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Appartenenza - Il “Corriere
della sera” intervista oggi due italiani a Londra, la giornalista Bonetti e il
calciatore Ogbonna, sugli effetti del coronavirus, dopo l’annuncio del governo che
non farà nulla per contrastarlo. Bonetti, milanese, giornalista del gruppo “QN”,
vive da 25 anni a Londra, dove ha studiato, e si sente inglese: “I britannici
non sono emotivi come noi, vogliono dimostrare di mantenere la calma” - più
calma degli italiani nel disastro? Ogbonna, nato a Cassino da genitori
nigeriani, un gigante da un metro e novanta, segue l’Italia in tv, si preoccupa
dell’Italia, sa tutto dell’Italia. E parla di “loro” e “noi”. L’appartenenza è
di sentimenti – sensibilità. Non di nascita, o poco. Non di cultura, che si può rifiutare e
si può accettare.
Guerra – Si celebra a
ondate, perché evidentemente smentita dai fatti, la decadenza dell’America,
dell’impero americano. Con più insistenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Contro la quale gli Stati Uniti erano stati l’Impero del Bene. E chi lo
combatteva il Male: il socialismo, l’Urss, i nemici della democrazia e della
libertà. Ideologia contro ideologia, è stato un modo nuovo di costruire gli
imperi.
Poi si è contestato il “modello
americano” – la pax americana, il
modello dell’“imperialismo buono”. Pur riconoscendosi che gli Usa sono bene una
democrazia. Non buona, ma la migliore che ci sia.
È il modulo ciclico della storia
americana: l’indipendenza propria, e poi la guerra al Messico, agli indiani, alla
Spagna - il diritto, sia esso pure democratico, può essere molto imperiale. E la ferrovia a un
dollaro l’ora sulla schiena degli emigrati. Poi non più: l’America non faceva
più la guerra per gli schiavi o le noci moscate, le ha fatte per il Bene. L’imperialismo
antimperialista, una novità.
È pure vero che non c’era niente da
rubare in Vietnam. Che si è sempre potuto fare affari coi monopolisti yankee, qualcosa pagano – mentre è arduo
con gli analoghi francesi, o tedeschi, benché uniti nell’Unione Europea. E che
la globalizzazione, che ha portato la Cina in due decenni, e prossimamente
anche l’India, a sfidare gli Stati Uniti, è invenzione e pratica americana –
l’America l’ha imposta all’Europa e alla Wto, l’organizzazione mondiale del
commercio.
E dunque? La debolezza, l’unica, degli
Usa sarebbe la forza eccessiva. La
debolezza dell’America è il dispendio militare. La guerra è un dinosauro che
divora se stesso, prolifera inarrestabile: per tenere gli eserciti in attività,
testare i nuovi materiali, esaurire quelli vecchi. La conquista armata essendo
di per sé non utile.
La
guerra è un costo. E i vantaggi del dopoguerra sono dubbi. Di tutte le origini
del capitale la più ipotetica è la guerra. Come investimento non tira più di
Henry Ford, o dei consumi di massa, e costa un’enormità.
Si
giustifica forse, in termini di costi-benefici, la guerra per le materie prime,
o per i mercati. Ma non la guerra senza più, la potenza: che s’impone
inevitabile, ma non è conveniente. Nelle stesse guerre di uomini, nelle trincee
e le imboscate, i piani folli si giustificano con la libertà, dell’espressione
e del voto, e col benessere, ma questo sembra improbabile. Con la protezione
della democrazia forse sì, del lavoro no. In termini imperiali ma anche
nazionali. Una potenza come gli Stati Uniti, protetta dagli oceani, che
distrugge il mondo perché dalle contee del Texas e dell’Idaho i suoi bifolchi
s’immaginino di eleggere il loro presidente – di combattere il male nel mondo?
La
strategia dell’attacco è scienza sottile, al fronte o agli scacchi, nove volte
su dieci colpisce di ritorno. Una valutazione economica degli affari
internazionali porta senz’altro alla pace.
Marx
-
Pensa come Napoleone più che come Hegel: semplifica la storia perché vuole
farsene una. Rilancia, sul supporto di Hegel e della storia rivelazione,
l’unicità della Rivoluzione francese nel senso della compattezza, e anzi della
monoliticità. Che è come la Rivoluzione si presentò nel mondo, ma questo a
opera di Napoleone, della conquista napoleonica.
La Rivoluzione fu episodica, si sa, e
frammentata: mozioni confuse, assemblee vaganti, strane peripezie dei
protagonisti, che sono tanti e nessuno, la violenza della plebe a Parigi, il
silenzio del popolo in Francia, le restaurazioni. Ci furono semmai tante
rivoluzioni, insieme e in successione. Napoleone ne fissò il nome, che non
vuole dire nulla.
Natura - È un concetto,
non la cosa. Un’utopia, una fantasia, un ricordo, oggi un progetto e una legge,
molte leggi. Il tutto peraltro basato sula conservazione, sulla persistenza,
mentre la cosa è caduca, “per natura”.
La
permanenza lavoisieriana della natura è instabile. Forse metempsicotica,
rigenerativa.
Nichilismo – Una forma
estrema di libertinismo – disperato, un po’? Consequenziale.
È,
può essere, solo morale, e al fondo – all’estremo – un free for all.
È
ideologia e non filosofia, e ideologia in filigrana politica, un programma di
azione.
Opinione
pubblica –
Ulrich Beck. “Conditio Humana”, 97, ha le “sfere pubbliche globali del rischio”,
non rassicuranti e anzi minacciose, a differenza dell’opinione pubblica
propriamente detta. Come fenomeno distintivo (divisivo) e irrazionale, in
contrapposizione alla “sfera pubblica” (Öffentlichkeit)
di Jürgen Habermas. La Öffentlichkeit
“presuppone l’uguaglianza delle opportunità di partecipazione e l’obbligo di
tutti al rispetto dei principi del discorso razionale”. Mentre “la sfera
pubblica del pericolo si basa sulla non-volontarietà e possiede una connotazione
emotiva ed esistenziale. Qui è il terrore a spezzare le corazze dell’anonimità
e dell’indifferenza – anche se per i più l’immagine del terrore diventa essa
stessa terrore”.
La
riflessione di Beck era animata dal terrorismo, dagli tsunami, e dal collasso
delle centrali nucleari di Chernobyl e Fukushima.
Verità – È ipotetica,
allusiva. Anche quando viene provata.
È
il segreto del “giallo”, giudiziario e no. Anche del “noir”.
Virus - Si aspettava con il black-out
elettrico, è arrivata col virus: la sospensione della vita attiva. Terapeutica?
Traumatica nell’insieme, e più sul destino individuale, per la morte
incombente. Senza difesa possibile – se non generica (la distanza, i lavaggi).
Un autogol del
progresso: della mobilità, della produzione, della complessità. Della
razionalità della storia, dell’autosufficienza.
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