sabato 22 agosto 2020
L’Italia fuori dal Mediterraneo
Da Kastellorizo (Calsterosso), e tutto il Dodecaneso, Rodi compresa, a Cipro e alla Libia, il Mediterraneo orientale (in turco “il Mediterraneo”) torna a influenza turca, come un secolo fa. Col sostegno della Germania, come un secolo fa – poco più, 110 anni fa. La Francia tenta una contrapposizione, come un secolo fa, dal Libano-Siria. L’Italia, invece, non c’è.
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L’Europa è un nuovo fronte, non sempre amico
Una politca estera europea non c’è, è noto. Ma sempre più si manifesta una politica estera dei paesi europei come se nulla fosse successo nell’ultimo secolo: non la guerra della Germania all’Europa, non la Liberazione, non la guerra fredda, non l’Unione Europea stessa.
La Germania opera d’intesa con la Turchia, oggi come nel primo Novecento. La Francia opera per arginare questa intesa. La Germania vuole pesare nella politica interna russa, nel mentre che scardina con l’acquisto in massa del gas russo le sanzioni che ha voluto sette anni fa e vuole, nominalmente, contro la stessa Russia per l’annessione dell’Ucraina. Politiche che impone all’Europa. La Francia cerca di frapporsi, ma con meno chances che nel Mediterraneo.
E l’Italia in tutto questo? L’Italia diffida della Germania, da cui non ha mai avuto niente. Riemerge talvolta nella diplomazia italiana il vecchio ragionamento di Giolitti al tempo della Grande Guerra, che “parecchio possa ottenersi senza una guerra”, ma questo non è mai avvenuto, in nessuna occasione, con la Germania. Mentre Macron gioca da solo. Ed è venuto a mancare il tradizionale puntello all’Italia in questo lungo dopoguerra, quello di Washington, in tutti i campi, dalla difesa alla finanza pubblica, e all’Eni col petrolio.
L’unica certezza di questa fase è che non ci sono più illusioni sull’Europa. L’Europa costituisce un fronte diplomatico di più – non sempre amico: non rafforza la politica estera ma la complica.
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Il vuoto e il divino in me
“Atomi e vuoto e il divino in me” è l’epigrafe, Democrito e san Giovanni uniti
nella lotta. I due scritti del volumetto furono pubblicati nel 1939, come a
concludere la vita, oltre che l’attività pubblica, del filosofo, già da anni
precluso dall’insegnamento (provvisoriamente sospeso nel 1927, arrestato nel
1930, con la moglie, nel 1934 radiato dall’università dove insegnava, a Genova:
già socialista, e per questo in esilio in Svizzera per dieci anni, si era
avvicinato a uomini e idee del fascismo, ma ne fu presto deluso) – morirà due
anni dopo. Ma si rileggono come la sintesi migliore del suo pensiero, insieme
con “La filosofia dell’assurdo”.
Una difesa, e quindi un’esposizione autentica,
del proprio pensiero, più che una riflessione autonoma. Rensi rifà il suo
percorso intellettuale, e attua una “decostruzione”, si potrebbe dire,
anticipata del castello intellettuale dominante – idealistico, risolutivo. Dei
concetti che si tende ad assolutizzare: verità, bellezza, bene, male, giustizia,
ragione. E delle dialettiche sociali assolutorie: collettività\individuo,
maggioranza\minoranza, normalità\pazzia.
Giuseppe Rensi, Autobiografia (intellettuale) e testamento (famigliare), Mimesis, pp. 54
€ 6
venerdì 21 agosto 2020
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (434)
Giuseppe Leuzzi
Milano, o la regione Lombardia, che
garantiscono il tampone in aeroporto per primo ai lombardi è inimmaginabile, se
non fosse successo. Questi non aprono i campi di concentramento perché costano.
Idealmente sono trincerati. È la Lombardia
un campo di concentramento?
Il Sud si mette all’improvviso a
leggere, o è un difetto ottico, di rilevazione statistica? In assoluto forse
no, ma come clienti di amazon sì. Milano sempre in testa, su Roma, Torino, Bologna,
Genova, Firenze, Verona, Padova. Napoli sale al nono posto. Palermo passa dal
47 al 13mo posto, Bari dal 46 al 20mo posto, Reggio Calabria dal 50 al 36mo° posto.
Ma è solo la classifica dei clienti di Amazon:
al Sud ci sono meno librerie in rapporto agli abitanti, molte meno.
Lega
ladrona
Non hanno sensi di colpa i tre parlamentari
e la dozzina di consiglieri regionali leghisti che hanno chiesto e intascato il
sussidio Covid per i disoccupati, benché stipendiati dalla Repubblica,
lautamente. Gli affari prima di tutto, afferrare l’afferrabile, l’unico vangelo
della Lega, dietro lo shermo dell’onestà. È il tempo di “Lega ladrona”.
Quando si farà il conto della sanità
lombarda dopo quarant’anni di “privatizzazioni” leghiste, di affari e affarucci
a spese della sanità pubblica, dei fondi sanitari, non basteranno le carceri
anche traspadane. Ma si farà mai il conto? Non a iniziativa della Procura di
Milano – retta, questo è vero, da napoletani: si può rubare impunemente nel
nome dell’autonomia, anche se paga Roma.
Nemmeno dopo tanti morti la sanità
leghista in Lombardia, che ha scardinato la rete assistenziale, viene sotto
processo.
I politici leghisti intascano i sussidi
pubblici nel mentre che chiedono il taglio dei parlamentari, contro la corruzione
e lo spirito di casta. Questo è indice della confusione nella politica.
Tollerata se non promossa dall’opinione pubbiuca: media, editoria, cinema, gli
stessi partiti.
Contro
lo Stato 1: il cinema dei Carabinieri
Il sindaco di Varapodio in provincia di
Reggio Calabria, Orlando Fazzolari, Msi-An-Fratelli d’Italia, accusa i
Carabinieri. Che lo accusano di falso ideologico, abuso d’ufficio, corruzione
per atti contrari ai doveri d’ufficio, truffa ai danni dello Stato, peculato, frode
nelle pubbliche forniture, a proposito delle sovvenzioni al centro comunale d’accoglienza
ai migranti da lui gestito su delega del consiglio, e ultimamente da lui stesso
chiuso. Dopo una indagine durata tre anni. “Nel fascicolo dell’indagine si evince
chiaramente ch e non sono accusato di nulla”, afferma il sindaco. Che rigira
l’accusa: “La cosa grave sta nel video trasmesso agli organi di stampa, dove mi
hanno dipinto come un soggetto che stava lì senza alcun incarico dato dal consiglio,
solo per favorire i fornitori amici e per costruire la sua carriera politica”. Da
qui, dice, il video: “Dopo tre anni di intercettazioni telefoniche pagate dallo
Stato, i Carabinieri non potevano perdere la faccia, dicendo «ci siamo
sbagliati», ed hanno preparato un video per la stampa con ipotesi di reato
costruite in maniera artigianale, senza alcuna valenza giuridica ed
aggrappandosi al nulla”.
La vicenda è emblematica di molte cose
al rovescio. Uno di destra professo che accusa i Carabinieri. E una gestione
amministrativa di destra, da Rositani a Fazzolari, che ha fatto del solito paese
addormentato, semiabbandonato, della Piana, tra rifiuti e bombe mafiose, uno
bene attrezzato, anche bello a vedere, e produttivo.
L’accusa di Fazzolari è grave, e si
deciderà in Tribunale, i Carabinieri non potranno non denunciarlo ancora una
volta. Ma non è inedita. Non è inedito il modo di procedere dei Carabinieri, con
i video come canale d’informazione. Preordinata. E per molti pregiudicata,
senza possibilità cioè di contraddittorio, come “prova definitiva”. Anche se si
sa che i video si possono montare, tagliare, cucire.
Il video contro Fazzolari segue quello
contro le processioni – le processioni a benedire i mafiosi. Contro il
santuario di Polsi, ridotto a cenacolo di mafia. E quello, che molti asseriscono
di avere visto ma non è stato pubblicato, contro il vescovo di Locri, allora
mons. Bregantini, e il parroco di San Luca, don Strangio, che s’impegnarono a
evitare una faida dopo la strage di Duisburg – il parroco è stato rimosso,
il vescovo, che aveva avviato il rinnovamento di mezza Calabria, pure.
Contro
lo Stato 2: le interdittive dei prefetti
Un’altra vicenda strana occorre a Reggio
Calabria, dove un candidato a sindaco al voto tra un mese, Andrea Cuzzocrea, si
ritira dalla competizione “per timore di ritorsioni”, titola in prima pagina “il
Quotidiano del Sud”. Della mafia, che ogni tanto gli brucia un macchinario –
Cuzzocrea è un imprenditore, ex presidente di Confindustria Calabria? No, per “il
timore che una lista dichiaratamente garantista e meridionalista avrebbe potuto esporre i singoli candidati a
ritorsioni da parte degli apparati repressivi dello Stato”. Niente di meno.
Magari non è vero, ma Cuzzocrea può dirlo.
Senza commenti, gli “apparati repressivi” tacciono. Un Prefetto che dica qualcosa,
un Capo della Procura, un presidente di Tribunale, un tenente dei
Carabinieri – anche un semplice maresciallo?
L’imprenditore reggino polemizza
scopertamente con l’uso politico dell’antimafia. Nessuno degli attentati subiti
è stato indagato. Mentre lui è stato colpito, nel 2017, dalla solita
interdittiva antimafia della prefettura, una misura discrezionale che dà da prosperare a molte prefetture, anche se non ha perso l’azienda né l’appalto.
La prefettura agiva in linea con il 5 Stelle di Reggio Calabria, che faceva
campagna contro Cuzzocrea perché vicino al sindaco Falcomatà, e quindi a
Matteo Renzi.
Sicilia
Non
vede l’ora la “Gazzetta del Sud” di Messina, per zelo Democratico e per sicilitudine,
di celebrare “le radici siciliane della moglie di Biden”. Alla quale si fa evocare
il nonno paterno Giacoppa. Uno che subito si cambiò il nome in Jacobs. E al
figlio, cassiere di banca, cercò una moglie anglo-scozzese. Si fa presto a dire
italo-qualcosa. Ma in Sicilia prestissimo: chi mai rinuncerebbe a essere
siciliano?
“È
la chiave di tutto” è colpa di Goethe, “Viaggio in Italia”, anche lui affascinato,
dai limoni, e dalle rovine, e anche dal linguaggio.
“Come volete non essere pessimista in un paese dove
ilverbo al futuro non esiste?”, Leonardo Sciascia spiega a Marcelle Padovani,
“La Sicilia come metafora”. Ma più ottimista del pessimista Sciascia, che la
Sicilia ingigantiva, mostruosa?
È
vero che la Sicilia “s’imbroglia” (s’incarta, si confonde) – vuole tutto.
Nel
racconto della mafia, “Onora tuo padre”, Talese dice i mafiosi siculo-americani
rispettosi dello Stato, benché fosse il loro nemico – “non volevano che il
sistena crollasse, perché con esso sarebbero crollati anche loro”. Per una
ragione precisa: “Benché riconoscessero il governo imperfetto, ipocrita e non
democratico, con molti politici e la polizia in buona misura corrotti, la
corruzione era però qualcosa che si poteva capire e negoziare. Quello di cui
più diffidavano e di cui secoli di storia siciliana gli avevano insegnato a
diffidare erano i riformatori e i crociati”.
Uno viaggia in Sicilia e si
chiede: perché la Sicilia non è ricca?
Nel calcio è poverissima:
Palermo e Catania sono in serie C, col Trapani, il Messina in D. Non c’è
organizzazione: la Sicilia manca di gioco di squadra. Non riesce a concepirlo,
eppure l’economia lo dimostra redditizio, molto.
“Tutti fannulloni”, dice Musumeci,
il presidente della Regione Sicilia, dei suoi 4 mila, o 40 mila, dipendenti. Si dice da una vita – diciamo dagli
anni 1950. Col ricambio di due generazioni o tre. E allora? Non sarà un male
incurabile?
Si susseguono i dati, ora di
nuovo in risalita, dei contagi al coronavirus. Con una costante per la Sicilia:
i nuovi contagi, otto-nove su dieci, sono fra i migranti. E uno si domanda:
succedesse una cosa simile in Lombardia? È pur vero che i siciliani non sono lombardi,
ha ragione la Lega.
Irridendo
alla Autorità Siciliane che in pompa, “quasi in contemporanea” con l’inaugurazione
a Genova del ponte Piano, hanno tagliato il nastro di una sopraelevata di 200
metri dell’autostrada Palermo-Catania, dopo cinque anni di lavori (cinque anni
per 200 metri), “Il Venerdì di Repubblica” asserisce che “mille chilometri di
strade secondarie dell’isola non sono percorribili”. Questo non è vero – non può
essere. Ma parlando del Sud tutto va fatto convergere “in unum”.
“Vietato
trasportare legna, carbone, carbonella”. Questo e altri divieti del genere,
specifici, le cronache elencano in Sicilia a proposito per esempio del convid,
come misure restrittive per evitare il contagio. La maggior parte questa settimana per evitare i falò e le feste in spiaggia. Bastava proibire l’uso
della spiaggia se non per i bagni di mare. Ma la Sicilia vuole essere precisa.
leuzzi@antiit.eu
Ancora uno sforzo, e saltano voto e scuola
Pensare male è inutile perché questo governo non pensa – basta pensare all’alleanza del Pd col 5 Stelle, ultimo harakiri del pensatore del partito Bettini, dopo Veltroni, D’Alema, la Bicamerale, e lo sradicamento di Marino e di Renzi, due piante indigeste benché di qualche succo. Ma che altro senso ha lasciare le discoteche aperte, e liberi i viaggi da e per le discoteche di Ibiza, Mykonos e Pag in Croazia, perché i ricconi non vogliono far mancare nulla ai figlioletti, nel mentre che s’impongono rigidi distanziamenti al supermercato e in chiesa, al teatro, al cinema, al concerto? Ha senso solo se bisogna rimandare le temute elezioni regionali fra un mese. E la riapertura delle scuole, per la quale nulla è stato in realtà preparato, a parte le conferenze stanpa, di ministri e commissari non si sa se incapaci o commedianti. Scuole che si apriranno e subito si richiederanno, per il voto. L'età media dei contagi è già a 30 anni. Ancora un piccolo sforzo, e tra un un mese saremo ai teen-ager, giusto in tempo per le scuole.
Con Dante in paradiso
Un’assunzione radicale di Dante
da parte dell’animatore di “Tel Q uel”, la rivista cult degli anni 1960-1970, è questo libro-colloquio del 2000 con
Benoît Chantre, allora direttore letterario delle edizione Desclée de Brouwer,
specializzata in tematiche religiose. Che rielabora la “Commedia” in quattro capitoli, dalla porta dell’inferno
con Virgilio agli zaffiri luminosi del Paradiso.
Un “commedione”. Per Dante poeta
contemporaneo, come suole, ma per un motivo: la modernità ce lo nascondeva, l’era
planetaria in cui siamo entrati lo fa ritornare come albero maestro. In una
luce paradisiaca invece che infernale, come l’Ottocento e il primo Novecento lo
hanno voluto. Partendo dalla triplice
domanda: “Non si tratta di ripetere ma di domandarci se possiamo ancora capire
questa testimonianza radicale divenuta aperta. Non irriga egli, in modo diretto
o indiretto, tutta l’avventura occidentale fino a noi? In che, anche, Dante
ci precede?”.
Sollers parla molto, ma su un fatto semplice: Dante è bene il poeta del paradiso. Un testo che preludeva,
forse, a una crisi religiosa. Sollers ne volle fare dono personale al papa
Giovanni Paolo II, come se nel pontefice polacco vedesse la redenzione storica
e spirituale dai mali del secolo, del temibile Novecento. Ma in una prospettiva,
religiosa o laica che sia, di paradiso. Di possibilità della felicità.
“Dantesco” è l’aggettivo che
fotografa il Novecento, di conflitti, orrori, atrocità, solevate nel “rumore e
il furore di un’umanità spinta al suo colmo”. La “Commedia” non è divina, è
umana, anche “troppo umana”. Ma se la parola resta sinonimo di infernale,
l’inferno è solo la porta dell’aldilà, che si compone bene di un purgatorio e
un paradiso, due arcobaleni troppo facilmente trascurati, anzi dimenticati, se
non negati, da almeno due secoli, dal Settecento. Dante è bene “il primo
esploratore occidentale” a mettere piede
all’inferno. Ma è anche “il primo costruttore del purgatorio”, e “il solo
che si sia messo in presenza del paradiso”.
La rivisitazione di Dante s’interpola
di molte divagazioni. Sulla musica, Bach e Mozart. Sulla poesia, Hölderlin,
Rimbaud, Apollinaire. Sulla pittura, Picasso e Bacon, Matisse e Cézanne. Su
Heidegegr, Bataille, Simone Weil, Péguy, su Proust naturalmente, e su Giovanni
Paolo II, il papa della rinascita. La “Commedia” come una sorta di
pre-tribunale, una convocazione della storia prima del giudizio universale, al
tribunale della giustizia e dell’amore. Il Dante di Botticelli – uno che si è
rinchiuso per dieci anni, per realizzare le cento illustrazioni della “Commedia”.
Niente di pauroso, l’aria è sempre quella della resurrezione e la vita.
Philippe Sollers, La Divine Comédie, Folio, pp. 752 €
12,90
giovedì 20 agosto 2020
Letture - 430
letterautore
Dante – Un
“sintetizzatore d’assoluto” e un “musicista del pensiero” lo vuole Sollers. Nonché
un profeta di paradiso.
Sollers
è figura di spicco fra gli ultimi celebranti, apparentemente incongruo ma
determinato e specifico, lo scrittore animatore di “Tel Quel”, la rivista attiva
negli anni 19760-1970. In un romanzo e in libro-intervista che bizzarramente
non si traducono. Sulla linea sempre del Dante contemporaneo, dice lui stesso
presentando il libro-intervista, ma in un senso diverso: “Non si tratta di ripetere
ma di domandarci se possiamo ancora capire questa testimonianza radicale
divenuta aperta? In che cosa irriga egli, in modo diretto o indiretto, tutta
l’avventura occidentale fino a noi? In che cosa, anche, Dante ci precede?”.
Non
è una novità per Sollers, che già nel 1965 aveva scritto un lungo saggio,
“Dante e la traversata della scrittura” – anche questo non tradotto. Di un testo
e un autore che ci hanno fatto, fanno quello che noi siamo.
Dodici
anni fa, nel romanzo “Les Voyageurs du temps” il narratore si ritrova nella
chiesa di san Tommaso d’Aquino, a Parigi, nel settimo arrondissement, un ambiente triste e trascurato. Ha allora l’idea
barocca di far comparire san Tommaso come lo ha conosciuto nel “Paradiso” della
“Divina Commedia”. E con questo Tommaso fa invece un viaggio verso la felicità.
In
un’intervista con il “Nouvel Observateur” all’uscita del romanzo Sollers dice Dante
“musicista del pensiero”. Trovando allora, fine dicembre 2009, che “il 14
aprile 1300, d’improvviso, è più prossimo a noi che la confusione mondializzata
dell’inizio del XXImo secolo. All’indomani di tante catastrofi, la felicità del
paradiso è un’idea nuova sul pianeta”.
Lui
stesso per se stesso aveva voluto intitolata “La divine Comédie” una lunga serie
di colloqui con Benoît Chantre in cui sostiene la lettura alla prima persona
del presente di un Dante paradisiaco invece che infernale. L’inferno, dice Sollers,
è qui e ora, “non lasciamoci sottrarre in suo nome l’attualità di uno dei più
grandi poemi sacri”.
Dante
è per Sollers la creatività del poeta, l’incarnazione della divinità nel poeta:
“La necessità di uscire dal finito, di bucare il momento in cui sono. C’è
bisogno per questo di sintetizzatori d’assoluto, e questo potrebbe essere
Dante”. Sollers soprattutto s’identifica in Dante che crede al paradiso: nel
Dio solo ed eterno che muove i cieli senza essere mosso, con amore e desiderio.
Aiutandosi con Hölderlin: “Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che
salva”. A condizione di essere, di non negarsi, di dire “io”, come quando si
accetta il battesimo.
L’incontro
con Dante raccomanda come incontro con i poeti, i musicisti, i pittori. E con
l’indovino Aronta, condannato a guardare dietro di sé – con più ragioni
dell’angelo della storia di Benjamin, va aggiunto – Aronta, “che fa seno delle
spalle perché ha volto guardare troppo avanti…preso nel soffio d’un vento molto
antico, i cui fremiti perdurerebbero per l’eternità”.
Conan Doyle – Fu
autore di racconti fantastici e storici, nonché di saggi spiritistici, in
chiave positivista, forse più numerosi, per ogni categoria e genere, dei racconti
di Sherlock Holmes per cui è famoso. Lo spiritismo sicuramente lo ha impegnato per
un lungo tratto della sua vita, dal 1884 alla morte, nel 1930 – il ciclo
Sherlock Holmes si apre nel 1886 con “Uno studio in rosso” e dura fino al 1915,
forte di quattro romanzi , 59 racconti e tre commedie. I libri che scrisse sono
una quarantina (la storia della prima guerra mondiale in sei volumi), e le
commedie una dozzina.
Germanisti – Ci
sono anglisti, americanisti, slavisti, francesisti, ispanisti, ma non così influenti,
“autorevoli”, sul piano letterario e culturale insieme, cioè politico, come i
germanisti. Pur rappresentando essi, in chiave europea, un mondo che all’Europa
politica ha dato poco. Forse solo lo Stato sociale di Bismarck – niente al
confronto delle distruzioni. Non il Sacro Romano Impero, all’infuori di Carlo
Magno, franco più che sassone, e di Federico II, una meteora. Niente gli Asburgo
- Carlo V compreso, incredibile animatore di distruzioni, nelle Fiandre, in
Italia, nella comunità religiosa europea, senza un solo palazzo, una chiesa, un
pittore o un quadro per il quale lo si ricordi. La Mitteleuropa dell’ultimo
Asburgo, Francesco Giuseppe, fu crogiolo di più danni che benefici – Austria
Felix ma non per gli ungheresi, gli italiani, gli slavi, gli stessi ebrei che
pure la magnificano.
Romanzo-realtà – “La
scienza del cuore mano che sarà il frutto della nuova arte”, svilupperà
talmente e così generalmente tute le risorse dell’immaginazione, che nell’avvenire
i soli romanzi che si scriveranno saranno i fatti
diversi” – Giovanni Verga, lettera a Salvatore Farina, uno dei fondatori
del “Corriere della sera”, pubblicata nel 1880. Un circolo vizioso dall’introspezione
alla cronaca? Fatti diversi, francesismo per cronaca, indica
che Verga rifletteva su qualche scrittura-scrittore francese post-Flaubert,
zoliano.
Speranza –
Ritorna col romanzo spagnolo di Malraux, ritradotto. Fu al centro del programma
e delle memorie di De GaUlle. E dell’“Educazione europea” di Romain Gary, il primo
romanzo della Resistenza, nella seconda guerra mondiale. Ma non c’è una guerra
in atto, una sconfitta, a cui bisogna resistere. O sì?
Toscano – Tra
Fucini e Tozzi, due toscani, nella parlata pisana e in quella senese, tenne il
posto nell’Italia di Fine Secolo del napoletano e il siciliano oggi. Un toscano
che suona di maniera o artefatto e invece è – era – di uso comune, anche quello
di Fucini. Come il napoletano e il siciliano oggi. Una falsa parlata toscana,
sosteneva contrariato Cassola: il “toscanismo degli stenterelli” che irritava
Carducci, che Renato Fucini avrebbe fissato ne “Le veglie di Neri”, e di cui
Papini e Malaparte, e anche il primo Palazzeschi, si fecero poi bandiera. Un
toscanismo che però, nota Cassola (introduzione a R.Fucini, “Le veglie di
Neri”), “l’aveva inventato un non toscano, Manzoni”.
O
quel toscanismo suona falso, suonava falso già a Cassola, mezzo secolo fa,
perché i dialettismi hanno corta durata?
letterautore@antiit.eu
Sherlock Holmes a Bagnaia, provincia di Viterbo
Arthur Conan Dole
“disincarnato” (morto) vive. In mezzo ai
familiari, le due figlie con più continuità, la medium, il marito della medium
trascrittore, e qualche simpatizzante. Testimoni che partecipavano alle sedute
spiritiche, e possono quindi garantire la verità del processo verbale che qui
va sotto il nome dell’autore di Sherlock Holmes – quasi tutto estranei a ADC,
soprattutto la medium e il marito trascrittore, quindi non a conoscenza dei
suoi atti o pensieri.
Cosa ha detto e fatto Conan Doyle
dopo morto, raccontato da lui stesso. Proprio lui, il creatore dello scientista
Sherlock Holmes. L’ha raccontato alla medium Grace Cooke, e il marito Ivan Cooke
lo ha trascritto. Grande eloquenza, sentita e operante, la solita materia delle sedute
spiritiche, cieli, paradisi, reincarnazioni, buoni consigli e buoni sentimenti,
una o due scoperte (Francesco Bacone era un Saggio Rosacroce, col nome di
Maestro R.), citazioni, anche dal “Popol Vuh”, e riflessioni: che senso ha p.
es. l’eternità, massa informa di coscienza, “come un uovo senza il guscio”? Le
solite scemenze – la guarigione dalle malattie attraverso i raggi di vibrazione:
primo compito della guaritrice sarà di scoprire il colore con cui vibra il suo
cliente, il giallo indica tubercolosi, il rosso avvelenamento del sangue, il
viola cancro, l’azzurro il sistema nervoso. E con una particolarità, la cosa
che più ne resta, riconducendo l’aldilà di ACD a Bagnaia nei monti Cimini.
Proprio, in provincia di Viterbo.
Più interessante è il
contorno. È la Fratellanza Polare che indica a ACD la via della testimonianza,
creata a Parigi da “un giovane romano”, in un data imprecisata, attorno alla
prima guerra mondiale. Nel 1908 il giovane ha incontrato a Viterbo un vecchio
saggio, padre Giuliano, una sorta di eremita, che gli affiderà, “al momento
dell’addio, alcuni fogli ingialliti dal tempo. Si trattava di un piccolo frammento
del «Libro della Scienza della Vita e della Morte». Le pagine contenevano un
sistema aritmetico che permetteva di ottenere risposte a qualsiasi domanda”.
Due anni più tardi, in un momento di difficoltà, il giovane consulta il manoscritto
e ne ottiene una risposta “sorprendentemente corretta e piena di grande
saggezza”. Dopo qualche tempo, l’“Oracolo della Forza Astrale”, come il testo è
ora denominato, “comandò al giovane e ad un suo amico di andare a Parigi e di
iniziare un gruppo che si sarebbe chiamato «Fratellanza Polare»”. Lo fecero,
aprirono una sede della Fratellanza in “splendidi locali nella Avenue Junot,
sulle pendici occidentali di Montmartre”, e stamparono una rivista mensile, “Bulletin
des Polaires”, che “raggiunse una tiratura di diecimila copie”. Col privilegio
di indirizzare ACD dopo morto.
Un libro già tradotto nel
1983, che sempre si ristampa. Sottotitolato “a cura di Ivan Cooke, scritto
medianicamente da Grace Cooke”. Ivan si dice uno che “da ragazzo aspettava con
ansia l’arrivo di «Strand Magazine»”, il mensile che rese celebre Sherlock
Holmes. Grace Cooke si definisce “nota medium, scrittrice e veggente”, che fin
da bambina ebbe a “custode” Aquila Bianca, da cui ebbe il nome di “Minesta”, arrivata
allo spiritismo per l’incontro con Estelle Stead, direttrice della biblioteca
Stead Boderland in Smith Square, Westminster, vicino allo Psychic Bokshop, la
libreria spiritualista aperta da ACD e affidata alla figlia Mary.
Arthur Conan Doyle, Il libro dell’aldilà, Edizioni Mditerranee,
pp. 134 € 13,50
mercoledì 19 agosto 2020
Il Pd spensierato alla sconfitta
Il
conto è facile: Liguria e Veneto restano alla destra, le altre cinque regioni
dove si vota il 20-21 settembre, gestite dal Pd, sono a rischio. Non tutte: in
Toscana il voto dovrebbe essere quello Pd tradizionale, e la Campania resta a De Luca, PD trasversale, ma in Puglia, regione importante, la sinistra rischia, come nelle Marche, e anche in Valle d’Aosta –
dove la Lega, vincitrice nel 2018, è stata “ribaltata” da alcuni consiglieri
regionali. E Reggio Calabria passerà dal PD a Salvini, nientemeno - svolta inevitabile dopo una sindacatura Dem disastrosa di Falcomata figlio.
Il
Pd non può vincere il voto di settembre, può solo perderlo, ma non se ne cura.
Si occupa solo di alleanze elettorali con i 5 Stelle del tutto inaffidabili –
sia come movimento che come elettori.
Giocando,
non c’è altro termine, ai giochi di Di Maio – di Di Maio... E di Grillo, un comico,
un cinico – uno che la mattina si mette all’estrema destra, con Farage, e il
pomeriggio a sinistra. Il partito che vanta gloriose tradizioni, tra Dc e Pci, e
sa solo gestire gli affarucci.
Il
curioso è che il Pd non rischia per colpa-merito dell’opposizione, che
anch’essa non ha argomenti. Ma questa opposizione, confusa più che reazionaria,
è l’unica scelta, seppure come voto di protesta. Di fronte al niente: a un
governo in cui il Pd non incide per nulla – a parte la questione Mes, che non
interessa a nessuno. Non sulla disoccupazione, che raddoppia e forse triplica.
Né, soprattutto, sulla ripresa della scuola, lasciata all’approssimazione 5
Stelle. Dopo il blocco di chiese, teatri, cinema, treni, mentre aerei e discoteche possono affiliarsi - e senza nessun controllo, di nessun tipo. Che governo! L’apertura
delle scuole nel caos fra tre settimane, appena una settimana prima del voto, potrebbe essere
catastrofica per un partito come il Pd.
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Si dice in città,
Sinistra sinistra
L’uomo che sconfisse Berlinguer – e la Fiat
Resterà
per la “Marcia dei Quarantamila” impiegati e operai della Fiat che a ottobre
del 1980 completò la sconfitta sindacale del Pci, dopo quella politica di un
anno prima a opera di Andreotti. Andreotti aveva siderato il Pci di Berlinguer al
voto del 1979 dopo quattro anni di governicchi da compromesso storico, Romiti
completò l’opera sul piano sindacale, con un diretto destro a Berlinguer, due
settimane appena dopo l’invito del segretario Pci a occupare le fabbriche.
Sono
riservati oggi gli elogi di Cesare Romiti imprenditore. Uno importante, avendo
gestito la Fiat per un quarto di secolo, e la Rizzoli Corriere della sera per
altrettanti anni. Che però ha portato al quasi fallimento, non avendo saputo risanarne
le ferite.
Nel
1966 il professor Valletta lasciava la Fiat a Gianni Agnelli quarto produttore
mondiale di automobili, dopo le tre grandi americane – avrebbe voluto lasciarla
a Gaudenzio Bono, ma l’Avvocato pretese la successione e se la prese. Nemmeno
otto anni e l’Avvocato era da Cuccia a Mediobanca a chiedere aiuto. Cuccia
diede i soldi, e impose Romiti. Romiti aprirà la stagione del “fare i bilanci”,
cioè pagare qualcosa alla Famiglia, agli azionisti Fiat, senza più investire
nell’auto: una Fiat senza modelli nuovi, che rapidamente perse il mercato
interno, dai due terzi a meno di un terzo. Lo stesso col gruppo editoriale
milanese, che Cuccia volle sovvenzionato dalla Fiat: qui perdite senza utile,
né commerciale né politico o d’immagine.
Non
lascia peraltro eredi, se non i figli, che ha promosso in tutti i modi senza
fortuna. Mentre ha silurato tutti i manager che lo hanno aiutato. Per primo
Vittorio Ghidella, inventore degli unici due modelli nuovi della lunga gestione
Romiti, la Panda e la Uno, poi Punto: cacciato. Per la presidenza della
Confindustria ha fatto campagna contro Carlo Callieri, l’ideatore della Marcia che sola lo immortala.
E
così il giudizio resta sospeso nei commenti. Il merito politico non si può far
valere, volendosi Romiti della melassa Dc che ha fagocitato i resti del Pci.
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Contro l'odio - l'educazione europea
Un’altra Europa. In guerra
contro Hitler, che pure era europeo, ma un solido modo d’essere. Un’Europa non
germanica, bisogna pur dirlo – l’Europa o è inglese o non è, è per questo che
l’Unione Europea è anemica e afasica, perché Londra non ne è convinta e anzi se
ne vuole andare?
“Educazione europea” è
l’educazione all’odio, nella narrazione che ne viene facendo il giovane
intellettuale polacco della Resistenza che morirà alla vigilia della
Liberazione. È “bombe, massacri, ostaggi fucilati, uomini obbligati a vivere in
buche, come le bestie”, o “come trovare il coraggio e buone ragioni, molto
valide, molto giuste, per uccidere un uomo che non vi ha fatto niente”. Da
Londra, dove era con la Francia libera di De Gaulle, Gary racconta nel 1945, a
guerra appena conclusa, la resistenza in Polonia. Il suo primo romanzo, e il
primo della Resistenza, di successo immediato. E di lettura resistente: un
notevole esito letterario, a tre quarti di secolo dall’uscita. Per la
scrittura, semplice, rapida (con un paio di curiosi capitoli “malapartiani”, di
realismo surreale), oltre che per la causa – all’uscita del romanzo il mondo
respirava per la caduta di Hitler. E per l’equilibrio, benché scritto e
pubblicato in una fase revanscista: contro tutte le guerre, contro tutte quelle
dell’odio nazionalista, con notevoli episodi di morti tedeschi innocenti – il
patriottismo sì, “è l’amore dei suoi, il nazionalismo è l’odio degli altri”.
Buon conoscitore del polacco
e della Polonia, avendovi fatto gli studi medi e superiori, e addetto a Londra
al collegamento con gli aviatori polacchi, che alla sconfita nel 1939 erano
passati in massa, con i loro aerei, in Inghilterra, Gary riesce a raccontare
credibile una guerra che non ha fatto. Sartre lo ha giudicato il miglior libro
mai scritto sulla Resistenza, e per una volta non si è sbagliato. Un romanzo
semplice, di formazione: il ragazzo che s’impersona nelle avventure di
Winnetou, il pellerossa gentiluomo, e di Old Shattered, rimarrà orfano del
padre e della madre, la prima razziata per i comodi della divisione d’élite Das
Reich, il padre ucciso dopo avere vendicato la madre. Farà la Resistenza, ma è
un eroe comune.
L’educazione europea – una vvera
educazione - è in filigrana alla semplicità, onesta, e al superamento dei
nazionalismi. Missione incompiuta, anche al suo interno: il racconto non è
apologetico. Alla seconda scena la guerra tedesca si condanna da sé, senza
esagerare: la razzia di donne ha un nome strategico, “metodo Koch” o “il lupo
fuori dal bosco”, per costringere gli uomini a uscire dalla clandestinità e
tentare di salvare mogli, fidanzate, figlie. Con questa nota: “Apprendo che
questi propositi sono in frealtà di un altro. Li mantengo tuttavia in bocca al Gauleiter Koch per fedeltà alla sua
memoria”. Ma Winnetou e Old Shattered, le letture da cui il ragazzo polacco non
si separa mai, sono creazione di Karl May, lo scrittore tedesco.
Geniale, di architettura politica
oltre che letteraria, la trattazione della “doppia” Russia, che occupa la Polonia
al seguito di Hitler, e poi lo sconfigge a Stalingrado. Nella figura di un
padre e un figlio ucraini, il padre nella Resistenza il figlio - già a 27 anni –
generale di Stalin. Che dapprima facilita il passaggio dei tedeschi nello
stesso borgo natio, e poi sarà un eroe nella difesa di Stalingrado.
Romain Gary, Educazione
europea, Neri Pozza, pp. 271 € 13,50
Un’altra Europa. In guerra
contro Hitler, che pure era europeo, ma un solido modo d’essere. Un’Europa non
germanica, bisogna pur dirlo – l’Europa o è inglese o non è, è per questo che
l’Unione Europea è anemica e afasica, perché Londra non ne è convinta e anzi se
ne vuole andare?
“Educazione europea” è
l’educazione all’odio, nella narrazione che ne viene facendo il giovane
intellettuale polacco della Resistenza che morirà alla vigilia della
Liberazione. È “bombe, massacri, ostaggi fucilati, uomini obbligati a vivere in
buche, come le bestie”, o “come trovare il coraggio e buone ragioni, molto
valide, molto giuste, per uccidere un uomo che non vi ha fatto niente”. Da
Londra, dove era con la Francia libera di De Gaulle, Gary racconta nel 1945, a
guerra appena conclusa, la resistenza in Polonia. Il suo primo romanzo, e il
primo della Resistenza, di successo immediato. E di lettura resistente: un
notevole esito letterario, a tre quarti di secolo dall’uscita. Per la
scrittura, semplice, rapida (con un paio di curiosi capitoli “malapartiani”, di
realismo surreale), oltre che per la causa – all’uscita del romanzo il mondo
respirava per la caduta di Hitler. E per l’equilibrio, benché scritto e
pubblicato in una fase revanscista: contro tutte le guerre, contro tutte quelle
dell’odio nazionalista, con notevoli episodi di morti tedeschi innocenti – il
patriottismo sì, “è l’amore dei suoi, il nazionalismo è l’odio degli altri”.
Buon conoscitore del polacco
e della Polonia, avendovi fatto gli studi medi e superiori, e addetto a Londra
al collegamento con gli aviatori polacchi, che alla sconfita nel 1939 erano
passati in massa, con i loro aerei, in Inghilterra, Gary riesce a raccontare
credibile una guerra che non ha fatto. Sartre lo ha giudicato il miglior libro
mai scritto sulla Resistenza, e per una volta non si è sbagliato. Un romanzo
semplice, di formazione: il ragazzo che s’impersona nelle avventure di
Winnetou, il pellerossa gentiluomo, e di Old Shattered, rimarrà orfano del
padre e della madre, la prima razziata per i comodi della divisione d’élite Das
Reich, il padre ucciso dopo avere vendicato la madre. Farà la Resistenza, ma è
un eroe comune.
L’educazione europea – una vvera
educazione - è in filigrana alla semplicità, onesta, e al superamento dei
nazionalismi. Missione incompiuta, anche al suo interno: il racconto non è
apologetico. Alla seconda scena la guerra tedesca si condanna da sé, senza
esagerare: la razzia di donne ha un nome strategico, “metodo Koch” o “il lupo
fuori dal bosco”, per costringere gli uomini a uscire dalla clandestinità e
tentare di salvare mogli, fidanzate, figlie. Con questa nota: “Apprendo che
questi propositi sono in frealtà di un altro. Li mantengo tuttavia in bocca al Gauleiter Koch per fedeltà alla sua
memoria”. Ma Winnetou e Old Shattered, le letture da cui il ragazzo polacco non
si separa mai, sono creazione di Karl May, lo scrittore tedesco.
Geniale, di architettura politica
oltre che letteraria, la trattazione della “doppia” Russia, che occupa la Polonia
al seguito di Hitler, e poi lo sconfigge a Stalingrado. Nella figura di un
padre e un figlio ucraini, il padre nella Resistenza il figlio - già a 27 anni –
generale di Stalin. Che dapprima facilita il passaggio dei tedeschi nello
stesso borgo natio, e poi sarà un eroe nella difesa di Stalingrado.
Romain Gary, Educazione
europea, Neri Pozza, pp. 271 € 13,50
martedì 18 agosto 2020
Problemi di base storici bis, heideggeriani - 589
spock
“La storia è il tratto specifico dell’uomo”, Heidegger?
“Pure i negri sono uomini, ma non
hanno una storia”, Id.?
“Anche la natura ha la sua storia”,
Id.?
“Ma allora anche i negri hanno una
storia”. Id.?
“Non tutto ciò che trascorre entra
nella storia”, Id.?
“L’aereo che porta Mussolini in
visita da Hitler fa la storia”, Id. ?
spock@antiit.eu
L’Italia (filosofica) non ama lo scetticismo
Rensi curiosamente sostiene che
lo scetticismo non è italiano. Un saggio di politica accademica, degli studi e
dell’insegnamento, più che un pensiero scettico o sullo scetticismo.
Lo scetticismo è la posizione
naturale del filosofo, spiega: una parola che nell’origine, il greco skeptikós, “sottile osservatore”, dice
tutto. Per questo non piace in Italia, alla filosofia italiana?
Il dubbio è un’accusa: in Italia
si può essere di tutto, idealisti, pragmatisti, metafisici, positivisti, rivoluzionari
e\o conservatori – persino conservatori o qualcosa del genere – ma non ci si può
dichiarare scettici. Cassata la definizione di scettico, quello che sostiene la
“singolare fede” dell’impossibile verità o falsità di una qualsiasi proposizione.
Argutamente presentato in questi
termini da Armando Torno – che fa un’eccezione per Mario Dal Pfra, per il suo
studio dello scetticismo greco.
Giuseppe Rensi, Apologia dello scetticismo, La vita
felice, pp. 134 € 10,50
lunedì 17 agosto 2020
Ombre - 526
Un
ferroviere a Palermo trova un portafogli nel treno dall’aeroporto e lo fa restituire
al proprietario: una turista di 26 anni. Fa notizia il ferroviere che
restituisce il portafogli, non che la turista ci tenesse dentro 5.370 euro in
contanti.
Niente
sospetto di riciclaggio: la giovane è francese e non meridionale. O la moneta
non ha più valore?
A
Concetto Vecchio sul “Venerdì” Paolo Cirino Pomicino, vecchio potentato Dc, può
tranquillamente spiegare che la figlia “Ilaria, regista, per dieci anni aiuto
di Lina Wertmüller, non ha più lavorato in Rai dopo due grandi successi sulla
prima rete per il veto della figlia di Nino Andreatta, mio storico avversario nella
Dc”. Ed è vero. La prima Repubblica era fatta così, e non è
morta.
Allo
stesso Vecchio Pomicino può tranquillo spiegare che ha patteggiato “due mesi
per un cumulo di accuse surreali”. Che gli fu poi spiegato dall’accusatore, un
certo Araldi vice-presidente di Padania, un’assicurazione: “Se non avessi detto
ad Antonio Di Pietro di averle dato 400 milioni di lire, lui non mi avrebbe mai
scarcerato”. Anche questo vero, il ricatto del giudice.
Se
non che questo Di Pietro, che tra le tante cose si fece dare da uno dei suoi
indagati 100 milioni di lire (“glieli ho restituiti in una scatola da scarpe”),
è considerato un padre della patria.
Non
si capisce nulla del pasticcio F 1, tra Mercedes, Williams, MacLaren, Aston
Martin, Racing Point, Toto Wolf, Lawrence Stroll. Forse i cronisti di F1 vanno
veloce come le macchine. Ma una cosa è certa: dove si parla tedesco non c’è
colpa. Anche ai tempi della F1 di Ecclestone, che è inglese: non c’erano
ricorsi ammissibili contro Mercedes, solo contro gli altri. E il bello – si
dice per dire – è che Mercedes probabilmente non li paga, basta la parola.
Nella
tragicommedia dei parlamentari che hanno chiesto il sussidio covid, non uno dei
cinque che abbia detto: sì, sono io, e l’ho fatto per un motivo qualsiasi. Tutti
zitti, sperando che la Privacy impedisca di pubblicarne i nomi. La stupidità in
effetti è totale, non è un sotterfugio: ci sono “persone stupide”. Il problema
semmai è chi li vota al Parlamento.
Michela
Di Biase, politica Pd di lungo corso, lancia la sua candidatura a Roma contro
la sindaca uscente Raggi così: “È egoriferita ed eterodiretta dal M5S”. Ma dove
le trova il Pd?
Nessun
commento – notizia, lamentela, proposta – sui cristiani a Beirut. Sappiamo
tutto (quasi tutto) di Hezbollah, sunniti, sciiti, che hanno vissuto e vivono a
Beirut alle spalle dei cristiani (sanità, scuole, banche, turismo), ma nessuno
che dica qualcosa dei cristiani. Che pure, malgrado tutto, sono ancora gli
unici libanesi che lavorano, invece di farsi la guerra.
È
vero che il presidente è cristiano, Michel Aoun. Un generale. A cui i siriani ucciso
il figlio. Che poi si è messo con i siriani ammazzalibanesi.
Lo
stesso di Assad. Se ne dice tutto il male possibile, ma solo per lo sterminio
che sta perpetrando dei suoi residui oppositori dopo la guerra civile. Senza
mai ricordare la sua personale invasione del Libano, e quella di suo padre. Due
che hanno distrutto, oltre che il Libano, anche la Siria, paese mezzo secolo fa
– prima degli Assad – civilissimo.
Si
ricandida Raggi, contro l’incredibile inefficienza da sindaco (che ora colma
distribuendo soldi a posti a tutti – letteralmente tutti), contro lo statuto
del suo partito (tre candidature invece di una), contro l’alleato di governo
Pd. Tutti senatori, anche le cavalle. Ma il problema non è Raggi, come darle
torto? È votatissima.
L’Europa
la spiega bene Bertolino, il comico, a Renato Franco sul “Corriere della sera”:
“Ricorda quelle comitive che vanno al ristorante a mangiare, ma appena arriva Draghi
con il conto iniziano a discutere: i frugali dicono che hanno preso solo la minerale,
mentre italiani e spagnoli sono quelli che richiedono subito le bottiglie di
roba buona per tutti. La Merkel protesta perché lei beve la birra”.
Beyoncé
vuole ripartire dall’Africa, “dall’“orgoglio nero”: “Credo che si possa spostare
l’asse del
mondo”.
In Africa? Beyoncé non sa nulla dell’Africa, e non se ne cura. Non è la prima,
si parte dal secondo Ottocento, da Marcis Garvey, la Liberia e altri affarucci
andati male. Nessuno con conosce meno l’Africa – che pure è tutta lì, squadernata
–meno degli afroamericani.
Si
direbbero gli afroamericani più “americani” di tutti: continentali, cioè,
chiusi al mondo, se non per il dovere parrocchiale di generosità.
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La Sicilia al rovescio
Un siciliano a cui non piace
“futtiri”. E la lettera anonima, altro topos
siciliano, in un nuovo sceveramento, a sorpresa. Un altro aneddoto “grasso”,
i preferiti di Camilleri, estratto dalla raccolta “Gran Circo Taddei”. E uno
invece delicato, dalla raccolta “La regina di Pomerania”, che resterà, in poche
pagine, un classico della sicula sociologia dell’anonimo.
La tematica è unica e sola, e
siciliana: le corna. La resa è un controcanto beffardo alla sicilitudine, alle
frasi fatte. Il siciliano giovane, bello, ricco, non ne può più: va solo con la
moglie, si è sposato giusto per l’insistenza della madre, e anche le voglie della
moglie, bella donna, lo stomacano. L’anonimo è diverso: verso la fine del 1945 si sparge a
Vigata, con la liberazione, la mania delle lettere anonime - come oggi con i
social: una novità per i vigatesi, che preferivano sparlare a voce invece che
per iscritto, per non lasciare tracce, ma la repubblica sciolse le reticenze e
le riserve e una fiumana di lettere si riversò su ogni destinatario, anonime ma
con effetti, almeno uno, compassionevole.
Andera Camilleri, Il merlo parlante, La Repubblica, pp.
45
La lettera anonima, id, pp. 44, gratuitamente col giornale
domenica 16 agosto 2020
Secondi pensieri - 427
zeulig
Amore – È un divenire, un costante
inizio.
Condizionato, certo.
Nelle forme che ha il nostro futuro, di essere dietro le spalle – il passato è
il nostro presente-futuro: l’imprinting, la scoperta, la
costruzione, seppure accidentale.
Un costante inizio
tanto più in quanto accidentale, irriflesso.
Dialetto – Ritorna nel mondo
globalizzato. Che sembra un controsenso ma non lo è. Nella letteratura no – nella
narrazione, nella poesia è sempre stato di largo accesso. Nelle immagini sì, la
caratterizzazione dei personaggi a
teatro e al cinema passa attraverso la lingua parlata, come tipizzazione linguistica,
ma soprattutto come caratterizzazione dialettale. Specie in americano, per la
multiforme etnicità e geografia, e in italiano, avendo l’unificazione perduto
presto il carisma. Col ritorno, oggi, del napoletano, il siciliano, il
lombardo, il veneto, anche il toscano, rispetto alla supplenza unificante
esercitata dal romano (romano e non romanesco, l’italiano nella lettura romana),
diffusa quando l’immagine era solo filmica (film a soggetto) e, se televisiva,
della romanissima Rai.
Ritorna come
espressione prima e primordiale, “naturale”, mentre s’indebolisce la lingua nazionale,
canonica, in favore dell’inglese nella terminologia internet, elettronica, dell’immagine
(film, video, foto, instagram, youtube…), commerciale, finanziaria (partendo
dal conto corrente e la carta di credito). Il “glocale”, globale e locale,
muove nel senso del locale: il globale è lingua delimitata, aggiornabile, ma legate
ad alcune “cose”, il locale è “la” lingua, la forma espressiva.
Il global ha esautorato-indebolito la
lingua, l’inglese ma anche la lingua nazionale, sempre più meri artifici
tecnici. Si parla italiano per non dire, l’inglese come un qualsiasi strumento
utile, un cacciavite o una pialla.
Dialetto
è la parola spesso “schietta”, di sonorità cioè che evocano-mimano-rappresentano
realtà complesse – le realtà sono sempre complesse. “Linguaggio più colorito e
spontaneo”, lo dice il linguista Antonelli. “Efficace”, aggiunge, per esempio negli
hashtag , e quindi nei social, compreso
il telegrafico twitter. Antonelli ricorda (“La Lettura”, 9 agosto) che una
Giornata nazionale del dialetto è all’ottava edizione annuale, e che più campagne
pubblicitarie si sono tenute all’insegna del dialetto. Culminando nelle “dielettichette”
industriali: le etichette per esempio della Nutella con 135 espressioni dialettali
di 16 diverse aree linguistiche, all’insegna: “Nutella parla come te”. Un campo
comunicativo aperto da Sophia Loren nel lontano 1992, che a conclusione di un
lungo spot su un certo prodotto, invece della battuta da copione tagliò corto con
un “Accattatevillo”, compratevelo, un consiglio che in dialetto è più efficace
perché sintetico e apparentemente più sincero.
Sophia
Loren apriva un filone che Antonelli sintetizza così: “Una parola in dialetto
vale più di 1.000 frasi o sinonimi in italiano”. Il rapporto è invertibile: sul
piano dei contenuti, anche una parola italiana può valere più di 1.000 frasi o
sinonimi in dialetto. Che spesso è conciso, ma non sempre - non per esempio in
napoletano. Diverso è invece il potere evocativo del dialetto, all’interno
della comunità dialettofona, che lo condivide. E quindi la sua capacità di comunicazione.
E di caratterizzazione. Il caso è de “L’amica geniale”. Il romanzo rifiuta di
programma ogni battuta dialettale, sia pure la più comune o innocua. Mentre il
film tv si basa – gli sceneggiatori, tra essi soprattutto Francesco
Piccolo, rìtengono di necessità – sul
dialetto. Ma allora non sulla parola-concetto, sulla parola-suono: il
dialogo si vuole una sorta di accompagnamento musicale dell’immagine,
spesso distorto o tronco nella pronuncia, come le parole all’opera, che per il
significato rinvia alla didascalia, indirettamente alla cosa, specie le
sensazioni indistinte o poco distinguibili (sinonimi).
La
lingua nasce, si comporta, per riduzione e non per incremento? Per il fatto
stesso di volersi-doversi (insegnamento, editoria, media) regolarizzare,
classificare.
Sfumature
– ricchezze – palpabili per esempio nei due casi ancora accetti del (ri)uso del
dialetto, di Pasolini e Gadda: che si dice romanesco, ma è di fatto due romaneschi,
uno impiegatizio di immigrazione recente e di semi-periferia (via Merulana è un
centro non più centro, centro di immigrazione, allora ministeriale, nel dopoguerra), uno di borgata e giovanile. Due
diversi ritmi, due pronunce, un vocabolario (parole) diverso, due linguaggi.
Pertinenti – probabilmente, quién sabe –
comunque significativi.
“La Lettura” ne ha segnalato l’altra
settimana il ritorno come lingua più schietta, non artificiosa, seppure
limitata, al campanile, alla classe sociale, al gruppo. Ma per ciò più
“autentico”, in quanto “democratico”, alla portata-capacità dello scemo del gruppo
o del villaggio. Lingua di strada, rione, quartiere in città, dove si è
cresciutio. Roma ha una distinta loquela e parlata (sonorità, giro di frase)
per Roma Nord e per Trastevere, o Testaccio, o Garbatella. Una maniera d’essere,che
non si pensava si erigesse a lingua. O la lingua si sbriciola, riducendosi,
fino all’incomunicabile, se non per grandi cenni-concetti, senza le sfumature.
Il ritorno del dialetto è una
germinazione spontanea, non istituzionale (programmata, regolata), ma limitativa,
anche di senso. Il dialetto non è produttivo se non per differenza da una
lingua.
Realtà – Complessa
sempre, e per questo mai chiara, univoca
Reazionario – Se ne perde la
connotazione nella caduta della dialettica politica destra-sinistra. E nella
semplificazione del linguaggio. È infatti concetto stratificato.
Carlo
Cassola vuole Renato Fucini “reazionario” perché si occupa di mondi e locuzioni
che vanno a scomparire. Ma non è questo il senso, questa è conservazione. Erano
conservatori Franchetti e Sonnino, che con la “Rassegna settimanale” nella
quale pubblicavano Fucini trattavano tutti i problemi sociali dell’Italia. Li
decidevano da un punto di vista liberale, e quindi conservatore, ma non reazionario:
non erano per il mantenimento di strutture perente, o squilibrate.
Uno
dei racconti di Fucini ne dà bene la
complessità, “Perla” (nelle “Veglie di Neri”). Una cagnetta smarrita, “di una
razza molto rara”, vale una dozzina di carciofi per il barrocciaio che l’ha
rinvenuta lercia e smarrita lungo la strada, e niente in casa del contadino che
l’ha persa dal barrocciaio, una bocca inutile, “perché quando si doveva
prendere un cane, dissero, era meglio prenderlo da caccia”, e viene eliminata.
Vale invece 400 lire per il colonnello d’artiglieria, che è disposto a pagarle
per riavere indietro la cagnetta e rimediare allo “stato di disperazione nel
quale da tre giorni si trovava” la sua figliola. Il bisogno, la bocca in più da
sfamare, si scontra col rispetto e l’amore degli animali, sia pure per il
capriccio di una bambina. Il necessario col superfluo. Il povero col ricco. L’ignoranza
anche con la civilizzazione. È l’ignoranza una colpa? E l’insensibilità quando
si scontra col bisogno?
Il
contadino, nel mondo di Fucini, tardo Ottocento, positivo e borghese, liberale
anche illuminato, è reazionario. Ma lo è?
zeulig@antiit.eu
Le fate positiviste di Sherlock Holmes
Il padre di Sherlock Holmes
credeva alla fate. Come tutti un po’ in famiglia - il padre da ultimo anche nel
manicomio - ma non è tutto. Massimo Introvigne e Michael W. Homer, che hanno
curato la traduzione in italiano, una edizione Sugarco del 1992, la aprono maliziosi: “1917: la
Madonna appare a Fatima, in Portogallo. Non viene fotografata. La stampa laica
e positivista si chiede con gravità come sia possibile credere, in pieno secolo
ventesimo, a questo genere di «superstizioni medievali» e denuncia il rischio
di un ritorno ai «secoli bui». 1917: le fate appaiono a Conttingley, in
Inghilterra. Vengono fotografate. La stampa laica e positivista – a partire dal
noto «Strand Magazine» - le prende assolutamente sul serio”.
Un po’ come le teste di
Modigliani, uno scherzo, ma molto meno verosimile. Di bambine pensose
attorniate in foto da farfalle svolazzanti contro ogni legge prospettica. In
pose copiate da un libro illustrato di successo per bambine, “Princess Mary’s
Gift Book” - pubblicato dallo stesso editore di Conan Doyle, e con un suo scritto... Uno scherzo innocente, di due ragazze, due cugine, per mostrare alle
madri inquiete il loro uso innocente delle scappatelle – lo scherzo sarà
confermato dalle due cugine nei primi anni 1980. Ma non per Conan Doyle. Alla
cui attenzione le foto furono portate da un parente delle ragazze, uno spiritista.
Era il 1920, il creatore di Sherlock Holmes era al culmine della sua infatuazione
spiritista, e delle fate svolazzanti fece saggi “scientifici” per lo “Strand
Magazine”, il periodico nel quale era nato anche Sherlock Holmes: “Queste
fotografie segneranno un’epoca nel pensiero umano”. Due lunghe trattazioni, subito poi confluite in questo libro.
Conan Doyle, scozzese di Edimburgo nato e
cresciuto cattolico, a diciassette anni aveva optato per le “scienze positive”,
seguendo in un primo momento i Mormoni. Poi, disturbato dalla poligamia, a
ventisette anni entrava in una Loggia massonica di rito inglese, Rosacroce, e
optava per lo teosofia e lo spiritismo: era il 1886, lo stesso anno in cui
creava Sherlock Holmes, “Uno studio in rosso” – dello spiritismo sarà un missionario
appassionato per quasi mezzo secolo, fino alla morte nel 1930.
L’edizione Introvigne-Homer è arricchita di
numerose foto, delle due cugine con e senza le fate, e altre che furono
pubblicate nel corso della polemica. Con il testo dell’intervista filmata Movietone
a Conan Doyle per i cinegiornali Fox nel 1929, circa venti miniti, re-diffusa l’anno
dopo alla morte del celebre scrittore. Il volume Sugarco riprende la trascrizione
che il “New York Times” pubblicò il 26 maggio 1929, con l’elogio della capacità
di Conan Doyle di “bucare lo schermo”, poi non più ripresa. “Quando parlo di
questo soggetto”, dice fervoroso il positivista dello spiritismo, “non parlo di
quello in cui credo e non parlo di quello che penso: parlo di quello che so”.
Arthur Conan Doyle, Il ritorno delle fate
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