sabato 30 maggio 2020
Cronache dell’altro mondo – 59
A Minneapolis Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso con la mani un nero indifeso, a terra, è arrestato dopo quattro giorni – dopo le devastazioni in reazione.
Letture - 422
letterautore
Amicizia – Quella
classica, tra Teseo e Piritoo, Calasso rappresenta (“Le nozze di Cadmo e
Armonia”, 26), come incontro fra opposti, o meglio concorrenti: “Come si videro
e stavano per scontrarsi in duello, si ammirarono”. Diventarono “soci di
avventure”. Scambiandosi “quelle conversazioni cifrate che erano il piacere più
alto della vita”. Un richiamo fra opposti, con molto non detto in comune, sintetizzando
Calasso.
Amore a distanza – È in Fogazzaro, “Daniele Cortis”,
quando Daniele dice addio a Elena. Lei si fa trascrivere l’iscrizione latina di
una colonna, che lui dice “di un santo”: “Sono sposi senza nozze, non con la
carne ma con il cuore. Così si congiungono gli astri e i pianeti, non con il
corpo ma con la luce; così si accoppiano le palme, non con la radice ma con il
vertice (Innupti sunt coniuges non carne
sed corde. Sic coniunguntur astra et planetae, non corpore sed lumine, sic
nubent palmae, no radice sed vertice). Un amore comodo?
Belle Époque – Fu l’epoca
dei regimi autoritari. Lo nota di striscio Zeri in uno dei suoi scritti di
arte, ed è vero. Era l’epoca dell’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe, dell’Inghilterra
vittoriana, della Germania guglielmina, della Francia della Terza Repubblica, dell’Italia
umbertina.
Cattoscrittura –
Quanto pesa il cattolicesimo, la fede sentita, negli scrittori che lo
professano? La domanda insorge risfogliando Tozzi dopo Flannery O’Connor: gli
stessi “vinti”, la stessa empatia. Al limite dell’indifferenza – l’accettazione
del male suona indifferente.
Il cattolicesimo s’intensifica (in Italia) con la pietas, con Manzoni, ma forse è crudele
(Bernanos, Mauriac, Graham Greene): usa un obiettivo freddo, o un insieme di
filtri grigi, sulla humana conditio.
Europa - Si stacca
dall’Asia, nel mito, andando verso il mare – il Mediterraneo, l’Atlantico.
Questa si può dire la sua identità: la navigazione, la scoperta, lo scambio – con imperialismo
e senza. La Magna Grecia, l’impero romano, le repubbliche marinare, le
scoperte, i regni marinari, con l’imperialismo e il colonialismo. Un destino
non continentale, come la Germania lo concepiva e lo avrebbe voluto, con le guerre
del Novecento. E ora, con una Unione Europea introspettiva, che si coltiva l’ombelico.
Femminismo – Fu
combattuto e vinto, in nome della pederastia? È l’ipotesi di Calasso, “Le nozze
di Cadmo e Armonia”, 85-90.
Il
femminismo veniva prima, col regno delle Amazzoni – il matriarcato di Bachofen.
Crollando per una lunga serie di tradimenti, annota Calasso: Ipermestra,
Ipsipile, Medea, Arianna, Antiope, Elena, Antigone - “il gesto eroico della
donna è il tradimento”, con “effetti sottili” e non sanguinari, “ma non meno
devastanti”, 86.
La
paura delle Amazzoni è larga parte del mito greco. Eracle viene per distruggere
le Amazzoni – le Danaidi, le donne di Lemno. Che nel tardo ricordo (Eschilo, Euripide)
solo perpetrano o progettano nefandezze. Ma, secondo Calasso, per un disegno o
una deriva: verso la pederastia – “con gli eroi si apre un nuovo mondo amoroso”,
il modello è Apollo invaghito di Admeto.
Grazie –
“Concedere le proprie grazie”, doppiato dal francese agréer – “e derivazioni: agréments,
agréable, etc.”: “Tutta la metafisica
dell’amore si concentra nel gesto con cui l’amato dona la sua grazia (charis) all’amante” – R.Calasso, “Le
nozze di Cadmo e Armonia”, 95.
Lavoro - Conrad, “Cuore di tenebra”: “Non
amo il lavoro – nessuno l’ama – ma amo ciò che il lavoro implica, la
possibilità di trovarsi”. Al lavoro?
Ottocento – Non
il Novecento, come si direbbe dalla storia, ma è l’Ottocento a essere armato. Secondo Carlo Emilio Gadda, l’Ingegnere,
“Conforti della Poesia” (“Il tempo le opere”): “La grande poesia ottocentesca
disponeva di un armamentario che farebbe invidia ai magazzini della Scala: i
cimieri, i brandi, gli usberghi vi furoreggiano, i destrieri, le pugne, le prore,
le tubi, le torri, le selve, ne combinano d’ogni maniera. Senza contare il
serraglio: volatili e quadrupedi”.
Così
è. Il Novecento è addolorato, triste, luttuoso, mortifero, si diverte solo a
letto.
Romanzo – Una gabbia e non un campo aperto, nei confronti del mito, secondo R. Calasso, “Le nozze di Cadmo e Armonia”, 36: “Le figure del mito vivono molte vite e molte morti, a differenza dei personaggi del romanzo, vincolati ogni volta a un solo gesto”.
Settecento - Inemendabile, tanto è ragionevole e sa tutto, ma impresentabile. Qui ha ancora ragione l’Ingegnere: “Ossessione immaginifica è quella d’un perpetuo celebrare, d’un interminato sacerdozio preso le are e le tombe. I gesti rituali degli officianti, lo spargimento dei sacri liquidi dalle sacre pàtere sul cubo dell’ara. Fronde di alloro e di mortella, e libagioni di latte e coltivazione delle api …., di profusione di aggettivi patronimici greci su tutti i cimiteri di memoria…”.
Stupro – “Lo
stupro è un possesso che è una possessione”. R. Calasso, “Le nozze di Cadmo e Armonia”,
70.
Tedeschi – È
proverbiale nella letteratura quattrocentesca e cinquecentesca la fama dei
Tedeschi come smodati bevitori”, Giorgio Bàrberi Squarotti, in nota a F. Berni,
“Rime burlesche”, al “Capitolo dell’orinale”.
Erano ubriaconi già quelli di Tacito. Del resto, qualcuno vuole Kaufmann derivato dal latino per oste, caupo-ponis: il mercante sarebbe in origine un venditore di vino?
Tsunami - Le immagini
degli delle coste del Pacifico e dei mari del Sud, con vacanzieri, famigliole e
sfaccendati che sfuggono all’onda dello tsunami arrampicandosi sugli alberi è
in Berni, “Capitolo del diluio”, Mugello 1521. Nell’alluvione del Mugello, per
sfuggire al Muccione, torrentello in piena, si appende agli alberi “quel di sotto,
per non affogare,\ all’albero appoggiava il viso è’ denti”.
Vilgefortis
- Una Virgo fortis, che tanto pregò di farsi
trovare brutta dal promesso sposo, un principe pagano, che Dio la accontentò
facendole crescere una folta barba. Così è raccontata da Fo in “Dario e Dio”,
p. 143. La barba della ragazza “fece fuggire a gambe levate il fidanzato e
infuriare come una belva suo padre”. Questi, “non sapendo più che farsene di
quella vergine irsuta, pensò bene crocifiggerla in nome di quell’intervento
divino tricologico”. Ma la santa esiste, è esistita a lungo (cancellata nel
1969), sulla base di un’agiografia che è quella di Fo - con l’aggiunta del
casato: la martire era una principessa, figlia di un re del Portogallo.
letterautore@antiit.eu
Il cannocchiale di Zeri sull’Italia
È con il cristianesimo che Roma,
lo Stato imperiale autoritario, diventa totalitario. Il manierismo la koiné figurativa di Carlo V. Il Padre Eterno
“nebuloso” di Giovanni Battista Moroni la più alta, penetrante, raffigurazione
della Prima Persona, l’Aiòn dei
mitriaci, l’Ananche dell’Orfismo. Il
francobollo, spia culturale e ideologica. “Si può dire che il fascismo è un
fatto esclusivamente cattolico”. Frédéric Bazille il Masaccio
dell’impressionismo - non se ne parla perché ha lasciato poche opere da
commerciare. L’“occhio” di Antonioni, Godard, Fellini è quello di Alma Tadema.
E siamo a p. 33, un quarto del totale.
Le agudezas prendono peraltro una piccola parte, accanto al lavoro da
critico dell’immagine. Sui disegni degli scrittori – Victor Hugo, etc. . Sui monumenti
funebri. Su Angelika Kaufmann e Elisabeth Vigée Le Brun. Sulle incredibili
distruzioni di palazzi e opere d’arte nei moti della Riforma, in Germania,
Inghilterra e Olanda. E il problema dei falsi, il tema della vanitas in pittura, Caravaggio, Piero,
Luca Giordano, Guidoriccio.
Un raccolta di articoli di varia
umanità – per “La Stampa” e “L’Europeo” – tratta da due precedenti raccolte
degli anni 1980, “Mai di traverso” e “L’inchiostro variopinto”. Una lettura
variopinta, riposante – forse non vera, a un ripensamento, ma stimolante. In
materia figurativa e non: le pitture e gli oggetti sono dei segni. Di un
conservatore che si vuole rivoluzionario. Con un paio di vindicatio appuntite, come era nello stile di Zeri. Quella di Bernard
Berenson, che sembra facile ma negli ani 1970 non lo era. E quella, rimasta
senza seguito, di Teofilo Patini, pittore abruzzese vittima del fascismo (era
socialista e dipingeva i poveri in stracci), e nell’Italia repubblicana delle
avanguardie – bestia nera di Zeri. Di Marx rivendicando, nella prima parte del
terzo capitolo del “Manifesto”, la filippica contro il socialismo reazionario.
Il Sessantotto disinvolto imputando alla “mentalità retriva”, che non si palesa
più per francamente reazionaria ma per progressista. E un’ardita, ma non da buttare,
pagina sull’apporto italiano alla dottrina politica: il fascismo.
Dicono gli anglosassoni che “l’unico
e solo contributo italiano alla varietà tipologica delle strutture politiche è
il fascismo”. Questo è vero e non lo è: “Il grande originale monumento della
mentalità politica italiana è… la struttura oligarchica cui (allo stato puro o
sotto maschere più o meno ingannevoli) gli italiani riducono ogni e qualsiasi forma
di governo”. Nel fascismo scopertamente, come nella nella curia vaticana, e nell’Italia
repubblicana col finanziamento pubblico.
Federico Zeri, Il cannocchiale del critico
venerdì 29 maggio 2020
Cina filona – quanto basta
Sfila il presidente Xi, sullo sfondo di una tribuna tutta di
rosso, davanti a file ordinate di parlamentari e delegati, tutti maschi, di età
inalterabile, come le chiome, che applaudono con la punta delle dita, al congresso
del Glorioso Partito Comunista Cinese – quale? sarà il XIImo, tre anni fa,
quello che introdusse il “pensiero di Xi Jinping” nello statuto del partito,
affiancato al “pensiero” marxista-leninista, maoista, e di Deng Xiaoping. Non
cambia il cerimoniale comunista dietro il fronte spumeggiante dell’intraprendenza
commerciale e della disinvoltura finanziaria: è la manifestazione del Potere
immobile. Minaccioso, senza se e senza ma, anzi brutale, benché atteggi manine
di biscuit. Xi, sguardo opaco, smorfia sorridente, ne sembra il Padrone
Naturale.
Sfilano queste immagini su un solo tg, Sky Tg 24, per caso,
prese dall’etere, la Cina non si nasconde, a riempitivo delle notizie sul
coronavirus, invece delle solite mascherine e i prelievi nasali. E questo è
ancora più agghiacciante: nessuno, ma proprio nessuno, nella trionfale comunità
giornalistica, sa che cosa è la Cina e cosa fa. Non una riga, nemmeno una parola,
sul duro, durissimo, partito Comunista Cinese.
Il PCC è abile a vendersi, ruffiano. Anche
in senso proprio, ristretto: i soldi,
abbondanti e facili, sono la marcia in più del PCC, la sua arma totale, invece dei
missili e della Bomba. Ma bisogna dire che lo fa con poca spesa.
Col sorriso, invitante, promettente, e con la lesina – quanto basta.
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L'annessione di Hong-Kong
“Trump
manderà i marines a Hong Kong? Sennò, la sua «forte reazione» è l’ennesimo bluff”:
sardonico il commento del partito Comunista Cinese, affidato al suo giornale di
lingua inglese “Global Times” perché sia compreso meglio. Dietro le belle maniere
ostentate in Occidente, il PCC è semrpe quello: è duro e marcia come un bulldozer.
Dall’Assemblea
del Popolo si è anche fatto approvare, all’unanimità meno uno, e sei astenuti,
l’annessione di fatto di Hong-Kong, contro gli accordi internazionali di venti
anni fa per “un paese due sistemi”. La legge per l’annessione di Hong-Kong
ancora non è stata varata, ma l’Assemblea se ne è detta entusiasta.
L’Assemblea,
il Parlamento di Pechino, conta 2.885 membri. In rappresentanza di nove partiti,
più alcuni indipendenti. Tutti gemmati e patrocinati dal PCC. Di cui si
limita a ratificare le decisioni – le decisioni dell’Ufficio Politico
(Politburo) del partito.
Volendo
razionalizzare, si potrebbe dire domani: nel 2020 la Cina infettò gli Usa di coronavirus,
e si prese Hong Kong. Non è esatto, ma non è sbagliato.
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C’è una legge anche per i social
L’Europa
discute, se tassare o no i social per gli enormi profitti che realizzano con la
pubblicità, il ciclone Trump dice e subito fa. Devono sottostare alle leggi
contro la diffamazione e per la sicurezza dello Stato, e al controllo dell’ufficio
federale per la correttezza sui mercati. Non possono cioè esimersi dai delitti
di cui sono veicolo, e non possono truffare i concorrenti o il fisco.
Contro
la regolamentazione di Trump è indubbio che si eserciteranno numerosi
procuratori e giudici, federali e statali – il presidente è inviso all’establishment americano. Anche perché Trump ha agito per
reazione – al controllore dei contenuti di twitter, Yoel Roth, un attivista
politico di Sanders, la sinistra del partito Democratico, molto attivo contro Trump,
che gli aveva censurato due tweet come fake
news. Ma la regolamentazione era da fare, da vent’anni almeno. Evitata
colpevolmente da Clinton, Bush jr. e Obama, per ingraziarsi i potenti gestori
dei social – solo uscendo dalla Casa Bianca Obama disse che la questione era “cruciale”
per la democrazia. E al giudizio costituzionale passerà contro tutte le
obiezioni che i social possano sollevare con i loro potenti trust legali.
L’esito
traspare dal giubilo dei giornali, malgrado l’odio diffuso contro Trump, che
vedono infine un freno all’impunità dei social e i siti online, liberi di
rubare contenuti e idee.
Trump e il re nudo
Il
ciclone Trump ne abbatte un altro: dopo il totem Cina attacca i social.
Sorprende, irrita, ma poi tutti, anche i più decisi oppositori, si dicono che
ha ragione. Trump è decisionista e sgradevole ma ci azzecca? Non è difficile.
Gli
Stati Uniti sono un po’ il re nudo. Hanno letteralmente “creato” la Cina in
trent’anni di globalizzazione, per arricchirsi – per arricchire manager e
investitori, a danno di centinaia di milioni di lavoratori nella stessa America.
Salvo scoprire che la Cina se ne è approfittata in abbondanza, trafugando tecnologia e invadendo i mercati - al punto che gli stessi guadagni di chi ha sono a rischio.
Tanto da accettare già a due riprese nei tre anni di Trump di riequilibrare gli
scambi, per 4 o 500 miliardi di dollari, l’anno.
Si
apre ora un terzo fronte: gli studenti cinesi negli Usa. Molti legati, per
borse di studio, carriera, parentela, funzioni, al partito Comunista Cinese e
alle sue diramazioni nella sicurezza. Portano soldi negli Usa, e questo allarma
le università. Ma i controlli sulla sicurezza non si possono evitare.
Sarà
per i social come per la Cina? Che accede a un secondo pacchetto di concessioni
dopo le chiusure e le minacce di Trump.
Il mondo com'è (404)
astolfo
Alsaziano – È Il cane pastore
tedesco, ribattezzato “alsaziano” in Francia e Inghilterra dopo la guerra del
1914-1918 in odio alla Germania.
Fritz Bauer – È un giudice tedesco, ebreo, emigrato al tempo di
Hitler dopo una breve carcerazione, dapprima in Danimarca, poi in Svezia,
esponente socialista di primo piano, animatore nell’esilio anche di una “Sozialistische
Tribüne” con Willy Brandt, tornato in patria nel dopoguerra e reintegrato. Si
impegna soprattutto nei dossier sulla
persecuzione antisemita. Ma con difficoltà: a lungo non riesce a scuotere
il torpore, la voglia in Germania di rimuovere gli anni di Hitler, e anzi viene
ritenuto un mestatore. È lui che indirizza il Mossad su Eichmann in Argentina,
dopo che la Germania ha rifiutato di estradarlo e processarlo. Scopre anche che
in Argentina Josef Mengele, il famigerato dottore dei lager, che conduceva esperimenti dal vivo sulle carni dei gemelli, risiedeva
in tutta tranquillità, poiché nel 1956 aveva ritirato al consolato tedesco un
passaporto a suo nome.
I
rapporti di Bauer erano del resto difficili anche con Israele. Abitato e
governato da ebrei dell’Est Europa prevalentemente, che non amavano gli ebrei
tedeschi, ritenuti supponenti. La prima volta che Bauer si recò a Gerusalemme il fondatore
e capo del Mossad Isser Harel gli oppose brutale: “Io mi occupo degli ebrei
vivi, non degli ebrei morti”. E quando infine il Mossad decise il colpo di
teatro del rapimento e il processo di Eichmann, Bauer non ottenne in Germania,
benché fosse una personalità di rilievo, di farlo estradare: un processo a
Francoforte, dove era la sua giurisdizione, avrebbe significato smascherare
troppe complicità. Una eventualità che non solo Adenauer, il cancelliere degli
anni 1950-1960, ma anche gli americani non potevano permettersi.
Su
Bauer si è esercitato ultimamente Olivier
Guez, “L’impossible retour, histoire des juifs en Allemagne après 1945”.
Nel 1975, morto Bauer, Isser Harel, libero dagli
incarichi ufficiali, ha raccontato in un memoriale fiume, “The House on
Garibaldi Street”, il rapimento di Eichmann in Argentina, senza fare menzione
del giudice
Bauer – si limita a dire di avere avuto l’indirizzo di Eichmann in Argentina da
“fonte sicura”. Non lo menziona nemmeno dopo, quando gli oppone il suo vaffa: “Io
mi occupo degli ebrei vivi, non dei morti”.
Malleczeven - Friedrich
Rech-Malleczeven, 1884-1945, barone, si ricorda per aver tenuto un diario
manoscritto anti-Hitler durante gli anni di Hitler nascondendolo per
precauzione in giardino. Un conservatore, che ricorda nello stesso diario con
affetto i suoi “graziosi padroni”, i re di Baviera, e vede i totalitarismi
figli della Ragione borghese e della Rivoluzione francese. Ma che su Hitler ha
idee ancora più chiare: “So perfettamente che bisogna odiare con tutto il cuore
la vostra Germania, se si ama veramente la Germania”.
Un
personaggio, quindi, che la Germania non terrà in considerazione – la Germania
è anarchica ma non ama i dissidenti. Del barone si è sentito solo nel Sessantotto.
Disperato dalla Notte dei Cristalli e dalle persecuzioni, per primi degli ebrei,
si augurava la guerra, e la sconfitta.
Turanismo – Ritorna
con Erdogan? È l’ideologia panturca che, originata in Persia, è stata coltivata
nell’Ottocento soprattutto in Europa, in Germania e in Ungheria, oltre che in
Turchia, e in Giappone. Elaborata da intellettuali ottomani, che in chiave di “risorgimenti”
nazionali offrivano ai popoli ugro-finnici, o ugrici, una tradizione radicata
ancora più lontano che in Persia, in India (dravidismo), in Mongolia e in Giappone. “Sistemata” da Friedrich Max Müller (1823-1900), figlio di Wilhelm Müller, il poeta autore
della “Bella Mugnaia” – Müller è mugnaio - e del “Viaggio d’inverno” di
Schubert. Iniziatore delle religioni comparate, professore di Filologia comparata a Oxford, il primo titolare al mondo di questa disciplina, Friedrich Max Müller fu animatore del turanismo: “tutti turchi”, tutti quelli che parlano lingue uralo-altaiche, che lui dice
sbrigativamente turche.
Una Società Turanica risulta fondata nel 1839 fra i Tartari della Russia. Con lo steso nome ne fu fondata una in Ungheria nel 1910. Doppiata dieci anni dopo da una Alleanza Turanica. In Giappone il cammino è inverso: Alleanza Turanica nel 1921, Società Turanica dieci anni dopo.
L’“Enciclopedia Treccani” trova al fenomeno radici
europee: “Le origini del panturchismo si potrebbero
cercare anche più lontano, nelle pubblicazioni del polacco Costantino Bosenski,
emigrato a Costantinopoli nel 1848, e diventato musulmano, autore dell’opera «Les Turcs anciens et
modernes» (Costantinopoli 1869), negli scritti turcologici di
A. ámbéry, nella «Introduction
à l’histoire de l’Asie» di L. Cahun, nelle prime poesie nazionaliste
di Meḥmed Emīn (1896-1897). Tutto ciò servì a far sorgere una coscienza
nazionale dei Turchi, che fino allora si sentivano più ottomani o musulmani che
turchi; questo nazionalismo diventò fin da principio panturchismo e ciò si
spiega per ragioni politiche; i Turchi evoluti della Russia infatti si volsero
a Costantinopoli come a faro della rinascita turca e furono anzi i migliori
propagandisti dell'idea nazionale”.
Un fantasma geopolitico oggi – resta solo nella voce
cospicua dell’Enciclopedia Treccani. Che però non è morto, e anzi radica,
sotterraneamente, e per lo più indistinto, il nazionalismo turco. Basato sulle
ricerche linguistiche, dell’origine e le derivazioni dei linguaggi. Nonché,
ultimamente, stando a wikipedia, da ìl Dna: le teorie “panturaniche” avrebbero ricevuto
nuovo impulso dalla “presenza dello stesso
aploide N3 nel cromosoma Y del DNA” di Jakuti (80 per cento), Finni (70), Inuit
dell’Ovest (60), Udmurti (53), Sami (49), Buriati (47), Lituani (41), Lettoni,
Evenchi dell’Est (20).
Il termine è derivato dal bassopiano detto Turanico, che
unisce gli stati turchi dell’Asia centrale, Turkmenistan, Uzbekistam,
Kirghizistan, e Kazakistan. E in quest’area sopravvive, oltre che in Azerbaigian,
più vicino all’Europa, nel Caucaso. Ma anche in Turchia ha, non dichiarate,
radici.
Al turanismo vengono collegati i Lupi Grigi, il gruppo
terroristico di cui faceva parte Alì Agca, l’attentatore di papa Giovanni Paolo
II a san Pietro, e il Movimento Nazionale Turco, residuato del kemalismo, il
rinnovamento repubblicano del primo dopoguerra. Al turanisno si ispirano anche
due partiti politici di estrema destra in Ungheria, Jobbik (Movimento per un’Ungheria
Migliore), che ha un decimo dei seggi all’Assemblea Nazionale, e in Giappone, Kokka
Shakaishugi Nippon Rodosha.To, partito Nazionalsocialista Giapponese dei Lavora
ori, senza rappresentanza politica.
Insieme con la localizzazione geografica, il nome fa
riferimento a un Tur o Turai, personaggio dello “Shah-Nameh”, l’epopea persiana
di Firdusi, 1000 d.C. circa. Tur-Turaj, da intendere “il padre dei Turani”, è il
primogenito dell’imperatore Fereydun. Fratello peraltro di un Iraj che il poema
dice espressamente capostipite dei Turani-Turchi. Turanshah, scià dei Turani, è
il nome del fratello di Saladino.
Di origine persiana è comunque la parola: Turan era il paese
a Nord dell’Amu-Darja (Oxus), territorio non conquistato e nemico – solo successivamente
diventano Turkestan.
Turandot, nome diventato famoso con Puccini, è “figlia di
Turan”, nome in uso sia in Iran che in Turchia.Il nome e l’opera sono tratti dalla
“fiaba teatrale” di Carlo Gozzi (1762), che dice la sua “commedia dell’arte”
tratta da “Les mille et un jour”, di François Pétis de la Croix.
La fiaba di Gozzi ha avuto molte impersonificazioni. Soprattutto
in Germania, a opera di Goethe, di Schiller e di molti altri, fino a Brecht, e
musicata da von Weber (1809). Dopo Puccini, sarà ripersa da Busoni, nel 1917.
astolfo@antiit.eu
Trevi resuscita Rocco Carbone e Pia Pera
La vita felice e infelice di Rocco Carbone e
Pia Pera, morti anzitempo, scrittori e amici di una vita di Trevi, che ne
celebra il ricordo. Una trenodia – “la scrittura è un mezzo singolarmente buono
per evocare i morti”. Vigile più che appassionata. Ma nei toni del lamento
funebre, che l’elegia mescola al rimprovero – la morte è risentita come un
abbandono.
Amicizie di molti anni, con frequentazioni
quotidiane, personali, epistolari, telefoniche, messaggistiche. Per alcuni anni
a tre, con incursioni nello studio fotografico di Marco Delogu a Trastevere,
per molti anni bilaterali. Con incomprensioni e interruzioni, come in tutti i
rapporti senza riserve. Su cui Trevi torna quindi con una forte dose di
rimpianto – il ricordo porta inevitabili alle sliding doors, al come avrebbe potuto essere. Ma anche di impegno a
ricostituire le personalità presto dimenticate di Carbone e Pia Pera.
L’affetto si doppia di un (involontario?)
risarcimento letterario, da editor,
il critico letterario dei nostri giorni. Per personali e svelte che siano, le
anamnesi di Trevi sulle opere dei due amici si leggono come un tempo le
critiche discorsive di Edmund Wilson - e
si completano con un indice delle opere dei due scrittori e dei commenti più
approfonditi. “Le Furie che lo braccavano da quando era al mondo”, così si apre
il ricordo di Rocco, “fra tregue e nuovi assalti, prosperavano nel manierismo,
nella complicazione, nell’incertezza dei segni e dei loro significati”.
Personaggi complessi, come tutti. Carbone,
semiologo affermato nei suoi anni venti, quindi romanziere, uno che scala in
fretta l’olimpo editoriale, da Theoria a Feltrinelli e a Mondadori, ma sempre
insoddisfatto, infine vittima di una
crisi maniacale, da cui si riprende facendo l’insegnante in carcere. Pia, che esordisce col
rifacimento di “Lolita” visto da lei, vivamente sconsigliato da Trevi,
inciampando in una causa rovinosa di Dmitri Nabokov, il figlio, sacrifica
presto la scrittura - che Trevi apprezza soprattutto nelle traduzioni dal
russo, dell’“Oneghin” e di Lermontov - al giardinaggio. La flora la appassiona
e ne diventa un’autorità, ma Trevi non sa accettare la rinuncia. In più punti
le oppone l’ultimo scritto, la breve cronaca della malattia degenerativa che la
porta a morire a sessant’anni, dal memorabile esordio: “Un giorno di giugno di qualche anno fa un uomo
che diceva di amarmi osservò, con tono di rimprovero, che zoppicavo”.
Pia, nota Trevi, ha fatto il cammino inverso di
Čechov, che a un amico
scriveva: “Credo che se non avessi fatto lo scrittore, avrei potuto diventare
giardiniere”. Da scrittrice, studiata, limata, perfezionista, si è fatta
giardiniera – coltivatrice di specie spontanee, invece che creatrice. Una compagnia
riposante. Rocco, bio classica, da scrittore maudit, compresa la morte, a 46 anni a Roma per un incidente col
motorino, oppone invece più di una resistenza a Trevi. Che si arrabbia:
“Artista del risentimento”, lo dice a un certo punto, e autore di “cupissimi
libri” – “non era mai contento di nulla”, “un campione del risentimento
cosmico”. Anche se la frequentazione fu quotidiana per un quarto di secolo, con
un solo lungo estraniamento. Quasi coetanei, Rocco del 1962, Trevi del 1964 -
Pia era di qualche anno più avanti. E calabresi: Trevi, romano, soltanto per
parte di madre, e nel ricordo di “Natali e Pasque” ed estati in Calabria, anche
con Rocco. Mentre Rocco, che era di casa anche con i familiari di Trevi, faceva da loro
una sosta “per spezzare il viaggio da Roma a Reggio”, era cresciuto a
Cosoleto, dove la mamma era la maestra, e il padre sarà sindaco.
La Calabria resta estranea a Trevi, che forse per questo non trova il capo del filo. Cosoleto, ai piedi dell’Aspromonte, è un paese
di mille persone. Comprese le frazioni di Sitizano (probabilmente più popolosa)
e di Acquaro, santuario di grandissima devozione, ma solo un giorno l’anno, per
la festa di san Rocco. Affacciato sul Tirreno, distante molti tornanti. Una
radura su un costone, tra avvallamenti densi e monotoni di altissimi ulivi.
Rocco è inquieto (ambizioso e incerto), suscettibilissimo, e pieno di rimorsi,
come solo può esserlo il figlio di una mamma calabrese – la “mamma” alvariana
di cui non si parla, la Medea divorante.
Emanuele Trevi, Due vite, Neri Pozza, p. 131 € 12,50
giovedì 28 maggio 2020
Secondi pensieri - 420
zeulig
Arianesimo - Ma gli Arii
non venivano dall’Afghanistan, i protagonisti di tanta retorica indo-europea?
Certo, non dovevano essere così tanto promettenti.
Il conte Gobineau vi sarebbe stato buon
condottiero, lui che ario conneteva a Ehre
(onore) e a Herr, al latino herus, al greco aristos – e all’Irlanda no, che era Erin, Erenn?
Africa – A Sud e a Nord del Sahara – già con i
berberi, prima degli arabi islamici, e con i faraoni - è il luogo del matriarcato.
E singolarmente fuori dal freudismo: crescono i giovani africani, a Nord e a
Sud del Sahara, senza complessi, Freud impazzirebbe. Perché figli di mamma,
maschi e femmine? Per l’allattamento
prolungato? Per il contatto fisico con l’infante tutta la giornata, anche al
lavoro?
Capitalismo
–
L’epoca borghese della storia fu preparata, in
parallelo con la “nascita” maxweberiana dello “spirito” capitalistico, dalla
caccia alle streghe. Le streghe si perseguitavano anche prima, parte del
fenomeno “eretico”. La caccia alle streghe fu di massa e di genere (ne saranno
vittima anche uomini ma in aree marginali, Islanda, Estonia, Russia, in
situazioni contingenti). Si vede dalla tempistica, e dai reati che ne furono
oggetto: la gestione femminile della procreazione, la rivendicazione esplicita
della libertà sessuale. Quello che si chiamerà la diversità. Manifestazioni
analoghe erano state identificate in precedenza, le Baccanti, le Amazzoni, la
Gnosi, ma non sanzionate. Nel Cinque-Seicento furono fronte di guerra: centomila
“processi” fanno ben un olocausto.
La “nascita” dello “spirito”
è altra cosa dal capitalismo. L’accumulo c’è sempre stato, da Crasso e anche da
prima, dacché c’è storia. Molto sviluppato poi nella pratica e nella ideologia
cristiana, della chiesa di Roma. Lo “spirito” capitalistico può invece ben
essere quello d Max Weber: un’etica, esclusivista e non inclusiva, quale è
invece del capitalismo come fenomeno, la sua arma vincente, della classe
aperta, o classe-non-classe.
Il capitalismo come religione di
W.Benjamin è un “culto” che “non conosce nessuna particolare dogmatica, nessuna
teologia”. Ma il comunismo una chiesa, il capitalismo una religione, non si
sfugge al sacro.
Benjamin capovolge la frittata - anche
lui come Hegel?: “Il capitalismo si è sviluppato in Occidente… in modo
parassitario sul cristianesimo, in modo tale che, alla fine, la storia di
quest’ultimo è essenzialmente quella del suo parassita, il capitalismo”. Ma non
si sarà capovolto lui?
Colpevolezza – Conversando
con Anais Ginori su “la Repubblica”, Finkielkraut denuncia “l’immodestia della
colpevolezza”. Il piacere della colpevolezza – a partire dai papi di Roma,
dall’Occidente, dall’Europa. Un rovesciamento epocale, che l’analisi freudiana
e la cultura della crisi (lo specchio della cultura del mercato, cioè del più
forte) alimentano. Non la vergogna della colpa, ma l’avocazione della colpa,
anche se per chiedere scusa o perdono. E non sempre autopunitiva: si va per
colpe generazionali, nazionali, sociali. Dell’alto come del basso, dell’intelligenza,
l’arte, la politica, la generosità, l’altruismo come della violenza, l’odio, l’invidia.
Femminicidio
–
Si può pensarlo indotto da un “maschicidio” “naturale”, di lunga durata. L’ipotesi
sottosta a molti riferimenti rilevati da Primo Levi, nelle prose “Ranocchi
sulla luna e altri animali”: “È noto come molti ragni femmina divorino il
maschio, immediatamente dopo o addirittura durante l’atto sessuale; così del
resto fanno anche le mantidi, e le api massacrano con meticolosa ferocia tutti
i fuchi dell’alveare”, dopo che uno di loro ha impalmato la regina – “l’uxoricidio,
tra i ragni, è pressoché normale”, tutte le strategie del ragno maschio sono
indirizzate a salvarsene.
Primo Levi non lo dice, all’epoca i
sessi non erano divisi, ma è come se il femminicidio cristallizzasse una
frustrazione di lungo periodo, da selezione naturale. Anche le “superlucciole”,
lo scrittore aggiunge dopo un ripensamento, hanno lo stesso vizio: imitano la
luce delle femmine di lucciola propriamente detta , per attirare i maschi e
divorarli appena si posano vicino
Prima di quello giuridico, la
cancellazione dell’uomo era dunque un fatto naturale. Ora dice che l’uomo è
cattivo e uccide le donne. Come se cristallizzasse una frustrazione lunga
millenni, da selezione naturale.
Kat-echon
–
La biblica “dilazione”, opera nell’evo cristiano dell’anticristo, “colui che
trattiene”, è di san Paolo, ed è l’impero (romano). In Carl Schmitt denazificato,
1950, “Il nomos della terra”, è “l’impero cristiano dei re germanici”.
Latino
–
L’abbandono del latino è l’abbandono, simbolico, della religione? Paolo IV che abolisce
il latino in chiesa promuove, simbolicamente se non effettualmente, l’abbandono
della religione. Di una religione sì – e quindi di ogni religione, se quella,
in particolare, si vuole l’unica e sola?
“La questione della religio non si confonde semplicemente, se si può dire, con la
questione del latino?”, argomenta Derrida nel 1999 nel seminario a Capri sulla
religione – ora nel saggio “Fede e sapere”. Dopo aver rilevato che “il mondo
oggi parla latino (più spesso attraverso l’anglo-americano)”. Lo ha rilevato in
fatto di religione, parola e concetto
tutto latino, ma poi degli altri linguaggi fondamentali, giuridico, filosofico
e anche scientifico e “ciberspaziale”, tutti legati originariamente alla religio. Lo rileva quando l’Europa e la
stessa cristianità romana ha da tempo e con costanza rinunciato all’eredità
latina.
Padre
- Molte
società non contemplano il “padre”, non contemplando il marito. A Bagnara e
Solano in Calabria, tra i Na della Cina, in molte tribù africane, nel Sud
dell’India, nel Nepal. La dona fa quello che vuole con chi le garba, se ci sono
figli se ne occupa il fratello.
Popolo
-
Nel Vangelo non c’è, in tutt’e quattro. C’è la moltitudine, 31 volte, la turba,
131 volte, e la plebe, 142.
Probabilità
-
“È più probabile avere un 6 lanciando quattro volte un dado, oppure un 12
lanciando ventiquattro volte due dadi”? come il cavaliere di Meré, non avendo
nulla da fare, proponeva a Pascal e al matematico Fermat? Tanto, non serve a niente,
la probabilità non c’è – se c’è non serve, la realtà sarà sempre diversa, non
afferrabile.
Storia – È nata
nell’Ottocento: romantica quindi e nazionale. Genialistica, cabalistica, e
imperiale.
Uno-due
–
È in Dante prima che in Nietzsche, al “Purgatorio”, XXVIII, 125: “Ed erano due
in uno, ed uno in due”. È stato del presidente Mao. O era Socrate, che era un cinico, beffardo. E l’aritmetica: le moltiplicazioni vanno a gruppi di almeno due per uno, uno per
uno fa uno.
L’Uno che si fa Due, ora rituale, sé e
il mondo, la regola e l’eccezione, lo stesso e l’opposto, la dialettica povera
dell’amato boia, il fratello Caino, il diavolo santo, è dissociazione penosa di
Nietzsche. Nella poesia “Sils Maria” in fondo alla “Gaia scienza”: “E d’improvviso,
amica! Ecco che l’Uno divenne Due\ - e Zarathustra mi passò vicino”.
Era – è - principio alchemico: ciò che è
intero deve dividersi, per moltiplicare la vita. O è il contrario, che il due
deve farsi uno, la coincidenza degli opposti di Giordano Bruno?
Nietzsche ne fu perseguitato da ragazzo:
è una voce, scrisse all’esordio, che “mi costringe a parlare come se fossi
Due”. È lo spirito profetico, magari è la coscienza.
Zio - È il greco theios, parente divino. Uterino – zio per
via di madre: lo era Carlo Magno per Orlando, il re del Graal per Parsifal, re
Artù per Gawain. Lo era per i faraoni in Egitto.
zeulig@antiit.eu
La Francia dal finestrino – Mark Twain prima di Mark Twain
Versailles gli piace, almeno quella – è meglio
del Colosseo: “Il posto vale il pellegrinaggio. Tutto è gigantesco. Niente è piccolo,
niente è meschino. Le statue sono tutte grandi; il palazzo è grandioso”, etc.. Versailles
come il resto della Francia, vista dal finestrino del treno Marsiglia-Parigi:
“Che terra splendida! Che giardino! Il manto erboso di un verde squillante è
certamente spazzato, spazzolato e annaffiato ogni giorno; e l’erba deve essere
tagliata da un barbiere”. Non solo l’erba: “In Francia tutto marcia bene, tutto
è in ordine. Non si fanno sbagli. Un uomo su tre è in uniforme”, e vi dà tutte
le informazioni possibili, fino a mettervi sul vagone nel treno giusto che
cercate.
La parte più opaca di
un libro di viaggio, la prima crociera americana nel Mediterraneo, 1867, che si
ripubblica solo perché il suo autore poi è diventato celebre. Ma umorista? Qui
ci prova, ma a nessun effetto – se non l’irritazione. La “storia di Abelardo” è
questa: “Eloisa è nata settecentosessantasei anni fa. Ha probabilmente avuto
dei genitori. Non se ne parla. Viveva con lo zio Fulberto, canonico della
cattedrale di Parigi. Non so che cosa sia un canonico di cattedrale, ma è quello
che era…Eloisa passò la maggior parte dell’infanzia nel convento di Argenteuil;
non ho mai sentito parlare di Argenteuil, ma supponiamo che il posto esista
effettivamente…” .
Mark Twain, Finalmente Parigi, Mattioli 1885, pp. 168 € 16
mercoledì 27 maggio 2020
Gli aiuti pubblici all’economia vanno bene se tedeschi
La metà degli interventi
pubblici nell’economia avallati dalla Commissione Europea - dalla direzione
Concorrenza - sono tedeschi. La Germania ha avuto avalli più di Francia, Italia
e Spagna messi assieme - tanti quanti quelli del resto dell’Unione Europea, se
si tolgono dal totale gli avalli dati al Regno Unito, che è di fatto fuori
dalla Ue.
Una poco seguita audizione
al Parlamento europeo della vice-presidente della Commissione, titolare della
direzione Concorrenza, Margaret Vestager, ha fornito questi dati. Sulle
autorizzazioni date dalla sua direzione dopo l’allentamento delle norme
antitrust deciso nel cosiddetto “Quadro temporaneo”, quindi due mesi e mezzo
fa, come rimedio alla crisi economica imposta dal coronavirus. La Germania ha
avuto la metà delle autorizzazioni, in termini di valore, e le ha avute rapidamente.
Le autorizzazioni sono state 175, “ per un totale stimato di
2.130 miliardi di euro”, ha spiegato la commissaria. E ha precisato: “Il 47 per cento del totale riguarda la
Germania, il 18 per cento l’Italia, il 16 la Francia, più del 4 la Spagna,
quasi il 4 per cento il Regno Unito, il 2,5 il Belgio e la Polonia e l’1,5 o
meno gli altri Paesi”.
Questo è un fatto, certo. Il piano da 750 miliardi è solo una proposta, da discutere
Trump non è Hitler
Docente a Yale di diritto Internazionale, storico
e analista dei diritti civili e della storia del secondo Novecento, Moyn parte dall’evidente assunto che “Trump
non è Hitler”, per sradicare il vezzo dell’informazione, e anche della politica, e di una parte della della storia accademica, di configurare il presente nei termini del passato.
E, peggio, di un passato fortemente caratterizzato.
Il ricorso è facile,
ammonisce, ma a costo di non vedere il predente. Nel caso di Trump “il
paragone col nazismo e il fascismo che starebbero minacciando di abbattere tra
poco la democrazia distrae da come abbiamo creato il fenomeno Trump da decadi,
e implica che la coesistenza della nostra democrazia con lunghe storie di
assassinio, asservimento, e terrore -
incluse le recentissime, anche se mitigate, forme di incarcerazione di massa e
di crescenti ineguaglianze all’interno del paese – non merita tanto allarme e
obbrobrio”. Hitler assolve anche dal vedere il male.
Gli anni di Trump sono stati i più fertili di
teorie complottistiche, spiega ancora Moyn. E cioè, all’evidenza, di fughe dalla
realtà.
La rivista pubblica, in forma di intervista,
una sintesi del libro in via di pubblicazione, sui problemi che pone, all’annalista
e allo storico, il vezzo di schiacciare la contemporaneità su modelli di
richiamo. Che è dei media, ma anche di un filone storiografico: Moyn scrive in
polemica con altri accademici, che ultimamente si sono espressi a favore dell’analogia
storica.
Ma più Moyn insiste sulla non positività, o
presa politica, elettorale, della critica a Trump. Fra i tanti passi falsi contesta
quello di Alexandra Ocosio-Cortez, la parlamentare di New York, sempre del
campo democratico-progressista, che riporta la politica anti-immigrazione di
Trump allo sterminio tedesco degli ebrei nella seconda guerra mondiale.
Al fondo, una tela emerge: dei diritti civili
usati quale arma. Nelle “guerre di liberazione” a cavaliere di Fine Millennio,
nel Kossovo, in Afghanistan. in Iraq, in Libia.
Samuel Moyn, The Trouble with Comparisons, “The New York Review of Books”, 24
maggio 2020
https://mail.google.com/mail/u/0/?tab=wm#inbox/FMfcgxwHNWBWvRFxkJDTjlfnklgQdzMT
martedì 26 maggio 2020
Servizi cinesi, rapinosi
È entrata la Cina in Infostrada-Wind,
la “3” di CK Hutchison, o H3G, e la
vecchia gestione ex Enel, attenta al servizio pubblico, è stata spazzata via. Offerte
farlocche e entrare moltiplicate, tutto subito. È la ricetta cinese degli
affari: bisogna guadagnare molto e subito, dove il mercato è già maturo e
ricco, non creare né fidelizzare la clientela, il rispetto dell’utente non
esiste.
Un prologo terrificante per il 5 G, la
nuova frontiera della telefonia mobile cellulare, che la cinese Huawei si
propone di monopolizzare in Italia. Hutchison è cinese di Hong-Kong, ma la Cina
degli affari è una: tanti, maledetti, e subito.
Lo stesso con Buccellati, Natuzzi,
Pirelli: entrate moltiplicate, niente sviluppo. Lo stesso con la multinazionale
genovese Easote, biotecnologie, comprata dai cinesi tre anni fa: ricerca
bloccata (dal 2016, 22 milioni d’investimento, l’8 per cento del fatturato, la
spesa è in rapido calo), intensificazione dei rendimenti.
Nello stesso ambito, attorno a Modena, in
area Maserati e Ferrari, si farà una fabbrica cinese di auto di lusso. Una verniciatura
italiana per vendere in Cina a prezzi elevati macchine necessariamente non di
qualità - la qualità non s’improvvisa.
Lo stesso fanno da tempo ditte cinesi
con le ceramiche di Sassuolo. Per le quali Sassuolo s’è creato a un prezzo un
mercato in Cina. Forme, geometrie, colori di Sassuolo vengono riprodotti, su materiale non altrettanto durevole, ma di costo elevato - la qualità sta nel costo.
Dalle merci, di poca qualità ma sempre più di non modico prezzo, ai servizi il passo va di carica, ma sempre più di rapina.
Pavese anarchico
Si ripubblicano i “Dialoghi” con una
presentazione di Nicola Gardini. L’opera della parentesi
romana, ancora felice. Nella quale i “dialoghi” sono germogliati - nel rapporto con Bianca Garufi, leucotea, la sola amicizia amorosa non vessatoria - e in gran
parte sono stati scritti. Pavese li comincia a dicembre del 1945. A febbraio
1946 i diari registrano un indice tematico quasi definitivo. Il 22 febbraio c’è
già la nota editoriale, che uscirà come presentazione e come risvolto di
copertina. Dialoghi con Leucotea,
la “dea bianca”, in antico identificata con Ino, dea marina – bianca come la
spuma sul mare? Con lei Pavese, variamente impersonificato nei ventisette brevi
dialoghi, variamente discute del più e del meno, della storia e dell’esistenza
cui è inutile dare un senso.
“La seconda, più felice,
giovinezza”, la dice Gardini. Pavese si fa “mitografo”: “Si inventa episodi
della religione greca”, in un dialogo “tra due solitudini”. Per vagheggiare un
mondo, prima degli dei, che è “il volto della più piena libertà biologica”, con
“un pansessualismo che vieta di per sé qualunque competizione tra i sessi”.
Prima degli dei: “L’ordine la gistizia e e la civiltà di cui li si crederebbe
creatori e garanti non è che una macchina di soprusi e negazioni”.
Un Pavese anarchico. Che a Edipo
fa dire: “Vorrei essere l’uomo più sozzo e più vile purché quello che ho fatto
l’avessi voluto”. Dialoghi contro il “destino”: “Il «destino» è concetto fondamentale
dei «Dialoghi». Designa di volta in vlta la sudditanza dell’uomo e la violenza
degli dei”.
Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, pp.
XIV-224 € 12
lunedì 25 maggio 2020
Problemi di base esistenziali - 568
spock
“Il mondo è il mio
mondo”, Wittgenstein, “Tractatuts”, 5.62?
Tutta la conoscenza non è che conoscenza di sé, Fichte?
“Il mondo oggettivo attinge il suo senso intero e il suo
valore d’essere da me stesso, da me in quanto io trascendentale”, Husserl?
Il nulla non potrebbe mai cedere il passo all’essere,
perché definiamo soltanto in opposizione a ciò che esiste – buddismo?
Se io non esistessi, il mondo non esisterebbe?
E io, esisto davvero?
spock@antiit.eu
L’ America all’epoca del #metoo, malinconica
Woody Allen è nel catalogo di Jim Holt, “Perché
il mondo esiste?”, tra gli schopenhaueriani pessimisti. Anzi aggiornato al
nulla fisico e metafisico della teoria delle stringhe, etc. Come del resto lui
stesso ha spiegato nell’intervista col sacerdote Robert E. Lauder, “Woody
Allen’s World: Whatever works”, nel “Commonweal Magazine”, 15 aprile 2012.
Da giovane, prima del successo, anzi del teatro, si sposò con una
studentessa di filosofia. Ne ha mediato molte battute nei suoi primi sketch. Ma ne era tarato, dalla
filosofia. “Lagnarsi dà non poco sollievo”, è
Schopenaheur. “La metafisica è incomprensibile ma non fa male”. “Kierkegaard
ci si divertiva”. “Schopenhauer negli ultimi anni divenne sempre più pessimista
perché si accorse di non essere Mozart”.
Qui non si diverte, racconta aneddoti, si vede,
per la bottega. Fa quello che si attende che faccia, commenti, qualche
pettegolezzo, minimo, qaulche battutina, su questa o quella attrice, sapendo
che lo sospettano, per la gloria, di averle sedotte, se non violentate – il
sospetto può accrescere la gloria, ravvivarla. Ma sa di non essere simpatico a
tutti, non più - la morte del comico: “Ci sono ancora dei mentecatti che
pensano che io abbia sposato mia figlia, che Mia (Farrow) fosse mia moglie, che
io avessi adottato Son-Yi, e che Obama non fosse americano”. Accusato di abusi
nei confronti di una bambina di Mia Farrow in un processo che non ha avuto
luogo perché non c’era materia per procedere – “le accuse sono infondate”. Con
particolari terribili sulla salute mentale di Mia Farrow, che dormiva nuda abbracciata
al figlio Ronan adolescente – somigliante, è vero, al Grande Amore Sinatra. Con
“mentecatti” non si ride più, il comico è arrabbiato.
Woody Allen, 84 anni, non dev’essere stato un
tipo facile a viverci. E non per la terribile ex moglie Mia Farrow, con la
quale pure ha fatto qualche figlio, mentre lei a lui deve i pochi ruoli di
qualche rilievo al cinema. Una figlia adottiva di Farrow, la ventenne Soon-Yi,
è diventata l’amante e poi la sposa di Allen, e lei non glielo ha perdonato.
Lei stessa si vantava, mentre viveva con Allen, di essere l’amante di Frank Sinatra.
Ma questo non conta. I suoi compagni, Andrè Previn (sposato) prima di Woody
Allen, sono bersagli del #metoo, e non c’è quarantena possibile, bisogna che
passi la pandemia.
“L’esistenza umana è un’esperienza brutale,
insignificante – un’esperienza tormentata e insignificante”. Non sembrerebbe
Woody Allen, ma lo è. E l’angoscia di morte, il Todestrieb di Freud, sembra genuino, non artificio comico.
Nell’intervista con Lauder ci torna su spesso. In tutti i libri, per la verità.
Qui lo evita, ma è un libro tutto sommato difensivo, dopo l’assalto delle
virago – che ne hanno comunque impedito la pubblicazione in America. In “Hannah
e le sue sorelle” entrava in crisi alla scoperta che non aveva il cancro. È angosciato, non vuole più lavorare. E alla
collega che gli obietta “ma questo lo sapevamo già, che dobbiamo morire”,
risponde, e non fa ridere, “sì, ma ora non posso tenerlo più nascosto”.
Un libro malinconico. E non per per le aggressioni del #metoo, che
lo ha ostracizzato al cinema e nell’editoria, che mostra di non temere. Anzi di
non calcolare, ma proprio per il pessimismo che è il suo tono di fondo, di
quello che “non si aspetta nulla di buono dal mondo”. Dall’America, dalle
donne, dai figli. Viene molti anni dopo i titoli che lo fecero “Woody Allen”,
ma sembra di un altro uomo: tanto quelli erano scoppiettanti, tanto questo è
mesto.
Woody Allen, A proposito di
niente, La Nave di Teseo, pp. 400 € 22
Da giovane, prima del successo, anzi del teatro, si sposò con una studentessa di filosofia. Ne ha mediato molte battute nei suoi primi sketch. Ma ne era tarato, dalla filosofia. “Lagnarsi dà non poco sollievo”, è Schopenaheur. “La metafisica è incomprensibile ma non fa male”. “Kierkegaard ci si divertiva”. “Schopenhauer negli ultimi anni divenne sempre più pessimista perché si accorse di non essere Mozart”.
Qui non si diverte, racconta aneddoti, si vede, per la bottega. Fa quello che si attende che faccia, commenti, qualche pettegolezzo, minimo, qaulche battutina, su questa o quella attrice, sapendo che lo sospettano, per la gloria, di averle sedotte, se non violentate – il sospetto può accrescere la gloria, ravvivarla. Ma sa di non essere simpatico a tutti, non più - la morte del comico: “Ci sono ancora dei mentecatti che pensano che io abbia sposato mia figlia, che Mia (Farrow) fosse mia moglie, che io avessi adottato Son-Yi, e che Obama non fosse americano”. Accusato di abusi nei confronti di una bambina di Mia Farrow in un processo che non ha avuto luogo perché non c’era materia per procedere – “le accuse sono infondate”. Con particolari terribili sulla salute mentale di Mia Farrow, che dormiva nuda abbracciata al figlio Ronan adolescente – somigliante, è vero, al Grande Amore Sinatra. Con “mentecatti” non si ride più, il comico è arrabbiato.
“L’esistenza umana è un’esperienza brutale, insignificante – un’esperienza tormentata e insignificante”. Non sembrerebbe Woody Allen, ma lo è. E l’angoscia di morte, il Todestrieb di Freud, sembra genuino, non artificio comico. Nell’intervista con Lauder ci torna su spesso. In tutti i libri, per la verità. Qui lo evita, ma è un libro tutto sommato difensivo, dopo l’assalto delle virago – che ne hanno comunque impedito la pubblicazione in America. In “Hannah e le sue sorelle” entrava in crisi alla scoperta che non aveva il cancro. È angosciato, non vuole più lavorare. E alla collega che gli obietta “ma questo lo sapevamo già, che dobbiamo morire”, risponde, e non fa ridere, “sì, ma ora non posso tenerlo più nascosto”.
Un libro malinconico. E non per per le aggressioni del #metoo, che lo ha ostracizzato al cinema e nell’editoria, che mostra di non temere. Anzi di non calcolare, ma proprio per il pessimismo che è il suo tono di fondo, di quello che “non si aspetta nulla di buono dal mondo”. Dall’America, dalle donne, dai figli. Viene molti anni dopo i titoli che lo fecero “Woody Allen”, ma sembra di un altro uomo: tanto quelli erano scoppiettanti, tanto questo è mesto.
Woody Allen, A proposito di niente, La Nave di Teseo, pp. 400 € 22
domenica 24 maggio 2020
Ombre - 514
Tedeschi e svizzeri possono
attraversare l’Austria per recarsi in Italia, gli austriaci no – e gli italiani
non possono andare in Austria. Non è demenza, è il petty nationalism, il “sovranismo” che ha preso il posto di ogni
politica.
La Svezia ha il record dei morti
da coronavirus per abitante, spiega Andrea Tarquini su “la Repubblica”: “La
media mobile a sette giorni (13-20 maggio, n.d.r.) del tasso di mortalità pro
capite da Covid 19 è 6,25 per milione di abitanti in Svezia contro 5,75 nel
Regno Unito, 4,6 in Belgio, 3,423 in Francia, 3 in Italia”. Svezia ai primi
posti anche nel tasso di mortalità globale dall’inizio del contagio.
C’è un’altra concezione della
vita nel Nord Europa. La Svezia per esempio considera legale l’eugenetica sui
nascituri. Ma non se ne parla: l’Europa è un flatus vocis, un
fiato.
Nessuna farmacia vende le mascherine
al prezzo concordato col commissario straordinario Arcuri, 0,50 euro. Anzi le
vendono a dieci e venti volte tanto. Roba anche di provenienza incerta, e quindi
di qualità dubbia.
L’epidemia si è tradotta presto
in furto legalizzato. Sui risparmi delle famiglie. Che tanto più si vogliono vigilanti,
impaurite, con la drammatizzazione, tanto più facilmente vengono derubate. Senza
possibilità di denuncia o di perseguimento d’ufficio.
Si
fa scandalo delle intercettazioni casuali di Palamara, il giudice, con altri
giudici, in cui si organizzano per “mettere sotto” Salvini. Come se questa non
fosse la normalità.
Il
Parlamento assolve il ministro della Giustizia,
accusato in televisione da un giudice, Di Matteo, di intendersela
con i mafiosi. Evitandone la promessa
nomina alla sorveglianza sulle carceri, e monetizzando i “ricoveri” per motivi di salute
a domicilio. Ma non si condanna Di Matteo per calunnia.
I
giudici sono il corpaccione del potere, quello vile - cariche, promozioni,
cordate, intrighi, vendette. Il curioso è che il Pd, nella parte ex Pci, se ne
fa scudo e garante. Come se fossero strumenti suoi, o comunque di democrazia –
è il partito che assume Di Matteo tra i suoi, nel mentre che assolve il
ministro 5 Stelle.
L’ordine
giudiziario è l’unico non defascistizzato. Dalle eccellenze e gli ermellini in
giù, la sacralità del potere.
Esemplare
ma ignota ai più la storia del perché l’Europa non morde sulla crisi. A tutti
eccetto che a Fubini, che sul “Corriere della sera” domenica, documenta come
cinque signorine e signorini, in Austria, Finlandia, Olanda, Svezia, Danimarca,
hanno eviscerato e ridotto progressivamente tutti
gli interventi finanziari anti-coronavirus finora escogitati a Bruxelles. I
ritardi programmando peraltro di tutte le decisioni – si andrà a estate
inoltrata, forse, se tutto va bene.
Mercoledì
s’incaricano i quattro direttamente (manca nel caso la Finlandia) di dare
ragione a Fubini: il piano Macron-Merkel per un fondo europeo di rilancio da
500 miliardi è contestato, prenderà molto tempo in negoziati, sarà svilito,
sarà approvato in estremo ritardo, ridotto in brandelli.
Le
cose, cioè, si sanno. Ma non se ne parla.
Un
nome onorato della cantieristica, Ferretti, vuole insediarsi nel porto di
Taranto. Sede sussidiaria della forza navale Nato in Italia, dopo Napoli. Se
non che si chiama ancora Ferretti ma si legge cinese, è un nome passato da
tempo nelle mani di un ente di Stato di Pechino. La Cina non si nasconde. Sorniona,
con la sua strategia casalinga, ma lesta.
La peste nell’anima
In un ricordo che accompagna la riedizione del
“romanzo” critico di Giacomo Debenedetti, “Il romanzo del Novecento”, Mario
Andreose si sofferma su un particolare non insignificante: mentre, “a metà
degli anni Sessanta”, si litiga molto, “tra tradizione e innovazione”, lui
“scrive”. Scrive appartato: “Trascurando i giganti dell’arte del Novecento, si
sofferma su Franz Marc, un pittore animalier.
Un po’ particolare: si tratta bensì di un pittore di animali, precisa
Debenedetti, ma non di un ritrattista di animali”. Uno spunto che viene
naturale mettere in rapporto con l’animalismo del Tozzi delle “Bestie” – Tozzi
deve molto a Debenedetti, il suo “scopritore” nel secondo Novecento.
In questi racconti, per quanto numerosi, 120, di
bestie ce ne sono poche: qualche gatta, cani spersi, un’asina non materna. Ma
gli uomini sono altrettanto muti - dietro il dialogare fitto, che ne agevola la
lettura: dicono che fa caldo e fa freddo, e si interrogano sul perché hanno
gioie e dolori, nei pochi momenti in cui non si odiano, per nessun motivo,
niente altro.
La raccolta riunisce in uno, con una nota di
Marco Marchi i due volumi messi su da Glauco Tozzi, il figlio che ha fatto le fortune
postume di Federigo, per l’edizione vallecchiana disegnata da Bob Noorda, nel 1963,
già nella Bur nel 2003, a cura di Luigi Baldacci – dopo una ripresa parziale
nella Biblioteca Vallecchi, dallo stesso curata, nel 1976, con una
presentazione di Moravia. Lo scrittore senese fu riscoperto dal
grande pubblico molto tardi, negli anni 1960. Probabilmente a causa dell’errata
interpretazione delle sue opere, notava il figlio Glauco, presentate in un
primo momento come veriste. Finché la lettura di Debenedetti non prevalse,
negli inediti – materiale di riflessione
- pubblicati postumi nel “Romanzo del Novecento”. Una lettura poi
sviluppata da Baldacci, con l’ipotesi di una scrittura di stampo psicologico,
semmai di tipo simbolista, e avvicinamenti a Čechov e Joyce, a Dostoevskij e Kafka.
Coronata da Mengaldo, con la notazione: “Certi suoi racconti sono superiori a
quelli di Kafka”.
Una raccolta che un
po’ toglie il respiro. Monocorde, monotona. Nel respiro, nel tono, nei tempi. Che
le forme esageratamente localistiche dell’espressione accentuano – di
isolamento, di soffocamento. Nell’impegnata prefazione all’antologia dei
racconti del 1976 (non ripresa nella raccolta dei saggi, “L’uomo come fine”), Moravia lo dice
“scrittore fisiologico” – che fa pari con gli animalia del pittore di Debenedetti. E senza una visione del mondo,
tra personaggi marionette, per quanto individuati: tutti agiti, senza mai uno
scarto, né di sensibilità e nemmeno di intelligenza. Un viluppo di umori grigi.
Eccetto che per gli ultimi, pochi, racconti romani, di Maccarese (ora Fregene),
d’estate, con Orio Vergani “ventenne e bello” e altri amici pazzerelloni, del Soratte,
con i quattro conventi e il frate pazzo, dei lungotevere, dei ponti.
“Miseria”,
“Un’osteria”, “Una sbornia”, “Contadini”, “Colleghi”, “Pigionali”, “La matta”,
“La cognata”, storie di non storie, di niente. Molti pranzi in trattoria, molte
stanze d’affitto. Folte di contadini, d’impiegati. Dimesse nella presentazione:
storie di poco conto e nessuna sorpresa. Segnate, per programma, storie di
disgrazie. Atone, non commoventi, non coinvolgenti. Un mondo piatto, senza
orizzonte. Uno stallo, verrebbe da dire stallatico, putrido. Realista, indubbiamente:
si vive male più che bene. Ma senza sociologia. E senza nemmeno, malgrado
Debenedetti, letteratura.
Senza pietà,
curiosamente, per un scrittore di fede professa, profonda. Tozzi è vittima
della spagnola, a Roma, nel 1920. Ma è come se la peste avesse sempre raccontato.
Delle anime. Le facce sono mostri, i corpi sinistri e flaccidi, i platani luminosi
dei lungotevere a Roma “brutti e scortecciati”. Le donne non esistono, nemmeno
per cucinare. L’unica umanità è l’ubriachezza. La notte di Natale, il marito si
ubriaca e litiga all’osteria, la moglie partorisce e muore, col bambino, la
cognata sferruzza. E nemmeno drammi, tragedie: il male come viene, gretto. Una racconto
lungo, insistito, dello squallore.
Federigo Tozzi, Novelle, Bur, pp. 1008 € 20
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