sabato 8 agosto 2020
Gestione Agnelli al capolinea
Lo spettro della bancarotta, dopo la disastrosa serie di passi falsi quest’anno: la Juventus, la squadra di calcio più vincente d’Italia, si ritrova a fine corsa 2019-2020 sempre fortemente indebitata, malgrado l’aumento di capitale da 300 milioni – di cui il 63,77 per cento, cioè 191 milioni, a carico Exor. Senza più le entrate di Champions League sulle quali faceva affidamento, essendone uscita agli ottavi. Senza le pur minime entrate della Supercoppa e della Coppa Italia. Con ricavi in calo malgrado il più che raddoppio dello sponsor commerciale, sempre Exor, attraverso Fca (Jeep), da 17 a 42 milioni l’anno. E malgrado l’incremento a 51 milioni l’anno (fino al 2027) dello sponsor tecnico Adidas.
La politica mediterranea (se) la fa Macron
Per
decenni si è discusso a Bruxelles di una politica mediterranea della Ue. Fino ai
primi anni 1990, alla presidenza della
Commissione di Jacques Delors. Difficile, poiché a mezza Europa non interessava,
giusto all’Italia e alla Francia – la Spagna allora non contava. Poi
abbandonata - poi venne l’allargamento all’Est, poi venne il niente, la difficile
sopravvivenza. Proprio mentre il Mediterraneo si allargava in Europa, dilagava,
con le primavere arabe, con i terrorismi islamici, con l’immigrazione incontrollata,
e con le guerre civili libica e siriana. Nonché alla grande politica, anche a
questi eventi subiti la risposta europea è rimasta scoordinata e debole, per
manifesti segni di scarso interesse della Germania, e dei paesi che la Germania
fa pesare. Riducendosi in Siria a isolate manifestazioni d’interesse della Francia,
mentre l’Italia faceva finta di non essere in Libia, né altrove – Grecia? Turchia?
Libano? Cipro? Egitto? Giusto qualche stretta di mano a Tunisi, che non conta.
Con
la discesa a Beirut, ma già prima col tentativo di disinnescare la guerra in
Libia, il presidente francese Macron
mostra di voler riprendere una politica europea per il Mediterraneo: il Libano
va aiutato, per un cospicuo numero di ragioni, tutte buone, e questo non può
essere il compito della sola Francia: stabilizzare la frontiera Nord di Israele,
evitare l’Iran nucleare nel Mediterraneo orientale, proteggere la minoranza
cristiana. I precedenti dicono che Macron fallirà: accoreranno tutti al vertice improvvisato che ha chiamato, ma non decideranno, il Libano non è all’orizzonte
della Germania, di Angela Merkel. Questa volta potrebbe essere peggio perché
anche l’Italia è assente - assente di fatto, per le foto Conte non se ne perde una. Macron ha però aperto una prospettiva a una politica
francese per il Mediterraneo, malgrado gli impegni - le chiacchiere - sul multilateralismo. Apparentemente a Beirut non ha portato nulla e non ha ottenuto nulla, ma rimarra una iconsa per un generazione di libanesi.
Camilleri grasso
Un racconto “vigatese” ma della
vena grassa di Camilleri. Una giovane bella come una Madonna, cinque amanti
fissi da calendario, uno al giorno, un giovane amato, due morti precoci e un
figlio neonato che avrà tutte le grazie del mondo: la Madonna ha fatto il
miracolo. Ma non irriverente, giusto il necessario per un sorriso.
Andrea Camilleri, Di padre ignoto, La Repubblica, pp. 44
gratuito col giornale
venerdì 7 agosto 2020
Problemi di base dell'uguaglianza - o dell'identità
spock
Essere islamico o essere confuciano è indifferente?
E cinese o italiano?
Non ci sono differenze, o ce ne sono?
Gli Apuani nel Sannio sono diventati Sanniti, e i Sanniti
nelle Apuane Apuani – basta l’indirizzo?
Non ci sono più le tribù in Africa per compiacere chi?
E nell’Amazzonia cara al cuore?
C’era l’antropologia per lo studio delle differenze, ora è
cattedra senza oggetto?
Certo, se Trieste fosse tornata Trst, e “jugoslava”?
“Nulla è assoluto, nemmeno la morte”, A. Savinio?
spock@antiit.eu
L’epoca dei risentimenti
“La paura dei barbari è ciò che
rischia di renderci barbari”. È l’assunto di Todorov. Che scrive negli anni del
primo terrorismo islamico, di Al Qaeda, alle Torri Gemelle di New York e alle
ferrovie di Madrid e Londra, alla ricerca di molte vittime, e mette le mani
avanti: non conosco le situazioni “altre, vivo in Europa e sento e conosco solo
la paura”. Ma parte da questo presupposto, per contestare Samuel Huntington,
1996, “Lo scontro di civiltà”. Senza però proporre soluzioni, solo un
avvertimento a stare in gaurdia. Da se stessi.
“Oltre lo scontro delle civiltà”
è il sottotitolo. “Lo scontro delel civiltà sarebbe: le democrazie occidentali
da un lato, l’islam dall’altro. Due mondi, fissati nelle loro differenze
storiche, culturali, religiose, e così votati al conflitto. Di fronte ala
minaccia, niente più posto per il dialogo e la mescolanza. E nessun’altra
alternativa che la “fermezza”. Cioè la guerra. Con ogni mezzo. Si può essere
ver amente sicuri, quando si ragiona così, che la barbarie e la civiltà
continueranno a trovar si dal lato che si crede? Se l’imperativo è difendere la
democrazia, è anche cruciale di non lasciar si dominare dalla paura e
trascinare in reazioni sproporzionate. Perché la Storia ce lo insegna: Il rimedio può
essere peggiore del male”.
Un saggio un po’ scontato, non la
solita “scoperta dell’ordinario” in cui Todorov eccelle. Ma è del 2008, già una
quindicina di anni fa il tema si poneva. E ancora si pone: per un motivo?
Todorov scriveva all’indomani del terrorismo feroce di Al Qaeda, ma prima
dell’Is, altra barbarie, e prima delle immigrazioni in massa degli anni 2010, in
America e in Europa. Il Novecento è stato dominato dallo scontro fra i regimi
dittatoriali e le democrazie. Il Duemila? Todorov è deluso dalla “liberazione”
post-sovietica: troppi rigurgiti amari nel “sue” Est – il bulgaro Todorov si
sente giustamente uno dell’Est, benché abbia vissuto dal 1963, dai suoi 24
anni, fino alla morte, nel 2017, in Francia. Ora il problema è far convivere il
niqab con lo string a scuola “ma entrambi sono vietati”. Uno a Uno dunque?
Con un excusrus sugli
incontri-scontri delle due civiltà, e le note variazioni sulla ricchezza
culturale e la varietà dottrinale dell’islam, che nessuno omette o rifiuta.
Mentre il punto è un altro: l’islam può venire ad ammazzarci, con Al Qaeda, con
l’Is, e con quello che sarà, per quante colpe possiamo avere? Più
semplicemente, può installarsi a casa nostra, e dopo dire che è sporca e sudicia.
Non è un fatto di razzismo. Non è un problema di cultura. È un problema di prepotenza.
Todorov trova naturalmente un islam non prepotente, ma è la scoperta
dell’Africa – la quale era stata scoeprta rima di Gesù Cisto.
L’eguaglianza è un discorso
affascinante, oltre che necessario. Ma nell’indistinto o nell’appiattimento? Ovvio
che no. Todorov ci prova, ma senza molta verve.
Non ci sono più le grandi divisioni, o frontiere, ad aiutare. Nazionali, politiche,
tra dittature e democrazie. Nemmeno geografiche, tra Nord e Sud, lui stesso lo
nota: l’Australia è al ud, la Manciuria
ben al Nord – o tra Est e Ovest – il raffronto, dice ancora lui, è difficile
tra Cina e Brasile. Oggi c’è la mondializzazione, dietro il Giappone si è mossa
tutta l’Asia. E ovunque c’è effervescenza, gli have nots si sentono in
qualche misura depauperati e reagiscono, vogliono poter partecipare al Grande Mercato.
Il “risentimento” non è – non si manifesta – acuto, ma è diffuso. La paura
invece è dichiarata, in forme politiche nebulose, ma tutte a loro volta
risentite.
Tzvetan Todorov,
La paura dei barbari, Garzanti, pp.
284 € 14
giovedì 6 agosto 2020
Ecobusiness
Il must
post-quarantena sono le sneaker
bianche, immacolate. Da lavare ogni giorno, e da abbandonare a fine stagione.
Per salvare l’ambiente?
Concorso di idee, grandi appalti, design meraviglia, i nuovi banchi scolastici
sono semoventi, dei veri proiettili, e tutti di plastica. Per salvare
l’ambiente. Gli appaltatori ne devono fornire 2 milioni e mezzo entro l’8
settembre - data in Italia fatidica: quaranta giornate di fabbrica di plastica
a ciclo continuo.
“L’ipercompetitività delle energie rinnovabili le rende
ormai una scelta inevitabile”, si può leggere sul “Corriere della sera”. Costano
care, portando il costo del kWh a 27 centesimi, per un terzo come “oneri di sistema”, e cioè incentivi alle
rinnovabili. Ma si capisce , l’assicurazione proviene dal massimo percettore di
oneri di sistema-contributi, il ceo di Enel Green Power, Antonio Cammisecra.
Il ceo di Enel Green propone anche –
intervista al “Corriere della sera”, 2 agosto – lo smaltimento e il riciclo della
vetroresina delle pale eoliche: “Lo sa che una moderna pala eolica è più grande
di un Airbus A380?”
Il riciclo, a che costo per l’ambiente? Dal
riciclo della pala eolica-A irbus A 380 “si possono fare tante cose”, assicura
Cammisecra, “dai mattoni antisismici leggeri ad asfalti drenanti e riflettenti”.
Per scivolare meglio sulla strada, correndo anche quando piove.
“Quando fu inventata la locomotiva a vapore i
poeti si lamentarono dell’inquinamento della natura”, J. Roth, “Le bettole di
Berlino”: “La fantasia si figurava scenari terribili: zone della terra senza
prati né boschi, fiumi prosciugati, piante rinsecchite e farfalle soffocate”.
Roth a Berlino è profetico: “Non si immaginava
che ogni sviluppo percorre un cerchio misterioso. Nel quale inizio e fine si
toccano e diventano identici”. L’economia circolare?
Poe, malgrado tutto
Sotto forma aneddotica, saltellando
avanti e indietro, con una grafica frammentata, Poe ne esce a tre dimensioni.
Il primo scrittore professionale in America. Il padre del giallo. Uno dei primi
scrittori di fantascienza. Ottimo poeta. Giornalista brillante e editore indomito. Crittografo perfino, e mezzo scienziato. Cui una famiglia e un’infanzia tristi e difficili renderanno la vita amara e
breve, con un matrimonio incongruo, la moglie aveva tredici anni, e l’alcolismo
di cui presto morirà, a quarant’anni. Che tuttavia mantenne forte il sense of humour, l’inventiva, la voglia
di fare. Scherzoso: come poi Proust, amava i falsi, ma non nei limiti del pastiche, dell’imitazione dello stile di
altro autore, ne compilava di integrali, d’invenzione, e uno fu anche
ristampato come “fatto” dal Congressional Record.
Una vittima delle storie
familiari. Il nonno paterno, patriota dell’indipendenza, poté finanziarla con 40
mila dollari, circa mezzo milione di oggi. Il padre, attore fallito, lascia la moglie
prima della sua nascita. Un anno dopo la madre, attrice, gli partorisce una
sorella, Rosalie, senza dire il padre. Per poi morire appena due anni dopo. Edgar,
di tre anni, viene dato in affidamento a Frances Allan, che assisteva per
compassione la madre e sarà una buona matrigna. Non così il marito John Allan,
ricco commerciante di tabacchi. La coppia curerà l’istruzione di Edgar, anche a
Londra, dove si trasferisce per cinque anni, ma John resta estraneo. Ha preso
Edgar per l’insistenza e l’amore della moglie, e anche perché orfano pure lui cresciuto
in affidamento, e ha dato a Edgar il nome, ma non lo adottato. Edgar firmerà
sempre senza Allan, E.A.Poe, o Edgar A.Poe.
Il giallo sarà stato all’origine
storia di padri? Con E.A.Poe, all’inizio dell’Ottocento, per il padre assente,
con Conan Doyle, a fine secolo, per il padre ingombrante – o i padri sono
ininfluenti, si scrive per caso.
Shelley Costa Bloomfield, The Everything Guide to Edgar Allan Poe,
Adams, pp. 286 € 20
mercoledì 5 agosto 2020
Letture - 429
letterautore
Brexit – È in
Orwell, 1938, “Omaggio alla Catalogna”, reduce dalla guerra di Spagna: “E
finalmente l’Inghilterra: l’Inghilterra meridionale, forse il più mite
paesaggio del mondo. È difficile, quando la si attraversi, soprattutto mentre
ci si riprende dal mal di mare, col velluto di un treno internazionale sotto la
testa, credere che qualcosa stia accadendo nel mondo… L’Inghilterra della mia
infanzia: la linea ferroviaria scavata nella parete rocciosa e nascosta dai
fiori di capo, i prati profondi dove i grandi cavalli lustri pascolano
meditabondi, i lenti rivi orlati di salici, i verdi seni degli olmi, le peonie
nei giardini dei cottages; e poi
l’immensa desolazione tranquilla della Londra suburbana, le chiatte sul fiume
limaccioso, le strade familiari, i cartelloni che annunciano gare di cricket e nozze regali, gli uomini i
cappello duro, i colombi di Trafalgar Square, gli autobus rossi, i policemen in blu: tutto dormiente del
profondo, profondo sonno dell’Inghilterra, dal quale temo a volte che non ci
sveglieremo fino a quando non ne saremo tratti in sussulto dallo scoppio delle
bombe”.
Dante – Galileo, cultore delle lettere, s’ingegnò a dimostrare che l’imboccatura dell’inferno di Dante corrisponde geometricamente a quella del lago d’Averno a Napoli - che lui non conosceva, se non attraverso Virgilio: legava Dante a Virgilio anche geometricamente, con la razionale follia del calcolo. In un’opera dimenticata ma esistente, due lezioni all’Accademia fiorentina, “Circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante”. Per l’indicazione che la “selva” si trovava “tra Cuma e Napoli” Galileo si rifà “al Manenti”, ma su questa identificazione architetta una complessa costruzione, di diametri, circonferenze, gradi, miglia e quarti di miglia che è inutile citare. Dopo questa premessa: “La selva dove (Dante) si trovò è, secondo il Manenti, tra Cuma e Napoli, e qui era l’entrata dell’inferno. E ragionevolmente la finge essere quivi: prima, perché ‘l cerchio della sboccatura dell’Inferno passa a punto intorno a Napoli; secondo perché in tal luogo, o non molto lontano, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi che dagli effetti orribil che fanno paion da stimarsi luoghi infernali; e finalmente giudica aver il Poeta figurata ivi l’entrata dell’Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose”, Virgilio.
Manenti
potrebbe essere Giovanni, un veneziano del primo Cinquecento che la Treccani
definisce “illetterato con la predilezione per le lettere”, autore anche di un
poema in stile “Inferno” sulle prigioni veneziane. Gestore del lotto a Venezia
e sensale d’affari, era stato processato per falsificazione e “stronzatura” di
denaro – calo fraudolento della percentuale di metallo nobile, oro o argento,
nella lega della moneta. Infine assolto, aveva però fato alcuni mesi di
carcere. Di cui scrisse appunto come Dante all’inferno, anche lui con Virgilio accanto.
Femminista – Il primo fu Gesù, spiega convinto Roman Gary nella lunga intervista alla radio canadese prima di suicidarsi, “Il senso della mia vita” – sotto la divisa: “Si vive una vita meno di quanto si è da essa vissuti”. Su questo chiude convinto con una insistita perorazione l’intervista a futura memoria, per professare “la passione della femminilità sia nella sua incarnazione carnale e affettiva della donna, sia nella sua incarnazione filosofica dell’elogio e della difesa della debolezza”. Ribadendo: “E se mi si chiede di dire qual è stato il senso della mia vita, risponderò sempre”, pur non essendo mai entrato in chiesa, benché battezzato, se non per vedere qualche opera d’arte, “che questa è stata la parola del Cristo, nel senso che ha di femminile”. Avendo riconosciuto: “Questo mi mette talvolta in conflitto con le femministe”.
Semplice
il suo ragionamento: “La prima voce femminile al mondo, il primo uomo che abbia
parlato con voce femminile, è stato Gesù Cristo. La tenerezza, i valori di
tenerezza, di compassione, d’amore sono valori femminili e, per la prima volta,
sono state pro nunciate da un uomo che era Gesù”.
Ironia – “In Sicilia abbiamo tutto, ci manca il resto, diceva con ironia Pino Caruso”. “Con ironia” non è pleonastico, l’ironia non è nella battuta? Anche perché si sa, si ricorda, s’intuisce, Pino Caruso un comico? Aldo Grasso deve specificarlo perché non una: l’ironia non usa in Italia. Non nella scrittura.
L’ironia
non è italiana, l’understatement,
benché ne sia maestro il fautore della favella toscana Manzoni. Alcuni letterati
ne sono stati sprovvisti a prescindere, Moravia per esempio, Pasolini.
Machiavelli – Si firma, scrivendo a Guicciardini, “istorico, comico e tragico”.
Machiavellico – “Quando i Medici tornarono a Firenze, nel 1512, (Guicciardini) era ambasciatore in Spagna per conto della Repubblica e riuscì a prepararsi un rientro morbido, senza colpo ferire, mentre il segretario (Machiavelli) perse tutto in un colpo. Dunque, se Guicciardini era guicciardiniano, Machiavelli non era machiavellico” – Marcello Simonetta, “Tutti gli uomini di Machiavelli”, 97.
Pentimento - “È meglio fare e pentirsi che non fare e pentirsi”, è consiglio di Boccaccio, “Decameron”, III, 5.
Liborio Romano- Paolo Macry ne fa il prototipo dell’intellettuale notabile del Sud, quello con le migliori intenzioni che però inevitabilmente portano a esiti catastrofici. Per una concezione di sé avulsa dai luoghi, le comunità, la società – al meglio arroccata sull’antico, con l’invenzione di genealogie e ottimi lontani titoli. Storicamente fu l’artefice della dissoluzione del Regno del Sud, dopo l’Atto sovrano con cui l’ultimo re Borbone, Francesco II, gli cedette le redini del comando il 25 giugno 1860 – già il 27 Romano faceva issare il tricolore. Organizzò le cose per favorire l’arrivo di Garibaldi a Napoli, anche assoldando plebaglia e marmaglia. Un ministro dell’Interno di Francesco II che fece affiggere i manifesti per Garibaldi “il liberatore d’Italia”. Non seppe però organizzare la luogotenenza di Garibaldi. Quando Garibaldi fu giubilato dal conte di Cavour inflessibile, protestò con asprezza, e si dismise dalla luogotenenza del principe di Carignano. Poi ci ripensò, e avrebbe voluto una unificazione senza gli abusi doganali e fiscali contro il Sud, ma Cavour non gli diede retta.
“La sua biografia”, dice lo storico (“Unità a
mezzogiorno”, 80-91), “strato dopo strato, la complessa storia del Risorgimento
meridionale”. Origini rurali, come (quasi) tutti, da élite provinciali, assorbite
più che altro da interminabili contenziosi per e attorno alla terra, “deluse da
un regime incapace di programmi ambiziosi, cautamente antiborboniche e
cautamente liberali”. Dall’orizzonte amplissimo, naturalmente, rivoluzionario,
utopico, e ristrettissimo: “Trascorre anni tra le carte delle liti patrimoniali
della famiglia, ben dentro i conflitti imperituri che oppongono l’uno all’altro
i notabili di Patù, il villaggio dov’è nato”. Non fu un camaleonte, opportunista.
Ma uscì subito di scena, finita l’opera – benché questa dovesse molto, se non
tutto, a lui.
Romanzo-realtà - Ci aveva pensato Giono, assiduo dell’affaire Dominici. Lo ha imposto Capote – imitato subito da Saviane in Italia. Ma si presta a curiose inversioni. Romain Gary, che divenne autore celebrato col romanzo “Le radici del cielo”, 1956, prima narrativa ambientalista ecologica, in difesa degli elefanti, allora cacciati liberamente in Africa, ebbe subito dopo la pubblicazione, il premio Goncourt e la larga risposta del pubblico, una corrispondenza con Raphaël Matta, una guardiacaccia francese in Costa d’Avorio, impegnato contro i bracconieri. Dai quali fu poi ucciso. La vicenda Matta fu successiva al libro, ma si disse e tuttora si scrive che Gary aveva fatto il romanzo del povero Matta.
J. Roth a Berlino col mal di vivere
“Sono importanti soltanto le
inezie della vita”. Uno sguardo pensieroso, filosofico sulla città. Distaccato
dalla “turbolenza urbana e dalla grande tragedia del mondo”.
La raccolta si apre così, di una
decina di articoli per giornali berlinesi negli anni 1920, ma è una sorta di memoria
della capitale tedesca in quegli anni. Malinconica, come immiserita, e scortese
anche, senza la disinvoltura e l’esprit che Berlino vanta. Una città di pietra di
cui il grande urbanista Werner Hagemann ha fatto al diagnosi - di cui Roth
riferisce ammirato, senza però dirne il succo (se non che ridicolizza Federico
II di Prussia, “il Grande”). A tratti un’altra Germania: “In Germania la
competenza è solita esprimersi attraverso il balbettio informe del
dilettantismo letterario. L’erudizione non ha carattere”, in Germania?, “il sapere
farfuglia come se fosse ignoranza e all’obiettività manca un’opinione propria”.
Testi ineguali. Quello del
titolo, “Notti nelle bettole”, 1921, è una rassegna dei locali notturni –
bionde e birra – rassegnata, bozzettistica. Roth c’è e non c’è, gli articoli si
direbbero alimentari. Se non per un anticipo del mal di vivere.
Joseph Roth, Le bettole di Berlino, Garzanti, pp. 89 € 4,90
martedì 4 agosto 2020
Secondi pensieri - 426
zeulig
Contemporaneità
–
“Non si è può essere contemporanei per tutta la vita”, il giornalista Rai
Vincenzo Mollica fa dire a Camilleri in una della loro conversazioni. Che
sembra logico, è invece no: il contemporaneista lo è per tutta la vita, è il
dna delle avanguardie – a meno di non dirsi contemporanei per essere antichi,
per opportunismo, se utile alla carriera.
Diritti dell’uomo – “I diritti dell’uomo non sono altro che una difesa del diritto alla debolezza”. Romain Gary, “Il senso della mia vita”, 110.
Heidegger - È, si potrebbe dire, l’ultimo capro espiatorio. “Der Spiegel”, che nel 1982 fece la copertina Nietzsche = Hitler – lo poteva perché i lettori sapevano di Nietzsche – oggi farebbe a maggior ragione Heidegger = Hitler. Non lo fa perché “nessuno” sa chi è Heidegger, e non ha la curiosità di informarsi, ma anche perché non avrebbe senso. Heidegger era un contadino svevo, con selezionate, poche, letture, che voleva essere un poeta.
Fra i tanti Heidegger non c’è un Heidegger e Wagner, che pure sembrerebbe di primissimo interesse. Molto di Heidegger è già in Wagner. Il destino istoriale, il Volk, con tutti gli attributi, e il destino (“Quaderni neri”) separato degli ebrei.
Hölderlin
-
Un sorta di “morto repubblicano” con Heidegger – la forma di esecuzione
adottata dalla Repubblica francese
Nantes, detta “matrimonio repubblicano”, in cui il condannato veniva buttato
in acqua legato a un cadavere. Nel senso specifico che di Heidegger resta vittima,
da lui affondato, se non insieme con lui. A partire dalla conferenza romana a
villa Sciarra del 2 aprile 1936, all’Istituto Italiano di Studi Germanici
voluto da Gentile, “Hölderlin e l’essenza della poesia”. Il Poeta del Verbo, Dichter
della Dichtung, il Dettatore, quello
che apre, avvicina, al “Dio ignoto”. Un Ersatz
in realtà, un surrogato: la poesia invece della filosofia, implicitamente
impossibile.
Hölderlin o dell’ineffettualità
del linguaggio. Dell’insignificanza, del linguaggio concettuale. O della poesia
per comare l’insufficienza del linguaggio filosofico. Testimone involontario –
sicuramente non interessato, anzi prima vittima - del fallimento di “Essere e
tempo”, dell’avanzata, l’attacco, sul Dasein.
Della Seinsfrage, la domanda di
essere, di senso, impossibile e comunque indecidibile.
O, altrimenti, Hölderlin è semplicemente
il Vico che Heidegger non ha conosciuto – degnato conoscere.
Identità – Un mito, così la vuole, d’acchito, Donatella Di Cesare avviando il suo “Marrani”: “Con loro implode e si frantuma il mito dell’identità”. Da cinque secoli dunque, o sei, da quando la condizione marrana si è dichiarata? Una lettura forse storicamente superficiale (a petto dello stesso perdurante ebraismo, che Di Cesare dice costante sotto il marranismo), ma certo contemporanea. Se nessuno si vuole più nessuno. Non si rappresenta infatti più Pirandello, dato che lo si vive, modestamente. Con le barbe, i tatuaggi, il no gender, l’indifferenza anche, la sottomissione al dunque - si veda la fascinazione per la Cina, dove ogni fiato è controllato.
Si rilegge riproposto dal “New Yorker” un vecchio saggio di Lionel Trilling, la recensione nel 1949 del nuovo romanzo di Orwell, “1984”. Che Erin Overbey può così sintetizzare: “Trilling trovò il capolavoro distopico di Orwell «profondo» e «terrificante»”. Ma, si può aggiungere, in qualche modo distorto. “Orwell concorda che lo Stato del futuro affermerà i suoi poteri distruggendo gli spiriti”, scriveva Trilling, ma con la forza, mentre la persuasione è più probabile: “Ma crede che gli uomini saranno forzati, non indotti, nel disarmo intellettuale. Che saranno disumanizzati non dal sesso, il massaggio e gli elicotteri privati ma da una vita marginale, di deprivazione, noia, e incubo del dolore”. Da massaggio a messaggio, e da elicottero alla macchina automatica (intelligente) di Elon Musk, sembra tutto scritto da Trilling.
Lusso – “Un bisogno del bisogno”. il paradigma paradossale è in Wagner, “L’opera d’arte dell’avvenire”: è un bisogno immaginario, artificiale, indotto con applicazione per alimentare desideri e bisogni inappagabili, benché superflui: “Questo demone, questo bisogno insensato senza bisogno, questo bisogno del bisogno, questo bisogno del lusso, che è il lusso stesso, regge il mondo”, etc. – “è l’anima dell’industria che uccide l’uomo per usarne come di una macchina”.
Machiavelli – “Il Principe” un manuale di resistenza, surrettizio – nel mentre che insegna ai tiranni come difendersi? È l’ipotesi di Spinoza, del “Trattato politico”, il secondo che l’antipolitico Spinoza scrisse. Supercritico di fatto in tema di filosofia politica, non considerando degna di attenzione, si sa dalla corrispondenza, da una lettera a Hugo Boxel, Spinoza “l’autorità di Platone, di Aristotele e di Socrate”, ovvero le più tradizionali auctoritates filosofiche, preferendo piuttosto le parole di “Democrito, Epicuro, Lucrezio o qualche altro atomista”, Spinoza volle scriversi da sé la sua scienza politica, all’ingrosso e in dettaglio, con due trattati, l’attro è il “Tractatus theologico-politicus”. Spinoza si riferisce a Machiavelli nel “Trattato politico”, al cap. X, il penultimo, su aristocrazia-principati, come alll’“acutissimo fiorentino”, di cui cita un passo dei “Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio”, sulla necessità di emendare (riparare) di tanto i tanto i regimi politici, rinfrescarli, oggi si direbbe ammodernarli, aggiornarli, al cap. I del Libro Terzo: “A volere che una sètta o una repubblica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio”. Ne cita un passo probabilmente adattato, leggendo Machiavelli in traduzione, che non si ritrova nell’originale – ma ne sintetizza bene il ragionamento: “Una repubblica ha aggiunto quotidianamente qualcosa, che periodicamente necessita un rimedio”.
Del
“Principe” invece, in precedenza, al par. 7 del cap. V, “Sullo stato migliore
di un governo”, Spinoza tenta una lettura in codice, come un avvertimento a
tutti i resistenti, i cospiratori contro il tiranno. “Su quali mezzi un principe,
la cui sola motivazione è la passione del potere, dovrebbe usare per imporre e
mantenere il suo dominio, l’ingegnosissimo Machiavelli è è dilungato, ma con
che disegno non si sa”, comincia Spinoza: “ Se per un buon disegno, come si dovrebbe
pensare di un uomo di cultura, sembra che voglia dimostrare con quanta poca
perspicacia molti tentano di rimuovere un tiranno”. E spiega anche perché.
Opina infatti, sempre in breve nello stesso capoverso, che Machiavelli intende
mettere in guardia dall’affidare le proprie sorti a un uomo, perché questi
necessariamente diventerà un tiranno, sentendosi inviso, ai molti o ai pochi non
importa: “Inoltre, (Machiavelli ) probabilmente voleva mostrare quanto cauta
una grande moltitudine dev’essere prima di affidare il suo benessere in
assoluto a un uomo, il quale, a meno che nella sua vanità non pensi di essere gradito
a tutti, deve vivere nella paura quotidiana di complotti, e quindi è obbligato
a occuparsi prevalentemente del suo proprio interesse – così come, per la
moltitudine, occuparsi di complottare contro piuttosto che di usarlo per il proprio
interesse”.
Natura – La nostra è
una “natura-libro” – Joseph Roth, “Le bettole di Berlino”, 11-12, una “«natura
concetto», la concezione della natura”. Vediamo, pensiamo la natura come ci è
stata raccontata nel tempo e rappresentata. Lo scrittore la ipotizza “nei
dintorni della città”, ma questa è la sua condizione universale, posto che il
primitivo è da tempo rimosso, l’uomo al naturale.
Asservita,
a una serie di scopi, si può dire la natura addomesticata. Come gli animali.
Come questi, anche i più domestici, mantiene i suoi scarti, virus, rabbie,
terremoti, alluvioni, ma come scarti appunto, come un animale domestico può all’improvviso,
per un istante, tornare selvaggio – cioè naturale.
Naturale
è selvaggio: imprevedibile, ingovernabile.
Popolo - Nozione recente, romantica, e indefinita, ma duratura – specialmente di Michelet e Wagner attorno a metà Ottocento, e nel primo Novecento dei fascismi. Ma sempre amorfa: il popolo è tutto, e non altro.
Storia –James Joyce ce l’ha in quattro tempi: “il passato, il presente, l’assente e il futuro” (“Finn’s Hotel”, 66) – “i quattro flutti di Erin”, che, “salsi vedovi tutt’e quattro molti secoli prima avevano divorziato in tronco dalle rispettive maritozze (dalle quali si erano separati ritenendosi in ottimi rapporti)”. La memoria dell’Irlanda: “E tale era la loro memoria che li avevano nominati professori esterni alle quattro principali cattedre si scienza di Erin, le università di Mazzaocura, Mazzalitutti, Mazzavicenda, Mazzancollo, dove marconizzarono per quattro volte lezioni settimanali sui quattro tempi della Storia: il passato, il presente, l’assente, il futuro” .
zeulig@antiit.euGran Teatro Napoli
Dell’eccezionalità di Napoli – la
città non sa pensarsi in altro modo. Anche in Germania, per la verità: il libro
è l’omaggio degli editori tedeschi all’Italia alla Fiera del Libro di Francoforte
del 1988, tradotto da Einaudi alcuni anni dopo. Dal titolo originale fortemente
evocativo, con Ingeborg Bachmann, il poemetto “Das erstgeborenes Land”, la
prima terra, dedicato al Sud, all’Italia, il paese dove aveva scelto di vivere:
“Neapel - «Da fiel kein Traum herab…\ Da fiel mir Leben zu…», non è un sogno, è
la vita.
E del resto, che cosa (non) si è
detto di Napoli, dadapolis. Tra le sirene
e l’Acheronte, l’oscuro Averno e gli eterni Borbone. Un libro d’autore, degli
autori, Ramondino e Müller. Non un’antologia, ma un collage, un quadro, lo dice Ramondino nell’invito. Deprecatorio, inevitabilmente, già nell’indice:
“Osci, Sanniti e altri cafoni”, “Smarrimento”, “Precarietà”, “Fuga”, “Denudamento”.
Ma poi risarcitorio. Anche se nell’epilogo Müller vuole Napoli “una ferita”, non rimarginabile.
Che ne resta? A distanza solo l’inanità
dei racconti di viaggio, altro che come racconti degli umori e caratteri dei
viaggiatori stessi. Rare sono le impressioni con un fondamento reale, non
suggestivo (suggestionato), sociologicamente significativo. Napoli ne è oggetto
privilegiato. Il centinaio di autori qui utilizzati ne sono l’efflorescenza, ma
non lasciano traccia. Forse fantasiosa ma fugace. Napoli resta Napoli. Città di
operai, industriosa, inventiva, attiva, e di lazzari, ladri, imbroglioni. Di buone
idee e buona amministrazione, e di pessima. Di ottime scuole, umanistiche, scientifiche,
estetiche, di mestieri e professioni, e di nessuna scuola. Di cuore e cinica –
meglio non trovarsi nel bisogno a Napoli. Un po’ come ovunque. Un po’ più
accentuato – teatrale?
Fabrizia Ramondino-Andreas Friedrich Müller, Dadapolis
lunedì 3 agosto 2020
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (432)
Giuseppe Leuzzi
“Un
paese ci vuole”, questa la citazione integrale di Cesare Pavese, scrittore
delle origini, del radicamento (“La luna e i falò”), “non fosse che per il
gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella
gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci
sei resta ad aspettarti”.
“La Campania doppia la Valle d’Aosta nel prelievo (fiscale) locale”, “Sole 24 Ore”: 2.066 euro nel 2019, la quota più alta fra le regioni italiane – era 2.416 nel 2015…. Seconda viene la Calabria, con 1.846 euro – alla pari di Toscana e Piemonte. Le regioni con i servizi (sanità, viabilità, rifiuti, assistenza) non migliori e anzi probabilmente i peggiori.
La questione meridionale non è la stessa. Rileggendo gli studi – analisi, ricerche - per lo più storici, o di storici dell’economia, che hanno letto l’Italia della Repubblica, si capisce che il Sud è in una fase di nuovo disgregamento. Dopo che per mezzo secolo, da Moro e De Mita a Berlusconi (base elettorale) e Napolitano, ha determinato gli assetti istituzionali. Il dirompente “Saggio sulle classi sociali” di Sylos Labini, 1974, le “Tre Italie” di Bagnasco, “Il sacco del Nord” di Ricolfi, l’overview di Toniolo sulla “Italy’s Economic Growth”.