sabato 29 agosto 2020
La Fed di Trump rivoluziona la politica monetaria – si baserà sul lavoro
Non è più l’inflazione, è la disoccupazione il criterio base della politica monetaria. La Federal Reserve americana ha introdotto una novità che potrebbe fare testo, anche in Europa, dove la Bce resta arroccata sul vecchio fondamento dell’inflazione al di sotto del 2 per cento – quando Draghi, l’ex presidente, ha dovuto faticare per anni per stimolate la domanda e portare l’inflazione al 2 per cento, per prevenire la deflazione, quando il problema è la deflazione, se non, come ora, la recessione.
Ci vuole musica al Sud
Sulla traccia della “Malingredi”,
i racconti di Africo di Gioacchino Criaco, il cantautore bovalinese ha imbastito
un intrattenimento impegnato e gradevole – il primo che si è potuto tenere a celebrazione
del ventennale della Scuola di Musica di Delianuova, per i problemi del
coronavirus. Tra elegiaco, “L’albero di more” più direttamente ispirato dalla
“Malingredi”, lo stesso “Aspromonte”, un’ode alla montagna gentile sui toni del
rimpianto (“L’Aspromonte non ha parole,\ vede i figli andare altrove,\ ognuno
che parte colpisce\ ognuno che parte tradisce…”), , e divertito - la
“rivoluzione di Africo”, fermare il treno degli studenti a fine giornata
scolastica tirando l’allarme, la fermata non essendo prevista, per sette anni.
Con uno spruzzo di grecanico, l’inno “Ilio”, sole, la minoranza linguistica
ritrovata. E una celebrazione del dialetto, con l’ormai classico inno sardo
all’amore, “No potho reposare” – Sofia è all’origine del classico dei
QuartAumentata, “Dai diamanti non nasce niente”, dieci canzoni di De André
tradotti nel dialetto della locride.
Un concerto semplice. Sofia,
animatore a lungo dei QuartAumentata, si esibisce in solitario, con
accompagnamento discreto e sapiente di chitarra o bouzouki, che lascia campo
libero ai suoni, senza altri effetti. Valorizzando il senso sociale della sua
attività.
La Scuola di Musica di
Delianuova, e la connessa Orchestra giovanile di Fiati, tra le prime se non la
prima del suo genere, una scuola di musica in paese, vanta ormai un’esperienza nazionale,
avendo entusiasmato il maestro Muti, che l’orchestra da poco costituita ha
voluto nel 2008 a inaugurare il suo festival annuale di Ravenna. Un mondo
periferico, anche scentrato, che si ritrova nel suono, nel canto, sa di utopia,
ma questa, seppure minima, è reale.
Paolo Sofia, Ti racconto una storia, Auditorium Scuola di Musica di Delianuova
venerdì 28 agosto 2020
Con la Cina niente da dire
Singolare mancanza di argomenti tra Di Maio e
il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che ha aperto a Roma una tournée che si voleva storica in Europa. A Roma non
solo, dove non si fa politica estera, ma poi a Parigi e Berlino.Di che parlare
in effetti? Degli affari? Non sono cosa da Esteri, vanno avanti per le
convenienze, e non hanno bisogno di spinte finché dura la convenienza – oggi
tutti hanno interesse a produrre in Cina, costa poco o niente per la stessa
qualità. Di Hong Kong non si può parlare, la Cina non vuole. La Cina vorrebbe
parlare male degli Usa, ma con Di Maio non si può.
Tanto più freddo l’incontro sullo fondo del
treno speciale, con “materiali per prevenire la pandemia”, ulteriore regalo di
Pechino, arrivato a Milano mentre il ministro degli Esteri sbarcava a Roma, il
China-Europe Express “Chang’an”. Mentre Grillo, mentore e capo di Di Maio,
esaltava la Cina e attaccava gli Usa sul suo blog – la faceva esaltare, con
apparente acribia, da un professore dichiarato filocinese, Fabio Massimo
Parenti.
I rapporti con la Cina sono arrivati al loro
limite. Sono e saranno economici e finanziari, anche intensi, ma non altro. È
un fatto, inscalfibile. Alla Farnesina dicono curioso che il realismo cinese
non lo capisca – a meno che il presidente Xi non abbia perso, o stia perdendo,
il senso della misura che ha caratterizzato la leadership cinese dal presidente
Wang in poi, ormai quasi quarant’anni: Trump lo ha sfidato, vuole vedere le
carte cinesi, e anche senza Trump la sfida andrà avanti.
La Cina è vicina, è anzi in casa da anni, il
maggiore investitore estero in Italia, più dei tedeschi o degli svedesi, o
degli americani, che poi non investono tanto all’estero. Ma più di tanto non
può fare.
Storia sordida del cablaggio
Si completerà, dopo venticinque anni, con un ritardo
enorme, e spreco interminabile di capitale pubblico, cioè a carico dei
contribuenti, la connessione dell’Italia con la banda larga? C’è da dubitare,
visti i precedenti. Ma quand’anche gli azionisti odierni – i capitali privati –
di Tim e Enel si accontentassero, resta pur sempre che l’Italia arriva ultima
nel cablaggio delle sue abitazioni, e a costi enormi. A costi pubblici enormi.
Venticinque anni fa partiva il progetto
Socrate, di Stet-Telecom Italia, la telefonia allora pubblica, per il cablaggio a banda larga di dieci milioni
di abitazioni, tutta l’Italia. Il Socrate fu interrotto tre anni dopo l’avvio,
nel 1998, quando aveva raggiunto un milione e mezzo di abitazioni, e dismesso –
dappertutto, nelle città e nei paesi, capita di vedere tubi di gomma che
emergono dal suolo alle porte delle case, scollegati: sono i resti del Socrate.
Perché Telecom Italia andava privatizzata, e i padroni non volevano
investimenti tra i piedi, giusto incassare la bolletta - l’esosissimo
abbonamento che da cinque anni è perfino raddoppiato.
Partì con l’abbandono del progetto Socrate la
lunga spoliazione di Telecom-Tim, che ora lo Stato prova a ricapitalizzare. E
il ritardo dell’Italia, che ne era all’avanguardia, nella digitalizzazione - ora ha la più bassa velocitàinternet in Europa, se si tolgono la Macedonia e la Bosnia.
Questa storia però non sembra fare testo. Tim
si tiene la rete nel patrimonio, anche se deve compartecipare la gestione con lo
Stato (la Cdp, ex Cassa depositi e prestiti), a garanzia degli altri soci
confluenti nella rete. Ma, di sicuro, non per altro, per scaricare sullo Stato
altre eventuali perdite, la connessione dell’Italia si può scommettere che avrà
ancora da aspettare – a meno che Cdp non si assuma tutto l’investimento.
Una storia sordida. Ma non unica nelle “privatizzazioni”
italiane. I media le difendono su basi dottrinali, privato è efficiente, ma chiudendo
gli occhi sui disastri che esse hanno comportato e comportano, per l’efficienza e i costi pubblici.
Heidegger filosofo per adepti
“I Quaderni neri partecipano a una rimessa in questione dell’opera di
Heidegger che più che mai appare necessaria”: il proposito è dichiarato alla prima
riga. Collocando il saggio in una lettura di Heidegger comunque critica.
Aggravata dalla considerazione che i “Quaderni” non sono note casuali e sparse,
ma scritti accurati, trascritti a ogni evidenza, non ci sono cancellature o
ripensamenti, e ordinati. A compimento, come da volontà scritta, dell’opera, da
qui il “criptaggio assassino”, sottotitolo d’assalto più che da studio.
Kellerer, già critica della disinvoltura
politica di Heidegger, autrice di un saggio sul rifacimento che il filosofo
operò dopo il 1945 di almeno uno dei suoi scritti anteguerra, un testo del
1938, per farlo passare come antinazista (“Rewording the Past. The Post-War
publication of a 1938 Lecture by Martin Heidegger”, 2014), dichiara peraltro subito,
nel prospetto, una posizione critica radicale: “I Quaderni apportano una conferma dell’uso sistematico da parte del
loro autore di una strategia di confusione, la quale comporta due aspetti
importanti. Da una parte il messaggio heideggeriano s’indirizza a un ‘piccolo
numero’ di lettori o uditori e non agli uomini in generale. Il pensiero
dell’Essere è in effetti concepito come combattimento contro la razionalità in
quanto facoltà e valore universale, la comunicazione dovendo quindi farsi intenzionalmente ambigua. D’altra parte, seguire la voce
dell’Essere non riguarda l’emancipazione umana ma un processo di ‘risveglio’
tribale”.
Ripensare il nazismo
Sì, ma l’Essere, a parte
l’esoterismo e il tribalismo? Linguaggio cifrato e tribalismo (e versificazioni
in rima, appelli, svolte) infastidiscono e lasciano perplessi, ma il pensiero
dell’Essere? Il problema è forse che Heidegger è un filosofo nazista – nazista
seppure per un po’, come (quasi) tutti i tedeschi - ma filosofo. Bisogna
ripensare Heidegger, probabilmente, ma di certo bisogna ripensare il nazismo.
Kellerer propone all’attenzione
molti dettagli. I “Quaderni” coprono ben 17 anni, 1931-1948 – sono quelli, si
può aggiungere, del “problema nazismo”, dell’adesione e, dopo la sconfitta,
della riqualificazione. “Heidegger fu il primo rettore di una università
tedesca a proclamare apertamente la sua fedeltà al Führer” – contro il suo
consiglio accademico, si può aggiungere, lo stesso che lo aveva eletto. I
“Quaderni” Heidegger teneva “doppiamente segreti” (P. Trawny, il primo decifratore),
ne era geloso, e ha stabilito di farne la conclusione della sua opera omnia.
Linguaggio
criptato
Il saggio si vuole un primo
tentativo di decrittare un pensiero che a ogni evidenza, Kellerer ripete, si
vuole criptato. I “Quaderni”, sostiene, mettono in luce un aspetto particolare
del pensiero heideggeriano e della sua espressione: “l’uso di un linguaggio
indiretto che dà l’illusione di profondità filosofica, ma si rivela essere una
mascheratura e anche una mistificazione”.
Questo è vero: del linguaggio di
Heidegger poco o niente si riflette. Anche se a più riprese Heidegger vi si
riferisce. Kellerer dà anche a questo proposito rilievo alla conferenza di Roma
nel 1936, dove si spiega che “la frase, la lingua sono l’evento più elevato del
Dasein umano”. Ma un po’ ovunque
Heidegger si riferisce al petit comité,
di intesi, sodali, quasi adepti. Del suo pensiero parlando a più riprese come
di un “risveglio”.
Nei “Quaderni”, nota Kellerer, il
riferimento alla comunicazione nascosta è costante. A partire dalla “critica veemente” nel 1923 dei
tentativi di Husserl, che pure era il suo maestro e mentore in cattedra, di elaborare
una teoria della coscienza: la verità, spiega nel semestre invernale 1923-24 a Warburg,
non concerne la conoscenza ma la “decisione”- il concetto di una conoscenza
certa gabellando di “viltà di fronte alla ricerca”.
La
verità è la decisione
Un atteggiamento teoretico, la
decisione, che lo stesso Heidegger associa a “presa del potere” (Gesamte
Aufgabe 17, p. 65) aggressiva. La conoscenza, è vero, volendo sempre radicale
contro il “progresso”, l’aspirazione (illusione) di una conoscenza accumulativa,
sempre più approfondita. Che è tema costante della sua riflessione. Contro
Kant, contro l’illuminismo. Il problema è – Kellerer trova un’infinità di
riferimenti in proposito – che “la parola essenziale”, il “dire autentico”, non
possono indirizzarsi all’umanità come tale ma solo a “certi tipi umani, Menschentümer (GA 76, p.56, e 96, p.
257)”: a un “piccolo numero”, una “linea”, “nuova”, “a venire”, che è anche
“dissimulata, di uomini che si interrogano” (GA 94, pp. 105, 299, 284: GA 96,
p. 117).
Numerosi i riferimenti pro-Germania,
pro-nazi all’inizio e nei primi anni della guerra. In particolare, all’alleanza
russo-tedesca innalza una barriera tra chi ha la storia, la Germania, e chi non
ce l’ha. Che sono tutti gli altri. Eccetto, eresia per un tedesco, sentimentalmente
antislavo, la Russia. Viene poi la litania del “sangue”, della “terra”, del
“popolo”. Da cultore sempre geloso della germanità della lingua.
Molto spazio è poi dedicato
all’antisemitismo. Che c’è, ci deve essere, e come c’è, o si nasconde ma
manifestandosi, si camuffa. “Umanità senza radici”, “assenza di suolo”, e la frase
non tanto criptica del 1939: “La via che è indicata dal Seyn al pensiero segue segretamente la frontiera dello sterminio”
(GA 95, p.50). Un risentimento forte ancora durante la guerra, contro la “sete
di vendetta” . Di cui Heidegger scrive a Jünger il 23 giugno 1949. La lettera, però,
vuole dire: non facciamoci travolgere, da innocenti, dalla vendetta, degli
Alleati soprattutto . Il riferimento ai “mercanti” che ci “svaligiano” non può
essere nel 1949, non c’era l’idea dell’Olocausto, l’ebreo ma il “mercato” Usa,
allora molto risentito, in Germania e in Francia.
Fake
news
Sidonie Kellerer insegna
all’università di Colonia. È famosa per il dibattito sulla “fake news su Heidegger”
nel 2017. Kellerer sostenne su “Le Monde”, con François Rastier, direttore di
ricerca al Cnr francese, Semantica dei testi, che Heidegger è stato membro di
un Comitato per la Filosofia del Diritto, dell’Accademia per la Legge Tedesca,
fondata nel 1934 da Hans Frank, il giurista futuro governatore della Polonia
occupata negli anni della Soluzione Finale, immortalato da Malaparte in
“Kaputt” per la satrapia, impiccato a Norimberga, allora ministro a Berlino
senza portafoglio, ex ministro della Giustizia della Baviera. Un Comitato,
dissero, attivo fino a dicembre 1942, con la partecipazione di Carl Schmitt, che
avrebbe presieduto alle Leggi di
Norimberga, 1936, contro gli ebrei, e “in teoria e in prassi” alla Soluzione Finale.
Se non che il ricercatore che aveva tirato fuori l’esistenza del Comitato,
Kaveh Nassirin, uno studioso di Amburgo di origini iraniane, spiegò che la
documentazione da lui pubblicata era monca e imprecisa, che il Comitato non si
sa se e fino a quando è esistito, e se abbia operato, i nomi dei partecipanti
sono incerti, forse solo nominativi da invitare, etc. Ne scrisse sulla
“Frankfurter Allgemeine Zeitung”, avviando il dibattito sulla “fake news Heidegger”.
I protocolli del Comitato non si trovano o non ci sono, spiegava Nassirin, o sono
stati distrutti, né se ne parla fuori del Comitato stesso, in nessuna forma.
Sidonie Kellerer, Les Cahiers noirs de Martin Heidegger: un
cryptage meurtrier, Academia.edu online
giovedì 27 agosto 2020
Vaffanculo sull’8
Salgono sull’8 a viale Trastevere
tre albanesi, o zingari, giovani, un uomo e due donne, una delle quali, di
sguardo e portamento autorevoli, è incinta. L’8 è a Roma una “metropolitana di
superficie”, insomma un tram, che di solito è affollato, ma non a quest’ora, a
mezzogiorno. L’entrata dei tre allarma un gruppo di asiatici sulla parte
anteriore sopraelevata del tram, che vanno al loro commercio, ma niente di
più. Tutti sono puliti, vestiti con proprietà, di taglio e di colori.
L’albanese, o zingaro che sia, ha la camicia bianca e la cravatta. Gli
ambulanti asiatici tengono i loro oggetti, occhiali, bigiotteria, orologi, in
cartelle ripiegate a valigia. C’è l’aria condizionata, e c’è posto per tutti,
eccetto che per il vostro testimone e i tre albanesi, o zingari, compresa la
donna incinta, cui nessuno offre il posto, né lei lo cerca.Si procede
nel cicaleccio di lingue ignote, nel rumore attutito della linea ferrata.
Finché dalla porta, prima della fermata, un signore robusto non intona la
litania: “Non mi toccare! Fai il furbo? Non ridere, io ti riconosco, sa’? La
gente come te non dovrebbe stare in libertà” eccetera. Avviandosi all’uscita,
si è sentito toccare dal giovane albanese\zingaro, e ha temuto il borseggio. Il
giovane sorride, l’incinta si avanza maestosa e interpella l’accusatore. Non si
capisce cosa dice, se non “incinta”, che ripete toccandosi il ventre, ma è
arrabbiata. L’accusatore si difende: “Cosa vuoi? Ma chi ti conosce? E guarda
negli occhi le persone quando ci parli”, e scende. La donna lo accompagna con
uno sprezzante, ben articolato: “Vaffanculo!”.È un innesco.
Dalla predella anteriore gli asiatici avviano, a turno e in gruppo, una
filippica contro la donna. Non si capisce che dicono, ma il loro “vaffanculo”,
singolo e in gruppo, è scandito. La donna li fronteggia con voce sonoramente
vivace, anche se composta, di cui solo si afferrano un paio di “incinta”,
sottolineati dalla mano che batte sulla pancia. L’alterco dura fino alla
fermata successiva, a piazza Sonnino i tre albanesi\zingari scendono. Ha
l’ultima parola la giovane matrona, che si gira dal marciapiedi, e attraverso
la porta ancora aperta lancia l’ultimo “vaffanculo!”. Poi le porte lente si
richiudono, e si riparte.Sul ponte
Garibaldi il tram sembra avere un’ulteriore esitazione – pare che il rollio faccia
vibrare i pilastri del ponte, come un reggimento che segnasse il passo, sono
stati fatti degli studi, se non sono ubbie da colonnello in pensione, sui tram
si sente dire di tutto. Tre degli asiatici si
preparano a scendere al ministero con le loro cartelle. E una
conversazione ravvicinata sale progressivamente di tono. Un signore baffuto in
età ha ripreso il discorso: “Io voglio essere padrone a casa mia. Tutti
vogliono essere padroni a casa loro, è un diritto”. Si rivolge a una ragazza
seduta accanto alla porta, che a lungo ha guardato intenta, senza alzarsi, la
donna incinta. Sembrano padre e figlia, o zio e nipote, c’è familiarità tra i
due. La ragazza dice qualcosa, che non si ode, il baffuto tuona: “Io non dico
che non ci sia spazio per tutti, ma a casa mia comando io. Sarò felice di
ospitarvi, ma a casa mia comando io”, eccetera. L’8 intanto è arrivato
all’Argentina, e i due se ne vanno separatamente senza salutarsi. Il “Fanculo
pensiero”, prima che del comico Grillo, è di autore croato. È residuo quindi
del comunismo. Potrebbe essere di disappunto, per quello che non è stato. O di
rabbia, una reazione a quello che è stato?Ma non c’è
tempo per pensarci, l’H arriva, che va a Termini ed è coincidenza rara, sul
marciapiedi di palazzo Caetani. Arriva ma non apre le porte. E anzi riparte nel
mentre che il vostro testimone giunge trafelato davanti alla porta. Il
“vaffanculo!” all’indirizzo dell’autista dev’essere stato sonoro, si sa che
gli autisti dell’Atac sono stronzi e vi chiudono le porte in faccia, tanto che
lo stesso autobus sussulta, mentre si ferma. È un lungo momento, l’autista
apre la porta, ma potrebbe essere un invito al litigio che conviene evitare,
poi lento riparte, dopo avere imbarcato una ragazza, che ha problemi coi tacchi.
È che non c’è fermata in quel luogo dell’H, la palina non la segna - l’H è uno
di quei bus che saltano una fermata su due, o due su tre, dipende, l’Atac non
organizza le fermate per favorire le coincidenze.
Fondamentalisti islamici in azione sul Nilo, a fine Ottocento
Tragedia non è, c’è il lieto
fine. Ma l’avventura sì, e un fine spirito politico: nel 1898 un gruppo fondamentalista
mussulmano in Sudan intercetta e rapisce un gruppo di turisti americani ed
europei nell’Alto Nilo, al limite col Darfur. Per un riscatto, previa conversione.
Ci sono molti incidenti, si creano tensioni, la tecnica del giallo è trasposta
a questo piccolo romanzo d’avventura.
Nel 1898 Conan Doyle ha fatto
morire Sherlock Holmes (poi lo resusciterà) e tenta nuove vie – vuol’essere uno
scrittore, non lo scrivano di SH – un po’ la sindrome Montalbano di Camilleri.
Fa lo storico, tenta altri generi narrativi, questo politico, il fantastico. Con
buoni esiti. Ma senza fortuna – nemmeno in questa ripresa italiana,
evidentemente, riproposta da Alessandro Zaccuri, che puntualizza tutti i
richiami tra l’ieri e l’oggi. C’è un Califfo – ce ne sono due. Con barba nera.
C’è perfino l’odierno complottismo: qualcuno mette in dubbio la rivolta del
Mahdi, di cui il gruppo terrorista è parte, che pure è storia. Con le vecchie caratterizzazioni nazionali, del francese contro l’inglese, gli americani, le americane intrepide, ma quanto veritiere. Mentre l’integralismo
è già “il desiderio ansioso d’incontrare la morte”. Nel deserto libico, “il
deserto più grande del mondo”. E si fa distinzione fra l’egiziano e l’arabo, basilare ma perduta nel panarabismo confuso di Nasser e successori.
Un racconto di oggi. Il solito
gruppo di turisti o di cooperanti rapito a scopo di indottrinamento e di
riscatto. Dal solito gruppo fondamentalista, più o meno organizzato ma determinate.
Agli stessi effetti, conversione con riscatto. Qualcuno viene ucciso, qualcuno
si converte, più o meno opportunisticamente, il solito interprete che si salva
tradendo, mentre l’acqua, soprattutto, manca. La spinta religiosa è la sola differenza,
tanto più anomala per un non più credente cone Conan Doyle: è il solo conforto,
se non la salvezza, anche per i rapiti, per quanto non praticanti o agnostici.
Una curiosità è la menzione
come autorità notoria di Belzoni, l’egittologo allora in fama oggi dimenticato.
Arthur Conan Doyle, La tragedia del Korosko, Medusa,
remainders, pp. 157 € 7,75
mercoledì 26 agosto 2020
Il mondo com'è (408)
astolfo
Carlo V – Si può vederlo anche – quale
fu – come un incredibile seminatore di distruzioni. In Italia, nelle Fiandre,
contro la chiesa – bene o male matrice europea. Non fu munifico, non fu
mecenate, malgrado i grandi domini e le grandi ricchezze accumulate – prendeva
anzi sempre a prestito, senza restituire - ma avido, sempre all’opera solo per
sé. Chiese? Palazzi? Monumenti? Quadri, statue, giardini? Distruttore
dell’Italia quando l’Italia tentò di erigersi a nazione.
L’
“Enciclopedia dei ragazzi” Treccani si limita a dirlo, a opera di Massimo L.
Salvadori, “uno dei più grandi sovrani della storia moderna”. Con un
apprezzamento: “Sognò di creare una monarchia universale in grado sia di
garantire un ordine politico pacifico...” etc. Ma un tribunale internazionale
oggi lo farebbe criminale di guerra: ordinò il “sacco di Roma”, con abusi di
ogni sorta, la città del papa che diceva di voler difendere, prese Firenze a
tradimento, vinse sempre ma mai con una battaglia, solo inganni e violenze.
Conan Doyle - –
Fu presto spiritista, convinto e
militante, e lo restò tutta la vita. Nell’ultima intervista che diede,
nel 1929, prima di morire, un’intervista filmata “Movietone” della Fox, era
presentato così: “Sir Arthur Conan Doyle è famoso in tutto il mondo per le sue
storie di Sherlock Holmes. Ha dedicato gli ultimi quarant’anni a studiare lo
spiritismo ed è uno dei maggiori sostenitori dell’esistenza degli spiriti e
della possibilità di comunicare con l’aldilà”.
Lo spiritismo fu l’esito della dichiarata passione per le
cose scientifiche. Fu per tre quarti della sua esistenza una sorta di portavoce
letterario del positivismo, per quanto concerne la teosofia e lo spiritismo.
Con pubblicazioni, studi, racconti, polemiche, e numerose missioni apostoliche,
in tutti gli Stati del Commonwealth, nell’Africa britannica, in Francia –
benché alieno dallo spitirismo francese, di Kardec, seguace di Madame
Blavatsky, perché contemplava la resurrezione in cui non credeva.
A diciassette anni decise di abbandonare il cattolicesimo,
nel quale era nato ed era stato educato, dai gesuiti, per le scienze positive.
La cattolicissima famiglia irlandese (Conan Doyle è nato a Edimburgo da
genitori venuti d’Irlanda) era peraltro credente nelle fate, gli gnomi e gli
elfi: la madre ne era grande fabulatrice, lo zio Richard Doyle illustratore
rinomato di libri di fate, il padre Charles Altamont Doyle finito presto in
manicomio non farà che disegnare fate, sirene, elfi – a un prozio, padrino di
battesimo, Michael Conan, deve il secondo nome Conan, da mito nordico. Il
futuro creatore di Sherlock Holmes era cresciuto disinibito, in un certo senso
un irregolare pur nell’ordinato cursus
formativo. Appena iscritto a Medicina s’imbarcò per sette mesi come medico di
bordo su una baleniera.
Le scienze positive subito però il futuro autore di Sherlock
Holmes coniugò con lo psichismo. A ventun’anni nel 1880 cominciò a frequentare
sedute spiritiche. Quindi si occupò del mormonismo, e di teosofia, nel quadro,
dirà nelle memorie, della sua “ricerca della religione positiva”. In teosofia
fu seguace di Alfred Percy Sinnett, discepolo anche lui di Madame Blavatsky, ma
con riserve sulla reincarnazione. Massone nel 1887, vicino ai Rosacroce. E
spiritualista nel mentre che crea Sherlock Holmes: “Uno studio in rosso”, la
prima avventura, è scritto nel 1886 (pubblicato nel 1887), quando rompe col
mormonismo, per via della poligamia, ma contemporaneamente si professa, in
lettere personali e pubblica, spiritualista convinto, per essere positivista
convinto – come molti positivisti, in Italia Lombroso. Aprì prima della Grande
Guerra una libreria spiritista, il Psychic Bookshp, nella centralissima
Victoria Street, davanti a Westminster,che affidò alla figlia Mary. Alla
libreria volle affiancata un’attività editoriale, la Psychic Press.
Una biosintesi lo direbbe dottore (medico), romanziere,
drammaturgo, storico militare, patriota (fu corrispondente di guerra sul
fronte francese all’inizio della Grande Guerra, nella Guerra Boera, di cui cui
sarà lo “Storico”, dal punto di vista britannico, rifiutato all’arruolamento
per l’età, partecipò come direttore di un ospedale da campo), sportivo,
sostenitore di cause umanitarie, polemista, inventore, creatore di Sherlock
Holmes, infine capo del Movimento spiritista britannico e conferenziere per
esso in tutto il mondo di lingua inglese, “partendo da una posizione di
relativo materialismo”, come dice nelle memorie.
In settantun’anni scrisse una quarantina di libri, un centinaio di novelle,
una dozzina di commedie, una storia della guerra dei Boeri in Sud Africa, una
storia della Grande Guerra in sei volumi. “I suoi successi di atleta”, scrive
un biografo, “non furono meno notevoli. Primeggiò nella boxe, giocò a cricket nella squadra di un
club famoso, fu un pioniere al volante di un’automobile, esperto giocatore di
biliardo, e introdusse lo sci norvegese in Svizzera”.
Solido si direbbe, scrittore multiforme, e impegnato in ogni
sorta di causa, per i diritti, ma anche stolido, uno che credeva a tutto,
scriveva lettere ai giornali, e viveva attivissimo e isolato nella Londra di
Oscar Wilde, G.B.Shaw, H.G.Wells. Nel 1916 annuncia pubblicamente la sua
“conversione allo spiritismo”, con una seconda moglie, Jean, che gioca alla
medium. Nel 1928 presiede a Londra il Congresso Spiritista Internazionale. Jean
provocò un mezzo scandalo con Houdini, già amico di Conan Doyle: gli trasmise
un messaggio della madre morta, che parlava in inglese e aveva una croce sul
petto, suscitando lo sdegno dell’illusionista, perché sua madre era ebrea, e non
parlava l’inglese.
Uno speciale rapporto il creatore di Sherlock Holmes ebbe
con Crispi, anche lui positivista spiritista, che nel 1895 lo fece insignire
dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Mauriziano, o della Corona d’Italia.
Fu la prima onorificenza ufficiale per Conan Doyle. Concessa dopo la
pubblicazione su “Il Giornale”, uno dei tanti controllati da Crispi, fra il 31
gennaio e il 9 febbraio dello stesso anno, della prima traduzione italiana di
Conan Doyle e Sherlock Holmes, il racconto “Il trattato navale”. Cl titolo “Il
furto del trattato”. E con l’aggiunta di una coda, in cui si legava il racconto all’attualità, cioè alle
preoccupazioni francesi per un (inesistente) trattato navale tra Italia e Gran
Bretagna.
Sul cavalierato di Crispi si dilunga la narrazione
biografica, “The true Conan Doyle”, di
Adrian Conan Doyle, il figlio più giovane dello scrittore, nato dalla seconda
moglie, Jean. Mettendo in rilievo che arrivò prima dell’analogo riconoscimento
britannico, quello che gli darà iltitolo di Sir, che lo scrittore permaloso
accetterà con riluttanza – il cavalierato britannico fu riconosciuto a Conan
Doyle nel 1902 non per Sherlock Holmes ma per la sua difesa della Gran Bretagna
nella Guerra Boera. Dell’onorificenza italiana Conan Doyle invece fu lusingato.
Ne parlò con la prima moglie, che però morì subito dopo l’arrivo del
cavalierato. E ne scrisse il 24 aprile 1895 ad un’amica, Amy Hoare, dal Grand
Hotel Belvedere di Davos, con ironia ma non del tutto: “Sapete, signora, che
sono ora un Cavaliere – ma forse solo della Cavalleria Rusticana? Il Governo
italiano si è mostrato così illuminato da farmi Cavaliere dell’Ordine della
Corona d’Italia. Pensavo fosse uno scherzo ma mi è arrivata invece una grossa
medaglia – pardon, decorazione –me penso che sia tutto in regola”.
Adrian Conan Doyle spiega che sia il padre che Crispi erano
massoni. E dice che “Il trattato navale” fu stampato in italiano molto dopo,
nel numero di novembre-dicembre 1904 de “Il Romanzo Mensile”. Ma ricerche
recenti, di Roberto Pirani e Philip Weller, anno tracciato la prima
pubblicazione – di cui copia anastatica è stata distribuita al convegno “Il
significato dell’insignificante”, 6-8 dicembre 2008 a Villa Mirafiori
(Sapienza) a Roma, come n. 3 della collana di Anglistica “Studies in scarlet”,
dell’Associazione Uno studio in Holmes.
Italietta –Si dice l’Italia di Fine Secolo-primi del Novecento, fino alla Grande Guerra. Confluita dopo la guerra nel fascismo, senza resistenze o problemi, se non con voluttà. Con molti punti di contato con l’attualità. L’abdicazione alla politica. Un ceto politico improvvisato e inconsistente - sotto il Padre Padrone Giolitti, l’unico che sapeva di che si trattava. Una politica estera presuntuosa e vacua. Un mercato del lavoro debole – fatto di emigrazione allora, invece che di immigrazione, come oggi, ma sono due facce della stessa medaglia. Senza eccellenze nelle lettere e nelle arti: i sei volumi della “Letteratura della nuova Italia”, dove Croce ha raccolte le recensioni di quei decenni, si sfogliano singolarmente vuoti, se non per il tardo Pirandello e il primo D’Annunzio – di millecinquecento pagine e un centinaio di autori poco o niente rimane. L’Italia ha questa fasi di astinenza?
Mazzini – È stato
del tutto dimenticato nei tre quarti di secolo della Repubblica, di un’Italia
unita fortemente aperta alle istanze sociali popolari, specie quelle
operaistiche, di cui fu l’apostolo. Anche col terrorismo, bombe, regicidi. Benché
profondamente religioso.
Tutto il processo nazionale, dell’unificazione, la Repubblica
ha trascurato. Si ricorda ancora Garibaldi, a proposito e a sproposito, Cavour
poco, Mazzini niente – se non per qualche manifestazione del Msi-Allenza
Nazionale al Gianicolo, in ricordo della Repubblica Romana del 1849. Non lo
amavano i Savoia, ma nemmeno Mussolini. L’ultima “Vita di Giuseppe Mazzini” è
di Jessie White Mario, 1891. Fu personaggio carismatico in tutta Europa,
dall’Austria-Ungheria a Parigi e a Londra. Vestiva di nero, in segno di lutto
per la patria oppressa. Esordì a 25 anni con un saggio letterario, ”Dell’amor
patrio di Dante”, ed entrò nella Carboneria. Di cui divenne l’animatore. Senza
però entrare nella massoneria. Finirà rispettato (temuto) da Metternich, il
Restauratore d’Europa dopo la caduta di Napoleone, che nelle”Memorie” lo fa il
Nemico per eccellenza: Napoleone, imperatori, re, papi, “nessuno mi dette
maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma
eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro,
disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha
nome Giuseppe Mazzini”.
Nacque francese: Genova era il capoluogo del dipartimento di
Genova che Napoleone aveva appena istituito, una settimana prima della sua
nascita, nel 1805. Fu molto legato alla madre Maria Drago, una fervente
giansenista. Crebbe con la passione letteraria. Sarà amico, tra i tanti, di
George Sand, e nel lungo soggiorno londinese di Mary Shelley, Dickens,
Swinburne, Carlyle, John Sturat Mill.
Il primo arresto lo subì dai Savoia, da Carlo Felice, che
ancora non erano per l’Italia unita, nel 1830. Dopodiché cominciò un esilio
durato tutta la vita - eccetto i brevi mesi della Repubblica Romana e gli
ultimi due anni di vita, dapprima da amnistiato poi da latitante. Subito dopo
la liberazione nel 1830 fondò, da Marsiglia, la Giovine Italia, per l’unità
d’Italia e la repubblica. Nel 1833 Carlo Alberto di Savoia lo fece condannare a
morte in contumacia. A lui Mazzini si era rivolto con una lettera aperta, firmata
“un italiano”. Fu in Svizzera, dove alla Giovine Italia affiancò, nel 1834 a
Berna, la Giovine Europa, e a Londra. A Roma per la Repubblica Romana. Ebbe due
condanne a morte: a Genova per dei moti falliti nel 1857, e a Parigi per
complicità in un attentato contro Napoleone III. Fu eletto a Messina deputato
al nuovo Parlamento di Firenze nel 1866. Tre volte, le prime due volte essendo
state annullate dalla Camera per le condanne pregresse - la terza volta fu
Mazzini a rifiutare l’elezione, per non prestare giuramento alla monarchia.
astolfo@antiit.eu
Questa Francia del ‘18 sembra l’Italia
Un racconto appassionato e
spassionato, irridente, sul Nemico Interno, sulle violenze nelle trincee e alla
smobilitazione della Grande Guerra – siamo tra il 1918 e il 1920, il romanzo è
uscito nel 1914, per il Centenario. Scritto come un trattamentone da film (che
è stato realizzato, con lo stesso titolo, premio Cesar 2018 per l’adattamento -
e per la regia, di Albert Dupontel - non distribuito in Italia), scena dopo
scena. Pieno di bontà e di crudeltà. Concluso con un fuoco d’artificio. Alla
vigilia del 14 luglio, festa dei fuochi d’artificio in Francia: gli scandali
scoppiano in successione, con morti e resurrezioni.
Storie di avidità e di malizia. Dei
pescecani dopo la Grande Guerra, e degli sbandati. Tra Monumenti ai Caduti e grandi
Cimiteri Militari, big business. Dopo una guerra in cui i più, i milioni, sono
morti senza sapere il perché. E i sopravvissuti, tutti in qualche modo mutilati,
non “hanno altra ambizione che morire”. Con una morale sottesa tra pietà e
cinismo: anche la vittoria è una sconfitta – i dopoguerra possono essere feroci
anche per chi ha vinto.
Una scrittura non accurata, ma
redditizia. Lemaître si diverte ad arrotondare di parole lo scheletro del trattamentone,
ma lo fa leggero, avendo molto tempo – lo spazio non manca mai allo scrittore.
Sotto il mantello storico, cinematografico,
indignato, Lemaître resta scrittore di gialli, anzi di noir – la violenza fa aggio sulla sorpresa, e la fine è più o meno
prevedibile. Presentato come un romanzo storico, non lo è – mancano i fatti essenziali
di quegli anni, i tedeschi, o per esempio la spagnola.
La lettura in Italia solleva a
ondate un senso di già visto o letto. In Monicelli, “La grande guerra”, in
Malaparte, “La rivolta dei santi maledetti”, in Hemingway, la terribile “offensiva”
di comandi e carabinieri nella terribile ritirata di Caporetto, quanti ne
fecero fuori lì per lì dichiarando disertori i soldati semplici delle grandi
armate sconfitte. Il figlio geniale rifiutato dall’inflessibile padre, che ha
solo criterio gli affari, si chiama Edoardo, come in casa Agnelli. Con molto
humour “grasso” gallico, alla Brassens, alla Vian.
Pierre Lemaître, Arrivederci lassù, Oscar, pp. 475 € 17,50
martedì 25 agosto 2020
Cronache dell’altro mondo - 70
È categoria sociologica americana il
“familismo amorale” italiano. Ma che dire dell’America? Dove la sorella e la
nipote di un presidente si fanno best-seller sparlando del fratello e zio
importante. Non più morali dello stesso, ma popolarissime e arricchite a spese
sue. Dove su una buona madre di quattro figli, consigliera di Trump per quattro
anni, le stesse figlie si sono fatti una audience
e una carriera sui social contro Trump, non solo, ma anche contro la madre. Sarà
pettegolezzo e non familismo amorale, ma non è la stessa cosa? Con la differenza
che gli americani ci credono, mentre gli italiani istintivamente diffidano.
Gli
Stati Uniti hanno il record dei contagiati e dei morti da coronavirus, in
assoluto e, di più, in rapporto alla popolazione: poco meno di sei milioni di
contagi, per ua popolazione di 350 milioni, e poco meno di 180 mila decessi.
Per nessun’altra ragione che una professione di libertà, contro i divieti di assembramento,
la chiusura delle attività, il distanziamento, la mascherina. Una strana
concezione della libertà, asociale, suicida.
Per il terzo o quarto anno consecutivo la
California brucia perché bruciano i cavi dell’alta tensione, vecchi, mal
ridotti, su tralicci pericolanti. Senza che niente cambi.
Trump apre la convention repubblicana, la kermesse di quattro giorni che deve
indicarlo candidato ufficiale del partito alle presidenziali, sostenendo:
“Voglino rubarci il voto”, col voto postale. Sottintendendo: le poste non sono affidabili.
E viene creduto, non solo dai repubblicani – benché sia Trump, il presidente
ufficialmente meno credibile.
La polizia americana sotto accusa in vari stati da alcuni mesi per la
violenza, continua a sparare e uccidere, bersagli di preferenza i neri. Se fosse
una tecnica o una tattica di polizia le avrebbero cambiate, è proprio razzismo.
Proteggere i migranti o l’assistenza
Un
giornale favorevole all’immigrazione selvaggia, il “Corriere della sera”, ha
oggi questa pagina in argomento: “17 mila le persone sbarcate nel 2020 in
Italia (17.264). Un anno fa 4.664” – si dice Italia ma si intende, si sa,
Sicilia, Calabria e Sardegna. “7 mila migranti sono arrivati in Italia a luglio
2020: nel 2019 erano stato 1.080”. “La difficile sfida dei sindaci sull’isola:
«La gente ci insulta, siamo al limite», «Le nostre città come bombe a
orologeria».
Nel
centro di accoglienza di Lampedusa, che ospita quattordici volte il numero di
persone per le quali era stato creato, c’erano ieri 58 casi di coronavirus. Un focolaio da “zona rossa”, ma il centro non
si chiude. Il presidente della regione Sicilia minaccia di chiuderlo, il
governo risponde che non può farlo, non ne ha i poteri. E fa dire che, se la
regione Sicilia chiuderà il centro, le farà causa.
Tutto
fuorché la verità, del traffico di esseri umani che alimenta l’ecatombe dei
migranti in mare, e l’assedio alle coste. Sembra un “impegno” sciocco - o è un impegno per la diaria del migrante?
Ombre - 527
I tamponi a Linate e Orio al Serio, molte migliaia ogni giorno, la sanità milanese li ha affidati in convenzione al Gruppo San Donato. Finita la moria, la sanità torna tranquillamente privata in Lombardia, dove ci sono soldi senza investimenti.
Il
Gruppo San Donato figura presieduto dall’ex erede di Berlusconi Alfano, ma è di
solidi interessi lombardi, attorno alla famiglia Rotelli e banca Intesa. Consigliere
d’amministrazione è l’ex ministro leghista Roberto Maroni, nominato dalla famiglia
Rotelli appena ha concluso l’esperienza politica alla presidenza della Regione
Lombardia, responsabile della sanità.
Il
presidente del consiglio Conte celebra da solo ad Amatrice i quattro anni del
terremoto, che fece alcune centinaia di morti e rase al suolo il paese. Da
solo, essendosi gli abitanti sopravvissuti
rifiutati di partecipare, dato che il governo ha fatto praticamente
nulla per la ricostruzione. Così il presidente del consiglio ha avuto le
immagini tutte per lui: farsi vedere è tutta la politica.
A
dieci giorni dall’inizio della scuola il governo se ne accorge. “Conte richiama
i ministri: la scuola vi riguarda tutti”, tuona dai giornali. Che colpe ha
l’Italia per meritarsi i fresconi al governo? Con l’appoggio del Pd, per giunta.
Non
si sa bene se, ma il malessere che ha colpito Navalny, Grande Oppositore
autodichiarato di Putin, è compatibile con un veleno. I medici tedeschi non si
sottraggono ma si cautelano – dicono l’una e l’altra cosa, Navalny è stato
avvelenato, ma forse no. E questo è tutto.
Ci
sarebbero molti argomenti contro Putin e la Russia, ma solo questi, di questo
genere, roba da thriller, si fanno
valere. Per dare ragione a Putin, che l’Europa è una fanfaronata?
Naturalmente,
essendosi Navalny comodo espatriato a Berlino, non manca il monito di Angela
Merkel a Putin, naturalmente severo. Tacendo che i due fanno affari “a tinchité”, direbbe
Camilleri, a iosa, in abbondanza, contro moniti e fulmini americani.
Fa
senso trovare in edicola “L’Espresso” più smilzo dello smilzo raccontino di
Camilleri che “la Repubblica” regala la domenica. Possibile che in Italia non
ci siano grandi temi, grandi discussioni, importanti novità, politiche, sociali,
culturali, che un settimanale debba o possa meglio trattare? Come ce ne sono in
Germania, in Francia, negli Usa, perfino nella
stessa retriva Inghilterra. Non ce ne sono – Di Maio? Grillo? Conte?
Lampedusa? Il covid? L’orizzonte è basso.
Molinari
a “la Repubblica” e il gossip quotidiano
tra Di Maio e Salvini, l’aeropago italico, si riduce da otto a due-tre
paginette - e se ne potrebbe fare a meno. Mentre le due paginette,
burocratiche, di Esteri diventano sette-otto, e sappiamo infine qualcosa di
quanto avviene nel mondo. Ma i lettori del quotidiano – che pare siano
soprattutto lettrici - sembrano non gradire, a giudicare dalle prime settimane
di vendite. È un mondo afflitto, orfano, vedovo?
“La
Repubblica” ha scoperto perfino l’Africa. Che è poi il posto da dove vengono
tutti quegli immigrati che sbarcano di notte a Lampedusa. Ma neanche questo
smuove i lettori del quotidiano, il coté umanitario,
del business ong.
Segato
dai 5 Stelle nelle regioni dove aveva bisogno di un aiutino per vincere fra un
mese, il Pd corre generoso in soccorso della 5 Stelle Raggi a Roma. Il Pd di
Zingaretti, che è romano. E quindi sa che Raggi è un fallimento totale. Ma
Raggi ha speso molto e moltissimo nelle ultime settimane per recuperare, manti
stradali, piste ciclabili, appalti, assunzioni (vigili, bidelli, netturbini,
autisti Atac): è questo che ha convinto il Pd romano – quello che andò dal
notaio per far dimettere il suo sindaco, Marino, che non voleva intrallazzi?
Il mal d’amore tra madri e figlie
“L’amica geniale”, la serie che
abbiamo visto in tv, è altra cosa. Qui, nel cuore di “Elena Ferrante”, la
storia è dell’“amore negativo”, tra madri e figlie soprattutto.
Trent’anni di rapporti tormentati
madri-figlie è il maggior successo dell’editoria italiana, uno dei maggiori
successi mondiali. I lettori sono donne? Madri e figlie sono così
(necessariamente) conflittuali? Di che
rivedere le storie della letteratura, Freud, e anche il femminismo.
Il volume riunisce la trilogia
“L’amore molesto”, “I giorni dell’abbandono”, “La figlia oscura”, i primi tre
romanzi della scrittrice, che “Foreign Policy” include fra i cento pensatori
più influenti al mondo, e “Time” fra le 100 persone più influenti. Con un’introduzione
di Edgardo Dobry, il letterato argentino. Che rinvia a Beckett, Henry James,
Virginia Woolf, ma non ce n’è bisogno: le madri morte evidentemente bastano .
Molte pagine, ma si leggono
presto.
Elena Ferrante , Cronache del mal d’amore, Edizioni e\o,
pp. 508 € 22
lunedì 24 agosto 2020
Problemi di base storici epocali - 590
spock
“La
Germania ha dimenticato la storia perché non vi succede storia”, Marx, 1842?
“Deutschland ist kein Staat mehr”, la
Germania non è più uno Stato, Hegel, “Sulla costituzione della Germania”, 1802?
Se Apple vale quanto tutta
l’Italia, che economia è?
Ci sono gli anglo-cinesi, dopo gli anglo-indiani, artisti e
scrittori, non ci sono i cino-inglesi come non gli indo-inglesi: l’Asia si
afferma o si nega?
Si
emigra a senso unico?
spock@antiit.eu
La natura è pericolosa
La
natura non è maestra. La divinità secolare del Millennio non ha nulla da
insegnare: tentare di vivere come natura comanda, immaginariamente poiché
niente avviene senza l’artificio umano, non porterebbe al paradiso terrestre ma
metterebbe a rischio la società, la salute, l’ambiente stesso. "Come la fede nella bontà della
natura porta a mode dannose, leggi ingiuste e scienze errate”, è il sottotitolo.
Un trattato morale sul concetto
di natura e naturale. Che sono “un’etica mercenaria che ognuno può prendere in
prestito per combattere la sua causa”. Mentre ci vuole attenzione a trasformare
l’“è” crudo della natura in un “dovrebbe” politico e religioso. Questo
l’assunto fondamentale. Quasi un sermone, di uno storico delle religioni. Ma è
vero che l’ecologia è un mercato, il più fiorente di tutti, e che l’ecobusiness
si fa gioco della buona fede: naturale è la parola chiave per una serie si può
dire interminabile di piccole e grandi truffe. E per gli spiriti semplici una
lettura del mondo pericolosa, oltre che sbagliata.
Collaterali sono questioni
comunque sensibili anche se non decisive. “Naturale” può essere privilegio di
classe in tutti gli aspetti modaioli. P.es. dei borghesi che dicono innaturali
i vaccini. Per non dire del “naturale” inteso come “indigeno” o “primitivo”,
come nel caso della “nascita naturale”, della maternità senza l’ausilio di
antidolorifici.
In generale, Levinovitz mette in
guardia contro l’idea della natura maestra morale, un’idea poetica, di Wordsworth,
Thoreau, Whitman, che hanno legato il piacere di vivere nella natura a una
sorta di pedagogia naturale che fa l’uomo migliore e capace di prendere le
decisioni migliori. È improprio e rischioso associare “naturale” e “buono”: “La
naturalità è un continuo, e può essere molto difficile decidere dove qualcosa
esiste in quel continuo”, si propone, regolamenta.
Alan Levinovitz, Natural: The Seductive Myth of Nature’s
Goodness, Profile, pp. 272, ril. € 22,20
domenica 23 agosto 2020
L’asino del referendum o Zagrebelsky for president
Strabiliante lettura questa mattina su “la Repubblica” a proposito del referendum che taglia di un terzo i parlamentari. Il costituzionalista Zagrebelsky si fa l’asino di Buridano, quello che filosoficamente non può decidere fra due opzioni uguali. E vanta sia le ragion del si che quelle del no. Un capolavoro di cerchiobottismo, ma tipo farsa – forse utile a candidare il costituzionalista al Quirinale. Quando si sa che il referendum è antiparlamentare.
Il referendum è un attacco al Parlamento. Un altro, dato che in questi due anni e quasi mezzo di governo grillino il Parlamento è stato eliminato di fatto, complice Mattarella, con i decreti legge e i dcpm (e dcpm “salvo intese”, decreti cioè senza contenuti precisi, da variare a piacimento…). Proposto da partiti che hanno fatto in pochi mesi governi di un colore e del colore opposto, prima di destra e poi di sinistra. Governi che si sono distinti entrambi, quello di destra e quello di sinistra, per fare a meno, complice Mattarella, del Parlamento. Dove vanno per metterlo a tacere con rapidi voti di fiducia – indifferentemente di destra o di sinistra. Mentre legiferano a piacimento, per la bottega e per gli amici, senza nessun controllo – una delle funzioni del Parlamento è il controllo degli atti governativi.
Peccato che “la Repubblica” voglia farsene pagare la lettura, sarebbe un divertimento, il “no ma sì” è perfino esilarante.
https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/08/22/news/referendum_se_la_costituzione_resta_nascosta_dietro_una_diatriba_tutta_politica-265250596/
Appalti, fisco, abusi (181)
Enel ha quasi raddoppiato il valore di Borsa dal 2017, col piano per la Banda Ultra Larga fatto appositamente per l’ex ente di Stato dal governo Renzi-Del Rio, per un contro-monopolio alla rete Tim. Con la promessa di collegare, con gli incentivi già incassati dallo Stato, 7.682 Comuni. Ma ne ha collegati solo 26.
Enel si impegnava col piano Bul a portare le tecnologia fibra FTTH nelle aree bianche, dove cioè non c’è investimento privato, ma dove già Tim forniva la banda larga FTTC. Vantando 9 milioni di utenze, mentre Agcom le riduce a poco più del milione e mezzo che Enel ha ereditato da Metroweb con l’acquisizione del 2016 in previsione del Bul. I conti Enel sono truccati? Ma né la Consob né l’Antrust chiedono lumi.
Si elogia la nuova gestione della Vigilianza bancaria Bce gestita dall’italiano Andrea Enria. Che si è distinto nei sei mesi di coronavirus per disseminare allarmi. Anche dove i ratios erano e sono solidi – per esempio per Intesa e per Unicredit. C’è chi gioca nei mercati sulle (contro le) banche. Enria è solo un ragioniere, non legge i bollettini di Borsa? Ammesso che le banche (ma quali banche, un generico “tutte” non può essere) abbiano bisogno di ricapitalizzarsi, dove si alimenterebbero se sono sempre lì per crollare?
Con un balzo del 5 per cento, da mercoledì Apple “vale” quanto tutto il pil italiano. Champagne. Non è invece una campana a morto, un’economia basata sul nulla – sull’immagine?