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Bravi – Imperversano
già nel primo Cinquecento, nelle rime di Berni. La magistratura fiorentina
degli Otto prevedeva pene speciali contro i “bravi” nel 1533-1534.
Devoto
deriva “bravo” dal latino, un incrocio tra “pravus” e “barbarus”.
Dante
–
Nel 1373 la Signoria promuove a Firenze pubbliche letture della “Divina
Commedia”, per alleviare i disagi del peste. La lettura inaugurale fu tenuta da
Boccaccio, settantenne. Già affermano dantista; dieci ani prima aveva
licenziato il “Trattatello in laude di Dante”, redatto in più versioni a
partire dal 1357 – è ancora il testo di riferimento per la biografia di Dante.
Aveva anche preparato un’edizione
manoscritta della “Divina Commedia”, un sorta di edizione critica, seppure non
documentaria, non basata sugli autografi.
Schopenhauer e Nietzsche, che non
amavano il poema, lo dicono un sogno. Schopenhauer, che nei “Parerga e
Paralipomena” ne tratta distesamente, nel quadro dei “poeti italiani”, fra i
quali apprezza soprattutto Petrarca e Ariosto, dice l’“Inferno” “un poema della
crudeltà”, e lo apprezza a suo modo: “Donde ha
preso Dante la materia del suo inferno, se non da questo nostro mondo reale?” Concludendo:
“Il titolo dell'opera di Dante è assai
originale e appropriato ed è difficile mettere in dubbio che esso abbia un
senso ironico. Una commedia! Davvero, ciò sarebbe il mondo”.
Di Nietzsche
basti l’apprezzamento che spesso si cita, dal tardo “Crepuscolo degli idoli”, al
§ 1 delle “Oziosità inattuali”, o “Le mie impossibilità” – che sono gli autori
per lui indigeribili: Seneca, Rousseau, Kant, Victor Hugo, Liszt, etc. . Dante
è “una iena che fa versi sulle tombe”.
Maldel’stam
e Rimbaud vogliono Dante musicale, Borges poeta d’amore, T.S.Eliot un autore
drammatico, e uno sul quale si può imparare a scrivere versi meglio che con
qualsiasi poeta inglese contemporaneo, Shakespeare prima di Shakespeare, per tanti
registri, storico, tragico, lirico, comico.
Balzac,
che aveva letture italiane, volle il suo ciclo “La Comédie humaine” in
riferimento a Dante.
Il
poema è anche “a cassetti”. Ci sono molti narratori dentro: Sordello, Bertran
de Born, Arnaut Daniel, il vescovo trovatore Folquet di Marsiglia, Cunice de
Romain. Oltre a Virgilio e Beatrice, naturalmente . Ma molti hanno da dire, in
una sorta di rappresentazione teatrale: Orazio, Stazio, Giustiniano, la
principessa Matelda, Carlo Martello, san Tommaso d’Aquino, san Bonaventura, san
Piero Damiani, san Benedetto, san Bernardo, i tanti nomi classici, i tanti fiorentini
e toscani.
“Nel
XIV canto del «Paradiso», (strofa 118) Dante ci dà al più alta definizione della
musica, che è (secondo le sue parole) rapimento e non comprensione”, Riccardo
Muti.
Femminismo –
Smaschera la donna? Delle innumerevoli concioni che imbottiscono “La scuola
cattolica” questa è la più ritornante. Al § “Vergeltungswaffe”, arma di
rappresaglia – l’“arma finale” di Goebbels e Hitler - lo stupro “funziona come
il contrappasso nell’«Inferno» di Dante”. Anche perché “una volta
sessualizzata, la violenza diventa attraente”. Al modo di Robbe-Grillet, si
direbbe, di Madame Robbe-Grillet. Ma non eccezionalmente in Albinati, matter-of-fact. Su questo presupposto: “Con la cosiddetta
liberazione sessuale, si scoprì che i poeti avevano mentito. Per secoli. Tutti
o quasi tutti. Le donne vogliono il sentimento? Vogliono l’amore, l’amore puro,
eterno? No, le donne vogliono godere. Vogliono scopare a sangue”.
Letteratura – Una “truffa”,
benché “salutare”, la vuole R. Barthes, per liberarsi dall’emprise del linguaggio, del potere: “Questa truffa salutare, questa
finezza, questa magnifica ilusione, che permette di concepire la lingua al di
fuori del potere, nello splendore di una rivoluzione permanente del linguaggio,
io la chiamo: letteratura”. Una festa
secentesca, barocca.
Lingua –
Fascista la dichiara Barthes nella “Lezione” inaugurale al Collège de France
nel 1978: “La lingua non è né reazionaria né fascista; essa è semplicemente
fascista”. Giustificandosi col dire: “Il fascismo, infatti, non è impedire di
dire, ma obbligare a dire”. E così: “Non appena viene proferita, fosse anche
nel più profondo intimo del soggetto, la lingua entra al servizio di un
potere”. Difendendosi con Saussure: “Parlare, egli scrive,… non è, come si
ripete tropo spesso, comunicare: è sottomettere: tutta la lingua è una
predeterminazione generalizzata”. Per finire: “Può esservi libertà solo al di
fuori del linguaggio”.
Moravia
–
È un saggista. Lo scrittore che ha rinnovato il romanzo con “Gli indifferenti”,
è uno dalle idee chiare. Procede nei saggi a passi militari,
destr-sinistr, marsc. Tranciante: conseguente, definitivo. Chiaro, semplice: un
capoverso concatenato al precedente. Logico, assennato – infastidito che la
“critica” bisogna farla - tanto, assume, è evidente. Scrittore di mente
naturalmente critica, e quindi ordinato. Va per concatenazioni, una casella
aprendo la successiva senza possibilità di errore o deviazione – non di dubbio.
Si direbbe come un bulldozer. Naturalmente intelligente, molto – è scrittore
critico anche nella narrazione
Musica – È la
vera parola di Dio, secondo Cassiodoro, “De Musica”: “Se continueremo a commettere
ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica” – la punizione, l’inferno, è il
silenzio. Un segnale derivato dai profeti della Bibbia, di cui l’ex governatore
della Calabria era diventato in vecchiaia familiare: il segno del disdegno di
Dio è nella Bibbia il “silenzio nero”, un mondo cioè senza più suoni armoniosi,
di canto o di strumento.
Prussia – “La
Prussia non è uno Stato con un esercito ma un esercito con uno Stato” -
Friedrich von Schrötter, ministro della Prussia orientale, 1806. Magris, “L’infinito
viaggiare”, attribuisce il detto a Fontane, “uno degli scrittori più grandi e
più malinconicamente innamorati della vecchia Prussia” – “un asciutto cantore
della vecchia Marca del Brandeburgo, commosso dalle sue tradizioni e dal suo
ethos ed insieme consapevole del tramonto e dell’involgarimento del suo mondo”.
Trovandolo appeso con questa paternità a un vessillo di una delle trenta mostre
che nel 1981 celebrarono la nascita della Prussia - “il madornale Centenario
Prussiano” di Arbasino, “Marescialle e libertini”. Gerhard Ritter, “I militari nella
politica della Germania moderna”, ne dà la paternità allo junker barone Schrötter, ministro liberista dopo la morte di
Federico il Grande – liberalizzò il commercio del grano, la Prussia era allora
nazione agricola.
Satira – È
fredda. Spietata anche: smisurata al possibile. L’ironia o lo scherzo possono
lenirla, ma l’intenzione è cattiva.
Scrittura –
Ernesto Sabato la divideva in “diurna” e “notturna”, spiega Claudio Magris nelle
tante celebrazioni che dello scrittore argentino, di cui fu amico ed è
ammiratore, viene tenendo. In quella diurna lo scrittore, pur inventando, parla
del mondo che conosce nel modo in cu lo condivide: cerca di capire, e spiega il
mondo per spiegarselo. Quella notturna è, si direbbe, tutto il rimosso, e
qualcosa di più: anche le verità, di sé e del mondo, che sono o ritiene vergognose,
“indegne o detestabili”, demoniache perfino - forme e eventi “tenebrosi”,
“visioni”, “che mi
hanno tradito, andando aldilà di ciò che la mia coscienza mi consente”. Che
in effetti è il proprio del Sabato scrittore, al di là dell’impegno civile e
politico contro il regime militare argentino degli anni 1970.
Tabarchino – O “genois
d’outremer”: abitante di Carloforte, nell’isola di San Pietro, in Sardegna. In
ricordo di Tabarka in Tunisia, da cui i genovesi (propriamente di Pegli) ivi
emigrati nel 1542, al seguito dei Lomellini, mercanti che avevano ottenuto da
Caro V concessioni in Tnisia, sono stati di ritorno nel 1738, approdando
casualmente nell’isola, allora abbandonata. “Ligure tabarchino” è anche il
dialetto. Carloforte è per questo anche “Comune onorario” della città
metropolitana (l’ex provincia) di Genova.
Viaggio – Una
promessa, un’attesa lo dice Magris, scrittore di viaggi, nel saggio che
premette a “L’infinito viaggiare”, in memoria di Marisa Madieri: “Un continuo preambolo,un
preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro
l’angolo”. È la vita, dice ancora, “per itinerari che si vogliono nuovi anche
se noti, ripetuti. È anche un benevola noia, una protettrice insignificanza”.
O
anche. “Viaggiare è immorale, diceva Weininger viaggiando; è crudele, incalza
Canetti. Immorale è la vanità della fuga, ben nota a Orazio, che ammoniva a non
cercare di eludere i dolori e gli affanni spronando il cavallo”.
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