Giuseppe Leuzzi
A Nord
del Nord
Si sono visti, si
vedono tuttora, foto di mercati pieni di gente a Genova, a Torino, perfino a Bergamo. A Milano
il sindaco Sala ha chiesto ai Carabinieri di bloccare i flussi, dopo vari
appelli
andati a vuoto
alla disciplina. Le cronache invece si tenta di farle con le bizzarrie e le
indiscipline del Sud, ma sono
sterili, niente al confronto. La superiorità può fare danni.
“Se l’intero Sud collassa, il Nord cessa di
esistere” è il commento del governatore uscente della banca centrale d’Olanda,
Nout Wellink, a proposito del che fare contro la pandemia. “Se il Nord non
aiutasse il Sud, perderebbe non solo l’Europa ma anche se stesso”, gli fa eco un
gruppo di intellettuali tedeschi, Habermas, Schneider, l’ex ministro degli
Esteri Fischer, l’ex vice-cancelliere Gabriel, la regista von Trotta tra gli
altri. Lapalissiano. Ma non per il Nord
d’Italia.
La
Germania non vuole aiutare la Lombardia? È colpa della Magna Grecia, scrive
Cazzullo sul giornale lombardo, il “Corriere della sera”: “Il pensiero di
pagare gli stipendi ai Forestali della Magna Grecia e le pensioni ai falsi invalidi
non entusiasma i contribuenti tedeschi”. A prescindere dal fatto che i fasi invalidi
sono in Germania proporzionalmente più che in Italia, e che i forestali non
esistono più dal 2017, che cosa non si fa per un “Corriere della sera” – per la
gloria di Milano? della Lega?
Questo
mentre almeno la metà della Germania, la “Süddeutsche Zeitung”, “Die Welt”, “Tageszeitung”,
il giornale della Confindustria “Handelsblatt”, e perfino la “Bild”, il
tabloide superpopolare, non trovano tante giustificazioni. Solo il giornale
omologo del “Corriere della sera”, la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, si
contorce: stessa obbedienza? Se il Sud collassa, crolla il Nord, chiunque lo
vede.
C’è
sempre un Nord più a Nord del Nord, si è sempre detto: Nord è soprattutto
avvantaggiarsi degli altri – il che si fa passare per concorrenza, ma è
jugulazione (voglia di). Anche in questa crisi: basta truccare i dati dei morti
e si possono fare lauti affari, nonché conquistare posizioni di mercato, a
danno di chi è in lockdown, costretto
all’inattività – e lunga vita al coronavirus. Non sono pregiudizi o paranoie,
è quello che è avvenuto, e tutt’oggi avviene, in Svezia, Olanda, Germania, Svizzera,
perfino in Austria.
La
Svezia, che poteva evitarsi il contagio essendone stata toccata per ultima, lo ha
superbamente ignorato. Salvo ricredersi di fronte ai morti. Non l’ha fatto per
incoscienza, sapeva naturalmente di cosa si tratta: l’ha fatto per ribadire la
patente di superiorità – tutto ciò che è “svedese” è meglio, non solo Greta. Non
hanno il sole, ma ancora per poco.
Mafie
virali
La
preoccupazione maggiore nella crisi del virus è di “mettere in salvo” le grandi
imprese italiane, Eni, Enel, Leonardo, Intesa, Unicredit – l’elenco s’ingrossa
ogni giorno. In salvo dai raider. Si
dà per scontato che interessi mafiosi siano in agguato: banche d’affari, fondi
d’investimento, anonime, broker, in cerca di prede, da squartare e rivendere al
meglio, in pezzi pregiati. Ma senza scandalo, nessuna polizia è invocata, legge, giurisdizione.
Nel
semplice business della
strumentazione antivirale, guanti, tute, gel, mascherine, con e senza valvola,
usa-e-getta e riutilizzabili, ventilatori, aspiratori, bombole, ossigeno, certificazioni, almeno una dozzina di
schemi mafiosi si sono imposti in pochi giorni, con centinaia di operatori. Che
altrove si direbbero capimafia: mediatori (broker), trasportatori, incettatori
(grossisti), certificatori, falsari, e ladri, in Italia e all’estero. Mafiosi padani, cinesi, turchi, e di altre nazionalità. Le merci sanitarie girano per
molti “controlli”: dal Brasile, per esempio, o dalla Cina, passano per Mumbai,
Dubai, Canada, itinerari geograficamente bizzarri, evidentemente delle cosche
in affari.
Tutto
per far crescere, col bisogno, i prezzi, di dieci e perfino cento volte. Senza
mettere un centesimo: spendendo le lettere di credito disperate, generose,
dello Stato italiano – delle Regioni, della Protezione Civile, della Croce
Rossa italiana. Schemi interamente
mafiosi – anche le vittime ci sono, e numerose, benché non sparate.
Tutto
questo si sa e si dice, ma non si chiamano mafie. Sono il mercato. Che, basta
la parola, è salvifico. Ma per proteggersi dal quale centinaia e migliaia di
miliardi sono necessari. Un dispendio pazzesco, cento volte, in un solo mese,
le azioni secolari di contrasto alla mafia, i dossier pluridecennali, gli
arresti tardivi, i processi a babbo morto.
Sì, ma prima?
Un
giovane che si firma Cutri scrive un bel racconto al “Corriere della sera”
degli ultimi minuti di vita della nonna, del suo vano girare in motorino in cerca di medicinali
inesistenti che la terrebbero in vita, e di tre medici, tre dottoresse, che in vario
modo si è trovati accanto in quei minuti come tre apparizioni angeliche. Non
mute, verbali. Ma il giusto.
Il
giovane si chiama Cutrì in realtà, ma come molti ha abbandonato l’accento. Come
Macri, il presidente argentino. Cutrì, Macrì, Cordì, Laganà, Bagalà, Vadalà, Spanò, Sofré, i
cognomi con l’accento finale sono di derivazione greca – spesso semplici traduzioni
– oppure francese e quindi hanno una storia e un pedigree.
Ma identificano l’origine, meridionale, calabrese o salentina, e quindi sono vissuti
come una tara.
Complici
gli ufficiali settentrionali dello stato civile - quelli del Nord-Ovest, per i
quali già le parole piane sono sospette, e i nomi ossitoni sono tronchi, e
quindi, a loro sentire, manchevoli - il cognome facilmente si aggiusta, si italianizza.
Ma succede come agli ebrei che tra Otto e Novecento, per assimilarsi meglio, e
per sfuggire al razzismo, infine feroce, si cambiavano nome. Salvo poi sentirsi
apostrofare, dai notai asburgici, o dagli ufficiali dello Stato civile in Germania
e in Francia: “Sì, ma prima?”
Le identità dimezzate o negate sono faticose da gestire, ma perché il Nord le vuole negate?
L’emigrazione
naturale, prima del leghismo
Tra
le simpatiche storie dei centenari che hanno vinto il coronavirus il “Corriere della
sera” ha oggi quella di due fratelli, Michelangelo, 97 anni, e Nino Scutellà,
100. Michelangelo specialmente è vispo: si lamenta, poco, della segregazione, e
si occupa leggendo, libri, giornali, eccetera. I due fratelli, che non hanno rinunciato
al cognome accentato, sono detti “originari di Santa Giorgia, un piccolo paese alle
pendici dell’Aspromonte, nel Reggino”.
Santa
Giorgìa, col “gìa” largo, è nome recente per Vorijìa, o Borijìa, toponimo frequente in Grecia - è brezza, venticello. Poche case su un costone che dà su un ruscello. In una valle stretta, ma
luogo di grande amenità benché chiuso. Oggi abbandonato – eccetto che per la
terza domenica di agosto, festa della Madonna della Catena. Si fatica a vedervi
i due Scutellà bambini. Come cambia il mondo in poco tempo.
Anche:
dei benefici dell’emigrazione. Arricchisce più che impoverisce? Spesso è
necessaria, o naturale, nel corso delle cose – Michelangelo è stato ufficiale
di Marina, poi ha messo su casa e famiglia a Cremona. Senza beneficio per il
luogo di origine, e anzi in perdita, più spesso che no, di iniziativa e
capacità di fare. Ma senza colpa, prima del leghismo.
Milano
Sarà
un caso, ma dall’andamento delle curve del contagio regione per regione giorno
per giorno, si vede che il picco dei contagi in sei regioni del Sud, in
Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, e in Liguria, è tra
il 26 e il 29 marzo, due settimane dopo la grande fuga da Milano. Fra il 7 e il 9 marzo 100 mila persone, calcola Milano, di sono
spostate verso il Sud.
Burioni
non basta, il virologo del San Raffaele, scendono in campo anche Gismondo (ospedale
Sacco), e lo stesso presidente della regione Lombardia, Fontana, a ingarbugliare
le carte. Non a contagiare, non direttamente, ma ci provano. Milano ha proprio
la sindrome dell’untore? Efficienza, efficienza, ma niente sotto le chiacchiere?
Nella
Lombardia leghista della “sanità modello” la Federazione dei medici di medicina
generale prepara azioni legali. La legale della Federazione, Paola Ferrari,
nome milanese, preannuncia: “Ciò che si può dire sin d’ora è che in Lombardia
c’è stata una sottovalutazione della pandemia e una mancata predisposizione di
misure di sicurezza minime, sia per il personale sanitario negli ospedali che
per i medici di base”.
Ma
detto in breve, poche righe annegate in un “pastone”.
Merita
invece una pagina, lo stesso giorno, nello stesso “ Corriere della sera”, l’ex
banchiere Giovanni Bazoli, artefice della privatizzazione sanitaria della Regione,
anche tramite il suo protetto Rotelli che a lungo ha fatto per suo conto il padrone
del quotidiano: “Nel complesso il sistema lombardo ha retto. La Lombardia ha
costruito ospedali di ottimo livello, pubblici e privati”. Anche se concede: “A
scapito di una strutturazione sanitaria di base, in grado di assistere anche a
casa”.
Il
giorno dopo comunque il “Corriere della sera” trova i colpevoli del mancato
cordone sanitario attorno ai focolai d’infezione lombardi. Tre inviati,
Imarisio, Ravizza e Sarzanini, riescono a (non) dire che il mancato ordine di
chiusura è della burocrazia. Sottintendendo: romana – la burocrazia a Milano è “romana”.
Un
ospedale nuovo a Londra, da 4 mila letti, in una settimana. Uno nuovissimo,
mura comprese, a Wuhan in dieci giorni. Uno a Milano, nei locali della (ex)
Fiera, in quindici, e non ancora funzionante – inaugurato cinque sei giorni fa, comincerà a funzionare oggi.
Ma basta per annunciare il primato di Milano. Non è sbruffoneria, cioè lo è, ma
senza danno per nessuno: è resilienza. E darsi ragione, e andare avanti. I
complessi di colpa uccidono.
La
maggiore struttura sanitaria lombarda è privata: venti ospedali, di cui tre
Ircss (Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) - tra essi il San
Raffaele, dove officia Burioni. Di proprietà della famiglia Rotelli, il cui
capostipite, Giuseppe, esponente di primo piano della Dc di Base (sinistra)
lombarda, portato da Giovanni Bazoli, dominus
di Intesa, fu a lungo il socio di riferimento del “Corriere della sera”.
Oggi
il gruppo è presieduto da Angelino Alfano, l’ex delfino di Berlusconi, uomo di
primo piano nei governi di destra e sinistra degli anni 2010. La politica è business.
“Nel
1906”, spiega Cosmacini a Ferruccio De Bortoli su “L’Economa”, “12 dei 24
consiglieri di opposizione al Comune di Milano erano medici. La medicina
sociale era una versione del socialismo politico. Un esempio preclaro è quello
di Anna Kuliscioff, la dottora”. Certo, è passato un secolo, un abisso.
leuzzi@antiit.eu