scrittore per
antonomasia, se non per eccellenza. Avendo scritto un centinaio di romanzi a
suo nome, un centinaio con pseudonimi, e tutti best-seller, anche quando
annunciò che si metteva “in pensione” – pur industriandosi ogni giorni di fare
l’amore con una donna diversa.
Storia – L’università Roma Tre ne
impone lo studio a Fisica e Ingegneria – un corso propedeutico ai corsi
disciplinari. Fisici e ingegneri arrivano
all’università troppo ignoranti. L’esito della Grande Riforma del ministro Berlinguer
nel 1999. Del Pd dell’epoca, l’ex Pci che come i partiti Comunisti dell’ex Urss
si volle all’improvviso “amerikano” in tutto – come se negli Usa la storia non
si studiasse. E cominciò abolendo la geografia, e anche la storia, già alla
scuola dell’obbligo. Perché la modernità è tecnica – come se la tecnica fosse
un sacco di patate, non una cosa da pensare.
Tutankhamon – Il “re di secondaria
importanza” - “la Lettura”- fa il giro del mondo. O “faraone fanciullo” - id. -
salito al trono a otto anni, morto a diciannove. Con i 5.400 reperti della sua
tomba si fanno mostre dappertutto, in Europa, Australia, Giappone, Stati Uniti.
Di una tomba forse “improvvisata”, spiega Livia Capponi, alla morte inattesa,
“forse destinata a membri della corte”. Ma che dire dello splendore degli
oggetti, che illuminavano il museo del Cairo dietro l’Hilton di Ghezira – dove
erano raggruppati e dove torneranno, seppure in altra sede - anche nella
stagione grigia della guerra contro Israele, dietro i muri di sacchi anti-aerei
alle finestre? Cosa dovevano contenere le altre tombe, di faraoni e dignitari
morti in età, dopo vite importanti di successi? Quanti tesori sono stati
rubati, nelle camere mortuarie dei faraoni e dentro le piramidi, e si trovano
dispersi nel mondo? Quanta storia è ancora da scrivere, malgrado il tanto
parlare dell’Egitto dei faraoni.
letterautore@antiit.eu
Il messianista anarchico
Nel 1968 gli anarchici tedeschi presero a
maestro il rabbino Taubes, l’autore dell’“Escatologia occidentale”, che rifaceva
in chiave nichilista l’“Apocalisse dell’anima tedesca” del suo maestro
cattolico Urs von Balthasar – con “prestiti” da Jonas e Goldberg, asserisce
Ranchetti. Un ermeneuta, esploratore dei sensi nascosti. “In divergente accordo”
col decisionista Schmitt. Il rabbino ne uscirà scongitto ma beneficerà, dopo Paul
Celan e Max Frisch, degli ardori di Ingeborg Bachmann, la poetessa.
Al rettore Taubes a Berlino hanno poi bruciato
l’insegna della Freie Universität, a lui l’“apocalittico della rivoluzione”, con
quel suo Dio che gioca a dadi, condannandoci in anticipo o redimendoci. La
bruciò uno studente Teufel, il diavolo. Taubes
era venuto con Scholem alla conclusione che “un tedesco è un tedesco, e un
ebreo è un ebreo”, e che un ebreo non si può dire “tedesco di confessione
ebraica, idiozia odiosa e indegna”. Nel convulso Sessantotto il rettore Taubes
aveva dato a Rudi Dutschke, da sinistra, il precetto del professor Paratore
alla Sapienza di Roma, d’imparare il latino. A Parigi, lamentava il rettore Taubes, tutti
vogliono lavorare su Heidegger, o su Nietzsche, anche quelli che non sanno il
tedesco. Prevaleva a Berlino, come a Parigi e altrove, la politica ideologica,
ribattezzata ideologia - l’ideologia tedesca. Che se non è razzismo è teologia.
Come nell’ebraismo, che, dice Taubes, “è teologia politica, questa è la sua
«croce»”.
“E in
una parola\il sogno è storia\e il somaro vola”, don Magnifico canta nella Cenerentola. La storia è unica in
questo, direbbe l’astuto giurisfilosofo Schmitt, che una verità storica è vera
una sola volta. Sostenne Carl Schmitt, l’“apocalittico antiapocalittico” di
Taubes, in contesa con lo stesso Taubes sul concetto nuovo del tempo e della
storia che si apre con il cristianesimo in quanto escatologia: “Il regno
cristiano è ciò che arresta (kat-echon) l’Anticristo”. Come altro
spiegare la storia dopo la prima e la seconda guerra mondiale? Si cambia il
mondo con giudizio: “Per un cristiano delle origini la storia è il kat-echon,
la fede in qualcosa che arresti la fine del mondo”. Spiega Taubes: “Solo
attraverso l’esperienza della fine della storia la storia è diventata una
«strada a senso unico», quale si rappresenta la storia occidentale”.
Perché
occidentale? A una curiosa inferenza si prestò il messianismo di Taubes nel suo
momento pubblico nel 1968, in quanto autore nel 1947, a ridosso della
catastrofe, di questa “Escatologia occidentale”. L’Urss non era Occidente, come
forse non lo è oggi la Russia restaurata, ma il suo kat-echon è
proprio la fine della storia - il paese
del resto è infertile alla filosofia, quella che dava le vertigini a Tauves, il
solo pensatore essendo Solov’ëv, il quale volentieri è mistico. Oggettivamente,
la Russia antifilosofica era il posto giusto per la rivoluzione materialista e
la fine della storia. Il
Batrace Breznev, avrebbero potuto dire Solov’ëv, e Schmitt e Taubes, è
l’Anticristo – e l’avrebbero fatto contento. Il problema della storia, questa
storia, è che si legge al rovescio. Benché, se la libertà è ideologia, il
sovietismo non è poi remoto, per quanto morto – non per caso Taubes è fatto proprio
ultimamente da Mario Tronti, vecchio “operaista” .
Gli
ultimi fini, siano pure determinati, ebraici e cristiani, fanno a meno della
storia? Sarebbe consolante ma non è possibile. Ma arrabbiarsi bisogna. Seppure
argomentando, sottili. Con lente e complesse letture del Cristo, e di san
Paolo, sant’Agostino, l’abate Gioachino da Fiore, e Hegel naturalmente,
Kierkegaard e Nietzsche, Marx compreso, quelli che hanno aperto, e forse chiuso,
ciclo “apocalittico”.
Taubes è
indefettibilmente
rabbino, sotto le sue varie professioni e rappresentazioni. Anche nel precoce
“dialogo” col cristianesimo, e nei confronti con Heidegger e con Schmitt.
L’escatologia occidentale, la storia dell’escatologia, è ebraica. Ma è un messianista anarchico -
uno che dava il meglio di sé nelle interviste, dice la presentazione.
Questo
che è il suo unico libro, da lui curato e pubblicato, la sua ricerca di dottorato, non ha altra chiave di lettura. Con la vecchia
prefazione di Ranchetti alla prima pubblicazione italiana, nel 1991, Elettra
Stimilli, che ha curato la riedizione, fa seguire l’interpretazione ardua della
storia antistorica, “Jakob Taubes e il senso antistorico dell’escatologia”.
Jacob Taubes, Escatologia occidentale, Quodlibet, pp.
325 € 24
venerdì 28 febbraio 2020
Problemi di base - 542
spock
“Perché esiste qualcosa piuttosto che niente”, Leibniz?
spock@antiit.eu
“Perché esiste qualcosa piuttosto che niente”, Leibniz?
“Perché non tutte le donne sono carine ma solo un’esigua
minoranza”. D. Hume?
“Se tutte le donne fossero altrettanto carine della più
carina, noi le troveremmo banali”. Id.?
“Barbaro è anzitutto l’uomo che crede nella barbarie”, C.Lévi-Strass,
“Razza e storia”?
“Il progresso non è né necessario né continuo”, id., ib.?
“La soluzione del problema della vita si scorge allo
sparire di esso”, L.Wittgenstein, “Tractatus”, 6.521?
“Coloro a cui dopo un lungo dubitare il senso della vita divenne
chiaro, non hanno potuto poi dire in che cosa questo senso consisteva”, id., ib.?
spock@antiit.eu
Cuore in Sicilia
Un viaggio sentimentale, nel
1906, in ricordo del soggiorno quarant’anni prima a Messina, prima guarnigione
del futuro scrittore da sottotenente uscito dall’Accademia di Modena nel 1865 -
da dove presto era ripartito, ad aprile dell’anno successivo, per la sconfitta
di Custoza. Dopo essere diventato, da piemontardo (“Cuore”), socialista. Con
questi “Ricordi” De Amicis chiude la sua vita, di uomo e di scrittore: consegnati a Giannotta,
editore a Catania, saranno pubblicati nel 1908, subito dopo la sua morte.
La Sicilia è un’epifania. Scrittore
di molti viaggi, De Amicis mai si era trovato tanto in sintonia con la storia,
la natura, l’archeologia, la gente, perfino la parlata, le diverse parlate, che
trova nell’isola, nei mondi diversi di Messina, Palermo, Catania. Con occhi
aperti. La “prodigalità e magnificenza” confrontando con l’abbandono e i soprusi del latifondo. Dietro il Teatro
Massimo a Palermo, “il più grande e più splendido teatro d’Italia, che costò otto
milioni”, rappresentando “quell’enorme labirinto di viuzze oscure e sudicie,
che si chiama l’Albergheria, dove brulica una popolazione poverissima in
migliaia di fetidi covi, che sono ancora quei medesimi in cui si pigiavano gli
Arabi di nove secoli orsono”. Senza trascurare che del Massimo “fu decretata la
costruzione quando Palermo non aveva un ospedale”. All’orizzonte,
occhieggiando “fra i palazzi e le statue e il via vai festoso delle carrozze
infiorate, intravede “la macchietta nera d’uno dei piroscafi che portano via
ogni settimana un popolo d’emigranti”. I “piemontesi” trovarono dopo Garibaldi
l’Africa in Sicilia. Con sdegno di tutti. Ma con l’occhio di oggi vedevano
giusto.
Natale Tedesco è severo
nell’introduzione, con De Amicis in generale, e nella fattispecie – ci vede
anche razzismo. I disegni di Monica Rubino ingentiliscono.
Edmondo De Amicis, Ricordi
di un viaggio in Sicilia, Il Palindromo, pp. 88 € 9
giovedì 27 febbraio 2020
Ombre - 502
Vanno
le “Sardine” da “Amici” per “allargare la platea a un pubblico giovanile finora
poco interessato alla mobilitazione”. E giù un diluvio. Fossero andati da Fazio
– che però ha la metà del pubblico e non ha i giovani – solo applausi.
Le inefficienze di Lombardia e Veneto, le regioni da sempre iperleghiste, sono drammatiche, trattandosi di morti. Ma anche ridicole, traducendosi in non saper che fare. Il Veneto che adotta come ordinanza anti-virus quella della nemica Emilia, sena nemmeno leggerla. supera ogni immaginazione.
La stessa superficialità, perfino voluttuosa, con cui si è diffuso il virus in Lombardia e Veneto viene ora applicata a danneggiare tutto ciò che è italiano, il cibo, il turismo, la stessa produzione industriale. Tutti “tamponati”, tutti contagiati, ma poi tutti liberamente, si direbbe felicemente, untori, a Firenze come a Torino e Palermo.
Si
possono dire i media malati. Oppure sonnolenti – la vecchiaia dà sonnolenza.
Sono ancora alla guerra contro Berlusconi, finita una decina d’anni fa.
Che
manchi l’ipoclorito di sodio, ora in uso contro il virus, sembra da ridere.
Sale grosso con un po’ di candeggina. Ma si vuole forse solo dare ragione a
Manzoni, che la peste scatena la stupidità.
O
la mancanza di mascherine. Inutili contro il virus, e comunque da buttare ogni
poche ore.
L’avidità
che si sposa alla stupidità. La violenza subdola, non perseguibile, da
specialisti del codice – quali sono i malviventi da più generazioni storiche,
anche se ora al vertice di qualcosa, chiesa, stato, comune.
Le inefficienze di Lombardia e Veneto, le regioni da sempre iperleghiste, sono drammatiche, trattandosi di morti. Ma anche ridicole, traducendosi in non saper che fare. Il Veneto che adotta come ordinanza anti-virus quella della nemica Emilia, sena nemmeno leggerla. supera ogni immaginazione.
La stessa superficialità, perfino voluttuosa, con cui si è diffuso il virus in Lombardia e Veneto viene ora applicata a danneggiare tutto ciò che è italiano, il cibo, il turismo, la stessa produzione industriale. Tutti “tamponati”, tutti contagiati, ma poi tutti liberamente, si direbbe felicemente, untori, a Firenze come a Torino e Palermo.
Scandalizzandosi
se i Caraibi, o Malta, le Mauritius o le Seychelles non vogliono italiani.
Si
dice: speriamo che l’epidemia non investa l’Africa, sarebbe un cataclisma. Per
tacere che l’Africa è invece la Lombardia, con il Veneto.
Si vede giocare la Juventus, un club che paga 350 milioni di ingaggi, quindi una
squadra di tutti campioni, col freno a mano. Di calciatori lenti, sempre in
ritardo sulla palla, che si dicono: “Adesso che devo fare, come ha detto il
mister che devo fare”? Questa Juventus si vuole infatti la squadra del mister:
dell’allenatore riguardato come un mago, un totem.
Anche
nel calcio, che in fondo è anarchico, pur essendo un gioco di squadra, di calciatori
più tecnici e altri meno tecnici, c’è, si vuole, e si paga, l’uomo forte, il demiurgo.
Si
poteva ritirare la concessione a Autostrade in mille modi dopo il crollo del
viadotto sul Polcevera. Si è scelto di pagare 7 miliardi come indennizzo ai
Benetton, sperando di tacitarli (ma ci saranno cause, si arriverà a 13-15
miliardi, la metà dei 25 richiesti). Di dare i tremila e rotti km. di
autostrade in gestione all’Anas, che non sa come – dovrebbe triplicare il personale.
Per poi riaffidare la rete a un gestore “amico”. Di Grillo? È un
grosso mediatore di affari.
Ma,
poi, certamente Anas non triplicherà il personale, nemmeno lo duplicherà: Si
affiderà a appalti e sub-appalti, di fornitori di servizi. Una rete di “amici
degli amici”, robusta – l’Anas è il Grande Appaltatore per antonomasia.
Del Pd
romano si sapeva. Ma Conte e i suoi grillini non sono da meno: una fame di
sottogoverno hanno da fare scandalo perfino a Roma.
Si
occupano i media con lo 0,1 o 0,2 di deficit in contesa con Bruxelles, mentre
si decide di pagare sette miliardi, lo 0,3, ai Benetton di Autostrade. Più le
spese vive Anas per attrezzarsi a gestire la rete autostradale. I governi Conte
si dice che siano quelli della furberia al potere, ma non sembra. Perché, se lo
sono, come vanno a piede libero?
“Professionalmente
inaffidabili” decreta la Cassazione gli ingegneri di Spea, la società di
Autostrade incaricata di monitorare la rete, e li interdice dalla professione:
“Dopo il crollo del Morandi falsi test per non chiudere il traffico”, questa la
loro colpa. Il “falso” non è più una colpa grave, penale.
Il
“delitto inevitabile” è altra innovazione della Cassazione nel caso di
uxoricidio. Nel caso in esame, per la Procura della Cassazione era inevitabile
benché la vittima avesse sporto dodici denunce contro l’assassino. Il “delitto
inevitabile” è ridicolo prima che assurdo, ma è segno di fantasia: anche giudici ne hanno quando di tratta di non
mordere altri giudici (si giudica sulla richiesta di risarcimento dei figli della
vittima contro i giudici della Procura che non avevano dato corso alle denunce.
Si
fa un referendum tra un mese per azzerare il Parlamento, ridotto ai capipartito
e ai loro sottopancia, e non una parola nei media. Il virus li monopolizza, ma
non se ne parla nemmeno negli spazi di complemento: si parla della Siria, di Sanders,
delle cavallette.
Si
può uccidere la democrazia con un referendum che dice di risparmiare cento o
duecento milioni sui costi della politica? Evidentemente si può: Grillo e i
suoi non sono soli. E questo, bisogna ammetterlo, a nessun fine “pratico”: la
stupidità esiste.
“Circa
3 mila persone hanno peso parte a Hanau alla manifestazione contro l’odio”,
dopo la strage compiuta da un tedesco, con nove morti – più se stesso e sua
madre. Sono molte o sono poche? Sono poche, ma si evita di dirlo.
La Fiat senza Torino già in Fruttero & Lucentini
Il titolo è la domanda alla
sentinella nel libro di Isaia: “A che punto è la notte?” . Importante dunque.
Ma per le prime duecento pagine non succede nulla – un abuso d’autore: duecento pagine di paesaggio, e di gnosi, la filosofia del mondo che non è. Poi il plot appare esagerato: la Grande Azienda
che progetta, quarant’anni fa, di distruggersi per ricostruirsi altrove. Ma è
quello che è successo: la Fiat ha lasciato Torino.
Carlo Fruttero-Franco
Lucentini, A che punto è la notte,
Oscar Gialli, pp. 452 € 14,50
mercoledì 26 febbraio 2020
La chiesa contro la famiglia
Non si fanno figli in
Italia da mezzo secolo, per effetto della “riforma” fiscale, la legge
Visentini. Che la famiglia ha disintegrato e abbattuto. Al suo varo, la
famiglia italiana si calcolò che veniva a pagare sul reddito un’imposta che era
tredici volte quella della famiglia tedesca, e sette volte quella francese.
La riforma che porta
il nome del laico Visentini fu tuttavia varata e anzi promossa, nel 1974, dalla
Democrazia Cristiana allora in auge, col governo Moro-La Malfa. E dal Vaticano.
I quali, via la Corte Costituzionale, da loro espressa, hanno stabilito essere
l’individuo e non la famiglia l’unità patrimoniale.
Un passo gigantesco contro
il matrimonio. Si apriva anche la corsa alle separazioni, e ai patti
matrimoniali ostativi.
Una riforma che costituisce
anche un caso per la polemica sul capitalismo: se l’individuo è privilegiato in
ambito protestante o non di più in ambito cattolico.
Polveriera Libano
Un Paese che ha sei milioni di abitanti
e due milioni di profughi dalla Siria? Il Libano.
Un paese che ha due milioni di profughi
dalla Siria e nessun aiuto dall’Unione Europea? Il Libano.
Un paese governato da “americani”
(dodici ministri hanno la doppia nazionalità, il primo ministro è il
vice-presidente dell’università americana di Beirut), tutti ladri? Il Libano.
Un paese governato da americani insieme
con Hezbullah, gli sciiti armati e
telecomandati dall’Iran, reduci dal sostegno armato a Assad in Siria? Il
Libano.
Un paese la cui valuta è ormai il
dollaro, ma non ha dollari? Il Libano.
Si direbbe il Libano un paese abbandonato
da Dio e dagli uomini. Ma non del tutto: torme di europei, italiani in buona
parte, comprano di tutto, beni immobili e mobili, perfino titoli di Stato. Per
ripulire denaro sporco.
L’ultimo avamposto in qualche modo occidentale
nel Medio oriente arabo, il Libano, mezzo cristiano, è stato abbandonato dal
Vaticano. E dalla Francia, sua protettrice tradizionale. L’Italia è subentrata
con varie missioni militari a partire dal 1982, e ha pure il comando dei caschi
blu Onu di interposizione alla frontiera con Israele, col più grosso
contingente, 1.400 uomini, ma non si occupa di nulla.
Il Libano sperava nell’Italia per
mettere a frutto i giacimenti di gas lungo le sue coste nel Mediterraneo
orientale, e nulla: Conte in visita ha detto “come no, ci penseremo”.
La scoperta del capitale cristiano
C’è, o c’era, all’ingresso del
Benediktbeuern in Baviera, il monastero benedettino (poi passato ai salesiani)
da cui il villaggio ha preso il nome, che all’origine si chiamava Buria, da cui
il nome di “Carmina Burana” per le canzonacce goliardiche riemerse manoscritte
nel 1803 e poi musicate da Carl Orff, un pannello plasticato con l’irradiazione
del monastero stesso in varie epoche: a cavaliere del Mille arrivava fino in
Lombardia, come se non ci fossero le Alpi di mezzo. Un principato, gestito da
un monastero. Non era il solo – Padula ne è stato un caso fino a non molti
decenni fa.
Il capitalismo è vecchio di mille anni. E ben cattolico – allora
cristiano – e italiano prima che ebraico e, dopo la
Riforma, protestante. Nella finanza: gente di denaro lombardi,
fiorentini, genovesi monopolizzavano le fiere in Europa. E nell’organizzazione
della produzione - già Calimala nel Trecento importava panni grezzi per
riesportarli impreziositi.
La storia non se ne scrive per un’accezione distorta del laicismo.
Che è antisemita, a volte, e allora usa il capitalismo come un’imputazione.
Oppure è filoprotestante, nell’alveo della germanofilia – Max Weber, che
avrebbe teorizzato l’esclusiva, in realtà non ci ha mai pensato: lui ha solo
rintracciato le forme del capitale nelle forme del protestantesimo (e più nel
pietismo, il luteranesimo più affine al cattolicesimo).
Giacomo Todeschini, “I mercanti e il tempio”, ci ha provato
all’inizio del millennio: la maggior parte delle nozioni industriali e
finanziarie che associamo al capitalismo hanno origine nella costruzione
intellettuale cristiana. Di e attorno alla chiesa, tra il Mille e il Trecento:
la proprietà, lo scambio, il consumo, anche suntuario (lusso), il dono,
l’accumulazione, il danno e l’indennizzo (l’assicurazione), l’investimento,
l’industria, e l’interesse individuale in aggiunta al bene comune. La
ricostruzione è avallata ora da Thomas Piketty, “Le capital chrétien”, il
titolo del saggio che premette alla traduzione francese, riveduta, de “I
mercanti e il tempio”. Dove sancisce “la modernità della concezione
medievale e cristiana del capitale e dell’economia – o l’arcaismo della nostra
supposta modernità, secondo il punto di vista che si adotta”. Sottolineando
“l’importanza della proprietà e dello sviluppo economico e
demografico del Medio Evo”.
Piketty cita anche Peter Brown, studioso della
trasformazione dei concetti di proprietà e benessere tra il IV e il V secolo,
in concomitanza con l’affermazione del cristianesimo come religione di Stato,
Jack Goody, “The European Family”, sull’evoluzione dell’economia domestica, e
Mathieu Arnoux, “Le Temps des laboureurs. Travail, ordre social et croissance en
Europe (XI-XV siècle)” sulla stessa traccia di Todeschini, di cui ha voluto e
organizzato la traduzione in francese.
La storia economica deve fare
ancora molti passi – è cominciata a rovescio, con Petty e Adam Smith, dal mondo
com’è, e anche il puntiglioso Marx ha avuto problemi a riconfigurarla nel suo
divenire.
Todeschini ha aperto una porta,
specialmente importante per la storia dell’economia e dell’Italia. Ma
apparentemente subito richiusa: il suo studio, 2002, che poteva e doveva essere
seminale, è sparito subito, molto prima della sua riscoperta in Francia. “La
società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo ed età
moderna” è il sottotitolo. Non in opposizione ma in relazione. Di quando i
monasteri erano - al tempo dei feudi inoperosi - dei campi coltivati, e aperti.
“Sono proprio gli ecclesiastici che conoscono il buon uso della ricchezza”,
come Piketty sintetizza: “Sono di esempio, dettano le regole, consuetudinarie e
anche scritte”. Il vocabolario e anche la sintassi del capitalismo. La carità
come il risparmio (accumulazione), il lavoro, l’investimento (innovazione), lo
scambio. Su exempla biblici e
evangelici, la parabola dei talenti, et
al.
Todeschini, medievista
all’università di Trieste, mostra che il linguaggio e i concetti dell’economia
come si è venuta configurando, moderna e contemporanea, sono di ambito
ecclesiastico. Mostra pure che gli aspetti che si direbbero deleteri, quali la
deprecazione della povertà – della passività, non della povertà intervenuta - e
l’apprezzamento del merito, la meritocrazia, vanno ricondotti alla storia della
chiesa. La grazia attraverso le opere è diventata saldo presidio epistemologico
della modernità, se non teologico.
Vescovi, monaci, mendicanti e
universitari, e qualche bolla delineano il quadro dell’ordinamento economico
come lo viviamo. Articolato: la creazione e la circolazione della ricchezza, la
sua distribuzione, gli usi, i controlli sono elaborati e regolati in dettaglio.
Negli aspetti controversi e nella sua forza di consenso. Nella sua capacità di
azionare la crescita e la solidarietà, e anche nella sua brutalità. Nelle
dinamiche di esclusione, di eretici, ebrei, poveri. I problemi spirituali,
morali e politici che ne sorgono sono dibattuti e risolti – di volta in volta
messi a punto.
Una ricerca documentata. Non solo
gli assetti produttivi, la società era organizzata ai fini della produzione,
secondo schemi organizzativi e sulla base di concetti che saranno e sono i
nostri, di moderni e contemporanei. Non un’eresia, a voler guardare la cosa
dall’altro lato, della storia della chiesa: la società medievale era unitaria,
comunitaria. Le fatiche e la spiritualità marciavano insieme. La religione, si
direbbe, non escludeva l’economia - non escludeva niente.
Una miniera. Parte
dell’esumazione – anch’essa interrotta - del ruolo della chiesa
nell’organizzazione sociopolitica della modernità. Che Alessandro Alessandro
Passerin d’Entrèves, ripreso da Hannah Arendt, aveva aperto mezzo secolo fa. Lo
stesso Todeschini sarà autore di un “Ricchezza francescana”, anch’esso
dimenticato, malgrado l’avvento del papa Francesco (o a causa di esso?) –
“Dalla povertà volontaria alal società di mercato”.
Il papa emerito lo ha ricordato
indirettamente a Milano, dieci anni dopo Todeschini, ricordando san Carlo
Borromeo: il capitalismo è cattolico e lombardo piuttosto che protestante e
transalpino, per la salvezza che si cerca e viene con le opere e non per caso,
come segno della grazia divina. Nella spesa più che nel risparmio, o l’avarizia.
Nell’impegno quotidiano, che san Carlo chiamava “lavorerio”.
Il papa emerito lo
sa come bavarese, e come cattolico.
È lombarda la borghesia, prima
che protestante, molto prima, con la Riforma del secolo Mille. E meglio che
protestante poi, con i Borromeo, san Carlo soprattutto - Max Weber va
arricchito col superiore borromeismo. Come Sombart e Gotheim, Weber pone la
religione tra le cause del capitalismo, un punto di contatto trovandogli col
protestantesimo, la razionalità. Ma questo non è il principio della fine, del
capitale e della religione. Lo stesso Weber lo sapeva, che la
scristianizzazione angustiava, il disincanto del mondo – e meglio avrebbe fatto
a guardare al Sud ricco della Germania, la Baviera, il Baden, il più ricco
d’Europa e cattolico, dove c’è molto Borromeo, collegi, suore, conventi.
Si
accumula con più sostanza e continuità nella diocesi borromeiana, che san Carlo
controllava in ogni punto, giorno per giorno. E dove una fortuna che deperisce
è un incidente della storia e non la fine, la tessitura procede laboriosa.
Giacomo Todeschini, Les Marchands et le Temple, Albin
Michel, pp. 560 € 27
martedì 25 febbraio 2020
Secondi pensieri - 410
zeulig
Autore – È uno stratega. In primo luogo di se stesso: distaccato, misurato.
zeulig@antiit.eu
Autore – È uno stratega. In primo luogo di se stesso: distaccato, misurato.
La prima persona al presente storico è
ingombrante, una rappresentazione doppia - del soggetto che rappresentando se
stesso si situa e si capisce. Ma anche alla terza persona: l’autore è un
personaggio della propria narrazione. Non necessariamente l’agente primo, ma
sempre primattore.
In
Aristotele il personaggio è al plurale – è più d’uno. E si chiama “agente”. Non
di polizia, ma quello che agisce, fa la realtà.
Dio
- Su Dio non si può contare, poiché ha
abbandonato Gesù: se c’è, è una presenza assente. Ma vale sempre la proposta di Tacito: meglio (“è più santo e
reverente”) credere all’esistenza di Dio che discettarne.
E
poi basta poterla raccontare, un incipit è già tutto, come sapeva Platone:
“L’inizio è anch’esso un dio che, finché resta con noi, salva tutto”.
Psicoanalista
–
Il “Dr. Mabuse” di Thea von Harbou e Fritz Lang termina il suo periplo di
potere, da un comando all’altro, con l’etichetta professionale sulla porta “Dr.
Mabuse – Psicoanalista”. Il personaggio di Thea von Harbou e Fritz Lang è derivato
– sembra, ne sceneggia il nucleo – dai “Protocolli di Sion”, e quindi, in
maniera più o meno indiretta, rispecchia l’antisemitismo dei “Protocolli”,
dell’Internazionale ebraica del dominio. Ma la professione finale non è
incongrua con la “carriera” del personaggio: speculatore, baro, capo criminale,
falsificatore, provocatore, finto rivoluzionario, ipnotista. Lo psicoanalista
non è uomo di scienza, ma in qualche modo un manipolatore – su basi o pretese
scientifiche.
Rimozione
–
È l’“oblio attivo” che Nietzsche, “Genealogia della morale”, dice il guardiano della
pace mentale e dell’ordine. Invitando a “chiudere ogni tanto le porte e le
finestre della coscienza…. un po’ di tranquillità, un po’ di tabula rasa della
coscienza, per fare ancora spazio a qualcosa di nuovo”.
In lui non ha funzionato, ma non
vuol dire – si potrebbe arguire che rimuoveva poco, iperattivo.
Risentimento
–
È un’esigenza - una forma di compensazione, auto gratificazione - ma
disfattista? Di fatto autopunitiva.
Si prendano i sopravvissuti ai
campi di sterminio hitleriani. È stato d’animo che Primo Levi con sicura
coscienza ha combattuto in tutta la sua opera. Améry – da cui pure Guia Risari
ha potuto estrarre un “Il risentimento come morale” – arguisce sintetico il
rischio in “Jenseits von Schuld und Süne”: “Il risentimento inchioda ognuno
sulla croce del suo passato. Assurdamente, pretende che che l’irreversibile sia
rigirato, che il fatto sia disfatto”. Assurdo perché lega a una impossibilità.
È altra cosa che la vendetta? E
la vendetta libera?
Storia
–
La vita è breve, la storia è lunga. Per pieghe sue inesauribili, e per
l’attitudine a volersi spiegare.
“La scrittura e la fotografia
probabilmente distruggono più del passato di quanto mai ne preservino”, Sigrid Nunez,
“L’amico fedele”, 216.
Suicidio
–
La morte di Socrate – poi dei martiri - non lo è? Sacrificarsi per la libertà è
comunemente accettato. Ma per la verità – nel caso di Socrate di un metodo di
verità?
Per quanto, Jacopo Ortis si uccide per essere ugualmente ostile al terrore
assolutista e a quello democratico. Che sembra ridicolo. Ma non si può dire che
è stato inutile.
Si
legge nei libri sui suicidi – sui suicidi scrittori? ce ne sono così tanti? -
che scrivere in prima persona è segno caratteristico di tendenze suicide. O non
piuttosto celebrative – ostensive, superbe? Nel caso dello scrittore poi
suicida che racconta in prima persona si può pensare che, poiché la sta
raccontando, non si uccida, questa suspense andrebbe esclusa. Oppure certo, si
può pensare a un testamento, lungo.
Goethe lo teorizza, e lo fa condannare,
nella lettera del 12 agosto – quella che ammazza prolisso il “Werther”, anche i
geni fanno rigaggio: “Il suicidio non si può considerare che come una
debolezza. Certamente è più facile morire che sopportare con costanza una vita
dolorosa”.
Chi accetta il suicidio giustifica
l’assassinio: è fine argomento, più o meno, di Camus.
È contagioso? La predisposizione al suicidio si acquista frequentando
un suicida.
Non sembra - se
così fosse, la Svizzera con le sue cliniche della buona morte sarebbe già a
corto di manodopera. Ma così dicono i terapeuti.
Delle morti controverse di Esenin e
Majakovskj, Tsvetaeva sostenne:
“Il suicidio non esiste, esistono solo gli assassini”, che poi s’impiccherà
povera e sola, nel Tatarstan. “Il suicidio”, aveva scritto Majakovskij,
“isolato dalla sua complessa situazione sociale e psicologica, con la sua
momentanea negazione immotivata, opprime per il tono di falsità”. Un complotto
dunque ci vuole se a spararsi è Majakovskij. O, poi, Tenco.
Yourcenar giovane sosteneva che “il
suicidio è un modo di turbare il prossimo: la vittima s’insedia nella memoria
degli antagonisti, che non può conquistare altrimenti”. Ma la morte non
cancella le persone? Il ricordo è altra cosa.
Yourcenar è vera nel senso della drammatizzazione
che del suicidio Camus fa in “Sisifo”: teatro. E bestemmia, va aggiunto. Anche
se la più oltraggiosa è dell’autore della “Città di Dio”, XXI, 14: “C’è
qualcuno che, di fronte alla scelta tra la morte e una seconda infanzia non
inorridirebbe dalla paura di fronte a questa seconda ipotesi e non sceglierebbe
di morire?”
La bestemmia di un santo? Freud al
confronto è un dilettante.
Allo stesso sant’Agostino, che però amava
la sua mamma, va attribuito l’errore-orrore di essere stati concepiti nel
peccato.
Kant
non ne aveva grande opinione: le seghe, diceva, sono peccato peggiore. Benché
sia difficile da accertare, all’ultimo momento, non si sa.
Piace anche
morire in coppia. Kleist non fu il primo, solo il più famoso, in antico usava.
Kleist fu
speciale in questo, che lo fece presto, di 34 anni, in un’epoca, il
1811, in cui il mondo era in armi contro Napolone, e trovò lei, malata di
cancro terminale, solo entusiasta all’idea: banchettarono prima, e lei pregò il
marito nelle ultime volontà, di
seppellirla accanto al poeta, non consumandosi un tradimento, ma un sogno
interminabile di romantica felicità.
Morire in coppia
adesso è più facile. E su appuntamento. Ci sono agenzie per questo, benché
sotterraneee, di anime gemelle, e siti web. Un omone della Norvegia ne ha
trovato uno in Nuova Zelanda, ha preso l’aereo, lo ha raggiunto, e insieme si
sono lanciati da uno spuntone.
È anche rituale. I giapponesi, che si
suicidano anche in gruppo, lo fanno di preferenza nella foresta Aokigahara, ai
piedi del monte Fuji, il sito per eminenza del romanticismo nipponico.
E vale anche qui
l’effetto annuncio? Il maggior numero di suicidi, in Europa e in America, si
sarebbe registrato nel Settecento, quando venivano regolarmente registrati,
come ogn altro annuncio pubblico, sui giornali.
zeulig@antiit.eu
La promessa su Rai1 è sofferenza
Curiosamente, la “vita
promessa”, in realtà inseguita, faticata, combattuta, è solo un seguito di
disgrazie, in atto o in fieri. Attorno a una radiosa Luisa Ranieri, che emana forza, intelligenza e sex
appeal, solo si coagulano, per il secondo anno consecutivo, una serie di
disgrazie. In atto o in potenza. Anche quando Madre Coraggio si innamora, lo vediamo solo al letto di
morte dell’innamorato. Una grande produzione, anche ben diretta, ma legata alle disgrazie - Sicilia disgrazia?
È il meccanismo della suspense, di tenere la audience appesa a una mancanza\violenza,
di tenerla in tensione. Che però esige, come genere, delle pause. Specie se
ambisce a un pubblico “generalista”, cioè multitudinale e misto, di
generazioni, società, cultura.
È l’ideologia di Rai 1. Su
Rai 1 in prima serata non ci sono mezze misure: o non c’è respiro, come qui,
oppure è come in “Don Matteo”, che anche i morti, generalmente, resuscitano.
Ricky Tognazzi, La vita promessa
lunedì 24 febbraio 2020
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (417)
Giuseppe Leuzzi
Se la peste è leghista
leuzzi@antiit.eu
Se la peste è leghista
Non è a dire la gravità dell’epidemia di
coronavirus che la Lombardia e il Veneto hanno diffuso. Le regioni della Lega,
la sanità della Lega. Con centinaia di contagiati e mezza dozzina di morti.
Facendo dell’Italia il paese più appestato dopo la Cina – e la contigua Corea. Al limite della pandemia. Un paese che affonda in Borsa come mai nei peggiori crac, perché è destinato
alla quarantena in Europa.
Un focolaio di infezione al centro del continente europeo, non è a dirne la gravità. Tutto per superficialità, la solita albagia: per il virus il salvifico Salvini aveva appena denunciato le Regione Toscana, finora immune; a Brescia allo stadio si inneggiava al coronavirus a Napoli. A cappello dell’incompetenza.
Un focolaio di infezione al centro del continente europeo, non è a dirne la gravità. Tutto per superficialità, la solita albagia: per il virus il salvifico Salvini aveva appena denunciato le Regione Toscana, finora immune; a Brescia allo stadio si inneggiava al coronavirus a Napoli. A cappello dell’incompetenza.
L’epidemia lombarda è raccapricciante per
imprevidenza e incompetenza, ma anche per leggerezza. A Roma, con le
precauzioni, il contagio si isola, e si guarisce anche, a Milano e nel Veneto
il contagio si diffonde.
Tanta superficialità è da non credere. Nessun
esame preliminare al ricovero. I contagiati spostati in ospedale da reparto a
reparto. L’incapacità di isolare (individuare) il “ceppo originario”, il
portatore primo del virus – non si fanno ricerche, si raccontano “storie”, con
la solita superficialità. Morti di virus
pazienti monitorizzatissimi per altre patologie. In tanto disastro, ci
sarebbe da morire dalla vergogna, uno pensa. E invece no.
Sabato 22 febbraio 2020, il giorno della nuova
peste in Lombardia, il “Corriere della sera” apre a tutta pagina: “Il virus in
Italia: un morto in Veneto”. Milano e dintorni confinando a quattro parole in
un affollato “catenaccio”: “In Lombardia 15 casi”.
L’apertura del secondo giorno è ancora più
anodina: “Una cintura per isolare il virus”. Dove? “Non si potrà uscire da 11
comuni focolaio”. Dove? “Seconda vittima”. Dove? “I contagiati in Italia sono
ora 76”. In Italia dove? “Atenei chiusi al Nord”. Ah, ecco.
In seconda pagina si continua col non-luogo. In
grande: “Una donna la seconda vittima”. È di Casalpusterlengo, ma questo non fa
notizia. Seconda riga, sempre a corpo 60: “Impennata di contagi, sono 76”,
sempre evitando di dire dove. La colpa è dell’Italia: “L’Italia è il Paese con
più casi in Europa e il quinto al mondo”. Milano c’entra in un occhiello:
“Accertati i primi casi a Milano e Torino”. A Milano una trentina, a Torino
tre, ma non fa differenza. Il Veneto non interessa. “Si espande anche il
focolaio in Veneto”. Anche, prima dove? A p.4 un’intervista col presidente
della regione Lombardia, il responsabile della Sanità, fa il punto come se
l’epidemia avesse colpito la Sardegna o la valle d’Aosta.
“Il Sole 24 Ore” pure, non declina le
generalità: “In Italia il numero più alto di casi”. In Italia. Fosse successo a
Napoli?
Si direbbe cinismo ma no, è pienezza di se stessi – è leghismo. Non
male. Bisogna proteggersi, anche dalla cattiva fama. Soprattutto in caso di
colpa. Qui evidente e grave: di imprevidenza e inefficienza. Niente test,
niente isolamento precauzionale, niente di quello che è stato detto e fatto
in abbondanza dacché il virus si è
manifestato, in panel,
raccomandazioni, regolamenti, leggi. Niente esperienze pregresse: all’ospedale
romano per infettivi guariscono gli appestati, a Milano non interessa. Il
virologo Burioni del San Raffaele non ha finito di vituperare la regione
Toscana, la sanità toscana, per il coronavirus che il San Raffaele mogio
confessa di avere almeno un infetto in corsia, ricoverato da una settimana,
l’ospedale che si professa di eccellenza e di ricerca - si professava quando
era proprietà del Vaticano, prima che il proprietario del “Corriere della sera”
gliela scippasse.
La cosa non si rileva, come è giusto, essendo
l’epidemia in corso e il rischio grave. C’è solo da riguardarsi e fare voti.
Ma: fosse successo a Catania o Catanzaro, “La Sicilia” e la “Gazzetta del Sud”
ne avrebbero fatto un inferno, locale. Tra corruzione e incapacità.
Pappagallini sarebbero insorti dappertutto, per raccontare ai Grandi Inviati
del Nord tutte le beghe e le nefandezze di primari, direttori, politicanti e
mafiosi. Occhi bassi, e scusarsi di essere al mondo.
A Milano no, perché - perché flagellarsi? Il
silenzio non è un infortunio, è calcolo e modo di essere. La spazzatura che la
Lombardia produce , abbondante, va buttata al piano di sotto. Si è tentato con
la Toscana, ora vediamo. È come Malaparte notava in “Benedetti italiani”, in
anni ormai remoti ma di verità evidentemente durevole: “Mi par giusto difendere
gli italiani del Mezzogiorno dall’accusa di parlar con le mani, come se fossero
i soli, in Italia! Ma già, quando c’è qualche accusa da muovere agli italiani,
sempre quelli di su la scaricano sulle spalle di quelli del piano di sotto. I
quali, specie i lombardi, non solo parlano con la bocca, e a bocca larga, ma
con le mani. Parlano a voce alta, spesso gridando”.
La Lombardia parla a voce alta questa volta tacendo, e il Veneto, il leghismo,
regioni cattolicissime, anche perché l’epidemia è una sorta di vendetta dei
cieli? Come voleva l’antica massima “quod
Zeus vult perdere dementat prius”, a quelli che vuole rovinare Zeus toglie
prima la ragione? Un caso di giustizia divina? È possibile – anche se il virus
non si isola e chiunque può esserne vittima. In ogni caso non auspicabile. Ma a
quanti la ragione non l’ha tolta finora la Lega?
Se è lecito sorriderne, il “Corriere della sera” di oggi è quello
di sempre, di quando famosamente sostenne di “Lascia o raddoppia” che se il
giornale non ne parlava, nessuno avrebbe visto la tv. Ma non è una cosa da
ridere: il giornale è Milano 1, la circoscrizione dei ricchi e intellettuali
che sono stati e sono la vera Lega, Bossi e Salvini ne sono solo le maschere.
Perché darsi addosso quando si è in disgrazia? Proteggersi è il primo dovere.
La
compassione
Si “tiene il lutto “ – si elabora il lutto –
con le visite di condoglianze. Le donne vegliano la salma, madri, mogli,
figlie, sorelle, zie. Conversando. E ricevono le visite di condoglianze delle
parenti, e delle estranee – anche di amici del defunto, che passano per un
saluto personale. Un resto del “compianto”, quando la moglie o madre andava
enumerando, su toni d’angoscia, le virtù della persona defunta. Ora non più –
talvolta si dice il rosario.
Gli uomini siedono in ambiente separato, lungo
le pareti. Entrano, uno alla volta, stringono la mano o danno un abbraccio, a
secondo della prossimità, ai parenti stretti, genitori, figli, fratelli, zii, nipoti.
Qualcuno chiede notizia degli ultimi istanti, poi siedono, muti, raccolti. Per
quindici, venti minuti. Passati i quali, si esce, senza più salutare.
Tutti, uomini e donne, vestiti sobriamente, se
non di nero. Ripuliti: non si va al “lutto” dal lavoro: il lutto è una
celebrazione.
Tutti vanno poi, uomini e donne, all’ufficio
funebre in chiesa. Alla fine del quale “si licenziano” dai congiunti, gli
uomini dagli uomini, le donne dalle donne, con una stretta di mano o un
abbraccio. I più vicini ripetono la cerimonia al cimitero, dove si recano
individualmente in macchina, davanti alla camera mortuaria. Una forma estesa di
condivisione del lutto, e muta. E tuttavia efficace. Fa rivivere per alcune ore
la figura del defunto, e ne imprime la memoria.
Calabria
Gaetano Artale, un ingegnere di Padova, si
pretende ebreo tedesco, nato a Rostock,
deportato in un lager e sopravvissuto. La comunità ebraica non sa che fare,
scandalizzata: l’ingegnere esibisce un solo documento, in cui risulta nato a
Laino Borgo, in Calabria. Ma Laino Borgo è nome tedesco italianizzato, erano
longobardi.
Sono calabresi gli chef stellati in voga,
Francesco Mazzei, che spopola a Londra e Edimburgo, Anthony Genovese, punto
d’attrazione a Roma Centro ai Banchi Vecchi, un globetrotter che ha
“scoperto che nel comune di Rigi in Calabria passa il 38mo parallelo,
che tocca anche il Giappone e la Corea”, e allora ha “creato un piatto che
unisce le tre terre”, che sono quelle che porta “nel cuore”. E Caterina Ceraudo, la “miglior donna chef”
di Michelin, prima donna stellata, Luca Abbruzzino, Nino Rossi, Riccardo
Sculli, Ciro Sicignano. La leggerezza. Ma non senza follia.
“Una cucina di poco costo e di forti sapori”,
spiega semplice Mazzei, che fra gli chef stellati è il più imprenditoriale.
Altrove non vi si sarebbe costruita sopra una fortuna, con agroindustria,
turismo, culinario e non, cultura? L’imprevidenza.
O forse no, l’incostanza: se il guadagno non è
immediato si passa al lagno.
Ville, Ferrari, imprese, e galera per 257
percettori del reddito di cittadinanza in Calabria. Le imprese sono partite Iva
che hanno trascurato di presentare la denuncia dei redditi. Li ha scoperti la
Guardia di Finanza. Ci voleva una polizia per scoprirli, i controlli
amministrativi non si fanno. Questo solo nella Locride, l’ex sottoprefettura di
Reggio, che non conta 200 mila abitanti.
La Calabria vota alternativamente, alla
Regione, per la destra e per la sinistra. Sempre scontenta, di ogni governo.
Che però inevitabilmente, sia destra o sia di sinistra, sarà intanto finito
sotto processo.
Il Procuratore antimafia di Catanzaro Gratteri
dice che il parroco di Limbadi, Francesco Massara, nell’estate 2017 riuniva nella canonica i
faccendieri di un clan di ‘ndrangheta. Per poi diventare, pochi mesi dopo, nell’estate
del 2018, vescovo, di rispettabile sede, Camerino, che ha anche una università
con molti calabresi. Evidentemente si può: Gratteri e Massara sono della stessa
parrocchia.
Siano coinvolti nel malaffare i Casamonica, i
Di Silvio, gli Spada, non si scrive che sono rom. Sia coinvolto un Tripodi o un
Modafferi, l’origine calabrese connota la notizia. Questo a Roma.
A Milano e Torino non c’è impresa di calabrei
che non sia processata, quanto meno per voto di scambio. Imprese edili, che
lavorano negli appalti pubblici, il crocevia di tutta la corruzione: contro le
imprese edili locali non c’è gara.
leuzzi@antiit.eu