sabato 1 agosto 2020
La politica araba senza c…
In attesa che il ministro degli Esteri, sua Eccellenza Di Maio, e il duo ventriloquo Casalino-Conte scoprano la Libia, a cui pure pagano molti soldi, è bene non scoraggiarsi, la cosa non è nuova. Voltaire lo sapeva già nel 1759 e ne ha scritto in “Candide”, dove Candido incontra in Marocco un castrato napoletano in missione segreta:
Cronache dell’altro mondo - 68
La
Fondazion Rockefeller, azionista di riferimento di Exxon-Mobil, è in causa col
gruppo petrolifero perché inquina.
Tutti
gli uomini di relievo che si menzionano nello scandalo delle minorenni “fornite” da Jacob
Epstein sono democratici: Clinton, Bill Richardson, governatore del New Mexico,
Al Gore, lo stesso Epstein, la sua compagna-complice Ghislaine Maxwell, figlia
dell’editore laburista inglese Robert Maxwell. Ma non si dice, non si fa notare.
Trump
propone di mettere fuorilegge il voto per posta che a novembre dovrebbe
supplire su vasta scala quello ai seggi. La proposta si critica perché viene da Trump, e perché il presidente non ha il potere di cambiare le procedure di voto.
Ma non si dice che il voto per posta è – è stato – fomite di infiniti
riconteggi e anche di brogli. Anche il voto online, per risparmiare sulla carta
(??), è stato contestato. Nelle primarie democratiche questa primavera, e nelle
elezioni presidenziali testa-a-testa, da ultimo tra Al Gore e Bush jr - Gore
non ha “riconosciuto” la vittoria di Bush jr. Ma senza correttivi.
Ellen
DeGeneres, attrice e attivista lesbica, “star gentile della tv Usa”, secondo “la
Repubblica”, sostenitrice di tutte le buone cause, è accusata da 36 ex
collaboratori di averli bullizzati, “instaurando un clima di terrore”. Il
produttore esecutivo del suo programma anche di molestie e abusi sessuali.
Miniera Camilleri
La “trovatura” – il tesoro nascosto
sottoterra - è la fregatura. E tutte le magie della maga riescono. Il lettore
lo sa, ma la suspense resta
inalterata: Camilleri sa costruire anche in poche pagine caratteri e situazioni
intriganti, benché comuni – almeno così s’immaginano.
Un racconto di paese, della maga itinerante
che riceve. Nella lingua di paese, anche se inventata, come il paese. Ma caratteri
verosimili, e così pure la lingua: sorprendentemente suona vera – i racconti in
vero dialetto di Pirandello sono quasi incommestibili al confronto.
Altra bizzarria, come altrove in
Camilleri, è che i caratteri sembrano realistici ma sono caricaturali. Qui il tonto
è il duro, il capomafia.
Il racconto è tratto dalla
raccolta “Gran Circo Taddei”.
Andrea Camilleri, La Trovatura, pp. 47 gratuito con “le
Repubblica”
venerdì 31 luglio 2020
Problemi di base Big Brother - 582
Casalino gioca in Borsa e perde, che dobbiamo pensare di
Conte – ci venderà bufale?
Conte non gli dice la verità, Casalino non la capisce?
È sempre “la stessa mille”, dice Rocco al “Corriere della
sera”, “che faceva avanti e indietro”: i mille euro come “la mille” lire (era
un biglietto) – segno di abbondanza?
José ludopata, dice Rocco al “Corriere della sera”, “quando
guadagnava mille la metteva sul conto, quando perdeva la rimetteva” – furbo,
no?
Come fu che un sospetto antiriciclaggio si trasformò nell’acquisto
di una casa per la povera vecchia mamma, anche se a Cuba – non costano niente?
Gli italiani credono ai buoni sentimenti, o al muscolare Rocco?
Con Rocco un po’ di Grande Fratello a palazzo Chigi?
Nel senso di Orwell o di Signorini e Wanda Nara?
La democrazia delle mutande sporche
Per un accertamento antiriciclaggio sul suo compagno,
o ex compagno, si pubblicano i messaggi personali, familiari, che ha scambiato
con lui, del tipo: “Ferramenta € 10,25”,
con richiesta di rimborso. I messaggi del compagno sotto inchiesta a lui, Rocco Casalino, che è il
direttore della comunicazione di palazzo Chigi. Ma Casalino non protesta né se
la prende, anzi ne fa materia di lunghe interviste, con foto, sul “Corriere
della sera” e “la Repubblica”, e di gossip
sui social. Del tipo: sparlate pure di
me, ma parlatene.
Un concetto rovesciato della riservatezza, sventolando le mutande. L’uomo
immagine del presidente del consiglio Conte – e anche qualcosa di più: un
fortissimo lobbysta dei media: non esce una parola contro Conte, uno di grosso
mestiere – si penserebbe tenuto al decoro della funzione. Se lui personalmente
non ci tiene, uno che ha debuttato nella comunicazione al Grande Fratello e
vive all’insegna del “tutto purché faccia celebrity”,
si penserebbe che palazzo Chigi, Conte, il governo ci tengano alla riservatezza.
A un minimo di riservatezza, per un certo decoro della funzione, se non delle persone
che abitano il palazzo. Ma no, lo stesso palazzo ama i pettegolezzi – non offre
altro.
Si pensava che il decreto intercettazioni del governo 5 Stelle-Pd, che
lascia campo libero a ogni indiscrezione, si ambientasse nella logica wilsoniana,
per quanto perversa, o wikileaksiana, della “democrazia aperta”, e invece no, è
quella dei social: pubblicate tutto
quello che volete, ma pubblicate, altrimenti l’account soffre. La democrazia delle chiacchiere, delle mutande appunto sporche, del più sporco non si può.
Strana concezione politica. Ma forse è l’Italia, un paese di chiacchiere.
Non c’è scandalo per la pubblicazione della lista della spesa della coppia
Casalino. Nessuno che non professi la celebrity?
Ma, poi, l’Italia non è il Paese che ha un’Autorità per la Privacy, che paga
ogni anno decine di milioni, e non ha mai protetto nessuno? Giustificandosi con l’imporci
una dozzina di firme a ogni atto in banca o in assicurazione, compresa l’ineguagliabile
autocertificazione “io sono io”, quello del documento.
Machiavelli&Co, o come l’Italia perse la guerra
Non un Machiavelli gay, come il
titolo suggerirebbe - che anzi Simonetta dice piuttosto “maschio alfa”. Semmai
degli amori clandestini del segretario fiorentino con una cantante, la novità
del libro, esclusa dal titolo. Ma Machiavelli c’entra poco, il racconto è di
ventitré personaggi di Firenze primo Cinquecento, che in qualche modo incrociano,
o non incrociano, Machiavelli, una sorta di spirito della città.
“23 personaggi in cerca di
Machiavelli”, spiega l’autore in premessa, “compaiono in diversi capitoli, ma
da diversi punti di vista, come in certi
romanzi in soggettiva prismatica”. Ventitré “amici, nemici, falsi amici,
cortigiani, colleghi e finanche un’amante”, per “un ritratto collettivo e ricco
di sfaccettature” dell’elusivo “messer Niccolò amaro” (Gadda). Ma il segretario
fiorentino ricorre più che altro come falso scopo, per allusioni alle opere e
alla vita – qui amara più che fortunata.
Di fatto una galleria
interessantissima. Di presenze anche marginali, semplici evocazioni, da Ariosto
a Francesco Ghidetti, ma per un contesto sorprendente. Una galleria di personaggi
anche formidabili, Francesco Guicciardini naturalmente, i tanti Strozzi, il Bibbiena,
i fratelli Vettori. Riesumati attraverso le lettere - Simonetta, autore già di
storie fortunate del Rinascimento, Montefeltro, i Medici (il lato oscuro dei
Medici), Caterina dei Medici, è curatore dell’edizione nazionale
dell’epistolario di Machiavelli. Con una lettura generale imperiale – filo Carlo
V - e anti-medicea. Fra i discendenti per così dire problematici del Magnifico e
i due papi Medici, Leone X e Clemente VII. Che si celebrano per la munificenza,
ma qui sono visti nella pochezza politica, nel nepotismo sfrenato, e nelle
spese illimitate fra soprusi di ogni genere. “In quella durissima lotta per la sopravvivenza”,
ripete Simonetta, “che chiamiamo con il nome edulcorato di «Rinascimento». Di
una politica medicea e fiorentina molto al di sotto dell’immagine: in città si
giustiziavano le persone per nessuna colpa, i due papi Medici furono letali per
l’Italia.
Un tentativo piuttosto di
immaginare Machiavelli in privato dalle lettere e le storie dei suoi amici e
corrispondenti più costanti. Ma un Machiavelli in ombra, se non nell’eterna ricerca di un po’ di fortuna,
della fortuna materiale, nelle alterne vicende dei Medici e della Repubblica. Dalle
quali esce più o meno sempre perdente, a differenza dei più dei suoi
corrispondenti, i Vettori per esempio, o gli Strozzi. Anche se si professa di
proposito “dissimulatore” – nella “celebre lettera” a Francesco Guicciardini
del 17 maggio 1521.
Un altro spaccato degli anni, i
primi decenni del ‘500, in cui l’Italia perdette ogni progetto politico di autonomia
sotto i colpi di Francia e Spagna. Molto machiavellismo era di questi amici,
era del tempo. Di Firenze, in lotta costante tra signoria e repubblica, del papato,
in lotta con l’imperatore. Nella sproporzione sempre delle forze, che la
divisione politica italiana accentuava – erano leghe sempre, controverse,
contestate, contro solide armate nazionali.
Marcello Simonetta, Tutti gli uomini di Machiavelli,
Rizzoli, pp. 250, ril. € 18
giovedì 30 luglio 2020
Per chi lavora Mustier
Ha propiziato il divieto Bce alle banche di
distribuire dividendi, perché voleva incamerare le cedole promesse. Ora dice
che nel 2021 le cose, forse, cambieranno, che il suo piano di redditività resta
in vigore, che Unicredt crescerà, ma il mercato giustamente non ci crede. Gli azionisti e anche, benché non abbiano titolo, i clienti.
Problemi di base virali - 581
La Catalogna, seconda casa dei Germani, si riempie di virus, che invece in Germania non ci sono: gli fa male l’aria?
O è il viaggio che è contagioso: partono sani dalla Germania e arrivano malati?
O in Germania (non) sanno contare?
Boris Johnnson, che dice tutto e il contrario di tutto, ha il record dei morti per virus e il record dei sondaggi: più morti più
I ragazzi tedeschi vanno a scuola e non si ammalano perché non mandare Azzolina a scuola in Germania?
Di statistica?
Niente morti a Pechino: il partito Comunista inflessibile è saldo baluardo contro il contagio?
Gli umori di Sciascia, neri
Gli umori di Sciascia erano più
spesso malumori. Ne resta l’immagine gioviale, cara a amici e visitatori, ma di
carattere non lo era. Litigava spesso, può succedere (allora non era di moda
farlo, per la audience), ma non per un
momento d’ira, non si sgonfiava, era tenace: in pubblico era scorbutico, nelle
riflessioni pure. “Quelli che la pensano come noi appunto sono quelli che non
la pensano come noi”.
Mai in pace con la Sicilia, di
cui pure apprezza e valorizza tutto, carte, usi, i nomi delle donne, almeno fino
al Cinquecento, i dolci. Non trova buoni lettori del “Don Chisciotte” fino a
Vittorio Bodini. Distingue netto fra “scrittori” e non, quando argomenta contro
Raymond Roussel, della cui morte pure si è occupato. I giovani trova
inconcludenti – quali? Il fascismo è lo Stato. Si scorrono le pagine di di
questi dieci anni di diario in pubblico, dal 1969, su “L’Ora”, “La Stampa” e il
“Corriere della sera”, come alla lezione del maestro, senza il brio dei
racconti.
Richiama compiaciuto il suo assioma
“l’Italia è agitata da un estremismo che non sta agli estremi”, da “un
estremismo di centro”. Sessista anche, il giusto – “il pudore delle donne è un’invenzione
degli uomini”. Ma nient’altro, non un solo personaggio femminile, neanche scolorito.
Tratta per un paio di pagine Petrarca per ridicolizzare Laura e la poesia per
Laura: “Giovane sposata ad uno che per essere soprannominato il vecchio
probabilmente lo era, madre di undici figli”, per finire “oggetto di un seviziamento
impareggiabile da parte di Francesco Petrarca (a tal punto che deve morire prima d’invecchiare, e nello
stesso mese, giorno ed ora del primo incontro con il poeta)”. Laura del
marchese di Sade: “Il «Canzoniere» il marchese l’avrà letto come una sublime «Histoire
d’O»”.
Pessimista, si sapeva - è la cifra
dell’uomo pensante. Sciascia stesso se lo dice presentando la raccolta, senza ironia: “Il
titolo vuole essere parodistica risposta all’accusa di pessimismo che di solito
mi si rivolge: la nera scrittura sulla nera pagina della realtà”. Ma infastidito
– come in questa annotazione, che pone in copertina. Il giornale è uniforme,
tutti fatti con lo stesso stampo. Il peggior fascismo è quello di Bottai e
Ciano, confusionario.
Leonardo Sciascia, Nero su nero
mercoledì 29 luglio 2020
Fca-Peugeot non piace a Berlino
Questo matrimonio non s’ha da fare? Non
trovano ancora una ragione plausibile i giudici di Torino che hanno perquisito
Fca su rogatoria tedesca. Per le qualifiche e i rendimenti di una serie di
motorizzazioni non più in uso, da anni.
All’apparenza sembra qualcosa di analogo al
processo americano che quattro anni fa portò alla condanna di Volkswagen per le
emissioni diesel – una condanna stratosferica, i danni pagati hanno superato i
30 miliardi di dollari. Di fatto però no: i giudici tedeschi non contestano la
quantità di emissioni dannose del multijet 1.3, ma una serie di comunicazioni
che potrebbero risultare fraudolente – pubblicità ingannevole. Roba di sei-sette
anni fa.
Perché ora – ammesso che le supposizioni dei
procuratori tedeschi siano fondate? In punto di diritto ineccepibile: l’azione
penale è inestinguibile. In punto di fatto no. Il procedimento si è aperto dopo
l’avvio della fusione Fca-Peugeot. E questo potrebbe essere il fine della
causa: impedire la fusione o comunque creare problemi a Fca. Impedirla alla pari, come si è deciso. L’inchiesta deve ora essere assunta nelle carte della
fusione, e Fca dovrà probabilmente provvedere a un accantonamento specifico
per l’ipotesi di condanna.
Contro Peugeot la Germania non può agire. Ha
salvato e rilanciato Opel. Il matrimonio con Fca non sarebbe gradito in
Germania per questo motivo: troppe sovrapposizioni con Opel. E per un motivo
generale, che Fca-Peugeot non piace a Volkswagen, i cui amministratori lo hanno
anche detto, ma soprattutto lo fanno dire dai media amici.
Problemi di base calcistici - 580
Cristiano Ronaldo si chiama ora Iličič?
Entrare allo stadio, seduti, ora non si può, ma stare
fuori, ammassati, sì?
Perché l’Atalanta forma e compra sicuri talenti e la
Juventus, spendendo dieci volte tanto, si riempie di fenomeni che fanno un paio
di partite e poi scompaiono?
O il segreto è nei procuratori: la Juventus spende 44
milioni di commissioni, l’Atalanta 7,3?
Ma che gli fanno i procuratori dei calciatori ai direttori
sportivi?
Il problema è la Juventus? Lo dice Conte che (solo) con la
Juventus ha vinto
Va Conte a Torino e perde sempre, è solo sfiga?
spock@antiit.eu
L’Africa fantasma ha preso corpo
L’edizione fantasma dell’“Africa
fantasma”, che questo sito lamentava un anno fa, esiste, è in circolazione. Edizione
perfino superba. Curata da Barbara Fiore, con una postfazione e, soprattutto,
con le note collazionate dalle varie edizioni francesi di un testo, per quanto controverso,
di culto.Arricchita da molte foto. Con una testimonianza di Jean Jamin, amico di
Leiris e suo esecutore letterario.
L’Africa mi ha sempre attratto,
dice Leiris, fin da ragazzo, quando ho assistito a una rappresentazione di “Impressions
d’Afrique” di Raymond Roussel, che era un amico di famiglia - Leiris padre era amministratore dei Roussel. Da grande, diplomato
e tutto, non sapendo ancora che fare, malgrado i trent’anni, il futuro grande
antropologo s’imbarca in una spedizione africana di Marcel Griaule, antropologo
principe, che però non lo apprezza e lo destina a mansioni ancillari, tipo il
diario della spedizione - Griaule non fu contento della pubblicazione.
La “scoperta”, il “viaggio” è
anche un dettato del surrealismo, cui Leiris
ha aderito entusiasta, anche se ora è in rottura – in pausa di riflessione:
“Captare le voci di un altro mondo. Abbandonare tutto é partire per le strade”.
Appena prima della appartenenza, Leiris ha litigato con Breton, ma non è questo il
problema: il problema è che dal viaggio, lungo quasi dieci mesi, da maggio 1932
a febbraio 1933, per mezza Africa centrale, Leiris ricava poco.
L’Africa non c’è, se non in
aspetti modestissimi, turistici. Lui stesso lo riconosce: “Non sono capace di parlare
di ciò che non conosco”. Per il resto si trova di tutto. Perfino troppo
dettagliato. Avventure e pettegolezzi col console italiano all’Asmara, riti
locali ammonticchiati (circoncisioni, lingue segrete, società infantili, riti
di passaggio, possessioni) alla rinfusa, molti dettagli speciosi, perfino le polluzioni
notturne – attorno a una bellezza peraltro sfatta, una nonna fattucchiera,
“posseduta dagli spiriti”. Dubita anche della ricerca etnografica. Confessando
i furti di oggetti che anche lui compie. E la dipendenza dagli interpreti, gli
odierni mediatori culturali, figura che spesso sconfina nel piccolo ricatto.
Una via d’uscita cerca a un certo
punto nel diario, per non perdere un anno di vita e, bene o male, di lavoro,
con una sorta di antropologia personale. Proponendosi una antropologia generale attraverso, spiega, “l’osservazione di me stesso”
in confronto con “quella di individui appartenenti ad altre società”. Che
sfocerà due anni più tardi nel classico “L’âge d’homme”.
Michel Leiris, L’Africa fantasma, Quodlibet/Humboldt, pp. 780, ill. € 34
martedì 28 luglio 2020
Appalti, fisco, abusi (180)
Aderiscono quasi i tre quarti degli azionisti Ubi all’ops Intesa. Come si
sapeva almeno da un paio di settimane, e questo sito aveva tempestivamente segnalato
– l’orientamento delle Fondazioni, la necessità di fare cassa. Ma non si
diceva. Solo per la suspense?
Spid obbligatoria per tutti, anche solo per
accedere all’Inps. Pec obbligatoria per i professionisti. Lo richiede
l’Autorità per la digitalizzazione, ed è legge. Per ammodernare il paese.
Entrambe in mano a gestori confusionari, con modalità di creazione a accesso
inutilmente complicate. E costose.
Si entrava in banca in Spagna al tempo di
Franco, il retrogrado, nella propria banca, in una qualsiasi filiale, e si era
padroni del proprio denaro – bastava una telefonata, che si faceva. Si entra in
banca nel 2020 in Italia, ai tempi di internet, di conti accessibilissimi, a
Unicredit per esempio, ma per disporre si può solo andare dalla “propria”
banca”, la dove il cliente è “conosciuto”. Da chi?
Se si protesta con i numeri verdi, dicono che
bisogna insistere, che l’addetto non può negarsi, che si può attivare
il.bancomat per esempio, o l’accesso a internet banking, da qualsiasi filiale. Inutile
riprovare.
Moratorie negli affitti, più o meno generalizzate
anche se di fatto e non contrattualmente, per molti inquilini senza reddito nel
prolungato lockdown. Ma non per le
tasse sul reddito: la cedolare secca e la
tassazione anticipata sui redditi 2020 si pagano ugualmente. Nessuna
possibilità nemmeno di certificare il mancato pagamento, o il condono, del
rateo dell’affitto nei cinque-sei mesi non percepiti.
L’antisemitismo tedesco nasce con Lutero
Persiste
a Wittenberg il culto di Lutero - e di Lucas Cranach. Ma non c’è più nella
Marienkirche, la chiesa di Cranach, o non è visibile, la scrofa che allatta gli
ebrei con i maiali, e si tiene sotto il culo, direbbe Lutero, la Bibbia del
rabbino. Perché gli ebrei, sosteneva il Riformatore, leggono attraverso la
merda.
Lutero
degli ebrei voleva l’Ausrottung, lo sradicamento. Confuso. In un passo, non
qui, pur predicando l’Ausrottung degli ebrei, faceva dei tedeschi
orgoglioso degli ashkenaziti. Ma, come in tutto, determinato: il Dio della
Bibbia, che con Lutero la Germania ha imposto al cristianesimo, voleva
insensibile, crudele, violento, il peggio del peggio. Anche se c’è poco o nulla
di biblico nel suo sant’Agostino.
Storicamente non si può dire, la prova
naturalmente non c’è, ma il duro antisemitismo tedesco è in Lutero che
s’innesta. Parte da lui, è a lui posteriore, prima non c’era, non nella trattatistica.
Da Lutero a Pfefferkon, all’“Ebraismo svelato” di Andreas Eisenmenger, 1700,
due volumi grandi di duemila pagine di un antisemitismo studiato, a Carl
Grattenauer, “cosmopolita” della Rivoluzione, al suo radicale “Contro gli
ebrei”, alla luterana Tavolata cristiano-tedesca di Arnim e Brentano, i
distruttori della tradizione, ai germanomani, “ariani” e walhallisti alla
Wagner o Hunt-Radowsky. La Notte dei Cristalli, che spinse Mussolini al varo
delle leggi razziali, è il compleanno di Lutero.
C’è,
c’è stata a lungo, la “prova
di Lutero”: non so se gli ebrei uccidono i bambini e avvelenano le acque, però
so che se lo potessero fare non gliene mancherebbe la volontà. Sullo sradicamento è feroce,
l’Ausrottung, la parte che non si
traduce di questo “Degli ebrei e le loro menzogne”: “Sono cani assetati del
sangue della cristianità, e assassini di cristiani per volontà accanita, e
poiché hanno provato un piacere immenso nel farlo, sono stati spesso giustamente
bruciati vivi, rei d’avere avvelenato l’acqua e i pozzi e rapito bambini che
poi furono smembrati e tagliati a pezzi”.
Anche
gli italiani il dottor
Lutero considerava specie altrettanto esecranda che Platone e gli ebrei, perché
ugualmente superbi. Succede con i maestri, come con i santi senza processo
canonico, che bisogna ingoiare anche la loro merda.
Settanta pagine di Adriano
Prospeti, non malevolenti, non bastano a cauterizzare la lettura: un testo
forsennato, diabolico. Lutero ha goduto e gode di prestigio incontestato, ma è
un Lutero inventato, quello degli antipapisti. Il Lutero tale e quale scoraggia
da molti decenni nuovi biografi, che non potrebbero ripetere i vecchi.
La vecchia edizione Einaudi censurata aggiornata a cura di Adelisa Malena.
Martin Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne,
Einaudi, pp. LXXII +242 € 20
lunedì 27 luglio 2020
La giustizia mafiosa
Difficile evitare il senso di già visto nell’inchiesta
della Procura di Milano a carico di Fontana. Anche se Fontana, leghista, non è
per questo attrazione fatale.
Alla vigilia delle elezioni i giudici (ex) Dc
e (ex) Pci trovavano sempre due o tre scandali a carico di politici socialisti.
Da quando, nel 1968, attraverso il settimanale scandalistico “ABC”, Andreotti,
allora capo della Difesa e dei servizi segreti, non fornì le carte per ben quattro
processi a carico dei socialisti – gli altri amministravano senza colpe. I
media facevano finta che così fosse.
Lo schema andreottiano è stato da allora,
quindi per mezzo secolo, reiterato a ogni elezione, sia pure locale. Non essendoci
più i socialisti, lo schema è stato utilizzato contro Berlusconi e i suoi. Da
qualche tempo ora contro la Lega. . Con ritorsioni, limitate, dei giudici di
destra contro i magnaccioni Pd. Un solo caso si registra contro i 5 Stelle, per lo stadio della Aa Roma, scandalo messo poi a tacere dalla Procura Pd
quando i 5 Stelle hanno fatto il governo col Pd.
Con indiscrezioni pilotate, in un primo tempo,
al “Corriere della sera” di Paolo Mieli e alla “Repubblica” di Scalfari e Mauro,
ora a “Report” e al “Fatto quotidiano”, invece che a “Abc”..
I processi poi si fanno e non si fanno, ma a
nessuno interessa più. Fra dieci anni magari si scoprirà che Fontana, invece
che una vittima, era un killer e uno spacciatore, ma a quel punto con interessa
più – non “fa notizia”.
Questo dice tutto sullo stato dei giudici
italiani, ben più degli intrighi di Palamara: la giustizia politica è la prima e
peggiore negazione della giustizia, in ogni sua forma. I Palamara ci sono sempre
stati, ed è inevitabile, i piccoli-grandi carrierismi. Ma tradire di proposito
la funzione inquirente e giurisdizionale per basse, piccole, sporche, trame di
partito, questo dovrebbe essere un delitto mafioso, come lo è, da 41 bis.
Come nacque il Sud, con i Mille e con Liborio Romano
Lo storico s’interroga su che
cosa ha bloccato il processo unitario, creando la questione meridionale, al di
fuori delle geremiadi economiche, di soldi, infrastrutture, investimenti – che
in realtà ci sono stati e ci sono, ma non fruttificano. La risposta,
rappresentata più che detta, sta nei Mille, e nella fine del regno borbonico,
il tentativo di liberalizzazione o Atto Sovrano dell’ultimo Borbone, Francesco
II.
I Mille e Liborio Romano, la
storia del Sud, malinconica, è tutta qui. Liborio Romano, il ministro dì
polizia che Francesco II scelse per arginare Garibaldi, caratterizza esemplare
il processo unitario nel suo atto decisivo: intelligente e abile, di nessun
progetto né dirittura.
Garibaldi innesca una liberazione
della Sicilia caotica e criminale, con eccessi da parte di tutti.
Il 1860 ha avuto un precedente
nel 1848: squadre amate di contadini, gruppi di facinorosi, massacri,
saccheggi, vendette, unn criminalità capillare e una giustizia sommaria: “La
Sicilia è il cuore di tenebra del Regno borbonico”. La Sicilia libera i diavoli, la storia si
ripete con i Mille. La personalità di Garibaldi copre gli eventi, e anche, nota
Macry, la riflessione degli storici. Ma il peggio del 1848 si riproduce
nell’isola negli eventi della liberazione: un liberi tutti di assassinare,
depredare, vendicarsi, occupare, prendere, e giustizie sommarie.
L’unità si compie con i Mille, e
si scompagina. Macry non lo dice, ma lo rappresenta, alla ricerca sempre del
perché il Sud dell’Italia non ingrana, a un secolo e mezzo abbondante
dall’unificazione – un’anomalia, si può dire, mondiale: non c’è situazione
analoga in nessun’altra parte del mondo oggi, né in nessun’altra epoca storica.
Tanto più, nota in apertura, che l’unità è stata un grande successo, politico
e, ancora di più, economico, di un paese inesistente, analfabeta al 95 per
cento, poverissimo al 90 per cento, facendo uno dei più ricchi al mondo. Ed è
stato un fatto italiano, il Risorgimento propiziato dal Nord Europa è “un mito
ottocentesco”: Londra non voleva riconoscere Garibaldi a Napoli, la Francia
tentò la confederazione a tre, Piemonte, papa, Borboni.
Il processo unitario prudente,
calcolato, passo dopo passo, confrontandosi con l’Austria-Ungheria dapprima,
poi con il papa, Cavour è un equilibrista, non un progettuale rivoluzionario, è
accelerato e stravolto dall’impresa di Garibaldi. E dall’Atto Sovrano di
Francesco II. I due eventi, improvvisi, modellano la politica unitaria. Creando
l’interminabile questione meridionale. Non un governo, un progetto, un ordine,
ma la confusione. “Nelle settimane seguenti all’Atto Sovrano non si contano le
occupazioni di terre, ivi comprese le terre
di vescovadi e monasteri”. Come notano le fonti di polizia: “I popolani
continuano a persistere nella loro idea di volere le terre demaniali e subito,
perché ritengono che se si apriranno le camere legislative… la ripartizione
delle terre non avrà luogo”.
Il Mezzogiorno, rileva Macry,
“scompare come capacità politica, apparato amministrativo e militare, identità
culturale e morale”. Napoli in particolare: “La capitale napoletana appare
particolarmente lontana da ogni principio politico ed esistenziale di realtà.
Assomiglia a una grande rappresentazione teatrale…” – comincia la napoletudine.
S’intreccia il nodo ordine-disordine che è il virus non tanto segreto del Sud.
Napoli è in mano ai “tutori dell’ordine che Liborio Romano ha reclutato in
fretta e furia tra i gruppi del malaffare”,
i “Michele ‘o Chiazziere”, gli “Schiavetto”, i “Tore ‘e Crescenzo” e
“altri capi della criminalità”. Una “nuova polizia” che, “paradosso dopo
paradosso”, “non è soltanto camorrista, è anche patriottica, amica dei liberali
e dei democratici e nemica dei Borboni”. Nel nome della libertà, della propria,
di camorristi. La Guardia Nazionale, altra creazione di Romano, composta
localmente, è luogo di malavita. Il Sud resterà impantanato in “un groviglio di
vizi che diventano virtù, e viceversa”. I Carabinieri, va osservato, e la
magistratura indipendente saranno pure un’altra cosa, ma al Sud ancora no.
Ci sono delle attenuanti. L’unità
è subito leva militare e nuove tasse. La risposta è armata. La reazione è la
forza. Stato d’assedio nel 1862 e, un anno dopo, “un’ancor più repressiva e indiscriminata
Legge Pica”. La partenza è col piede sbagliato: “Torino manda nel Mezzogiorno
quasi i due terzi di tutte le sue forze armate, sostituisce prefetti e sindaci,
accresce i poteri dei comandanti militari”. Ma ci sono delle persistenze, ancora
centocinquant’anni dopo: “Qualunque sia stato storicamente il ruolo dei governi
centrali”, è la conclusione, “molta parte del problema del dualismo va
addebitata alle classi dirigenti e alle comunità del Mezzogiorno”.
La
migliore testa di Napoli
Liborio Romano non è una
bizzarria dello storico. Caratterizza esemplare, nel cap. centrale “Napoli.
Cronache di un suicidio politico”, il processo unitario come si è compiuto al
Sud, e il futuro del Sud. “Perché dilungarsi su Liborio Romano?”, lo storico se
lo chiede: “Perché la sua biografia racchiude, strato dopo strato, la complessa
storia del Risorgimento meridionale”. Intelligente e abile, esperto, di nessuna
dirittura, di nessun progetto. “La migliore testa di Napoli”, © Cavour. Fautore
della “piemontesizzazione” del Regno, “all’indomani delll’uscita di scena di
Garibaldi, facendo parte della Luogotenenza del principe di Carignano, apre una
forte polemica contro la piemontesizzazione dell’ex regno borbonico e, non
avendo ottenuto alcun risultato, si dimette, nel marzo 1861”. Salvo ripensarci:
“Due mesi più tardi, in un memorandum a Cavour, critica le politiche doganali e
fiscali del governo e chiede opere pubbliche per il Mezzogiorno. Cavour non gli
risponde “e, malgrado il clamoroso successo ottenuto alle elezioni politiche,
lo lascerà fuori da ogni incarico di governo”. Scriverà nelle memorie, “rispondendo
a chi lo accusa di pubblica indegnità”, che “le sole norme della politica sono
l’astuzia,la simulazione e la dissimulazione,
l’utile e la forza”. Quasi a dare ragione, nota Macry, al “ruvido Farini”,
nominato luogotenente al posto di Garibaldi, che a Napoli contava dodicimila
avvocati, “cioè rabule, torcileggi, storpiacodici, lingue da tanaglia,
coglienze da galeotto”.
L’esito è malinconico: “Il Sud
oscillerà contraddittoriamente – se non immoralmente – tra opposizione
rivendicativa, spinte autonomistiche, perfino insurrezioni armate e, dall’altra
parte, una continua richiesta di protezione al ministro di turno”.
Paolo Macry, Unità a mezzogiorno, Il Mulino, pp. 155 € 13,50
I Mille e Liborio Romano, la storia del Sud, malinconica, è tutta qui. Liborio Romano, il ministro dì polizia che Francesco II scelse per arginare Garibaldi, caratterizza esemplare il processo unitario nel suo atto decisivo: intelligente e abile, di nessun progetto né dirittura.
Garibaldi innesca una liberazione della Sicilia caotica e criminale, con eccessi da parte di tutti.
Il 1860 ha avuto un precedente nel 1848: squadre amate di contadini, gruppi di facinorosi, massacri, saccheggi, vendette, unn criminalità capillare e una giustizia sommaria: “La Sicilia è il cuore di tenebra del Regno borbonico”. La Sicilia libera i diavoli, la storia si ripete con i Mille. La personalità di Garibaldi copre gli eventi, e anche, nota Macry, la riflessione degli storici. Ma il peggio del 1848 si riproduce nell’isola negli eventi della liberazione: un liberi tutti di assassinare, depredare, vendicarsi, occupare, prendere, e giustizie sommarie.
L’unità si compie con i Mille, e si scompagina. Macry non lo dice, ma lo rappresenta, alla ricerca sempre del perché il Sud dell’Italia non ingrana, a un secolo e mezzo abbondante dall’unificazione – un’anomalia, si può dire, mondiale: non c’è situazione analoga in nessun’altra parte del mondo oggi, né in nessun’altra epoca storica. Tanto più, nota in apertura, che l’unità è stata un grande successo, politico e, ancora di più, economico, di un paese inesistente, analfabeta al 95 per cento, poverissimo al 90 per cento, facendo uno dei più ricchi al mondo. Ed è stato un fatto italiano, il Risorgimento propiziato dal Nord Europa è “un mito ottocentesco”: Londra non voleva riconoscere Garibaldi a Napoli, la Francia tentò la confederazione a tre, Piemonte, papa, Borboni.
Il processo unitario prudente, calcolato, passo dopo passo, confrontandosi con l’Austria-Ungheria dapprima, poi con il papa, Cavour è un equilibrista, non un progettuale rivoluzionario, è accelerato e stravolto dall’impresa di Garibaldi. E dall’Atto Sovrano di Francesco II. I due eventi, improvvisi, modellano la politica unitaria. Creando l’interminabile questione meridionale. Non un governo, un progetto, un ordine, ma la confusione. “Nelle settimane seguenti all’Atto Sovrano non si contano le occupazioni di terre, ivi comprese le terre di vescovadi e monasteri”. Come notano le fonti di polizia: “I popolani continuano a persistere nella loro idea di volere le terre demaniali e subito, perché ritengono che se si apriranno le camere legislative… la ripartizione delle terre non avrà luogo”.
Il Mezzogiorno, rileva Macry, “scompare come capacità politica, apparato amministrativo e militare, identità culturale e morale”. Napoli in particolare: “La capitale napoletana appare particolarmente lontana da ogni principio politico ed esistenziale di realtà. Assomiglia a una grande rappresentazione teatrale…” – comincia la napoletudine. S’intreccia il nodo ordine-disordine che è il virus non tanto segreto del Sud. Napoli è in mano ai “tutori dell’ordine che Liborio Romano ha reclutato in fretta e furia tra i gruppi del malaffare”, i “Michele ‘o Chiazziere”, gli “Schiavetto”, i “Tore ‘e Crescenzo” e “altri capi della criminalità”. Una “nuova polizia” che, “paradosso dopo paradosso”, “non è soltanto camorrista, è anche patriottica, amica dei liberali e dei democratici e nemica dei Borboni”. Nel nome della libertà, della propria, di camorristi. La Guardia Nazionale, altra creazione di Romano, composta localmente, è luogo di malavita. Il Sud resterà impantanato in “un groviglio di vizi che diventano virtù, e viceversa”. I Carabinieri, va osservato, e la magistratura indipendente saranno pure un’altra cosa, ma al Sud ancora no.
Ci sono delle attenuanti. L’unità è subito leva militare e nuove tasse. La risposta è armata. La reazione è la forza. Stato d’assedio nel 1862 e, un anno dopo, “un’ancor più repressiva e indiscriminata Legge Pica”. La partenza è col piede sbagliato: “Torino manda nel Mezzogiorno quasi i due terzi di tutte le sue forze armate, sostituisce prefetti e sindaci, accresce i poteri dei comandanti militari”. Ma ci sono delle persistenze, ancora centocinquant’anni dopo: “Qualunque sia stato storicamente il ruolo dei governi centrali”, è la conclusione, “molta parte del problema del dualismo va addebitata alle classi dirigenti e alle comunità del Mezzogiorno”.
La migliore testa di Napoli
Liborio Romano non è una bizzarria dello storico. Caratterizza esemplare, nel cap. centrale “Napoli. Cronache di un suicidio politico”, il processo unitario come si è compiuto al Sud, e il futuro del Sud. “Perché dilungarsi su Liborio Romano?”, lo storico se lo chiede: “Perché la sua biografia racchiude, strato dopo strato, la complessa storia del Risorgimento meridionale”. Intelligente e abile, esperto, di nessuna dirittura, di nessun progetto. “La migliore testa di Napoli”, © Cavour. Fautore della “piemontesizzazione” del Regno, “all’indomani delll’uscita di scena di Garibaldi, facendo parte della Luogotenenza del principe di Carignano, apre una forte polemica contro la piemontesizzazione dell’ex regno borbonico e, non avendo ottenuto alcun risultato, si dimette, nel marzo 1861”. Salvo ripensarci: “Due mesi più tardi, in un memorandum a Cavour, critica le politiche doganali e fiscali del governo e chiede opere pubbliche per il Mezzogiorno. Cavour non gli risponde “e, malgrado il clamoroso successo ottenuto alle elezioni politiche, lo lascerà fuori da ogni incarico di governo”. Scriverà nelle memorie, “rispondendo a chi lo accusa di pubblica indegnità”, che “le sole norme della politica sono l’astuzia,la simulazione e la dissimulazione, l’utile e la forza”. Quasi a dare ragione, nota Macry, al “ruvido Farini”, nominato luogotenente al posto di Garibaldi, che a Napoli contava dodicimila avvocati, “cioè rabule, torcileggi, storpiacodici, lingue da tanaglia, coglienze da galeotto”.
L’esito è malinconico: “Il Sud oscillerà contraddittoriamente – se non immoralmente – tra opposizione rivendicativa, spinte autonomistiche, perfino insurrezioni armate e, dall’altra parte, una continua richiesta di protezione al ministro di turno”.
Paolo Macry, Unità a mezzogiorno, Il Mulino, pp. 155 € 13,50
domenica 26 luglio 2020
Ombre - 523
Spalletti
disoccupato circuito dalla Fiorentina si rifiuta perché ha “ancora un anno di
contratto con l’Inter”, il secondo da disoccupato, e intende “onorarlo”. Per sette
milioni senza fare nulla. Lo stesso Allegri, qualche milione in più, ex della
Juventus. La passione del calcio non è molto forte: serve per assicurarsi un
contratto, poi meglio farsi licenziare.
Si parla di sanità problematica in Lombardia solo su iniziativa della Procura, che indaga il presidente della Regione per un qualche reato – è vigilia elettorale e la Procura di Milano non manca mai questi appuntamenti: è sempre meglio che lavorare, e si fa carriera. Non se ne parla per le evidenti disfunzioni, e anzi colpe (case di riposo, pronti soccorso, ospedalizzazioni), nella diffusione del coronavirus e nel grandissimo numero di vittime.
“Castel Romano, ai rom illegali il Comune ora paga l’affitto”, denuncia “Il Messaggero” progressista in prima pagina. I fatti separati dalle opinioni? Da sinistra, meravigliandosi poi che i romani votino a destra – magari solo Raggi.
Non un salto d’umore, il quotidiano della capitale insiste: il campo rom sulla Pontina, teatro di decine di incendi tossici, da settembre deve essere smantellato. Il Comune paga i rom del campo abusivo perché lo lascino, “ventotto famiglie, alcune con precedenti penali”.
350 mila a Santa Sofia proclama Erdogan, 350 mila turchi. 35 mila non sarebbe stato possibile, nemmeno 3.500 in questi tempi di virus – forse 350. Ma certo 350 mila in tutta Istanbul è facile, anzi Erdogan è modesto rispetto agli ayatollah che a Teheran mobilitano a seconda dei venerdì 500 mila o un milione di persone: nell’islam è facile, fruiscono tutti della decima che si paga ai mullah.
In ogni caso è vero, l’islam si mobilita. Nulla a che vedere col disarmo dei preti di Roma, che non voglio più santuari, processioni, feste. Con domenicani e gesuiti mobilitati per dire che è bello che Santa Sofia sia una moschea, è così che si fa l’unione delle fedi, superando i pregiudizi. Preti stupidi, certo – la stupidità è ovunque, anche in chiesa, ammesso che questi domenicani e gesuiti ci vadano.
Di più colpisce
l’ignoranza - di più della remissività della chiesa, del menefreghismo. Che nel
primo papa gesuita non si penserebbe, ma è densa. Un papa che non capisce il valore
simbolico di Santa Sofia, della sua degradazione a moschea, in Turchia e in
tutto il mondo islamico. Sembra incredibile ma così è.
Lo stesso papa
che ha fatto di Erdogan, un ducetto opportunista, uno statista e quasi un santo.
Sotto il titolo “Impennata di sbarchi”, “la Repubblica” scrive anche dell’“ex ministro Salvini contestato” a Lampedusa. L’articolo fa parlare il Procuratore Capo anti-Salvini di Agrigento, Patronaggio: “Arrivano tanti pregiudicati, tante persone già più volte espulse , ma anche interi nuclei familiari che si portano dietro persino i gatti”. Concludendo che, fuori dal centro di prima accoglienza, capacità 95 posti, immigrati presenti 954, “ieri Matteo Salvini in visita si è visto dare del fascista da un tunisino”.
I grillini celebrano “la vittoria di Conte” - Conte presidente del consiglio non l’allenatore - alla Camera, a uso delle tv. Nello stesso momento in cui a Bruxelles, al Parlamento europeo, votano contro il Recovery Fund europeo celebrato a Roma. Non è schizofrenia, è la concezione della politica: un po’ di scena. Ma sono un terzo degli italiani.
Nella
rassegna che Luca Bolognini fa sulla “Nazione” delle contumelie olandesi sui
social contro il Recoevry Fund, letto come un aiuto all’Italia fannullona, gli hater sono quasi tutti femmine. Molto
“femminili” anche come superficialità – “mi hanno detto”, “ho saputo”… Bisogna
restaurare i vecchi “generi”?
“Venga a Santa Sofia, a inaugurare la moschea”, l’invito di Erdogan al papa fa bene i pesi di un rapporto sbagliato del Vaticano di papa Francesco, che si è recato umile a lavare i piedi a tanti arroganti mussulmani – a partire da Erdogan .
È
anche ridicolo, Erdogan che fa il mullah, oltre che il sultano. Ma questo
riguarda la Turchia. La diplomazia sbagliata del papa fa tenerezza – ne va
dell’infallibilità.
I fulmini di Milena Gabanelli sul “Corriere della sera” colpiscono le autostrade. Non la società Autostrade, non i Benetton, il ministero che non ha vigilato. Per una miseria, le diarie di missione dei tecnici, che il ministero rimborsa dopo lunghe pratiche, il che ha portato a ridurre le ispezioni….