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sabato 7 marzo 2020

Secondi pensieri - 411

zeulig


Demiurgo – Ritorna, sotto le spoglie di Filippo Burzio più che di Platone e il suo “Timeo”. Del risolutore. Quello del filosofo (matematico) che da gobettiano divenne mussoliniano. E subentrò alla direzione della “Stampa” in sostituzione di Malaparte, non abbastanza fascista.

Dice il Censis che un italiano su due vuole un “uomo forte” al potere. Si ipotizzava nella globalizzazione, col parallelo indebolimento dell’auctoritas statale, maggiore libertà. Politica, di mobilità, di creatività. E invece si sente il bisogno di auctoritas.

Si vede giocare la Juventus, un club che paga 350 milioni di ingaggi, quindi una squadra di tutti campioni, col freno a mano. Di calciatori lenti, sempre in ritardo sulla palla, che si dicono: “Adesso che devo fare, come ha detto il mister che devo fare”? Questa Juventus si vuole infatti la squadra del mister: dell’allenatore riguardato come un mago, un totem. Anche nel calcio, che in fondo è anarchico, pur essendo un gioco di squadra, di calciatori più tecnici e altri meno tecnici, c’è, si vuole, e si paga, l’uomo forte, il demiurgo.

Fascismo – Fu erotizzato nei primi anni 1970. Nell’immaginario, in forma di corpi perfetti e passioni virili. Anche da non fascisti, come Cavani, “Il portiere di notte”, Pasolini, “Salò-Sade” tra i tanti, e lo stesso Visconti, “La caduta degli dei”.
Fu erotizzato  negli stessi anni in cui insorgeva il terrorismo urbano: una coincidenza? una correlazione?

Heidegger – È – era – in Marx la sua macchin-azione. Già nel “Manifesto”, e nei concetti di alienazione (Entäusserung), estraniazione (Entfremdung), reificazione. E poi nel cap. tredicesimo del Libro I del “Capitale”,   “Macchine e grande industria”: “Vediamo come la storia dell’industria e l’attuale oggettiva esistenza dell’industria sono diventate il libro aperto della coscienza umana, la psicologia umana percepita in termini sensoriali”.
Manca un Heidegger marxista, senza volerlo – questo sito ne ha tentato un avvio il 13 giugno 2018, per le celebrazioni di Marx

Politica – Si dice un’arte. Ma in un senso doppio, antitetico. Nel senso di un mestiere, con una sua tecnica, e vari segreti professionali. E del bello, d’artista. Ma su questo versante pericolosamente, era Goebbels che si pretendeva un artista: “La politica è la più alta e più comprensiva arte che ci sia, e noi modelliamo la moderna politica della Germania sentiamo di essere artisti”.
Goebbels lo diceva in senso igienista: “Compito dell’arte e dell’artista è di formare, dare forma, rimuovere il malato e creare libertà per il sano”.  

Questione morale – Il disagio che comporta è in Nietzsche, “Genealogia della morale”: “Che cosa è in sostanza la morale? È essenzialmente un dispositivo di difesa e di (soprattutto) offesa. È un meccanismo con cui si è cercato (con successo) di facilitare il dominio dell’uomo sull’uomo: nelle due varianti dell’annichilimento del «debole» da parte del «forte» e dell’indebolimento\condizionamento del forte da parte del debole”.

Tradimento  - Era vituperio e colpa maggiore nell’etica. Specie quello degli affetti, di amici e familiari, ma anche della patria. Ora non più. Nei rapporti interpersonali ha perduto qualsiasi illiceità. Residua in senso legale, ma non più affettiva. Nei rapporti politici è avocato e assunto a titolo di merito. Sanders è candidato di punta del partito Democratico alle primarie presidenziali Usa pure essendo stato ed essendo un sostenitore delle dittature ostili agli stessi Usa, quella castrista, e quella degli ayatollah in Iran. In Italia si moltiplicano a ogni legislatura i parlamentari che cambiano partito, anche più di uno nella stessa legislature, talvolta passando non a uno finitimo ma a quello opposto.
Il costituzionalista Ainis osserva che interrogando google con la parola “tradimento”, la risposta è di sei milioni di risultati. Digitando invece “tradimento politico”, il numero aumenta del 50 per cento, a nove milioni.

Wittgenstein – Non sopportava le donne. Freeman Dyson, il fisico teorico morto una settimana fa, lo ha ricordato (in un articolo sul “New Yorker” nel 2012) a Cambridge, nel 1946, divenire all’improvviso muto se una donna entrava in aula, finché quella, capita l’antifona, non se ne andava. E che una volta si diceva, tra sé e sé, mormorando ma non indistinto: “Divento più stupido e più stupido di giornonin giorno”.
Il ricordo di Dyson è contestato. In particolare per quanto lui stesso racconta, che da entusiasta del “Tractatus” al liceo, ebbe la fortuna a Cambridge di condividere la residenza col filosofo nel 1946. “Stava in una stanza sopra la mia nella stessa scala”, racconta, e quindi si incontravano a volte, salendo o scendendo - è in una di queste occasioni che Dyson lo senti mormorare sulla stupidità. Una volta il giovane Dyson prese coraggio e gli parlò. Gli disse del “Tractatus”, e gli chiese se era delle stesse idee di 28 anni prima. “Rimase in silenzio a lungo, e poi disse: «Che giornale rappresenta?». Gli dissi che ero uno studente non un giornalista, ma non rispose mai alla mia domanda”. Dopodiché racconta come trattava le donne: “La risposta alla mia domanda mi umiliò, e la sua risposta alle studentesse che tentavano di seguire le sue lezioni era perfino peggio”.
Ma il privato di Wittgenstein è tutto specialmente bizzarro, come ricostruito da amici e conoscenti. Guardava ai gatti e li dichiarava dei. Guardava alle donne e si chiedeva: sono umane?
Ma forse sono chiacchiere. Certo aveva fratelli e sorelle non da poco. I fratelli tutti suicidi, eccetto il maggiore, pianista da concerto, tornato dalla guerra senza un braccio – e lui stesso un pensiero ce l’ha fatto. Suicidi anche il marito e il suocero della sorella minore Gretl.

Fu donna peraltro il suo più fedele collaboratore, se non seguace, Elizabeth Anscombe. Specie nella fase testamentaria, del riordino delle sue carte. Anscombe, che girava tarchiata in pantaloni sformati e giacche maschili, fumava sigari, scalava monti, la “vecchio mio” di Wittgenstein, la sola donna ammessa ai suoi seminari, una dei pochi che lo capirono e per questo non l’ha seguito, studiosa di san Tommaso, come Umberto Eco, buona moglie e madre di sette figli, filosofa definitiva da ragazza della guerra atomica del signor Truman, a caldo, “Mr Truman degree”. Formidabile pacifista, cattolica praticante, negli anni 1960 contro l’aborto, animatrice di manifestazioni che la portarono all’arresto, con le figlie. A “Miss Anscombe” Wittgenstein confidava, nel 1947: “Grazie a Dio, ci siamo liberati dalle donne”, il corso era solo maschile. Una battuta di spirito. Ma il rigetto si svolgeva come dice Dyson, col mutismo? Era anche contrario, pubblicamente, al voto alle donne.
Era e si voleva anticonformista, che nel mondo anglosassone, che si vuole puritano, non si può. Registrava nei diari e taccuini annotazioni irrispettose sul “pensiero” ebreo. Pretendendo le sue riflessioni “al 100 per cento ebraiche”.

zeulig@antiit.eu

Il governo del free for all

Il virus mobilita, in certo modo eroicizza, ma la quotidianeità è confusa. Le banche cambiano le condizioni di conto senza nemmeno avvisare. Le utilities fatturano bollette incomprensibili, di luce, gas, telefono. A scadenza variabile a loro uzzo. I disservizi si moltiplicano, specie nelle assicurazioni, nella telefonia e in internet. Ingovernabili naturalmente dai call center a cui l’utente è abbandonato.
Sembra il free for all del libero mercato, ma a vantaggio dei monopoli. Con le stesse Autorità di controllo, giganteschi organismi burocratici a carico degli utenti, inermi o collusi – il passaggio è costante tra controllate e controllanti, per carriere sempre multimilionarie.
Il governo del nuovo è quello del vecchio e vecchissimo. Il governo dell’onestà è quello della corruzione al comando? Senza più maschere. Complici i media, che hanno solo voce per inneggiare alle fortune del mercato. Con tutto il virus.

Il mondo globalizzato distrutto dal virus

Uscito dopo la “mucca pazza” e poco prima della Sars, nel 2000, riproposto nel 2013, dopo l’H1n1  “suina”, e per i cento anni della prima pubblicazione, nonché nell’anno in cui la catastrofe si presume avvenuta, pronto ora Adelphi lo ripropone col coronavirus. Il sogno apocalittico di Jack London, un socialista disperato dal “mercato” di allora, 1912.
Un vecchio barbone e un giovane cacciatore si aggirano in un mondol da day after tra ferri arrugginiti, erbacce invadenti, terreni scivolosi. Vestiti di pelli, per arma l’arco. Siamo nel 2073, quindi abbiamo ancora cinquant’anni di tempo, ma la catastrofe è già avvenuta, nel 2013. In un mondo globalizzato, che un Consiglio dei Magnati dell’Industria controlla. Un “morbo rosso” ha eliminato gran parte della popolazione e ha riportato la terra alla mera sussistenza. Non un’apocalisse, poiché resiste la memoria. Un nonno, vecchio professre di Berkeley, racconta cosa è successo e perché. La Natura matrattata si è vendicata e ha preso il sopravvento.
Un apologo morale. Di un socialismo un po’ confuso: i nuovi barbari che hanno preso il sopravvento nel mondo e lo tengono all’età della pietra sono i lavoratori occidentali: brutalizzati, si sono imbelviti.
In originale è leggibile online, anche illustrato.
Jack London, La peste scarlatta, Adelphi, pp. 94 € 9

venerdì 6 marzo 2020

Ombre - 503

Infettato dal virus e a rischio vita è a Roma un ottantenne “che inizialmente non è stato messo in isolamento e ha trascorso otto ore al pronto soccorso del san Filippo Neri”, che è un ospedale. Perché l’Italia si dice che ha un sistema ospedaliero superefficiente? Nessuno è mai stato in un ospedale?

Nel rinvio di tutto, si rinvia anche il referendum sul taglio dei parlamentari. Naturalmente non per salvare il governo dal virus.
Il referendum sarebbe stato votato dai contrari, dicono i sondaggi. E sarebbero stati probabilmente sopra al quorum. Una sconfitta dei fautori della legge.

Il governo salvato dal virus. Ovvero: la casta vera è la nuova élite di sprovveduti, comandati da un comico, a caccia di superstipendi pubblici, per non lavorare. Che i parlamentari vogliono ridotti alle veline di un sito o piattaforma, privata.

“La leggerezza del poliziotto: 22 ore a Tor Vergata prima  del ricovero”, “la Repubblica-Roma” – per Tor Vergata s’intende un policlinico universitario: “Quelle 22 ore a Tor Vergata del poliziotto «smemorato»”- Che, sottinteso, hanno propagato il contagio a Roma
È cambiato l’italiano – il poliziotto era “smemorato”, ed è stato abbandonato per 24 ore su una lettiga, malgrado la febbre alta, che di questi tempi… Ma forse no: un poliziotto ha torto. Il millennial non sa che pensare, giusto insolentire i poliziotti.

La sindaca di Roma Raggi, la bandiera delle periferie lagnose, ne ha dotata una di filobus: Tor Pagnotta potrà così circolare sui mezzi pubblici senza inquinamento. Ma la costosa rete elettrica di 5 km. è inutilizzabile: le buche fanno perdere il contato con la linea, e i mezzi vanno a gasolio.
  
Non sono ancora pubblici gli archivi vaticani desegretati degli anni di guerra e successivi che il rabbino di Roma Di Segni si sente in dovere di dirli un depistaggio, una propaganda, un trucco e un boomerang: perché il Vaticano non fermò il treno dei deportati del 16 ottobre 1943? Di Segni vuole riaccendere l’antisemitismo? Nel dialogo delle fedi, certo.

Di Segni dice anche che il Vaticano salvò solo gli ebrei battezzati. E tutti quelli non battezzati che si dicono salvati dal Vaticano?

Asia Bibi, la cristiana - cattolica per la precisione -  che il Pakistan voleva lapidata, salvata da una protesta internazionale, cerca e trova asilo politico in Francia. Il paese “repubblicano” per eccellenza, cioè massone. Papa Francesco non aveva tempo per la signora Bibi, non l’ha mai neanche ricevuta.

Si moltiplicano a Milano i processi contro l’Eni, di cui l’enigmatico Ferrarella fa docile cronaca sul “Corriere della sera”. Non si capisce nulla di chi accusa. L’obiettivo è invece uno, l’ad Descalzi. La cosa prosegue da alcuni anni, registrata obbligatoriamente nei prospetti di bilancio del gruppo petrolifero. Ma gli investitori non ne tengono conto. Chi è lo scemo?

Succedeva però anche negli anni 1950, quando Eni era un ente pubblico e il “Corriere della sera” il patrono dei liberali: l’Eni poté raccogliere in pochi anni una serie di volumi di attacchi di ogni tipo, principalmente del “Corriere della sera”, e di Indro Montanelli, imbeccato e pagato dalla Francia. I processi africani sono un’operazione revival? O il tempo non passa mai a Milano?

Forse bisogna solo scorporare Eni, e venderlo a pezzi a qualche amico degli amici, con diritto di arricchirsi senza faticare. Eni è un gruppo milanese, ma non fa gli affarucci: le finte joint-ventures, le società di comodo, le quote. Questo non va bene, nemmeno alla Procura di Milano.

Cronache dell’altro mondo – 57

I tre candidati probabili alle presidenziali americane di novembre hanno: 78 anni Sanders, che ha anche avuto un attacco di cuore qualche settimana fa,  77 Biden, 74 Trump: il prossimo presidente sarà alla Casa Banca attorno agli 80 anni.
Elizabeth Warren, che si ritira (ma forse no), ne ha 71. Bloomberg, che si è ritirato subito dopo essersi candidato, 78.
Se gli ultimi tre presidenti prima di Trump, Clinton (1992-2000), Bush jr (2000-2008), Obama (2008-1016) tornassero in gara, sarebbero i concorrenti più giovani.
L’età mediana dell’elettore alle consultazioni locali è in America di 57 anni. Di una generazione più vecchia dell’età mediana degli elettori. Si dicono gli Stati Uniti insoddisfatti della presidenza Trump, e vogliosi di cambiamento. Ma, mentre in Europa il cambiamento ha prodotto governanti trenta-quarantenni, negli Stati Uniti li cercaafra i settanta-ottantenni.  
Il miliardario Bloomberg ha speso per due settimane di candidatura alle primarie per il concorrente Democratico alle presidenziali,  dopo le quali si è ritirato, mezzo miliardo di dollari. Avendo racimolato appena 45 delegati elettorali, ha speso 11 milioni per delegato.
Il senatore Sanders, in corsa con Biden per la candidatura Democratica alle presidenziali di novembre,  difendeva Khomeiny quando prese in ostaggio l’ambasciata americana nel 1980 – i 50 ostaggi erano Sanders “agenti della Cia”…. Da allora sempre catalogando l’Iran degli ayatollah un Stato democratico. Tuttora apprezza Castro, malgrado i latini espatriati dai regimi dittatoriali centro-americani siano larga parte dell’elettorato.

Perdere i soldi in banca

Si affossa in Borsa Unicredit, la banca meglio amministrata, con un piano di ulteriore contrazione dei costi. Si perde nella nebbia del coronavirus l’ops di Intesa su Ubi, un’operazione che riguarda un buon terzo del sistema bancario italiano.
L’ultima acquisizione, Bper di Unipolbanca, fa un macello dei correntisti acquisiti: non sanno nulla, non sono avvertiti di nulla, Bper cambia le condizioni ma non lo dice (come dovrebbe da legge), non sa sa nemmeno che cosa ha cambiato e sta cambiano – inutile chiedere. Il caos è la regola in banca, che pure si penserebbe, e altrove è, agente primario e sicuro dell’economia e del benessere.  sistema economico.
Peggio dentro. Fondi e bonds  su cui le banche di preferenza convogliano il risparmio gestito  sempre al di sotto della parità, e non pagano niente. Oberati da commissioni, custodia, tasse.
Prosegue dal 1992 la politica del prelievo forzoso sul risparmio, mascherata. Attraverso i bolli – si pagano bolli anche sulle carte di credito, che il governo vuole  rendere forzose. E creste variamente denominate (bolli periodici, non legati a operazioni, imposta sostituiva… ) sul deposito in conto corrente, sul deposito titoli, sulle transazioni.

Il genio femminile è maschile

In questa terza serie i film “L’amica geniale” il mondo al femminile si precisa non più facendosi spazio fra gli interstizi, per forza di volontà o di ingegno, nel mondo maschile, ma per escluderlo. Con piglio maschilista.
Il mondo maschile, opportunamente segregato da quello femminile, di madri, sorelle, fidanzate, mogli, amanti, non ha più un solo episodio o personaggio vincente: perspicace, intraprendente, buono o saggio. È al contrario sciocco, volubile, violento, anche stupratore, incapace, presuntuoso, debole, mafioso nel concetto di sé e nei rapporti, di affari o di amicizia, inaffidabile. Al cospetto del quale invece il mondo femminile, delle due amiche e del contorno, di madri, amiche, professoresse, marcia invitto. Ma noncurante - dei genitori, dei fratelli, delle amiche, dei figli – e deciso, traditore in amore, violento anche se non manesco, carrierista, manipolatore.
Tutto bello, ma duro: un mondo femminile in cui non ci sono più donne madri, fidanzate, mogli, sorelle, ma copie del solito mondo maschile, al rovescio. È il segreto del successo, anche dei libri?
Saverio Costanzo, L’amica geniale – Storia del nuovo cognome

giovedì 5 marzo 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (418)

Giuseppe Leuzzi

Il delitto d’onore, ora più spesso femminicidio, era anche in Goethe, “I dolori del giovane Werther”, alla lettera del 12 agosto: “Chi scaglierà la prima pietra contro il marito che in giusta ira immola la moglie infedele e il suo miserabile seduttore?”

Di uno che insolentisce i cinesi, vecchi di settemila anni, asserendo che “mangiano i topi vivi”, si direbbe che è un cretino. Oppure uno che si diverte a lanciare “topi” in rete, un  buontempone. Invece è Zaia, serissimo presidente leghista, cioè superiore a tre quarti d’Italia (quella “oltre l’Appennino”, diceva il professor Miglio), della regione Veneto. L’erede dei dogi.

Si fosse diffuso il coronavirus da Napoli?
E da Palermo?

Storie senza storia
Si gira per le Apuane tra nomi, Ugliancaldo, Culaccio, Cipollaio, Frigido (torrente), Bizzarro (sentiero), Pelato (monte forestato, uno dei pochi), le Calde, Volegno, Gabberi, Tambura, Contrario (monte), Penna di Sumbra, Pania Secca, monte Altissimo, che è il più basso, di cui nessuno conosce l’origine e il significato. Si gira per la Calabria meridionale come in Grecia, sapendo leggere l’alfabeto ellenico. Le targhe dei luoghi: Platì, Calabretto, Misuraci, Geraci, Iatrinoli. I nomi delle persone, i cognomi: Romeo, Tripodi, Foti, Laganà, Marino, Surace, Macrì, Cordì, Crea. Di una  storia ancora recente, all’inizio dell’anagrafe comunale, che nessuno conosce, nemmeno i professori. 
La memoria si esercita più spesso sulle storie, che può inventare, che sulla storia.
O è la gente di montagna che perde la memoria?

Messina bis
Ritornando a Messina dopo quarant’anni, nel 1906, nel ricordo dei mesi che vi passò di guarnigione al primo incarico dopo l’Accademia di Modena, Edmondo De Amicis non ne sa dire gli incanti. “I graziosi colli che le sorgono da dietro”, e “le grandi ali bianche lungo il mare a perdita d’occhio”. I nuovi viali “eleganti e ridenti”, “le antiche vie ariose e linde”, le piazze “ornate di palme”, i tramway che vano fin al Faro, “distante dal centro parecchie miglia”. E “la grande strada della Marina, su cui si stende una lunga schiera di grandiosi edifici” – la “palazzata”. Attorniata da villa Marullo alle spalle, il grande parco verde aperto al pubblico, un trionfo mediterraneo, di corbezzoli e sorbe in stagione, timo, eriche, cisti, lecci. in stagione prodiga di corbezzoli e sorbe. Poi ci sarà il terremoto.
Un reportage lirico. “Luminosa è l’aggettivo che mi è rimasto nella mente congiunto alla sua immagine. Come biancheggiava splendidamente fra l’azzurro vivo del mare e il vivo verde della lussureggiante vegetazione che copre l’anfiteatro dei suoi colli e dei suoi monti”. L’aria “limpidissima”, i due mari, lo Jonio “turbino carico”, il Tirreno “azzurro argentato”, per “una veduta immensa, serena, tranquilla”. Con una lunga storia “di guerre atroci e calamità spaventose, che a poco a poco emerge “davanti alla giocondità e alla freschezza di questa città d’aspetto così giovanile, che pare sorta ieri per incanto dal seno delle acque!”
Ma il danno era già fatto: “La bella Messina, privilegiata d’una delle più favorevoli situazioni geografiche del mondo, dove due mari si congiungono, posta quasi a contatto dell’Italia continentale e dotata d’un vasto e sicuro porto naturale, è piuttosto in decadenza che in via d’incremento”. Era, già nel 1906. “Essa patì, forse più di ogni altra grande città siciliana, i danni di cui si risentì in generale tutta l’isola dopo il primo rapido sviluppo di ricchezza seguito al 1860”. Che in realtà – De Amicis laico non può dirlo – non fu uno sviluppo, ma un mercato vivace dei beni della chiesa, la manomorta, a favore dei traffichini vecchi e nuovi, degli “amici” e degli “amici degli amici”, “fratelli” ma anche “sacrestani”, e senza quasi entrate per lo Stato. Mentre pesavano i “danni prodotti dalla filossera, dalla chiusura del mercato francese, dall’aggravamento spropositato delle imposte, dall’improvvida politica doganale del Governo italiano, tutta rivolta a vantaggio delle industrie e degli industriali dell’alta Italia e a scapito dell’agricoltura del Mezzogiorno e delle isole”.

Milano
Il processo della Procura di Milano a Berlusconi per le feste - il terzo, con i primi due non sono riusciti a beccarlo - è suddiviso in sette stralci, Milano, Roma, Torino, Monza, Siena, Pescara e Treviso. Si dice che cane non morde cane, ma a Milano si può. 

Lui invece, Berlusconi, trova il tempo, al tempo della peste, è del ritorno in politica tra alleati recalcitranti, a 84 anni, di lasciare la fidanzata di 34 anni per una di 30, con la quale passare una vacanza segreta (appassionata?) In Svizzera. Fidanzate più giovani dei suoi figli, che ormai gli fanno da padre e madre, ma questo non vuol dire. È  che il meglio che Milano propone, colto, insomma semicolto, e con esperienza di mondo, è questo festaiolo.

La strategia della tensione, o l’autunno della Repubblica, prima di Mani Pulite e della fine proclamata della Repubblica, è passata tutta da Milano. Fino all’incriminazione di Sofri nel 1989. Ci sarà una ragione. Gli affari si vogliono liberi.

Si teorizzava il demiurgo, da ultimo da Burzio, l’amico di Gobetti, due torinesi dunque, come aspirazione delle società deboli – il risolutore. Milano non è città debole, perlomeno non in Italia. Ma ha sempre amato e imposto gli uomini forti, da Napoleone a Mussolini, e a Bossi e Salvini.

A Milano fu pure violentata Franca Rame. Da un gruppo di fascisti dichiarati: Angelo Angeli, Biagio Pitarresi, un Patrizio, un Muller, nomi non meridionali. Così, di passata, dentro un furgone, tra botte e bruciature.

Si è brindato per questo alla caserma Pastrengo, una caserma milanese. Dei Carabinieri. Comandata da un napoletano, è vero, il generale Giovanni Maria Palumbo, volontario di Salò. Il tipo di napoletano che piace a Milano, gente d’ordine, giudici, camorristi, che li aborre invece se maestri di eleganza, eloquio, cucina.

I carabinieri della Pastrengo sapevano da sempre, cioè lo dicevano, che Sofri aveva fatto uccidere Calabresi. Ma non trovavano le prove, neppure un confidente. Bisognerebbe restaurare a Milano il iudex maleficiarum dei tempi degli Sforza, la città potrebbe avere il malocchio.

Un vigile urbano nel fiore dell’età si suicida perché ha fermato la macchina in un parcheggio disabili, subito fotografato, e insultato con asprezza su facebook e twitter. È successo a Palazzolo sull’Oglio, Brescia.
I lombardi sono inflessibili. Anche i disabili.

Un “Coglionissimo” milanese ricorre, in italiano, maiuscolo, in Lawrence Sterne, “La vita e le opinioni di Tristram Shandy” – al cap. diciannove del volume secondo. A proposito di “quel certo, finissimo, sottile, e fragrantissimo succo”, la sede dell’anima, “che il Coglionissimo Borri, il grande medico milanese, afferma in una lettera a Bartolini di avere scoperto nelle cellule delle parti occipitali del cervello”.
Giuseppe Francesco Borri wikipedia dice un alchimista mediocre e un avventuriero del Seicento.
Come un certo virologo del rispettabile, un tempo, San Raffaele di Milano, al tempo del coronavirus e subito prima.

Il Po da Piacenza alla foce è un acqua parco per la pesca sportiva. Monopolizzato da skipper tedeschi, che danno le barche anche in affitto, un paio di centinaia sono stazionate lungo il fiume.  Non pagano le tasse, scrive “Il Venerdì di Repubblica” e “si portano dalla Germania perfino la benzina perché costa meno”. C’è sempre uno più furbo. Tra settentrionali non è un’offesa?

Calci e pugni a una giovane capotreno di Como, e alla stazione di Seregno (Monza Brianza), di viaggiatori senza biglietto, nell’indifferenza degli altri passeggeri. Milano come Napoli?
Ma si potrebbe anche dire che i viaggiatori insensibili erano napoletani emigrati in Brianza – questi “napoletani” sono dappertutto.

L’Italia è ben dentro il virus cinese, l’area euroamericana più aggredita e peggio difesa. A partire dalla Lombardia, il Wuhan italiano. Che però non si scusa, e nemmeno si mobilita. Se non per le partite di calcio: l’Inter, la squadra milanese-milanese (ora per la verità milanese-cinese), fa fuoco e fiamme, denunciando imbecillità (altrui) e complotti per non farla vincere – che equivale, nel suo sentito, a non farla vincere.
Senza nessuna vergogna e con gusto anche degli interisti. Che non sono soltanto milanesi. Milano è un virus? Letale?

leuzzi@antiit.eu

Quando l’Italia perse l’indipendenza

È il racconto della Lega antispagnola del 1526, della Lega Santa (Seconda Lega Santa) o Lega di Cognac, promossa dal papa Clemente VII, con Firenze, Venezia, Milano e il re di Francia. Opera del fratello minore del più noto Francesco, anche lui, nel suo piccolo, uomo politico e storico.
Il racconto di come Carlo V con un serie di successi fortunati, e per le inadempienze francesi (sulla falsariga di quanto avverrà nel 1859), ha ragione a mano a mano dei confederati. Fino al Sacco di Roma, di cui Luigi è il testimone. Una sorta di “guerra totale” ante litteram, nella quale i 12 mila Lanzicheecchi di Carlo V non risparmiarono niente e nessuno, taglieggiando, rubando, assassinando, stuprando, incendiando. A due riprese, in primavera e in autunno, prima e dopo la peste che loro stessi avevano portato in città.
Resta anche il racconto dell’ultimo tentativo di un’Italia indipendente, tra Francia e Spagna. Sconfitta la Lega Santa, Luigi sarà gonfaloniere di Firenze. Dopo la cacciata dei Medici si adopererà per il loro ritorno, e Cosimo I lo premierà col laticlavio, di senatore.
Luigi Guicciardini, Il sacco di Roma, free online

mercoledì 4 marzo 2020

Il crac


Si disperde la risposta del governo e dei media all’epidemia attraverso una selva di provvedimenti tampone, sanitari ed economici. Ma la realtà, in parte già manifesta in parte dai chiari segni, è di una recessione profonda. Non di uno zero virgola: di una grande ricchezza già perduta. Di cui la spia è il crollo della Borsa, ma di altra natura - non di grida di Borsa ma di sostanza.
L’Italia è un’economia che vive dell’integrazione internazionale, per esportazioni e turismo. Che sono entrambi, in nemmeno dieci giorni, in crisi conclamata, per difetto o cancellazione di ordinativi. Questo ha già colpito le industrie più consolidate, a partire da Fca. E porterà – inevitabile – alla liquidazione di chi era in crescita, per i debiti di pagare mentre gli ordini sono crollati o cessati. Una catena di fallimenti che colpirà di nuovo le banche, appena uscite dagli insoluti del 2008.    
Il silenzio su questa crisi è un fattore concorrente. Viene giustificato con la necessità di non creare panico, ma è solo una copertura del malgoverno.

La corona dell’imprevidenza

Dopo due settimane, si può dire l’epidemia virale in Italia l’effetto dall’imprevidenza, per usare un eufemismo, del governo. Dei governi, mettendo accanto a quello centrale quelli della Lega in Lombardia e Veneto. Non c’è nessun’altra ragione per cui il virus si dovesse diffondere in Italia e in nessun’altra regione occidentale, euro-americana. Con i pochi casi in altri paesi di quest’area provocati anche dall’Italia.
Si è passati dallo sfarfalleggiare di aeroplani speciale per questo o quell’italiano contagiato (e non) nella perfida Cina, al nulla: una selva quotidiana di parlamentini che dicono tutto e il suo contrario. Non un’azione preventiva, come tutti fanno altrove. Non un decalogo fermo. Conciso, preciso. Solo il Friuli e le Marche hanno chiuso le scuole. Una misura giusta, che il governo accusa di “lesa Italia”, dell’immagine dell’Italia, come se il virus non ci fosse. Con ridicole minacce di rappresaglie contro gli Stati che si proteggono dall’infezione italiana.
Se non fosse un dramma, si direbbe una vendetta degli dei, per avere gli italiani rinunciato alla politica.

La bolla virale

La diffusione del virus in Italia, il paese con più morti dopo la Cina, è quello dove il contagio cresce più rapido, è l’effetto della privatizzazione della sanità pubblica. I focolai dell’infezione sono stati nel lodigiano, nel padovano, a Brescia, e ora a Roma i Pronto Soccorso degli ospedali pubblici. Per incuria  in tutti i casi, ma per un’incuria determinata dalla privatizzazione surrettizia del servizio: il paziente viene lasciato in attesa, finché non decide di farsi analisi e lastre e e analisi a pagamento.
Non se ne parla, forse per carità di patria, con migliaia di infettati e centinaia di morti, ma è il nodo dell’epidemia.  È il dato più sicuro della crisi, anche se viene taciuto. A Codogno, a Schiavonia, a Brescia e al policlinico della Seconda università a Roma, un solo paziente abbandonato per 24 ore è stato causa delle epidemie locali – a Roma ancora no, ma è facile prevedere che l’infezione  già partita. Si dice delle restrizioni imposte alla sanità, Pronto Soccorso compresi, ma 24 ore di attesa per un paziente presumibilmente infetto sono solo possibili per una logica determinata, quella di far pagare i controlli.
Si direbbe la cosa criminale,  da “untori”. Roma, la capitale d’Italia, tre milioni e mezzo di abitanti, che arriva a dover chiudere le scuole perché il Policlinico di un’università ha lasciato “il paziente numero 1” ventidue ore in attesa in barella. Ma è semplicemente la mania mercati sta che ci affligge.


Rinascimento al femminile

“La vita di Vittoria Colonna” si direbbe un’impresa impossibile: il racconto, la storia, di un personaggio-non-personaggio. Certo, la prima donna ad avere pubblicate le sue poesie in vita – che comunque circolavano, le leggevano tutti quelli che volevano e dovevano, anche se autografe. Corrispondente e confidente in tarda età di Michelangelo, per il comune straziante bisogno di fede. Amica e protettrice di molti letterati. “La più famosa donna d’Italia”, Burckhardt. Ma personaggio stinto, tra lutti e sacrestie (la marchesa di Pescara, come veniva indirizzata, da vedova visse a pensione nei conventi), eccetto che per la passione letteraria. Su cui Targoff costruisce una storia affascinane. Veritiera, non d’invenzione. Singolare per la capacità di entrare in confidenza con un mondo per tanti aspetti estraneo, di epoca ma anche di modi, gusti, mentalità, e farlo sentire nostro, contemporaneo - perfino a un pubblico americano: un capolavoro di filologia. E affascinante di scrittura. Di sapienza drammatica e finezza filologica.
Una vita anche di solido impianto storiografico. Il contesto è talmente dettagliato e qualificato da risultare nuovo perfino a chi non è digiuno del primo Cinquecento. Dalle famiglie Colonna e d’Avalos (Vittoria fu sposata a un d’Avalos) alle Guerre d’Italia tra Francia e Spagna, che negli anni della marchesa di Pescara, primo Cinquecento, tentarono la distruzione della penisola - con particolare accanimento di Carlo V, cui Vittoria era devota - e comunque la spogliarono e la divisero. Alla scena letteraria italiana di quegli anni, all’ingrosso e in dettaglio, da Castiglione a Giovio, Aretino (aveva una componente sacrestana), Bembo, Ariosto, Tasso (Bernardo) et alCelebrata anche dal Berni, si può aggungere alla copiosa documentazione presentata dall’autrice, in un sonetto a lei dedicato, “Alla marchesana di Pescara”, già nel 1525, alla morte del marito alla battaglia di Pavia, quando ancora non era conosciuta come poetessa e dama munifica, e anzi meditava il suicidio.
Una trattazione anche, semplice e acuta, dei temi controversi e non propriamente affascinanti della Riforma e della Controrifoma. Con acribia filologica, soprattutto nelle innumerevoli traduzioni di lettere, sonetti e poemi di Vittoria e a Vittoria. Estesa ai particolari.
Un Rinascimento si direbbe delle donne, attraverso Vittoria Colonna. Anche questo in Italia, prima che l’Italia perdesse, con la libertà, l’intelligenza e la fantasia.
Specialmente si segnala la cura dell’italiano nel testo. Degli originali di Vittoria, lettere e poemi. E dei termini d’epoca di cui non c’è equivalente esatto in traduzione, “sprezzatura”, “cortigiano”, “bramare”. Un solo errore di stampa è riscontrabile - ma si direbbe da 5 Stelle: “vitilazi” per “vitalizi”. E una rocca di Astuna, che dovrebbe essere Astura. Nessun libro italiano, di ricerca o di narrativa, è così perfetto nella compitazione e nella toponomastica. Uno solo l’errore anche di fatto – una inavvertenza più che un errore: nel 1556 è papa Paolo IV, non più Giulio III, ed è lui a scomunicare Ascanio Colonna, il capofamiglia fratello di Vittoria. E una omissione notevole: dei sei madrigali indirizzati fra i tanti alla marchesa da Egidio da Viterbo, il superiore degli Agostiniani al tempo di Lutero, filosofo e oratore di rilievo, protagonista della Roma papale del primo Cinquecento. 
Un’opera tanto più apprezzabile in quanto non si fa più da tempo, in Italia, storia dell’Italia, non di questa qualità. Di una specialista peraltro non specialista: Targoff  è professore di Inglese, anche se codirige alla sua università, Brandeis, il programma di studi italiani. Studiosa di John Donne e del Rinascimento inglese.

Ramie Targoff, Renaissance Woman, Farrar, Straus and Giroux, pp. 342, ill. € 16

martedì 3 marzo 2020

Appalti, fisco, abusi (166)

Le banche possono cambiare le condizioni contrattuali ai propri correntisti senza darne comunicazione agli stessi, come prescritto. Per esempio nel caso di Ber con Unipolbanca, l’ultima acquisizione bancaria. Tutto regolare.

L’Italia ha la Rca più cara d’Europa, un buon 15 pr cento. Pur avendo meno morti e meno incidentati in rapporto al parco auto circolante. per causa di circolazione auto. Si sono in realtà moltiplicati i sinistri, con e senza cif. Con liquidazioni sempre lussuose. A danno della società assicuratrice, e dell’assicurato a cui imputare ild anno. Per documentare un incidente basta produrre come testimoni il coniuge o altro convivente.

Non è un mistero che i liquidatori (ingegneri in genere, anche architetti), periti e falsi denuncianti  si dividano liquidazioni sempre eccessive. Senza alcun controllo delle assicurazioni, anche primarie, tipo Sai, che si limitano a incrementare i premi, al proprio assicurato e in generale.
Nessun controllo nemmeno dell’Ivass, l’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni.

Si disponga di un dispositivo satellitare di controllo di un’automobile, per esempio Unibox, e si abbia bisogno di un tabulato di un certo giorno, a una certa ora. La manutentrice del dispositivo ha novanta giorni di tempo per rispondere.

La società dei telefoni vi induca a un reclamo scritto dopo una serie di disservizi. Il reclamo scritto va inoltrato per raccomandata con ricevuta di ritorno, con coda alla Posta. Il gestore ha 45 giorni di tempo per dare una riposta – che sarà un prestampato, di diniego del disservizio.

Contro i gestori del telefono si può fare ricorso all’Agcom. Ma la procedura è labirintica – “bisogna scoraggiare gli importuni” – e si conclude con una risposta standard.

Sky ha raddoppiato il canone senza annunciarlo. Attraverso vari artifici: passare all’Hd, avere questa o quella opzione, perfino usare la app. Certo, c’è il diritto di recesso. E la tv a pagamento non è un bene primario. Ma Sky è pur sempre un monopolista di fatto.

Il fascino del fascismo

Il”New Yorker “ si promuove dando in libera lettura alcuni classici dei suoi collaboratori (c’è anche Calvino, “Perché leggere i classici”), e la campagna centra su questo saggio di Susan Sontag del 6 febbraio 1975. È un riesame di Leni Riefenstahl, l’attrice  regista tedesca degli anni 1930, sotto forma di recensione del suo volume di fotografie sui Nubiani dell’allora Sudan,1973, “The Last of the Nuba”. Una stroncatura del volume e di Riefenstahl, dei film da lei interpretati e diretti, in quanto nazisti.
Questo saggio Susan Sontag non riprenderà nelle sue successive raccolte. Forse per i numerosi errori di fatto in cui incorre, che nella riedizione del “New Yorker” emergono nella corrispondenza successiva con i lettori (il saggio è leggibile anche in italiano, 
https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/02/23/il-fascino-fascista-di-susan-sontag
ma senza le lettere al direttore e le risposte di Sontag). Un copia e incolla da Kracauer, “Dal gabinetto del dott. Caligari a Hitler”. L’errata attribuzione a Riefenstahl di un documentario su Hitler, “Berchtesgaden über Salzburg”. E di un’amicizia con Hitler “certamente anteriore al 1932 (una versione è che si incontrarono in una località della costa Baltica nei tardi anni 1920)”, mentre la regista fu cercata da Hitler, per un film di propaganda, nel 1933. Un documentario sulla Wehrmacht, “Tag der Freheit: unser Wehrmacht”, 1933, girato in un giorno, scambiato per “il terzo film” della regista, nel 1835. I film per cui Riefenstahl è nelle cineteche, “Il trionfo della volontà” e “Olympia”, premiato a Venezia, ridotti a opera di propaganda, organizzati e pagati dal partito nazista. Dando come assodato che “quattro dei sei film che ha diretto sono documentari, fatti per e finanziati dal governo nazista”.
Sontag nega anche l’ostilità di Goebbels alla regista, altrimenti notoria. E liquida i processi a Riefenstahl dopo la guerra, “giudicata due volte, assolta due volte”, dagli americani, come impostati male – la sentenza è infatti chiara: “Nessuna attività politica a sostegno del regime nazista che meriti una condanna”. Incongruamente sostenendo infine che Riefenstahl si rivaluta solo perché donna, perché prima, e indubbiamente abile, regista donna, al punto da trascurare di dirla nazista – su questo ha provocato una lunga protesta di Adrienne Rich. 
Ma non ci sono solo gli errori materiali: la rilettura dal saggio suona sinistra mezzo secolo dopo. A proposito del “fascino” ricorrente del fascismo. Che Sontag rilevava persistente nell’immaginario (grafica, pubblicità) e nei film. Nelle commedie musicali di Busby Berkeley, “Banana Split”, o “Fantasia” di Disney, degli anni di guerra, come in “2001” di Kubrik. O nel filone di quegli anni di film sadomaso d’autore: “La caduta degli dei” di Visconti, 1969, il Mishima della morte teatrale, 1970, “Il portiere di notte” di Cavani, 1974 (le manca di Pasolini “Salò-Sade”). Di cui il prototipo dice “Scorpio Rising” di Kenneth Anger, 1963, che l’estetica del fascismo nutrirebbe d’immagini di occultismo, muscolosi bikers in varie fogge, cattolicesimo, omosessualità querula, e divismo, sui santini di James Dean e Marlon Brando. Al fascismo lasciando l’eroismo. L’erotismo, non solo sadomaso: “Il leader fa venire la folla”, venire nel senso di sborrare. Più e meglio del comunismo: “Certamente il nazismo è più «sexy» del comunismo”. La bellezza e il culto della bellezza: la colpa di Riefenstahl con i Nuba è di aver fatto “un’elegia della bellezza e dei poteri mistici dei primitivi in via di estinzione” – specialmente apprezzandoli come “un popolo mistico con un senso artistico straordinariamente sviluppato (uno dei pochi beni che ognuno possiede è una lira)”. L’estetismo: di Riefenstahl, e di un lungo elenco, Céline, Benn, Marinetti, Pound, Pabst, Pirandello, Hamsun.  Anche l’ecologia, che la Germania praticava già da mezzo secolo, Walter Benjamin compreso, Susan Sontag lascia al fascismo: i film di montagna di Riefenstahl attrice dice “un’antologia di sentimenti protonazisti”.
Una celebrazione del fascismo, pretendendo di negarlo. Del comunismo salvando Djiga Vertov: “«Il trionfo della volontà» e «Olimpiade» sono indubbiamente film superbi (possono essere i due più grandi film documentari mai fatti), ma non sono poi importanti nella storia del cinema come forma d’arte. Nessuno che faccia film oggi allude a Riefenstahl, mentre molti registi (inclusa io stessa) considerano il regista sovietico Djiga Vertov una inesauribile provocazione e una fonte di idee sul linguaggio del cinema”. Riefenstahl vs.Vertov, dunque – che, però, sarebbe d’accordo?  
Susan Sontag, Fascinating Fascism, “The New Yorker”, free online

lunedì 2 marzo 2020

La macchin-azione

La macchina tedesca
È tanto perfetta
Che va tenuta
Imbalsamata.
Farla andare
È peccare
O bisogna pagare
La chiamata ottanta l’ora
Dopo essersi infettato
A quattro zampe sderenato.

La macchina tedesca
È pure ecologista
E dell’acqua e la luce
I consumi riduce
A patto che voi
Il lavoro facciate per lei
Con acqua abbondante
Calda e sapone emolliente
Che lo scarico intasa
Non volendo forare
La fognatura.

La macchina tedesca
Ha molta tecnologia
Incorporata arcana
Che genera bigliettoni.

La macchin-azione
In conclusione
Della tedesca filosofia

Dove andrà l’Europa

Nel futuro di Nievo, 2222, palindromo in tutto, “l’Inghilterra mercanteggia muta e miope come un secolo prima l’Olanda” – un secolo prima del 1860. L’Europa invece ha avuto varie vicissitudini. È stata divisa tra Germania e Russia. Finché la Francia, un altro Bonaparte, non “rese possibile il progetto di una lega europea”. Ma “per arrivare a ciò”, a “una terza potenza”, “bisogna molti anni ancora, e più di tutto una rivoluzione in Russia”. Dopodiché un “Papa della buona gente” si erge in Germania che domina l’Europa. Ci vorranno solide impreviste alleanze per eliminarlo, e presto non resterà più nulla: “Cresceva l’emigrazione dall’Europa, crescevano le conversioni degli asiatici, e la nuova federazione dell’Asia centrale diventava un’importante novità”.
Fantapolitica. Di un poligrafo. Morto precoce e dimenticato, ora in via di rivalutazione, dopo la traduzione inglese delle “Confessioni” e la riedizione delle altre numerose opere. L’umorismo è il solo genere non rivalutato accademicamente in Italia, dopo il giallo e, perfno, il rosa, benché sia parte cospicua della tradizione nazionale. Ma Nievo sembra bucare questa corazza. Per altri aspetti è un precursore. Per esempio della durezza del Sogno Americano, “Il barone Nicastro”. O di Pasolini, da friulano, per l’abbandono e il traviamento morale del mondo contadino. Anti-socialista come pochi – ma con argomenti. Traduttore di Heine – cioè lettore acuto del germanesimo.
Qui, nel gennaio-febbraio del 1860, mutilata la vittoria di Solferino da Napoleone III con l’armistizio di Villafranca e la pace di Zurigo, non restava al patriottissimo Nievo che Garibaldi. E, per il vizio della scrittura, una consolazione nei secoli futuri. In forma di satira dei “concerti”, degli accordi diplomatici fra potenti e potenze, e dei congressi.
Un libro inutile. Uno sfogo, un passatempo, un divertimento – una compensazione attraverso la satira. Ma Nievo anche per questo si ripropone scrittore solido - se non è l’unico - di metà Ottocento. Il futuro a tre secoli si conclude con l’invenzione degli “omuncoli”, “detti anche uomini di seconda mano, o esseri ausiliari”, i robot. L’invenzione delle “omuncule” porrà invece dei problemi - “e i diritti delle donne furono salvi” (furbo, no?).
Altre brevi prose infiorettano questa edizione della “Storia filosofica”, sempre sugli artifici diplomatici: cinque brevi pièces o discorsetti da odierno talk-show . Curata con utile introduzione e una messe sterminata di note da Emilio Russo.
Non finisce bene: alla depressione epidemica e all’abuso di narcotici, al vertice del benessere materiale, si aggiunge nell’umanità l’“apatia”, una specie di odierna cultura della crisi.  
Ippolito Nievo, Storia filosofica dei secoli futuri, Salerno, remainders, pp.133 € 4,50