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sabato 29 agosto 2020

La Fed di Trump rivoluziona la politica monetaria – si baserà sul lavoro

Non è più l’inflazione, è la disoccupazione il criterio base della politica monetaria. La Federal Reserve americana ha introdotto una novità che potrebbe fare testo, anche in Europa, dove la Bce resta  arroccata sul vecchio fondamento dell’inflazione al di sotto del 2 per cento – quando Draghi, l’ex presidente, ha dovuto faticare per anni per stimolate la domanda e portare l’inflazione al 2 per cento, per prevenire la deflazione, quando il problema è la deflazione, se non, come ora, la recessione.
Una rivoluzione monetaria e anche sociale, seppure da destra. Nei tardi anni Settanta Eugenio Scalfari, neofita del Pci, rimproverava il Partito da “la Repubblica”, dopo il dissennato accordo dei sindacati con la Confindustria di Gianni Agnelli per il punto unico di contingenza: “Dovete imparare che esiste il tasso di sconto”.  Oggi è la Federal Reserve trumpiana che esibisce a Wall Street le esigenze sindacali.
Una Fed “trumpiana” in questo caso per dire poco dogmatica, non ortodossa. Ma non  avventata: la Fed deciderà l’andamento dei tassi valutando “le carenze occupazionali del mercato del lavoro rispetto al suo livello massimo” – invece che “le deviazioni dal suo livello massimo”. Scontando che in questa fase la disoccupazione “sarà alta per un paio d’anni”. Concludendo: “L’economia è in continua evoluzione e, per raggiungere i suoi obiettivi, la Federal Reserve deve adattarsi alle nuove sfide”.
Nulla di questo a Francoforte – per ora. Dove pure la banca centrale europea è gestita da banchieri popolari e socialisti. Vige l’ortodossia germanica, che unicamente ha in mente l’inflazione, anche in fasi come ora di depressione. Ma l’iniziativa della Fed imporrà, benché trumpiana, un adeguamento anche alla Bce.
Un primo effetto dell’annuncio americano, effettuato in pompa, a un convegno online dei banchieri centrali di tutto il mondo, è stato di rafforzare ulteriormente l’euro nei confronti del dollaro. Un cambio già troppo alto, sfavorevole alle esportazioni europee. E la disoccupazione in Europa è elevata, molto più che negli Usa. Lo era prima del coronavirus, e lo è ora con le prime riaperture.  

Ci vuole musica al Sud

Sulla traccia della “Malingredi”, i racconti di Africo di Gioacchino Criaco, il cantautore bovalinese ha imbastito un intrattenimento impegnato e gradevole – il primo che si è potuto tenere a celebrazione del ventennale della Scuola di Musica di Delianuova, per i problemi del coronavirus. Tra elegiaco, “L’albero di more” più direttamente ispirato dalla “Malingredi”, lo stesso “Aspromonte”, un’ode alla montagna gentile sui toni del rimpianto (“L’Aspromonte non ha parole,\ vede i figli andare altrove,\ ognuno che parte colpisce\ ognuno che parte tradisce…”), , e divertito - la “rivoluzione di Africo”, fermare il treno degli studenti a fine giornata scolastica tirando l’allarme, la fermata non essendo prevista, per sette anni. Con uno spruzzo di grecanico, l’inno “Ilio”, sole, la minoranza linguistica ritrovata. E una celebrazione del dialetto, con l’ormai classico inno sardo all’amore, “No potho reposare” – Sofia è all’origine del classico dei QuartAumentata, “Dai diamanti non nasce niente”, dieci canzoni di De André tradotti nel dialetto della locride. 
Un concerto semplice. Sofia, animatore a lungo dei QuartAumentata, si esibisce in solitario, con accompagnamento discreto e sapiente di chitarra o bouzouki, che lascia campo libero ai suoni, senza altri effetti. Valorizzando il senso sociale della sua attività.
La Scuola di Musica di Delianuova, e la connessa Orchestra giovanile di Fiati, tra le prime se non la prima del suo genere, una scuola di musica in paese, vanta ormai un’esperienza nazionale, avendo entusiasmato il maestro Muti, che l’orchestra da poco costituita ha voluto nel 2008 a inaugurare il suo festival annuale di Ravenna. Un mondo periferico, anche scentrato, che si ritrova nel suono, nel canto, sa di utopia, ma questa, seppure minima, è reale.    
Paolo Sofia,
Ti racconto una storia, Auditorium Scuola di Musica di Delianuova

venerdì 28 agosto 2020

Con la Cina niente da dire

Singolare mancanza di argomenti tra Di Maio e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che ha aperto a Roma una tournée che si voleva storica in Europa. A Roma non solo, dove non si fa politica estera, ma poi a Parigi e Berlino.Di che parlare in effetti? Degli affari? Non sono cosa da Esteri, vanno avanti per le convenienze, e non hanno bisogno di spinte finché dura la convenienza – oggi tutti hanno interesse a produrre in Cina, costa poco o niente per la stessa qualità. Di Hong Kong non si può parlare, la Cina non vuole. La Cina vorrebbe parlare male degli Usa, ma con Di Maio non si può.
Tanto più freddo l’incontro sullo fondo del treno speciale, con “materiali per prevenire la pandemia”, ulteriore regalo di Pechino, arrivato a Milano mentre il ministro degli Esteri sbarcava a Roma, il China-Europe Express “Chang’an”. Mentre Grillo, mentore e capo di Di Maio, esaltava la Cina e attaccava gli Usa sul suo blog – la faceva esaltare, con apparente acribia, da un professore dichiarato filocinese, Fabio Massimo Parenti. 
I rapporti con la Cina sono arrivati al loro limite. Sono e saranno economici e finanziari, anche intensi, ma non altro. È un fatto, inscalfibile. Alla Farnesina dicono curioso che il realismo cinese non lo capisca – a meno che il presidente Xi non abbia perso, o stia perdendo, il senso della misura che ha caratterizzato la leadership cinese dal presidente Wang in poi, ormai quasi quarant’anni: Trump lo ha sfidato, vuole vedere le carte cinesi, e anche senza Trump la sfida andrà avanti.
La Cina è vicina, è anzi in casa da anni, il maggiore investitore estero in Italia, più dei tedeschi o degli svedesi, o degli americani, che poi non investono tanto all’estero. Ma più di tanto non può fare.

Storia sordida del cablaggio

Si completerà, dopo venticinque anni, con un ritardo enorme, e spreco interminabile di capitale pubblico, cioè a carico dei contribuenti, la connessione dell’Italia con la banda larga? C’è da dubitare, visti i precedenti. Ma quand’anche gli azionisti odierni – i capitali privati – di Tim e Enel si accontentassero, resta pur sempre che l’Italia arriva ultima nel cablaggio delle sue abitazioni, e a costi enormi. A costi pubblici enormi.
Venticinque anni fa partiva il progetto Socrate, di Stet-Telecom Italia, la telefonia allora pubblica,  per il cablaggio a banda larga di dieci milioni di abitazioni, tutta l’Italia. Il Socrate fu interrotto tre anni dopo l’avvio, nel 1998, quando aveva raggiunto un milione e mezzo di abitazioni, e dismesso – dappertutto, nelle città e nei paesi, capita di vedere tubi di gomma che emergono dal suolo alle porte delle case, scollegati: sono i resti del Socrate. Perché Telecom Italia andava privatizzata, e i padroni non volevano investimenti tra i piedi, giusto incassare la bolletta - l’esosissimo abbonamento che da cinque anni è perfino raddoppiato.
Partì con l’abbandono del progetto Socrate la lunga spoliazione di Telecom-Tim, che ora lo Stato prova a ricapitalizzare. E il ritardo dell’Italia, che ne era all’avanguardia, nella digitalizzazione - ora ha la più bassa velocitàinternet in Europa, se si tolgono la Macedonia e la Bosnia.
Questa storia però non sembra fare testo. Tim si tiene la rete nel patrimonio, anche se deve compartecipare la gestione con lo Stato (la Cdp, ex Cassa depositi e prestiti), a garanzia degli altri soci confluenti nella rete. Ma, di sicuro, non per altro, per scaricare sullo Stato altre eventuali perdite, la connessione dell’Italia si può scommettere che avrà ancora da aspettare – a meno che Cdp non si assuma tutto l’investimento.
Una storia sordida. Ma non unica nelle “privatizzazioni” italiane. I media le difendono su basi dottrinali, privato è efficiente, ma chiudendo gli occhi sui disastri che esse hanno comportato e comportano, per l’efficienza e i costi pubblici.

Heidegger filosofo per adepti

“I Quaderni neri partecipano a una rimessa in questione dell’opera di Heidegger che più che mai appare necessaria”: il proposito è dichiarato alla prima riga. Collocando il saggio in una lettura di Heidegger comunque critica. Aggravata dalla considerazione che i “Quaderni” non sono note casuali e sparse, ma scritti accurati, trascritti a ogni evidenza, non ci sono cancellature o ripensamenti, e ordinati. A compimento, come da volontà scritta, dell’opera, da qui il “criptaggio assassino”, sottotitolo d’assalto più che da studio.
Kellerer, già critica della disinvoltura politica di Heidegger, autrice di un saggio sul rifacimento che il filosofo operò dopo il 1945 di almeno uno dei suoi scritti anteguerra, un testo del 1938, per farlo passare come antinazista (“Rewording the Past. The Post-War publication of a 1938 Lecture by Martin Heidegger”, 2014), dichiara peraltro subito, nel prospetto, una posizione critica radicale: “I Quaderni apportano una conferma dell’uso sistematico da parte del loro autore di una strategia di confusione, la quale comporta due aspetti importanti. Da una parte il messaggio heideggeriano s’indirizza a un ‘piccolo numero’ di lettori o uditori e non agli uomini in generale. Il pensiero dell’Essere è in effetti concepito come combattimento contro la razionalità in quanto facoltà e valore universale, la comunicazione dovendo quindi farsi intenzionalmente  ambigua. D’altra parte, seguire la voce dell’Essere non riguarda l’emancipazione umana ma un processo di ‘risveglio’ tribale”.
Ripensare il nazismo
Sì, ma l’Essere, a parte l’esoterismo e il tribalismo? Linguaggio cifrato e tribalismo (e versificazioni in rima, appelli, svolte) infastidiscono e lasciano perplessi, ma il pensiero dell’Essere? Il problema è forse che Heidegger è un filosofo nazista – nazista seppure per un po’, come (quasi) tutti i tedeschi - ma filosofo. Bisogna ripensare Heidegger, probabilmente, ma di certo bisogna ripensare il nazismo.  
Kellerer propone all’attenzione molti dettagli. I “Quaderni” coprono ben 17 anni, 1931-1948 – sono quelli, si può aggiungere, del “problema nazismo”, dell’adesione e, dopo la sconfitta, della riqualificazione. “Heidegger fu il primo rettore di una università tedesca a proclamare apertamente la sua fedeltà al Führer” – contro il suo consiglio accademico, si può aggiungere, lo stesso che lo aveva eletto. I “Quaderni” Heidegger teneva “doppiamente segreti” (P. Trawny, il primo decifratore), ne era geloso, e ha stabilito di farne la conclusione della sua opera omnia.
Linguaggio criptato
Il saggio si vuole un primo tentativo di decrittare un pensiero che a ogni evidenza, Kellerer ripete, si vuole criptato. I “Quaderni”, sostiene, mettono in luce un aspetto particolare del pensiero heideggeriano e della sua espressione: “l’uso di un linguaggio indiretto che dà l’illusione di profondità filosofica, ma si rivela essere una mascheratura e anche una mistificazione”.
Questo è vero: del linguaggio di Heidegger poco o niente si riflette. Anche se a più riprese Heidegger vi si riferisce. Kellerer dà anche a questo proposito rilievo alla conferenza di Roma nel 1936, dove si spiega che “la frase, la lingua sono l’evento più elevato del Dasein umano”. Ma un po’ ovunque Heidegger si riferisce al petit comité, di intesi, sodali, quasi adepti. Del suo pensiero parlando a più riprese come di un “risveglio”.
Nei “Quaderni”, nota Kellerer, il riferimento alla comunicazione nascosta è costante. A  partire dalla “critica veemente” nel 1923 dei tentativi di Husserl, che pure era il suo maestro e mentore in cattedra, di elaborare una teoria della coscienza: la verità, spiega nel semestre invernale 1923-24 a Warburg, non concerne la conoscenza ma la “decisione”- il concetto di una conoscenza certa gabellando di “viltà di fronte alla ricerca”.
La verità è la decisione
Un atteggiamento teoretico, la decisione, che lo stesso Heidegger associa a “presa del potere” (Gesamte Aufgabe 17, p. 65) aggressiva. La conoscenza, è vero, volendo sempre radicale contro il “progresso”, l’aspirazione (illusione) di una conoscenza accumulativa, sempre più approfondita. Che è tema costante della sua riflessione. Contro Kant, contro l’illuminismo. Il problema è – Kellerer trova un’infinità di riferimenti in proposito – che “la parola essenziale”, il “dire autentico”, non possono indirizzarsi all’umanità come tale ma solo a “certi tipi umani, Menschentümer (GA 76, p.56, e 96, p. 257)”: a un “piccolo numero”, una “linea”, “nuova”, “a venire”, che è anche “dissimulata, di uomini che si interrogano” (GA 94, pp. 105, 299, 284: GA 96, p. 117).
Numerosi i riferimenti pro-Germania, pro-nazi all’inizio e nei primi anni della guerra. In particolare, all’alleanza russo-tedesca innalza una barriera tra chi ha la storia, la Germania, e chi non ce l’ha. Che sono tutti gli altri. Eccetto, eresia per un tedesco, sentimentalmente antislavo, la Russia. Viene poi la litania del “sangue”, della “terra”, del “popolo”. Da cultore sempre geloso della germanità della lingua.
Molto spazio è poi dedicato all’antisemitismo. Che c’è, ci deve essere, e come c’è, o si nasconde ma manifestandosi, si camuffa. “Umanità senza radici”, “assenza di suolo”, e la frase non tanto criptica del 1939: “La via che è indicata dal Seyn al pensiero segue segretamente la frontiera dello sterminio” (GA 95, p.50). Un risentimento forte ancora durante la guerra, contro la “sete di vendetta” . Di cui Heidegger scrive a Jünger il 23 giugno 1949. La lettera, però, vuole dire: non facciamoci travolgere, da innocenti, dalla vendetta, degli Alleati soprattutto . Il riferimento ai “mercanti” che ci “svaligiano” non può essere nel 1949, non c’era l’idea dell’Olocausto, l’ebreo ma il “mercato” Usa, allora molto risentito, in Germania e in Francia.
Fake news
Sidonie Kellerer insegna all’università di Colonia. È famosa per il dibattito sulla “fake news su Heidegger” nel 2017. Kellerer sostenne su “Le Monde”, con François Rastier, direttore di ricerca al Cnr francese, Semantica dei testi, che Heidegger è stato membro di un Comitato per la Filosofia del Diritto, dell’Accademia per la Legge Tedesca, fondata nel 1934 da Hans Frank, il giurista futuro governatore della Polonia occupata negli anni della Soluzione Finale, immortalato da Malaparte in “Kaputt” per la satrapia, impiccato a Norimberga, allora ministro a Berlino senza portafoglio, ex ministro della Giustizia della Baviera. Un Comitato, dissero, attivo fino a dicembre 1942, con la partecipazione di Carl Schmitt, che avrebbe presieduto alle Leggi  di Norimberga, 1936, contro gli ebrei, e “in teoria e in prassi” alla Soluzione Finale. Se non che il ricercatore che aveva tirato fuori l’esistenza del Comitato, Kaveh Nassirin, uno studioso di Amburgo di origini iraniane, spiegò che la documentazione da lui pubblicata era monca e imprecisa, che il Comitato non si sa se e fino a quando è esistito, e se abbia operato, i nomi dei partecipanti sono incerti, forse solo nominativi da invitare, etc. Ne scrisse sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, avviando il dibattito sulla “fake news Heidegger”. I protocolli del Comitato non si trovano o non ci sono, spiegava Nassirin, o sono stati distrutti, né se ne parla fuori del Comitato stesso, in nessuna forma.
Sidonie Kellerer, Les Cahiers noirs de Martin Heidegger: un cryptage meurtrier,  Academia.edu online

giovedì 27 agosto 2020

Vaffanculo sull’8

Salgono sull’8 a viale Trastevere tre albanesi, o zingari, giovani, un uomo e due donne, una delle quali, di sguardo e portamento autorevoli, è incinta. L’8 è a Roma una “metropolitana di superficie”, insomma un tram, che di solito è affollato, ma non a quest’ora, a mezzogiorno. L’entrata dei tre allarma un gruppo di asiatici sulla parte anteriore sopraelevata del tram, che vanno al loro commercio, ma niente di più. Tutti sono puliti, vestiti con proprietà, di taglio e di colori. L’albanese, o zingaro che sia, ha la camicia bianca e la cravatta. Gli ambulanti asiatici tengono i loro oggetti, occhiali, bigiotteria, orologi, in cartelle ripiegate a valigia. C’è l’aria condizionata, e c’è posto per tutti, eccetto che per il vostro testimone e i tre albanesi, o zingari, compresa la donna incinta, cui nessuno offre il posto, né lei lo cerca.
Si procede nel cicaleccio di lingue ignote, nel rumore attutito della linea ferrata. Finché dalla porta, prima della fermata, un signore robusto non intona la litania: “Non mi toccare! Fai il furbo? Non ridere, io ti riconosco, sa’? La gente come te non dovrebbe stare in libertà” eccetera. Avviandosi all’uscita, si è sentito toccare dal giovane albanese\zingaro, e ha temuto il borseggio. Il giovane sorride, l’incinta si avanza maestosa e interpella l’accusatore. Non si capisce cosa dice, se non “incinta”, che ripete toccandosi il ventre, ma è arrabbiata. L’accusatore si difende: “Cosa vuoi? Ma chi ti conosce? E guarda negli occhi le persone quando ci parli”, e scende. La donna lo accompagna con uno sprezzante, ben articolato: “Vaffanculo!”.
È un innesco. Dalla predella anteriore gli asiatici avviano, a turno e in gruppo, una filippica contro la donna. Non si capisce che dicono, ma il loro “vaffanculo”, singolo e in gruppo, è scandito. La donna li fronteggia con voce sonoramente vivace, anche se composta, di cui solo si afferrano un paio di “incinta”, sottolineati dalla mano che batte sulla pancia. L’alterco dura fino alla fermata successiva, a piazza Sonnino i tre albanesi\zingari scendono. Ha l’ultima parola la giovane matrona, che si gira dal marciapiedi, e attraverso la porta ancora aperta lancia l’ultimo “vaffanculo!”. Poi le porte lente si richiudono, e si riparte.
Sul ponte Garibaldi il tram sembra avere un’ulteriore esitazione – pare che il rollio faccia vibrare i pilastri del ponte, come un reggimento che segnasse il passo, sono stati fatti degli studi, se non sono ubbie da colonnello in pensione, sui tram si sente dire di tutto. Tre degli asiatici si preparano a scendere al ministero con le loro cartelle. E una conversazione ravvicinata sale progressivamente di tono. Un signore baffuto in età ha ripreso il discorso: “Io voglio essere padrone a casa mia. Tutti vogliono essere padroni a casa loro, è un diritto”. Si rivolge a una ragazza seduta accanto alla porta, che a lungo ha guardato intenta, senza alzarsi, la donna incinta. Sembrano padre e figlia, o zio e nipote, c’è familiarità tra i due. La ragazza dice qualcosa, che non si ode, il baffuto tuona: “Io non dico che non ci sia spazio per tutti, ma a casa mia comando io. Sarò felice di ospitarvi, ma a casa mia comando io”, eccetera. L’8 intanto è arrivato all’Argentina, e i due se ne vanno separatamente senza salutarsi. Il “Fanculo pensiero”, prima che del comico Grillo, è di autore croato. È residuo quindi del comunismo. Potrebbe essere di disappunto, per quello che non è stato. O di rabbia, una reazione a quello che è stato?Ma non c’è tempo per pensarci, l’H arriva, che va a Termini ed è coincidenza rara, sul marciapiedi di palazzo Caetani. Arriva ma non apre le porte. E anzi riparte nel mentre che il vostro testimone giunge trafelato davanti alla porta. Il “vaffanculo!” all’indirizzo dell’autista dev’essere stato sonoro, si sa che gli autisti dell’Atac sono stronzi e vi chiudono le porte in faccia, tanto che lo stesso autobus sussulta, mentre si ferma. È un lungo momento, l’autista apre la porta, ma potrebbe essere un invito al litigio che conviene evitare, poi lento riparte, dopo avere imbarcato una ragazza, che ha problemi coi tacchi. È che non c’è fermata in quel luogo dell’H, la palina non la segna - l’H è uno di quei bus che saltano una fermata su due, o due su tre, dipende, l’Atac non organizza le fermate per favorire le coincidenze.

Fondamentalisti islamici in azione sul Nilo, a fine Ottocento

Tragedia non è, c’è il lieto fine. Ma l’avventura sì, e un fine spirito politico: nel 1898 un gruppo fondamentalista mussulmano in Sudan intercetta e rapisce un gruppo di turisti americani ed europei nell’Alto Nilo, al limite col Darfur. Per un riscatto, previa conversione. Ci sono molti incidenti, si creano tensioni, la tecnica del giallo è trasposta a questo piccolo romanzo d’avventura.
Nel 1898 Conan Doyle ha fatto morire Sherlock Holmes (poi lo resusciterà) e tenta nuove vie – vuol’essere uno scrittore, non lo scrivano di SH – un po’ la sindrome Montalbano di Camilleri. Fa lo storico, tenta altri generi narrativi, questo politico, il fantastico. Con buoni esiti. Ma senza fortuna – nemmeno in questa ripresa italiana, evidentemente, riproposta da Alessandro Zaccuri, che puntualizza tutti i richiami tra l’ieri e l’oggi. C’è un Califfo – ce ne sono due. Con barba nera. C’è perfino l’odierno complottismo: qualcuno mette in dubbio la rivolta del Mahdi, di cui il gruppo terrorista è parte, che pure è storia. Con le vecchie caratterizzazioni nazionali, del francese contro l’inglese, gli americani, le americane intrepide, ma quanto veritiere. Mentre l’integralismo è già “il desiderio ansioso d’incontrare la morte”. Nel deserto libico, “il deserto più grande del mondo”. E si fa distinzione fra l’egiziano e l’arabo, basilare ma perduta nel panarabismo confuso di Nasser e successori.
Un racconto di oggi. Il solito gruppo di turisti o di cooperanti rapito a scopo di indottrinamento e di riscatto. Dal solito gruppo fondamentalista, più o meno organizzato ma determinate. Agli stessi effetti, conversione con riscatto. Qualcuno viene ucciso, qualcuno si converte, più o meno opportunisticamente, il solito interprete che si salva tradendo, mentre l’acqua, soprattutto, manca. La spinta religiosa è la sola differenza, tanto più anomala per un non più credente cone Conan Doyle: è il solo conforto, se non la salvezza, anche per i rapiti, per quanto non praticanti o agnostici.
Una curiosità è la menzione come autorità notoria di Belzoni, l’egittologo allora in fama oggi dimenticato.  
Arthur Conan Doyle, La tragedia del Korosko, Medusa, remainders, pp. 157 € 7,75

mercoledì 26 agosto 2020

Il mondo com'è (408)

astolfo

Carlo V – Si può vederlo anche – quale fu – come un incredibile seminatore di distruzioni. In Italia, nelle Fiandre, contro la chiesa – bene o male matrice europea. Non fu munifico, non fu mecenate, malgrado i grandi domini e le grandi ricchezze accumulate – prendeva anzi sempre a prestito, senza restituire - ma avido, sempre all’opera solo per sé. Chiese? Palazzi? Monumenti? Quadri, statue, giardini? Distruttore dell’Italia quando l’Italia tentò di erigersi a nazione.
L’ “Enciclopedia dei ragazzi” Treccani si limita a dirlo, a opera di Massimo L. Salvadori, “uno dei più grandi sovrani della storia moderna”. Con un apprezzamento: “Sognò di creare una monarchia universale in grado sia di garantire un ordine politico pacifico...” etc. Ma un tribunale internazionale oggi lo farebbe criminale di guerra: ordinò il “sacco di Roma”, con abusi di ogni sorta, la città del papa che diceva di voler difendere, prese Firenze a tradimento, vinse sempre ma mai con una battaglia, solo inganni e violenze.
 
Conan Doyle - – Fu presto spiritista, convinto e  militante, e lo restò tutta la vita. Nell’ultima intervista che diede, nel 1929, prima di morire, un’intervista filmata “Movietone” della Fox, era presentato così: “Sir Arthur Conan Doyle è famoso in tutto il mondo per le sue storie di Sherlock Holmes. Ha dedicato gli ultimi quarant’anni a studiare lo spiritismo ed è uno dei maggiori sostenitori dell’esistenza degli spiriti e della possibilità di comunicare con l’aldilà”.
Lo spiritismo fu l’esito della dichiarata passione per le cose scientifiche. Fu per tre quarti della sua esistenza una sorta di portavoce letterario del positivismo, per quanto concerne la teosofia e lo spiritismo. Con pubblicazioni, studi, racconti, polemiche, e numerose missioni apostoliche, in tutti gli Stati del Commonwealth, nell’Africa britannica, in Francia – benché alieno dallo spitirismo francese, di Kardec, seguace di Madame Blavatsky, perché contemplava la resurrezione in cui non credeva.
A diciassette anni decise di abbandonare il cattolicesimo, nel quale era nato ed era stato educato, dai gesuiti, per le scienze positive. La cattolicissima famiglia irlandese (Conan Doyle è nato a Edimburgo da genitori venuti d’Irlanda) era peraltro credente nelle fate, gli gnomi e gli elfi: la madre ne era grande fabulatrice, lo zio Richard Doyle illustratore rinomato di libri di fate, il padre Charles Altamont Doyle finito presto in manicomio non farà che disegnare fate, sirene, elfi – a un prozio, padrino di battesimo, Michael Conan, deve il secondo nome Conan, da mito nordico. Il futuro creatore di Sherlock Holmes era cresciuto disinibito, in un certo senso un irregolare pur nell’ordinato cursus formativo. Appena iscritto a Medicina s’imbarcò per sette mesi come medico di bordo su una baleniera.
Le scienze positive subito però il futuro autore di Sherlock Holmes coniugò con lo psichismo. A ventun’anni nel 1880 cominciò a frequentare sedute spiritiche. Quindi si occupò del mormonismo, e di teosofia, nel quadro, dirà nelle memorie, della sua “ricerca della religione positiva”. In teosofia fu seguace di Alfred Percy Sinnett, discepolo anche lui di Madame Blavatsky, ma con riserve sulla reincarnazione. Massone nel 1887, vicino ai Rosacroce. E spiritualista nel mentre che crea Sherlock Holmes: “Uno studio in rosso”, la prima avventura, è scritto nel 1886 (pubblicato nel 1887), quando rompe col mormonismo, per via della poligamia, ma contemporaneamente si professa, in lettere personali e pubblica, spiritualista convinto, per essere positivista convinto – come molti positivisti, in Italia Lombroso. Aprì prima della Grande Guerra una libreria spiritista, il Psychic Bookshp, nella centralissima Victoria Street, davanti a Westminster,che affidò alla figlia Mary. Alla libreria volle affiancata un’attività editoriale, la Psychic Press.
Una biosintesi lo direbbe dottore (medico), romanziere, drammaturgo, storico militare, patriota (fu corrispondente di guerra sul fronte francese all’inizio della Grande Guerra, nella Guerra Boera, di cui cui sarà lo “Storico”, dal punto di vista britannico, rifiutato all’arruolamento per l’età, partecipò come direttore di un ospedale da campo), sportivo, sostenitore di cause umanitarie, polemista, inventore, creatore di Sherlock Holmes, infine capo del Movimento spiritista britannico e conferenziere per esso in tutto il mondo di lingua inglese, “partendo da una posizione di relativo materialismo”, come dice nelle memorie.
In settantun’anni scrisse una  quarantina di libri, un centinaio di novelle, una dozzina di commedie, una storia della guerra dei Boeri in Sud Africa, una storia della Grande Guerra in sei volumi. “I suoi successi di atleta”, scrive un biografo, “non furono meno notevoli. Primeggiò nella  boxe, giocò a cricket nella squadra di un club famoso, fu un pioniere al volante di un’automobile, esperto giocatore di biliardo, e introdusse lo sci norvegese in Svizzera”.
Solido si direbbe, scrittore multiforme, e impegnato in ogni sorta di causa, per i diritti, ma anche stolido, uno che credeva a tutto, scriveva lettere ai giornali, e viveva attivissimo e isolato nella Londra di Oscar Wilde, G.B.Shaw, H.G.Wells. Nel 1916 annuncia pubblicamente la sua “conversione allo spiritismo”, con una seconda moglie, Jean, che gioca alla medium. Nel 1928 presiede a Londra il Congresso Spiritista Internazionale. Jean provocò un mezzo scandalo con Houdini, già amico di Conan Doyle: gli trasmise un messaggio della madre morta, che parlava in inglese e aveva una croce sul petto, suscitando lo sdegno dell’illusionista, perché sua madre era ebrea, e non parlava l’inglese.
 
Uno speciale rapporto il creatore di Sherlock Holmes ebbe con Crispi, anche lui positivista spiritista, che nel 1895 lo fece insignire dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Mauriziano, o della Corona d’Italia. Fu la prima onorificenza ufficiale per Conan Doyle. Concessa dopo la pubblicazione su “Il Giornale”, uno dei tanti controllati da Crispi, fra il 31 gennaio e il 9 febbraio dello stesso anno, della prima traduzione italiana di Conan Doyle e Sherlock Holmes, il racconto “Il trattato navale”. Cl titolo “Il furto del trattato”. E con l’aggiunta di una coda, in cui si legava il  racconto all’attualità, cioè alle preoccupazioni francesi per un (inesistente) trattato navale tra Italia e Gran Bretagna.
Sul cavalierato di Crispi si dilunga la narrazione biografica, “The true Conan Doyle”,  di Adrian Conan Doyle, il figlio più giovane dello scrittore, nato dalla seconda moglie, Jean. Mettendo in rilievo che arrivò prima dell’analogo riconoscimento britannico, quello che gli darà iltitolo di Sir, che lo scrittore permaloso accetterà con riluttanza – il cavalierato britannico fu riconosciuto a Conan Doyle nel 1902 non per Sherlock Holmes ma per la sua difesa della Gran Bretagna nella Guerra Boera. Dell’onorificenza italiana Conan Doyle invece fu lusingato. Ne parlò con la prima moglie, che però morì subito dopo l’arrivo del cavalierato. E ne scrisse il 24 aprile 1895 ad un’amica, Amy Hoare, dal Grand Hotel Belvedere di Davos, con ironia ma non del tutto: “Sapete, signora, che sono ora un Cavaliere – ma forse solo della Cavalleria Rusticana? Il Governo italiano si è mostrato così illuminato da farmi Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Pensavo fosse uno scherzo ma mi è arrivata invece una grossa medaglia – pardon, decorazione –me penso che sia tutto in regola”.
Adrian Conan Doyle spiega che sia il padre che Crispi erano massoni. E dice che “Il trattato navale” fu stampato in italiano molto dopo, nel numero di novembre-dicembre 1904 de “Il Romanzo Mensile”. Ma ricerche recenti, di Roberto Pirani e Philip Weller, anno tracciato la prima pubblicazione – di cui copia anastatica è stata distribuita al convegno “Il significato dell’insignificante”, 6-8 dicembre 2008 a Villa Mirafiori (Sapienza) a Roma, come n. 3 della collana di Anglistica “Studies in scarlet”, dell’Associazione Uno studio in Holmes.

Italietta –Si dice l’Italia di Fine Secolo-primi del Novecento, fino alla Grande Guerra. Confluita dopo la guerra nel fascismo, senza resistenze o problemi, se non con voluttà. Con molti punti di contato con l’attualità. L’abdicazione alla politica. Un ceto politico improvvisato e inconsistente - sotto il Padre Padrone Giolitti, l’unico che sapeva di che si trattava. Una politica estera presuntuosa e vacua. Un mercato del lavoro debole – fatto di emigrazione allora, invece che di immigrazione, come oggi, ma sono due facce della stessa medaglia. Senza eccellenze nelle lettere e nelle arti: i sei volumi della “Letteratura della nuova Italia”, dove Croce ha raccolte le recensioni di quei decenni, si sfogliano singolarmente vuoti, se non per il tardo Pirandello e il primo D’Annunzio – di millecinquecento pagine e un centinaio di autori poco o niente rimane. L’Italia ha questa fasi di astinenza?

Mazzini – È stato del tutto dimenticato nei tre quarti di secolo della Repubblica, di un’Italia unita fortemente aperta alle istanze sociali popolari, specie quelle operaistiche, di cui fu l’apostolo. Anche col terrorismo, bombe, regicidi. Benché profondamente religioso.
Tutto il processo nazionale, dell’unificazione, la Repubblica ha trascurato. Si ricorda ancora Garibaldi, a proposito e a sproposito, Cavour poco, Mazzini niente – se non per qualche manifestazione del Msi-Allenza Nazionale al Gianicolo, in ricordo della Repubblica Romana del 1849. Non lo amavano i Savoia, ma nemmeno Mussolini. L’ultima “Vita di Giuseppe Mazzini” è di Jessie White Mario, 1891. Fu personaggio carismatico in tutta Europa, dall’Austria-Ungheria a Parigi e a Londra. Vestiva di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. Esordì a 25 anni con un saggio letterario, ”Dell’amor patrio di Dante”, ed entrò nella Carboneria. Di cui divenne l’animatore. Senza però entrare nella massoneria. Finirà rispettato (temuto) da Metternich, il Restauratore d’Europa dopo la caduta di Napoleone, che nelle”Memorie” lo fa il Nemico per eccellenza: Napoleone, imperatori, re, papi, “nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini”.
Nacque francese: Genova era il capoluogo del dipartimento di Genova che Napoleone aveva appena istituito, una settimana prima della sua nascita, nel 1805. Fu molto legato alla madre Maria Drago, una fervente giansenista. Crebbe con la passione letteraria. Sarà amico, tra i tanti, di George Sand, e nel lungo soggiorno londinese di Mary Shelley, Dickens, Swinburne, Carlyle, John Sturat Mill.
Il primo arresto lo subì dai Savoia, da Carlo Felice, che ancora non erano per l’Italia unita, nel 1830. Dopodiché cominciò un esilio durato tutta la vita - eccetto i brevi mesi della Repubblica Romana e gli ultimi due anni di vita, dapprima da amnistiato poi da latitante. Subito dopo la liberazione nel 1830 fondò, da Marsiglia, la Giovine Italia, per l’unità d’Italia e la repubblica. Nel 1833 Carlo Alberto di Savoia lo fece condannare a morte in contumacia. A lui Mazzini si era rivolto con una lettera aperta, firmata “un italiano”. Fu in Svizzera, dove alla Giovine Italia affiancò, nel 1834 a Berna, la Giovine Europa, e a Londra. A Roma per la Repubblica Romana. Ebbe due condanne a morte: a Genova per dei moti falliti nel 1857, e a Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III. Fu eletto a Messina deputato al nuovo Parlamento di Firenze nel 1866. Tre volte, le prime due volte essendo state annullate dalla Camera per le condanne pregresse - la terza volta fu Mazzini a rifiutare l’elezione, per non prestare giuramento alla monarchia.

astolfo@antiit.eu






Questa Francia del ‘18 sembra l’Italia

Un racconto appassionato e spassionato, irridente, sul Nemico Interno, sulle violenze nelle trincee e alla smobilitazione della Grande Guerra – siamo tra il 1918 e il 1920, il romanzo è uscito nel 1914, per il Centenario. Scritto come un trattamentone da film (che è stato realizzato, con lo stesso titolo, premio Cesar 2018 per l’adattamento - e per la regia, di Albert Dupontel - non distribuito in Italia), scena dopo scena. Pieno di bontà e di crudeltà. Concluso con un fuoco d’artificio. Alla vigilia del 14 luglio, festa dei fuochi d’artificio in Francia: gli scandali scoppiano in successione, con morti e resurrezioni.
Storie di avidità e di malizia. Dei pescecani dopo la Grande Guerra, e degli sbandati. Tra Monumenti ai Caduti e grandi Cimiteri Militari, big business. Dopo una guerra in cui i più, i milioni, sono morti senza sapere il perché. E i sopravvissuti, tutti in qualche modo mutilati, non “hanno altra ambizione che morire”. Con una morale sottesa tra pietà e cinismo: anche la vittoria è una sconfitta – i dopoguerra possono essere feroci anche per chi ha vinto.
Una scrittura non accurata, ma redditizia. Lemaître si diverte ad arrotondare di parole lo scheletro del trattamentone, ma lo fa leggero, avendo molto tempo – lo spazio non manca mai allo scrittore.
Sotto il mantello storico, cinematografico, indignato, Lemaître resta scrittore di gialli, anzi di noir – la violenza fa aggio sulla sorpresa, e la fine è più o meno prevedibile. Presentato come un romanzo storico, non lo è – mancano i fatti essenziali di quegli anni, i tedeschi, o per esempio la spagnola.
La lettura in Italia solleva a ondate un senso di già visto o letto. In Monicelli, “La grande guerra”, in Malaparte, “La rivolta dei santi maledetti”, in Hemingway, la terribile “offensiva” di comandi e carabinieri nella terribile ritirata di Caporetto, quanti ne fecero fuori lì per lì dichiarando disertori i soldati semplici delle grandi armate sconfitte. Il figlio geniale rifiutato dall’inflessibile padre, che ha solo criterio gli affari, si chiama Edoardo, come in casa Agnelli. Con molto humour “grasso” gallico, alla Brassens, alla Vian.
Pierre Lemaître, Arrivederci lassù, Oscar, pp. 475 € 17,50

martedì 25 agosto 2020

Cronache dell’altro mondo - 70

È categoria sociologica americana il “familismo amorale” italiano. Ma che dire dell’America? Dove la sorella e la nipote di un presidente si fanno best-seller sparlando del fratello e zio importante. Non più morali dello stesso, ma popolarissime e arricchite a spese sue. Dove su una buona madre di quattro figli, consigliera di Trump per quattro anni, le stesse figlie si sono fatti una audience e una carriera sui social contro Trump, non solo, ma anche contro la madre. Sarà pettegolezzo e non familismo amorale, ma non è la stessa cosa? Con la differenza che gli americani ci credono, mentre gli italiani istintivamente diffidano.
Gli Stati Uniti hanno il record dei contagiati e dei morti da coronavirus, in assoluto e, di più, in rapporto alla popolazione: poco meno di sei milioni di contagi, per ua popolazione di 350 milioni, e poco meno di 180 mila decessi. Per nessun’altra ragione che una professione di libertà, contro i divieti di assembramento, la chiusura delle attività, il distanziamento, la mascherina. Una strana concezione della libertà, asociale, suicida.  
Per il terzo o quarto anno consecutivo la California brucia perché bruciano i cavi dell’alta tensione, vecchi, mal ridotti, su tralicci pericolanti. Senza che niente cambi.
Trump apre la convention repubblicana, la kermesse di quattro giorni che deve indicarlo candidato ufficiale del partito alle presidenziali, sostenendo: “Voglino rubarci il voto”, col voto postale. Sottintendendo: le poste non sono affidabili. E viene creduto, non solo dai repubblicani – benché sia Trump, il presidente ufficialmente meno credibile.
La polizia americana sotto accusa in vari stati da alcuni mesi per la violenza, continua a sparare e uccidere, bersagli di preferenza i neri. Se fosse una tecnica o una tattica di polizia le avrebbero cambiate, è proprio razzismo.

Proteggere i migranti o l’assistenza

Un giornale favorevole all’immigrazione selvaggia, il “Corriere della sera”, ha oggi questa pagina in argomento: “17 mila le persone sbarcate nel 2020 in Italia (17.264). Un anno fa 4.664” – si dice Italia ma si intende, si sa, Sicilia, Calabria e Sardegna. “7 mila migranti sono arrivati in Italia a luglio 2020: nel 2019 erano stato 1.080”. “La difficile sfida dei sindaci sull’isola: «La gente ci insulta, siamo al limite», «Le nostre città come bombe a orologeria».
Nel centro di accoglienza di Lampedusa, che ospita quattordici volte il numero di persone per le quali era stato creato, c’erano ieri 58 casi di coronavirus.  Un focolaio da “zona rossa”, ma il centro non si chiude. Il presidente della regione Sicilia minaccia di chiuderlo, il governo risponde che non può farlo, non ne ha i poteri. E fa dire che, se la regione Sicilia chiuderà il centro, le farà causa.
Tutto fuorché la verità, del traffico di esseri umani che alimenta l’ecatombe dei migranti in mare, e l’assedio alle coste. Sembra un  
“impegno” sciocco - o è un impegno per la diaria del migrante?

Ombre - 527

I tamponi a Linate e Orio al Serio, molte migliaia ogni giorno, la sanità milanese li ha affidati in convenzione al Gruppo San Donato. Finita la moria, la sanità torna tranquillamente privata in Lombardia, dove ci sono soldi senza investimenti.

Il Gruppo San Donato figura presieduto dall’ex erede di Berlusconi Alfano, ma è di solidi interessi lombardi, attorno alla famiglia Rotelli e banca Intesa. Consigliere d’amministrazione è l’ex ministro leghista Roberto Maroni, nominato dalla famiglia Rotelli appena ha concluso l’esperienza politica alla presidenza della Regione Lombardia, responsabile della sanità.
 
Il presidente del consiglio Conte celebra da solo ad Amatrice i quattro anni del terremoto, che fece alcune centinaia di morti e rase al suolo il paese. Da solo, essendosi gli abitanti sopravvissuti  rifiutati di partecipare, dato che il governo ha fatto praticamente nulla per la ricostruzione. Così il presidente del consiglio ha avuto le immagini tutte per lui: farsi vedere è tutta la politica.
 
A dieci giorni dall’inizio della scuola il governo se ne accorge. “Conte richiama i ministri: la scuola vi riguarda tutti”, tuona dai giornali. Che colpe ha l’Italia per meritarsi i fresconi al governo? Con l’appoggio del Pd, per giunta.
 
Non si sa bene se, ma il malessere che ha colpito Navalny, Grande Oppositore autodichiarato di Putin, è compatibile con un veleno. I medici tedeschi non si sottraggono ma si cautelano – dicono l’una e l’altra cosa, Navalny è stato avvelenato, ma forse no. E questo è tutto.
Ci sarebbero molti argomenti contro Putin e la Russia, ma solo questi, di questo genere, roba da thriller, si fanno valere. Per dare ragione a Putin, che l’Europa è una fanfaronata?

Naturalmente, essendosi Navalny comodo espatriato a Berlino, non manca il monito di Angela Merkel a Putin, naturalmente severo. Tacendo che i due fanno affari “a tinchité”, direbbe Camilleri, a iosa, in abbondanza, contro moniti e fulmini americani.
 
Fa senso trovare in edicola “L’Espresso” più smilzo dello smilzo raccontino di Camilleri che “la Repubblica” regala la domenica. Possibile che in Italia non ci siano grandi temi, grandi discussioni, importanti novità, politiche, sociali, culturali, che un settimanale debba o possa meglio trattare? Come ce ne sono in Germania, in Francia, negli Usa, perfino nella  stessa retriva Inghilterra. Non ce ne sono – Di Maio? Grillo? Conte? Lampedusa? Il covid? L’orizzonte è basso.
 
Molinari a “la Repubblica” e il gossip quotidiano tra Di Maio e Salvini, l’aeropago italico, si riduce da otto a due-tre paginette - e se ne potrebbe fare a meno. Mentre le due paginette, burocratiche, di Esteri diventano sette-otto, e sappiamo infine qualcosa di quanto avviene nel mondo. Ma i lettori del quotidiano – che pare siano soprattutto lettrici - sembrano non gradire, a giudicare dalle prime settimane di vendite. È un mondo afflitto, orfano, vedovo?
 
“La Repubblica” ha scoperto perfino l’Africa. Che è poi il posto da dove vengono tutti quegli immigrati che sbarcano di notte a Lampedusa. Ma neanche questo smuove i lettori del quotidiano, il coté umanitario, del business ong.
 
Segato dai 5 Stelle nelle regioni dove aveva bisogno di un aiutino per vincere fra un mese, il Pd corre generoso in soccorso della 5 Stelle Raggi a Roma. Il Pd di Zingaretti, che è romano. E quindi sa che Raggi è un fallimento totale. Ma Raggi ha speso molto e moltissimo nelle ultime settimane per recuperare, manti stradali, piste ciclabili, appalti, assunzioni (vigili, bidelli, netturbini, autisti Atac): è questo che ha convinto il Pd romano – quello che andò dal notaio per far dimettere il suo sindaco, Marino, che non voleva intrallazzi?

 

Il mal d’amore tra madri e figlie

“L’amica geniale”, la serie che abbiamo visto in tv, è altra cosa. Qui, nel cuore di “Elena Ferrante”, la storia è dell’“amore negativo”, tra madri e figlie soprattutto.
Trent’anni di rapporti tormentati madri-figlie è il maggior successo dell’editoria italiana, uno dei maggiori successi mondiali. I lettori sono donne? Madri e figlie sono così (necessariamente) conflittuali?  Di che rivedere le storie della letteratura, Freud, e anche il femminismo.
Il volume riunisce la trilogia “L’amore molesto”, “I giorni dell’abbandono”, “La figlia oscura”, i primi tre romanzi della scrittrice, che “Foreign Policy” include fra i cento pensatori più influenti al mondo, e “Time” fra le 100 persone più influenti. Con un’introduzione di Edgardo Dobry, il letterato argentino. Che rinvia a Beckett, Henry James, Virginia Woolf, ma non ce n’è bisogno: le madri morte evidentemente bastano .
Molte pagine, ma si leggono presto.
Elena Ferrante , Cronache del mal d’amore, Edizioni e\o, pp. 508 € 22

lunedì 24 agosto 2020

Problemi di base storici epocali - 590

spock

 “La Germania ha dimenticato la storia perché non vi succede storia”, Marx, 1842?
 
Deutschland ist kein Staat mehr”, la Germania non è più uno Stato, Hegel, “Sulla costituzione della Germania”, 1802?
 
Se Apple vale quanto tutta l’Italia, che economia è?
 
Ci sono gli anglo-cinesi, dopo gli anglo-indiani, artisti e scrittori, non ci sono i cino-inglesi come non gli indo-inglesi: l’Asia si afferma o si nega?
 
Si emigra a senso unico?


spock@antiit.eu

La natura è pericolosa

La natura non è maestra. La divinità secolare del Millennio non ha nulla da insegnare: tentare di vivere come natura comanda, immaginariamente poiché niente avviene senza l’artificio umano, non porterebbe al paradiso terrestre ma metterebbe a rischio la società, la salute, l’ambiente stesso. "Come la fede nella bontà della natura porta a mode dannose, leggi ingiuste e scienze errate”, è il sottotitolo.
Un trattato morale sul concetto di natura e naturale. Che sono “un’etica mercenaria che ognuno può prendere in prestito per combattere la sua causa”. Mentre ci vuole attenzione a trasformare l’“è” crudo della natura in un “dovrebbe” politico e religioso. Questo l’assunto fondamentale. Quasi un sermone, di uno storico delle religioni. Ma è vero che l’ecologia è un mercato, il più fiorente di tutti, e che l’ecobusiness si fa gioco della buona fede: naturale è la parola chiave per una serie si può dire interminabile di piccole e grandi truffe. E per gli spiriti semplici una lettura del mondo pericolosa, oltre che sbagliata.
Collaterali sono questioni comunque sensibili anche se non decisive. “Naturale” può essere privilegio di classe in tutti gli aspetti modaioli. P.es. dei borghesi che dicono innaturali i vaccini. Per non dire del “naturale” inteso come “indigeno” o “primitivo”, come nel caso della “nascita naturale”, della maternità senza l’ausilio di antidolorifici.
In generale, Levinovitz mette in guardia contro l’idea della natura maestra morale, un’idea poetica, di Wordsworth, Thoreau, Whitman, che hanno legato il piacere di vivere nella natura a una sorta di pedagogia naturale che fa l’uomo migliore e capace di prendere le decisioni migliori. È improprio e rischioso associare “naturale” e “buono”: “La naturalità è un continuo, e può essere molto difficile decidere dove qualcosa esiste in quel continuo”, si propone, regolamenta.  
Alan Levinovitz,
Natural: The Seductive Myth of Nature’s Goodness, Profile, pp. 272, ril. € 22,20

domenica 23 agosto 2020

L’asino del referendum o Zagrebelsky for president

Strabiliante lettura questa mattina su “la Repubblica” a proposito del referendum che taglia di un terzo i parlamentari. Il costituzionalista Zagrebelsky si fa l’asino di Buridano, quello che filosoficamente non può decidere fra due opzioni uguali. E vanta sia le ragion del si che quelle del no. Un capolavoro di cerchiobottismo, ma tipo farsa – forse utile a candidare il costituzionalista al Quirinale. Quando si sa che il referendum è antiparlamentare. 
Il referendum è un attacco al Parlamento. Un altro, dato che in questi due anni e quasi mezzo di governo grillino il Parlamento è stato eliminato di fatto, complice Mattarella, con i decreti legge e i dcpm (e dcpm “salvo intese”, decreti cioè senza contenuti precisi, da variare a piacimento…). Proposto da partiti che hanno fatto in pochi mesi governi di un colore e del colore opposto, prima di destra e poi di sinistra. Governi che si sono distinti entrambi, quello di destra e quello di sinistra, per fare a meno, complice Mattarella, del Parlamento. Dove vanno per metterlo a tacere con rapidi voti di fiducia – indifferentemente di destra o di sinistra. Mentre legiferano a piacimento, per la bottega e per gli amici, senza nessun controllo – una delle funzioni del Parlamento è il controllo degli atti governativi.  
Peccato che “la Repubblica” voglia farsene pagare la lettura, sarebbe un divertimento, il “no ma sì” è perfino esilarante. https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/08/22/news/referendum_se_la_costituzione_resta_nascosta_dietro_una_diatriba_tutta_politica-265250596/

Appalti, fisco, abusi (181)

Enel ha quasi raddoppiato il valore di Borsa dal 2017, col piano per la Banda Ultra Larga fatto appositamente per l’ex ente di Stato dal governo Renzi-Del Rio, per un contro-monopolio alla rete Tim. Con la promessa di collegare, con gli incentivi già incassati dallo Stato, 7.682 Comuni. Ma ne ha collegati solo 26. 


Enel si impegnava col piano Bul a portare le tecnologia fibra FTTH nelle aree bianche, dove cioè non c’è investimento privato, ma dove già Tim forniva la banda larga FTTC. Vantando 9 milioni di utenze, mentre Agcom le riduce a poco più del milione e mezzo che Enel ha ereditato da Metroweb con l’acquisizione del 2016 in previsione del Bul. I conti Enel sono truccati? Ma né la Consob né l’Antrust chiedono lumi. 


Si elogia la nuova gestione della Vigilianza bancaria Bce gestita dall’italiano Andrea Enria. Che si è distinto nei sei mesi di coronavirus per disseminare allarmi. Anche dove i ratios erano e sono solidi – per esempio per Intesa e per Unicredit. C’è chi gioca nei mercati sulle (contro le) banche. Enria è solo un ragioniere, non legge i bollettini di Borsa? Ammesso che le banche (ma quali banche, un generico “tutte” non può essere) abbiano bisogno di ricapitalizzarsi, dove si alimenterebbero se sono sempre lì per crollare?


Con un balzo del 5 per cento, da mercoledì Apple “vale” quanto tutto il pil italiano. Champagne. Non è invece una campana a morto, un’economia basata sul nulla – sull’immagine?


Gli indici azionari americani macinano record, malgrado l’economia sia in recessione quest’anno, forse a doppia cifra, e anche l’anno prossimo. L’indice S&P 500 è a poco meno di 3.400 punti (3.397), il Nasdaq, l’indice delle aziende tecnologiche, a 1.575.

Il Pci a Vigata, che ridere

Due fratelli vanno alla guerra, e ritornano – anche se non sono più quelli di prima. L’asino “Mussolini” è testardo, come tutti gli asini, ma di buon cuore. E la Provvidenza è all’opera. 
Un racconto consolante il primo: un racconto “arabo”, di animali con forte personalità, e della storia, o incrocio di destini, sempre in qualche modo provvidenziale. Dalla raccolta “La Regina di Pomerania”. Il secondo, dalla raccolta “Gran Circo Taddei”, l’ultima di Camilleri, dà la vera vena politica dello scrittore, che è l’irrisione – non il comunismo di cui si voleva devoto. Una serie di “tipi” politici locali, comunisti, e liberali e democristiani attorno alla sezione del Pci, che destrutturano ogni politica, fra lazzi, scherzi e stupidità. 
La riedizione della “Confessione” conferma che lo speciale linguaggio di Camilleri andava anche contro il senso comune, oltre che contro la dialettale sintassi, con “vigàtesi” per abitanti di Vigàta. Che non era dunque un refuso della prima edizione. 
Andrea Camilleri, Le scarpe nuove 
La confessione, La Repubblica, gratuitamente col giornale