sabato 12 settembre 2020
Il mondo com'è (409)
Francesco Misiano – Un Misiano è condannato (provvisoriamente) a Varese per ‘ndrangheta. È inevitabile per un calabrese che faccia politica fuori, c’è sempre un parente vicino o lontano con carichi pendenti che l’opposizione possa far valere. Ma il Misiano di Varese-Malpensa è di Fratelli d’Italia, mentre Misiano ricorre in Calabria a sinistra, anche estrema. Sull’orma di Francesco Misiano, socialista, fondatore del partito Comunista d’Italia, e poi da Mosca anima del Comintern, la Terza Internazionale, 1913-1943, quella di Stalin per intendersi. A capo dell’attivissima sezione Propaganda, in anni di successi, 1920-1930, sotto la supervisione di Willi Münzenberg: Misiano è il suo braccio destro soprattutto per il cinema, e quindi a contatto con le stelle russe ma anche americane.
La sanità pubblica privata
Candidato del Pd in Puglia,
l’epidemiologo Lopalco accusa la Lega: “La ripresa dei contagi è anche
l’effetto della propaganda scriteriata di alcune forze politiche del Nord, che
il virus non esiste e quindi possiamo tornare a curarci nelle cliniche del
Nord”. Però è vero, la Lombardia – le “cliniche del Nord” sono lombarde – ha un sistema sanitario profit, pro cliniche private. Alcune
perfino elevate a ospedali di alta specializzazione e policlinici universitari,
dove però non si studia.
“Per
alcune regioni del Nord la sanità non è un servizio ma un mercato”, insiste
Lopalco. Questo è più vero. Anche per il servizio pubblico: dal Pronto Soccorso
all’accettazione alla corsia, c’è di programma, volutamente quindi, una
prestazione insoddisfacente (ritardi, rinvii, diagnosi incerte) che invita a
fare il percorso a pagamento – magari nella stessa struttura pubblica. A pagamento
immediato invece che in attesa dei rimborsi delle Asl – qui forse non incide
l’ideologia del mercato ma la miseria del pubblico. Delle Asl ultima roccaforte
del sottogoverno politico, che si regola sul potere, corruzione compresa, e non
con l’efficienza. Il manager sanitario pubblico è ancora da inventare, dopo
42 anni di Sistema sanitario nazionale.
Campanella don Chisciotte e poeta del mondo unito
Centocinquanta pagine brevi di
testi, assortite da una cinquantina di succosi dati e aneddoti, con
l’introduzione del curatore. Una scelta diversa, nel mare magnum degli scritti campanelliani, con alcune pagine allora
inedite dal “Senso delle cose”, trattazione privilegiata, e dall’“Epilogo
Magno”.
Alvaro non è specialmente lettore
di Campanella, dopo questa antologia non se ne conoscono altri scritti sul
frate. Ma come per ogni cosa si applica, e come sempre mostra fiuto e intelligenza, colta. Di Campanella, per quanto incarico occasionale, è andato
perfino a riscontrare la memoria nei luoghi di origine, Stilo e la concorrente
Stignano, sul presupposto che era “figlio della comunità monastica e figlio del
popolo”, trovandocela. Di un tipo particolare, che scopre corrispondere all’immagine
persistente del frate, di veggente combattente: “Uomini siffatti a contatto con
la cultura diventano smisurati in tutto, e credono alle idee assolute”. Dote e
stimmata, si direbbe, dell’autodidattismo, col quale Campanella sostanzialmente
crebbe: di studi regolari ma senza ambiente culturale di riferimento - Alvaro
stesso mette in rilievo che il Fenomeno Galileo, col quale spesso confronta il
frate calabrese, culminava secoli di civiltà condivisa.
“Campanella era un uomo
ingombrante” è l’esordio: troppo innovatore ma “troppo acutamente malato del
male del suo secolo”, il rigetto della modernità. “Alla chiesa della
Controriforma prestò più di un’arma”. Al tempo di “un Galileo”, appunto, che però
egli difese, “e di un Torricelli”, un secolo dopo Machiavelli. Ma rivoluzionario
nell’animo. Nel progetto di Monarchia Universale – ultimo assertore della
“Astraea” di Frances Yates – della “Città del Sole”. E nelle stesse variegate
proposte che partorì per papi, cardinali, principi e ogni altro che potesse
giovargli nei lunghissimi ventisette anni di carcere duro: aumentare le rendite
del Regno di Napoli con beneficio dei sudditi, convertire senza violenza le
Indie occidentali e orientali, come andare a cavallo senza fatica, come
navigare senza remi e senza vento, e naturalmente il morto perpetuo.
Un fanfarone? No, è frate colto e
perfino dotto. Buontempone per sopravvivere alla galera. E insopprimibilmente
innovatore – anche nei suoi contributi, nota acuto Alvaro, alla Controriforma.
Giusto un po’ don Chisciotte dal vero, prima di quello poi classico. Non senza
senno politico. Un secolo dopo Machiavelli, che aveva bene avvertito la novità
dell’epoca, la costituzione degli Stati nazionali. “Campanella” invece
“appartiene al ceppo popolare degli apostoli”, per i quali l’etica conta e non
il potere: “Machiavelli fa della psicologia esatta, Campanella è la fede armata”
- “Egli seguita a credere nell’avvento del Regno di Dio fino alla fine della
sua vita, nei dieci anni più fecondi sogna ancora, traccia su questo un’etica,
una visione del mondo, una poesia”.
È la riedizione dell’antologia curata
da Alvaro nel 1935, per la collana, piena di grandi titoli, di Ugo Ojetti, “Le più
belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi”. Di una
quindicina di anni fa, quando la Fondazione Alvaro era ben attiva, non sommersa
da Duisburg e San Luca.
Corrado Alvaro (a cura di), Le più belle pagine di Tommaso Campanella,
Ristampa anastatica a cura della Fondazione Corrado Alvaro, pp. 212 s.i.p.
giovedì 10 settembre 2020
Problemi di base democrat - 594
spock
Conte
for Democrat: la ciliegina sulla torta, o alla frutta??
Di
che si vergogna il Pd?
Perché
il Pd non ha nessuno oltre (meglio di) Conte?
Ma
chi è Conte, cosa ha fatto, cosa ha detto, cosa ha scritto, da quale partito
viene, chi lo ha voluto?
C’è
Conte e non c’è nessun altro?
Hanno
fatto il deserto e lo chiamano politica?
spock@antiit.eu
La porta magica della lettura
Una scorrevole e brillante
rivendicazione da bookworm, il
bibliomane appassionato, con letture anche travolgenti, ma trascurata. Tra le
opere di Conan Doyle e nel parterre eletto
dei bibliofili – Conan Doyle è troppe cose?
Tutti darebbero tutto, così si
introduce, per spendere un’ora o un minuto con Shakespeare, quando ce l’hanno,
tutto e di più, a portata di mano sullo scaffale. Subito dopo è la volta di Macaulay,
dei “Saggi”- che hanno accompagnato l’adolescenza dello scrittore, e il suo
imbarco, da studente di medicina promosso medico di broso, su una baleniera - e
della “Storia d’Inghilterra”, e uno ha solo voglia di leggere, o rileggere,
Macaulay. Segue Walter Scott, “Ivanhoe”, “Rob Roy” e il resto.
Note non trascendentali, ma di
entusiasmo contagioso. Per letture che CD fa intendere genuine, attraenti.
Boswell, “La vita di Johnson” naturalmente. Prima e dopo la quale però tanta
povertà, letteraria e politica, benché l’uomo fosse “un grande parlatore”.
Gibbon. E Samuel Pepys. Per dire l’inconsistenza della “autobiografa britannica”:
“Nessuna autobiografia britannica è mai stata franca, e di conseguenza nessuna
autobiografia britannica è buona”. Lo “stranissimo uomo, bigotto, prevenuto,
ostinato, incline alla depressione” George Borrow – sopravvive in questo che è
il più lungo dei saggi di Conan Doyle. E, sempre sulla scia di Macaulay, i grandi cronisti francesi, Froissart, Monstrelet, Commynes.
Poi i concorrenti Poe, Stevenson, un genio, tutto un capitolo, per concludere, Kipling. E
letture varie: Maupassant, Ambrose
Bierce, molto Meredith, Hawthorne. In filigrana Sterne, “Tristram Shandy”, mai
affrontati direttamente. Napoleone in cattività, e le sue guerre. Molti contemporanei
caduti nel dimenticatoio, come è inevitabile per i contemporaneisti.
Pubblicato a puntate nel
1907, per sfruttare il successo di Sherlock Holmes, il libro si basa sui articoli
scritti e pubblicati nel 1994, sul periodico inglese “Great Thought”, e in
America nei giornali sindycated con
l’Associated Press, tra essi il “Philadelphia Inquirer”.
Arthur Conan Doyle, Through the magic door, Hardpress, pp.
90 €
free online
mercoledì 9 settembre 2020
Cronache dell’altro mondo - 71
Alla Columbia University hanno tentato di far rimuovere
le “Metamorfosi” di Ovidio dai piani di studio: un gruppo di studentesse che si
se ne sentono molestate.
In molte università si contestano le trattazioni
di temi o problemi sessuali, in opere letterarie o altrimenti materia di
studio, risentite come “molestie” dalle studentesse.
Per la stessa ragione molti professori di
diritto non trattano le leggi relative ai casi di violenza sessuale.
La
cancel culture, l’abominio di personaggi, aziende, istituzioni di cui non
si condividono i principi e\o le posizioni, che si allarga ad appositi e
insistenti gruppi di pressione social, toglie ogni credibilità all’avversario,
e la capacità di replica, è ovviamente un attacco alla pluralità delle opinioni.
Alla libertà di opinione. In America passa per un baluardo di libertà.
Un
generale fedifrago, un trumpiano licenziato da Trump per incapacità, scrive un
libro per sfruttare il partito anti-Trump nella campagna elettorale, e per
farsi leggere dice che Trump definisce i reduci e gli invalidi di giuerra “falliti”,
“incapaci” eccetera. Un settimanale dice che il generale lo ha detto. E viene creduto.
Addirittura, Biden basa la sua campagna elettorale sul settimanale che dice che il generale ha detto. Come a dare ragione a Trump che i media sono scandalistici. Dopo quattro anni non si trova ancora la ragione per cui Trump è presidente degli Stati Uniti, non la trovano i media.
Problemi di base bielorussici - 593
spock
Bielorussia,
Navalny: Merkel vuole uno sconto sul gas?
Bielorussia-Navalny:
armiamoci e partite?
Ma che
gli facciamo noi a questo Putin, che il baffo non ce l’ha?
E Erdogan,
è meglio di Putin?
In
che senso, la dittatura è meglio, solo un poco assottigliata?
Cos’è
dittatura, se in Turchia si può andare in vacanza?
O è
per Erdogan come per il Covid (più tamponi più contagi): chi cerca trova?l
E il presidente Xi, quel Grande Democratico, che non ha oppositori, tanto è buono?
spock@antiit.eu
Aspro Aspromonte
Un estratto del volume del Grande
Giornalista di cui si celebra il centenario sul Sud nel 1992, editore Mondadori,
dal titolo esplicito, “Inferno” - sottotitolo “Profondo Sud, male oscuro”. Con una
presentazione entusiasta di Eugenio Scalfari, che i reportages sul Sud aveva commissionato a Bocca per “la Repubblica”.
L’attacco è nella meraviglia dei
boschi dell’Aspromonte, “nella grande selva per cui scendono fiumare dai nomi
bellissimi, Amendolea, Amusa, Allaro,Torbido, Laudri Careri”. È una giornata
limpida, salendo da Locri al passo del Mercante Bocca vede le Eolie, e alle
spalle “l’immenso Jonio Glaciale senza una vela”, come lo aveva visto Matilde
Serao. “Pini così fitti”, si dice Bocca, “così vicini l’uno all’altro, così dritti,
li ho visti solo in Carinzia” – così è, la Carinzia e l’Aspromonte hanno fatto
la fortuna dei Feltrinelli, tagliaboschi in grande. Ma è la magia di un
momento: un cartello segnala”Piani di Zomaro”, un altro “Attenzione, possibili
scontri a fuoco”.
Ora, questo non è vero, non si spara
in Calabria, tanto meno sull’Aspromonte. Ma i Carabinieri lo hanno scritto, e il
cronista non ha motivo di dubitarne.
Bocca è prudente, incursioni precedenti
lo hanno fatto detestare dagli “intellettuali del sud”, come “un criminale
protervo, animoso”. Ha avuto un moto d’interesse per la Calabria, anche se qui
non lo ricorda, al tempo di Giacomo Mancini, che aveva molta fiducia nel Nord,
e lavorava a un asse Cosenza-Milano – e gli effetti si vedono: il cosentino,
con la Sila, è già Carinzia, e forse qualcosa di più, avendo il mare. Ma presto
i crudelissimi rapimenti di persona, tutti
impuniti, lo hanno riportato alla diffidenza – caratteriale, montanara, piemontese.
Al punto di dire anche scemenze, che la consolidata accuratezza da cronista sottolinea.
A Gioia Tauro, “il porto è costato novemila miliardi. È usato solo la notte,
dai contrabbandieri”. “Per tredici anni il museo di Reggio è rimasto quasi chiuso. Al sovrintendente in
carica non garbava che si vedesse il lavoro fatto dal suo predecessore…”. E, probabile, il cartello sparafuoco dello Zomaro. Vittima
dei suoi informatori – queste sono storie tipiche dello humour calabrese, la “zannella”, crudele con chiunque, anche l’amico.
Ma la tesi è semplice. Saigon era
distrutta, divisa, violenta, e in due decenni è diventata prospera e civile. Per
la Calabria - e l’Aspromonte per essa in queste pagine, “Aspra Calabria” s’intende
il reggino, l’Aspromonte - vige il cammino opposto: sempre più violenza, disordine,
e impoverimento, sprechi, malaffare. Un libriccino colossale.
Giorgio Bocca, Aspra Calabria, Rubbettino, pp. 75,
ril. € 7,90
martedì 8 settembre 2020
Ombre - 529
Zingaretti
si mette al sicuro, con il sì al referendum: vincerà. Così si vince ora in
politica, non dirigendo l’opinione ma abbarbicandosi a quella più numerosa. È
l’epoca dei partiti-paguri.
A
due settimane dal voto De Luca è indagato. Indagini top secret, assicura la
Procura della Repubblica a “la Repubblica”, conferma cioè l’accusa. E dice anche
il capo d’accusa: falso e truffa. Lo confida a “la Repubblica” forse in
omaggio al nome, cui anche la Procura s’intitola.
Giovanni
Melillo, detto “Gianni” confidenzialmente da Conchita Sannino a “la
Repubblica”, il Capo della Procura di Napoli, capo di gabinetto di Andrea
Orlando ministro della Giustizia del governo Renzi, è un Pd doc. Ma non vuole
che De Luca, anche lui Pd, vinca le regionali. Così quattro anni di indagini si
concludono alla vigilia del voto. Indagini su quattro autisti divenuti
impiegati sedentari.
De
Luca comunque (stra)vince in Campania. Non è alla sua sconfitta che il Pd
punta, ma ad “azzopparlo”, come dicono gli americani. In maniera che poi non
possa governare. Poi dice l’antipolitica-
Il
Pd ha fatto di peggio, andando dal notaio a Roma per cacciare il suo sindaco,
Marino, ma è come dice il proverbio: non c’è limite al peggio.
“Giusto
comminare sanzioni alla Bielorussia”, rileva piano il cancelliere austriaco
Kurz a Tonia Mastrobuoni, “la Repubblica”, “ma che facciamo con la Turchia? Ci
sono giornalisti e oppositori in carcere, lì”. E non è che non si sappia. Non
solo: “E adesso c’è anche una lesione del diritto internazionale verso la
Grecia”. Già.
Di
Willy Monteiro Duarte, 21 anni, giovane educato e generoso, massacrato di botte
a Colleferro da una gang giovanile, i Carabinieri comunicano la morte alla
famiglia tardi, alle sette del mattino dopo, con una telefonata, e la convocazione in caserma.
Perché i Monteiro Duarte sono capoverdiani, benché lavoratori stimati in paese,
con i figli parte attiva della vita sportiva e sociale?
Il
giovane Duarte è stato massacrato a pugni e calci, per venti lunghissimi
minuti, proprio dietro la caserma dei Carabinieri a Colleferro.
“Che
calcio è quello che esautora gli ultimi due allenatori ad aver vinto lo
scudetto?” chiede Marrese a Walter Sabatini, ora direttore tecnico del Bologna.
“Un calcio nevrotico e insicuro”, risponde Sabatini. Ed è quello migliore,
quello che vince.
Meno
9,8 per cento il pil dei paesi Ocse – dell’Occidente cioè – nel secondo
trimestre 2020, più 3,2 in Cina. La Cina batte l’Occidente comunque col virus,
anche se non lo ha prodotto in laboratorio e esportato col trucco?L’ipotesi non
è da ridere: la ripresa immediata dell’economia cinese è trainata dalle
esportazioni. Grazie a una dotazione monstre
di 117 miliardi di dollari di esenzioni fiscali a vantaggio degli
esportatori. La Cina non si muove in un mercato, oppure sì, ma con mosse da
campo di battaglia.
Le esportazioni cinesi sono vigorose soprattutto grazie alle mascherine e altri dispositivi di protezione individuale anti-Covid. E, di più, grazie alle esportazioni verso gli Stati Uniti.
“Superbonus,
i 36 documenti che un privato deve presentare alla banca per un cappotto termico”,
elenca “Il Sole 24 Ore” di sabato 29. Con questa considerazione: “Per chi
possiede un’abitazione isolata ed è intenzionato a beneficiare del superbonus al
110 per cento, s’impone una seria riflessione tra detrarre le spese in cinque
anni o optare per la cessione del credito o lo sconto in fattura”.
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Malinconia di Kerouac
Kerouac applica alla lettera
il “metodo della creazione immediata” – che l’aveva portato da poco a scrivere
“I sotterranei” in tre giorni (“Sulla strada” era stato un caso diverso, è
anche opera redazionale). Della memoria come spontaneità, e quindi rapidità. Il
“Libro” sono i taccuini degli anni 1952-1957, in viaggio in America, in
Messico, a Parigi. Quindici taccuini, sistemati per la pubblicazione nel 1957.
Che non lasciano tracce, se non in alcune, poche, riflessioni su se stesso: la
mamma, il francese, il lavoro letterario, la vita in paese, la città mal
digerita, da uno scrittore “metropolitano” per eccellenza. Che però, è vero, è
sempre generazionale.
Divagazioni sul nulla,
l’ananke quotidiana, della gente senza nome, anche quando ne ha uno – Neal Cassady,
la cugina Caroline in North Carolina, pochi altri. Sul modello di William
Carlos Williams, “Paterson” e altri componimenti: sul linguaggio povero,
semplice, come modo di essere povero. Sui “Paul Nulla”: “Paul nulla nel\ grande
selvaggio, vasto&vuoto\ mondo che ti
odia\ è il tuo nome”, impiegato di una qualche ferrovia che ne dispone a
piacimento, spedendolo di qua e di là, “indebitato, cupo,\ triste – Solo” – e
sotto la perfida profezia che si avvererà nel 2007 ma evidentemente è in
America condizione condivisa: “Perderai questa casa, perderai\ i 5, 6 dollari
che hai in\ tasca – perderai\ l’auto in cortile-perderai\ il cortile…”. Povero
di aneddoti. A Easonburg, North Carolina, “visto negro\ in bici trainato\ da un
mulo!” Ritornante “la povera triste gente\ del Sud il sa-\ bato pomeriggio\
all’emporio sull’Incrocio.\ Non tristi come il cielo\ che li osserva ma tanto\
più smarriti”. La povertà non è indicibile.
Una minuscola antropologia,
erratica. Del contadino americano, la casalinga, il bambino, le bambine – una ha
una “madre italiana giovane e carina”.Molti esami di coscienza. Con molti buoni
propositi. Tra cui: “Devo andare a Pavia\ A Taranto per le ostriche\ A
Padova per i quadri\ Villaggio Età della Pietra vicino Terrni”. Contro I canadesi.
L’atto di nascita di “Sulla strada”: “Il mattino della mia\ liberazione – 4 ott.
1952\ - Vado a vivere da solo in\ un stanza sulla 3rd St., lascio\ casa di Neal
– per la 1a\ volta dal 1942 -\ (a Hartford) – Tutto\ preso a scrivere On
the\ Road, quello grande\ con Michael Levesque\ - l’unico - \ ho ripudiato
tutti,\ &me stesso per dedicarmi a\ tristezza, lavoto, silenzio,\
solitudine, intense gioie della\ prima bruma”. L’avvio della “leggenda di
Duluoz” - “Duluoz” è lo pseudonimo che fantastica lungo di prendere, che in
franco-canadese è pidocchio. Una narcisata, la vita ridotta a se stesso,
sentendosi già “vecchio”. Anche se col proposito di “3 all’Anno, come Shakespeare”,
tre opera l’anno. Per diventare “lo scrittore più grande”. Molto in sogettiva,
con più di un autoritratto. Compreso il ricordo del “Memory Babe”, il sopranome
che gli davano in famiglia da bamino, per la memoria prodigiosa.
La storia dell’America fellahìn non è male – “Appunti sul
millenio dei moderni fellaheen”, ottobre 1952, in California”. Il fellahìn, il contadino nordafricano, è
l’Umile, punto di forza dell’America: “L’Americano Rurale\ è l’Americano più
forte”. L’Americano Rurale e la Ferrovia. Moderni fellahìn sono del resto i
compagni del movimento, Burroughs, Carr (Lucien Carr), Ginsberg, Cassady,
Huncke, Joan Adams, John Holmes, Solomon (Carl Solomon)..
Anni nel “Vuoto Tempo di
Attesa”. I trenta dell’autore, che si ripete: “Sarò un grande scrittore”. E
vuole farsi credere avventuroso. Ma il vagabondaggio è malinconico. Nei ricordi
familiari, col francese familiar e delle filastrocche. Da voyeur, delle vite anche minime degli altri., commesse, ubriachi,
operai messicani, amiche al caffè.
Jack Kerouac, Il libro degli schizzi, Oscar, pp. IX +
359 € 16
Divagazioni sul nulla, l’ananke quotidiana, della gente senza nome, anche quando ne ha uno – Neal Cassady, la cugina Caroline in North Carolina, pochi altri. Sul modello di William Carlos Williams, “Paterson” e altri componimenti: sul linguaggio povero, semplice, come modo di essere povero. Sui “Paul Nulla”: “Paul nulla nel\ grande selvaggio, vasto&vuoto\ mondo che ti odia\ è il tuo nome”, impiegato di una qualche ferrovia che ne dispone a piacimento, spedendolo di qua e di là, “indebitato, cupo,\ triste – Solo” – e sotto la perfida profezia che si avvererà nel 2007 ma evidentemente è in America condizione condivisa: “Perderai questa casa, perderai\ i 5, 6 dollari che hai in\ tasca – perderai\ l’auto in cortile-perderai\ il cortile…”. Povero di aneddoti. A Easonburg, North Carolina, “visto negro\ in bici trainato\ da un mulo!” Ritornante “la povera triste gente\ del Sud il sa-\ bato pomeriggio\ all’emporio sull’Incrocio.\ Non tristi come il cielo\ che li osserva ma tanto\ più smarriti”. La povertà non è indicibile.
Una minuscola antropologia, erratica. Del contadino americano, la casalinga, il bambino, le bambine – una ha una “madre italiana giovane e carina”.Molti esami di coscienza. Con molti buoni propositi. Tra cui: “Devo andare a Pavia\ A Taranto per le ostriche\ A Padova per i quadri\ Villaggio Età della Pietra vicino Terrni”. Contro I canadesi. L’atto di nascita di “Sulla strada”: “Il mattino della mia\ liberazione – 4 ott. 1952\ - Vado a vivere da solo in\ un stanza sulla 3rd St., lascio\ casa di Neal – per la 1a\ volta dal 1942 -\ (a Hartford) – Tutto\ preso a scrivere On the\ Road, quello grande\ con Michael Levesque\ - l’unico - \ ho ripudiato tutti,\ &me stesso per dedicarmi a\ tristezza, lavoto, silenzio,\ solitudine, intense gioie della\ prima bruma”. L’avvio della “leggenda di Duluoz” - “Duluoz” è lo pseudonimo che fantastica lungo di prendere, che in franco-canadese è pidocchio. Una narcisata, la vita ridotta a se stesso, sentendosi già “vecchio”. Anche se col proposito di “3 all’Anno, come Shakespeare”, tre opera l’anno. Per diventare “lo scrittore più grande”. Molto in sogettiva, con più di un autoritratto. Compreso il ricordo del “Memory Babe”, il sopranome che gli davano in famiglia da bamino, per la memoria prodigiosa.
La storia dell’America fellahìn non è male – “Appunti sul millenio dei moderni fellaheen”, ottobre 1952, in California”. Il fellahìn, il contadino nordafricano, è l’Umile, punto di forza dell’America: “L’Americano Rurale\ è l’Americano più forte”. L’Americano Rurale e la Ferrovia. Moderni fellahìn sono del resto i compagni del movimento, Burroughs, Carr (Lucien Carr), Ginsberg, Cassady, Huncke, Joan Adams, John Holmes, Solomon (Carl Solomon)..
Anni nel “Vuoto Tempo di Attesa”. I trenta dell’autore, che si ripete: “Sarò un grande scrittore”. E vuole farsi credere avventuroso. Ma il vagabondaggio è malinconico. Nei ricordi familiari, col francese familiar e delle filastrocche. Da voyeur, delle vite anche minime degli altri., commesse, ubriachi, operai messicani, amiche al caffè.
Jack Kerouac, Il libro degli schizzi, Oscar, pp. IX + 359 € 16
lunedì 7 settembre 2020
Take-away
Si chiama ora take-away e viene
proposto o richiesto in tutti gli esercizi alimentari, anche i baretti – almeno
un panino. Un must dopo il coronavirus:
non c’è esercizio di commestibili che non pratichi o a cui non viene richiesto
il take-away – anche i siti che valutano gli esercizi vi
pongono tra le prime domande: è possibile ordinare? c’è un servizio di take-away? Ma è la vecchia rosticceria.
Rinverdita, senza più le troppe pietanze messe a bollore da tempo immemorabile,
senza più il pollo allo spiedo indurito, con più nomi di fantasia, se non
piatti o proposte, e con tutte le scatole e scatolette, bianche, a strisce e colorate,
i polistirolo o forex che fanno fino. Con la differenza, però, che il take-away tutti possono farlo, o
ritengono di poterlo fare, anche i baristi neofiti, quelli che hanno problemi col
semplice caffè espresso, ce ne sono, lasciamo andare il panino, per non dire
del tramezzino. Il virus non trasmette conoscenze, ha solo creato un bisogno.
Meglio, lo ha allargato, includendo le coppie che vogliono uscire, comunque non
hanno voglia di fare, accanto ai single,
e alle segretarie in pausa pranzo.
L’ultima esperienza di
rosticceria, una delle ultime, risale a molti anni fa, all’agosto del 1968,
quando i Bertolucci, Bernardo regista già affermato col giovane fratello
Giuseppe, ridacchiavano spernacchiando nella rosticceria di Rosolino Pilo al neo
funzionario aziendale che, solo, in giacca e cravatta, in agosto, solo anche al
lavoro in ufficio, i neo assunti vengono ultimi nei piani ferie, mangiava il
suo piatto in piedi in un angolo dell’angusto locale – l’inevitabile lasagna? l’inevitabile
pollo?
Doveva essere il 21 agosto, il
funzionario era reduce dalla lunga alba al ponte radio aziendale che
dettagliava l’invasione di Praga e della Cecoslovacchia: lo scherno dei viziati
fratelli urtò contro un freddo orgoglio, come di chi è stato in mezzo alla
storia. Oppure il 22 agosto, la forza della testimonianza fu durevole.
Ora è diverso. Invece che in
piedi, ci si può appoggiare a scomodissimi tabouret
alti a mezzo fianco. E il vino viene versato nel calice invece che nel vetro da
osteria. Ma anche casual il cibo non
migliora.
Appalti, fisco, abusi (182)
Il
governo progetta di fare di Mediobanca un asset non scalabile, con la golden power, sia pure light. Un bene nazionale, un campione?
Mediobanca che ha consegnato all’affarista Bolloré Tim e Mediaset, la rete
digitale e i contenuti. Tim che s’intasca un esosissimo canone, mensilmente
(aveva tentato con i 28 giorni, per un tredicesimo canone…), e produce conti
sempre in affanno.
Una
quinta colonna? Che altro danno deve fare Mediobanca?
Mediobanca
inevitabile richiama Cuccia. Che l’ha fatta ricca a spese di tutti i grandi gruppi
cui si applicava, come banca d’affari unica e sola in Italia: Montedison, Olivetti,
la Fiat a più riprese, che ha messo fuori praticamente del mercato dell’auto, come
già con Olivetti all’inizio del mercato dei personal,
e ci ha provato pure con Eni, via Montedison. Un genio, del male - la Lombardia
si è salvata ricorrendo alla Cariplo: credito confessionale, ma non peloso, che sarà il pezzo forte di Banca Intesa.
La Tari è raddoppiata – come minimo - dal 2007. Per il
business della raccolta
differenziata. La quale, dovendo ogni parte, carta, vetro, umido, plastiche,
lattine, produrre un riutilizzo, dovrebbe costare di meno e non di più.
La
Tari costa di più non a beneficio dei Comuni, a beneficio delle ditte di
raccolta.
Anche
l’acqua è mediamente raddoppiata di costo, più che raddoppiata, dal referendum
del 2011 che la dichiara bene pubblico inalienabile. Anche se in molte aree, e
specialmente al Sud, in Puglia, Sicilia, Calabria, manca. Non da ora, ma ora il
deficit si è aggravato. D’estate. Quando se ne avrebbe più bisogno per l’igiene
personale.
La predica nera
Un assassino condannato ad assassinare
– “La vita è uno schifo”, primo romanzo della trilogia. Un anarchico: ruba
assassinando anche per aiutare gli operai in sciopero, ruba per rubare, ruba
per niente. Andrà dall’analista. Per rappresentarsi - guardarsi allo specchio.
Che però lo scopre: “Il fine della sua vita non è Gloria (l’innamorata,
n.d.r.), ma la ricerca appassionata della morte, un lungo suicidio”.
Malet lo dice “un romanzo d’amore
e di passione, una disperata ricerca dell’assoluto affettivo”. Una storia di amour fou, anche se al rovescio. Concepito
quando l’autore ancora s’immedesimava nelle teorie e i piani del non più amico
Breton, del surrealismo – finirà per identificarsi nello sciovinismo di LePen.
Un romanzo di testa – Malet dice di no, “di non aver cercato di fare letteratura,
né anti-letteratura”. Ma che cosa ha cercato di fare non si vede, cioè quello che si vede non è granché, lunghe serie di sciagure.
Il secondo romanzo, “Il sole non
è per noi”, è datato retrospettivamente 1926, “l’epoca della gioia di vivere”.
Non però per il ragazzo destinato da subito a finire male. Che è il protagonista e il lettore
si porta dietro per tutto il romanzo. Niente gioia di vivere, è la violenza del
non violento, la perdizione come si suol dire.
Il terzo romanzo, “Nodo alle
budella”, vuole dire che l’amore non è possibile ai reietti, solo la violenza è
possibile, che è sempre autodistruttiva. Perché ci sono i reietti, anche se il
termine è desueto, non ci sono buona volontà o buoni propositi che tengano.
Tre romanzi si direbbe impegnati,
che raccontano – denunciano – la miseria. Quasi bozzettistici, nelle
argomentazioni morali, i buoni propositi, il doppio orizzonte, che non latitano
neanche nel disagio più estremo, e anzi sono diffusamente esposti, dall’autore o
dagli stessi condannati dalla vita.
La cosa più sorprendente, l’unica,
è l’introduzione di Luigi Bernardi. Che distingue il noir dall’hard-boiled :
non un romanzo di caratteri forti e di azione ma “un romanzo psicologico
attorno alla figura di una vittima”. Senza giustizia, senza lieto fine. E perciò
elegge questo Malet a quintessenza del noir.
Ma sembra una predica dal pulpito – quella di Malet – per di più lunga. Non sarà per questo che Malet non è mai
entrato nella Série Noir Gallimard, il Giallo Mondadori francese, benché diretta
da Duhamel, amico in surrealismo di Malet – e non per i dissapori poi
intervenuti tra i surrealisti?
Léo Malet, Trilogia nera, Fazi, pp. 539 € 19,50
domenica 6 settembre 2020
Del Benedetto
Fiat, Ambrosiano,
la Repubblica, Olivetti
dove ha messo mano
tutti ha distrutti
dopo essersi arricchito
tra i benedetti sì
ma non tra i cavalieri.
Il Faust di Lenau
Si entra e si esce dalla storia attraverso
l’hotel Rinascimento. Le era accaduto una notte, inciampando nell’insegna, una
notte di calura che vagava in cerca di refrigerio, e poteva sentire i suoi
passi sui sampietrini, in questa molle città che non farebbe brutte sorprese, e
neppure belle, alla più indifesa sgallettata, figurarsi a una donna insonne,
sola ma dai nervi tesi. Entrare e uscire dal passato, aveva immaginato,
attraverso la finestrina sopra l’insegna sulla parete laterale cieca, con un
balzo aereo dentro lo spazio-tempo verso l’incanto, perché il Rinascimento era
un’epoca d’incantesimi. Ma l’interno corrispondeva all’esterno, e fu felice di
averci sistemato Alessandra, fu felice per lei che ne sarebbe stata felice, con
quel suo broncio goloso da bambina.
Al Pellegrino, sotto il cartone da pacchi
ritagliato senza grazia, con la scritta L. 1.000 a caratteri grandi
incerti, il libriccino bianco Carabba di Lanciano le sembrò subito dopo un
incontro inevitabile. Eccolo, “Faust” di Nikolaus Lenau, traduzione di Vincenzo
Errante. Settant'anni di polvere, il fregio quadrato della collana stampato
sghembo, la copertina stiracchiata da un maldestro rilegatore, ma era un pensiero divertente, che avrebbe
divertito Alessandra.
Esitò a entrare per l’aspetto deprimente
del posto, una delle librariacce della strada, un antro in ombra con i libri
buttati alla rinfusa. Un ragazzotto ghignava al telefono accanto all’entrata,
barba di tre giorni, capelli lucidi e l’inevitabile orecchino. Controllava che
non gli sgraffignassero la povera merce. E quando si azzardò a stendere la mano
sotto il cartone ci trovò le “Maccheronee”. Guardò per terra, ma il “Faust” di
Lenau non era caduto. Cercò nella pila, ci doveva ben essere un’altra copia. Ma
non c’era. Chiese al ragazzotto, che sembrava non sentire e non alzò lo
sguardo, ma col capo indicò dietro uno scaffale. Dove non c’erano i Carabba di
Lanciano ma un signore dalla capigliatura polverosa che accatastava libri. Si
dispose ad ascoltarla girandosi a metà, aveva l’occhio grigio chiaro come i
capelli, quel ceruleo che sa di glaucoma.
- Se non è lì… - si limitò a dire,
indicando l’ingresso, e riprese la sua occupazione.
Bene, se ne sarebbe andata. Ma volle
frugare ancora fra i piccoli Carabba, le sembrava impossibile aver visto un
libro che non c’era. Sentì un brontolio del libraio, insistente, e poi la
piccola copertina riapparve. Gliela porgeva una mano curata. Barba di tre
giorni (se la spuntano?), capelli crespi e occhio lucido ridente, il tipo
dell’intellettuale era emerso dal fondo dell’antro. Camicione a scacchi, fay
sontuoso, con chiusure a coulisse,
collo doppio, patelle antivento, cerniere protette, gli uomini d’oggi si
corazzano mollemente, sopra dei pantaloni inutili, bianchi e di popeline, tanto
sono stretti - si proteggono il seno, direbbe la vecchia casta lingua. Era
alto, esibiva un ghigno che voleva essere un invito. E quando lei disse che era
per un’amica, una piccola stravaganza nata dall’occasione, tirò indietro mano e
libretto.
- Allora lascerà a me il piacere di fare
felice un’amica - disse. Se n’era andata senza nemmeno salutare, frastornata.
Alessandra era arrivata, aveva apprezzato
il Rinascimento, anche senza il libretto di Lenau, ed era piena di verve e di grazia. Era en beauté.
Come sempre. Aveva sempre il fascino del momento: le tettone quando andavano
grandi, i fianchi snelli per la minigonna, sembrava un’inglese di generazioni,
lo sguardo da nonna ardente per i falpali rétro,
e poi i riccioli a cascata, l’allure
finta bambina, alla Bongiovanni-Bonaccorti, e ora i labbroni alla Julia
Roberts. Che sempre suggerivano un procacissimo, o che era, bacio mozzafiato,
se solo la chiamava, “Margherita!”, e ancora più, immaginarsi, per gli uomini.
Ma era tabù il sesso, nelle loro scorribande sfrenate. Insieme erano andate a
scuola dalle Orsoline a Vicenza, e a Lettere a Padova, avevano viaggiato, fatto
vacanze d’estate e d’inverno, e si ritrovavano volentieri a ogni occasione ora
che lavoravano lontane.
Ripassava davanti all'antro dei libri, con
il solito cartello sgraziato L.1.000 sulla pila sempre alta dei bianchi
Carabba. E una volta che chiese del “Faust” di Lenau giusto per allegria, il
libraio glauco sembrò riconoscerla. Sorrise, infatti, e disse:
- Lei non l'ha voluto.
- Non ritornerà?
- Il libro non credo. Noi li compriamo a
peso.
Tornò lui, invece, l’indomani sul tardi
quando lei andava a prendere Alessandra all’hotel Rinascimento. Lo incrociò
davanti all’antro e non fu certa che l’incontro non fosse voluto. Lui in un
certo senso la bloccò, imponendosele davanti, perché era imponente.
- Allora, questa amica che non può fare a
meno del “Faust”, ha un’anima da vendere?
- Oh, è una studiosa di Lizst - non si
trattenne dal confidare. E così l'uomo la accompagnò per i pochi passi fino
all’hotel Rinascimento, e s’impose anche ad Alessandra. Si presentò con nome,
cognome e professione, e per un buon momento fu imbarazzante: le due amiche,
intime da sempre, con un estraneo, bell’uomo ma indifferente, a cui esse non
avevano nulla da dire, e che non aveva nulla da dire a loro, apparentemente, se
non le quattro scemate su un libriccino di nessun conto. Ma ebbe il buongusto
di togliere il disturbo. E questo salvò Ulderico il cineasta, come presero a
chiamarlo concordi senza neppure uno sguardo d’intesa, un nome ridicolo e una
professione ubiqua, senza senso – chi inventa le parole? Avevano sviluppato
un'arte speciale a scarnificare i tipi antipatici e i goffi, che sono quasi
sempre gli uomini.
Ebbero delle giornate allegre, come le
volevano. Lavorare poco, chiacchierare senza eccedere, era il loro ritmo.
Alessandra mise a punto con la
Scandiani di Santa Cecilia il suo programma di sala per i
“Mephisto Walzer” di Lizst e il recital di Campanella. La Scandiani è una donna
dal naso imperioso e una profonda voce da basso, che fuma in continuazione, e
forse aveva una passione per Alessandra. O forse no. Con Alessandra non si può
sapere: sembra non avesse sensibilità, per ingenuità o indifferenza. La Scandiani era stata loro
assistente a Lettere, e questo era tutto. Le dava volentieri i lavoretti,
schede, presentazioni, programmi. Aveva scovato per il risguardo il Lizst
ventenne di Dévéria e se lo mirava in trance
- non senza ragione, quella doppia sensualità era sfacciatamente invitante.
Lei scribacchiava, traduceva, faceva
proposte, riceveva proposte, imprecise, senza scadenze. Niente è definito, e
meno che mai urgente a Roma - e forse era meglio così. Del resto nessuno, o
quasi, paga. Insieme prendevano qualcosa a mezzogiorno, quando Alessandra era
libera, facevano le vetrine, e ogni sera celebravano a cena. Poi si separavano.
Lasciando il Rinascimento, si divertì talvolta a immaginare qualcuno che
sbucando dal tetto al primo piano della casa adiacente si fosse introdotto per
la finestrina ad aspettare Alessandra, nell’angolo buio della casa. Qualcuno
che prese a immaginare nell’aspetto del cineasta. Avevano incontrato insieme
più di un uomo. Michele Campanella, per esempio.
- Ma nulla di meno luciferino di
Campanella - avrebbero detto dello scherzoso pianista napoletano - non c’è molta
allegria nel mondo della musica.
E del direttore di Santa Cecilia:
- La forfora lo soffocherà.
- Questo è bene tenerselo buono – del direttore
dell’auditorium, che si stropicciava le mani grassocce alla ricerca di una
battuta accattivante, volendo compiacerle, don Giovanni doveva essere grasso se
era sempre in fregola. Del cineasta Ulderico, invece, non avevano più parlato.
Anche se permaneva quale numen locis, il portento che aleggiava, seppure sfocato, su Monserrato,
piazza dell’Oro e il Pellegrino. Ogni luogo s’identifica con un fatto, una
persona, un avvenimento, talvolta con l’assenza di un qualsiasi evento, e lei
ogni volta ci pensava, rifacendo a piedi quel percorso. Ci pensava andando a
prendere Alessandra, ci pensava lasciandola.
Ci pensava anche Alessandra? Ne aveva
avuto il dubbio, le volte che era stata trattenuta dalla Scandiani, o dalla
zia. Lo sguardo di Alessandra appariva ora perduto in un segreto, il riserbo
più accentuato del solito, o era la pelle, lievemente arrossata, stropicciata sembrava.
Ma scacciò i cattivi pensieri, il dubbio era da ridere e ne aveva riso. Furono
insieme dalla vecchia zia, la vedova di un generale, e dalla Scandiani.
Alessandra era giovanile, fresca, eternamente ragazza, naturale cioè, senza
affettazione. Ogni increspatura, in quel suo aspetto da statuina di porcellana,
denotava un vizio, ma sono le imperfezioni di chi è perfetto.
Se lo ritrovò invece lei stessa, reale,
più imponente, un giorno che faceva i quattro passi e aveva voluto tornare
verso il Rinascimento misterioso. Sorrideva come se la vedesse da distanza, e
fu contenuto. Si accompagnarono per un tratto con naturalezza. Parlarono poco,
avevano poco da dirsi, ma i silenzi furono rassicuranti. Con la stessa
naturalezza presero una cosa, e poi andarono a cena, e lui l’accompagnò, e salì
anche in casa. Lei era stanca, aveva dei ritmi blandi e tutte quelle ore in
compa-gnia di quell'uomo, in fondo uno sconosciuto, le pesarono tutte insieme.
Anche per il terrore all’improvviso sopravvenuto, per non sapere come si fa,
alla sua età. Ma lui si trattenne pochi minuti, chiacchierando senza sosta, e
la lasciò accennando un buffetto. Lei se ne sentì accarezzata, ma forse non
l’aveva realmente nemmeno sfiorata.
Fu da lei la sera dopo. E ancora la sera
dopo. E la toccò, e a lei parve naturale. L’accarezzò sulle guance, sulla nuca,
la baciò, si baciarono, e lei avrebbe voluto farlo, le sembrò naturale anche se
non sapeva come, ma lui fu un vero gentiluomo romantico. Lasciava ogni volta
quella punta di rammarico, desiderio o curiosità, che alimentava l'attesa del
prossimo incontro. E quando avvenne, l’attesa restò inesausta, di un piacere
che non si consuma e ancora meraviglia. Fu dopo che lui era mancato due giorni,
e lei ci aveva vissuto insieme in intensa solitudine.
- È una medicina da prendere - aveva
sussurrato. Si ritrovò seminuda che vagava per casa, e ne ebbe un senso di
pienezza. Declamava versi stupidi: “Un uomo, acceso dalla fiamme\dell'ebbrezza,
vedrai, ti piacerà\meglio assai di un “in folio””. Ma lui è un uomo o una
donna? Versi del “Faust”, la cifra errantiana era inconfondibile: “L'ardore del
tuo sguardo mi rivela\ che il folle stormo de’ tuoi sensi, a lungo\ costretto
in prigionia, libero irrompe\ fuor della carne infine. Ovvia! Un uomo\ stringi,
ed all’orgia della danza sfrénati!”
Era il Diavolo Buono. E fu una presenza
normale, quando c'era e anche quando non c’era, poiché ognuno manteneva le sue
abitudini e la sua libertà. Fu immediata la complicità, fatta più spesso
d’intese tacite. E presto si abituò al suo corpaccione, una materia ingombrante
ma arcana, sfacciata con i suoi turgori e insieme timida, rispettosa. Le
piaceva spogliarlo, le piaceva accarezzarlo, e più dove a lui faceva piacere,
l’energia che si sprigionava la emozionava. A tratti, le volte che passavano insieme
più giorni, diventava di fuoco al solo contatto, al solo pensiero. Lui aveva
una maniera di accarezzarla, con delicatezza, spesso sfiorandola senza
contatto, come un rabdomante, con insistenza, che la spossava. E quando
l’artigliava come una preda, con le manone inquiete, la stringeva, la
strizzava, il moto istintivo di revulsione ogni volta cedeva a una sottile
commozione. Era una risposta cerebrale ma anche carnale, lo vedeva, si vedeva,
e se ne sentiva riempire, di quel gigante che tremava per lei, con lei, in lei.
Si divertivano anche con poco. Del
massimario greve, insistito: “Si è mai visto una donna barattare le cosce per
lo spirito?” Che era anche una scoperta: si sa che, quando c’è la passione,
tutto è appassionante. Oppure, in riferimento alla stazza di lei: “Le donne
grandi vi sono più inclini, tanto più che sono hommasses, e quindi partecipano ai calori della donna e a quelli
dell’uomo: come a una grande barca, si dice, è necessaria una grande acqua per
sostenerla, a maggior ragione, dicono i dottori dell'arte di Venere, una donna
grande vi è più portata e naturale”. Greve ma liberatorio: “Non c’è domenica
senza sole, né bella donna senza amore”. E di più per essere colto, cocktail burlesco di spirito gallico e
saggezza sprecata: “Gli dei, dice Platone, ci hanno forniti di un membro
disobbediente e tirannico. E nelle donne hanno posto un animale goloso e avido.
Un animale che, se non è alimentato al tempo dovuto, soffia im-ùpaziente di
rabbia, ostruisce i condotti, s’irrigidisce. Ma torna ghiotto e giocoso quando
abbia sorbito il frutto della sete comune, irrorando a volontà il fondo della
matrice”. Ma anche i silenzi erano pieni di cose.
Poi venne il periodo del corteggiamento, i
fiori, a mazzetti e a gerbe, il passo ceduto, il baciamano, l’opera. E quello
dei vagabondaggi per i vicoli deserti, le prime ore del pomeriggio, o prima dell’alba.
O forse tutte queste cose si sovrapponevano: il rapporto non era ripetitivo,
forse perché non era costante. C’era stato il periodo delle uscite in società,
prime, presentazioni, cocktail,
serate, quello dell’intimità gelosa, quello delle grandi mostre, quello delle
domeniche grasse, fuoriporta e a letto gravidi di cibo, come tutti.
A raccontarla, fu una storia piena e senza
storie. Le era piaciuto lasciarsi fare. Finché lui scomparve. Senza dire né
come né dove, un’assenza più lunga delle solite, all’inizio dell’estate.
Alessandra arrivò, preannunciandosi con
una telefonata impacciata dopo tanto tempo che non si sentivano, impacciata da
entrambe le parti. Si ritrovarono senza trasporto: dietro le effusioni di maniera,
il riserbo era calato a strati spessi fra di loro. Alessandra era sempre bella,
ma con un che di rotondo, ora, di umano, un’ombra nello sguardo, una piega
della bocca. Non si fecero confidenze, meno che mai sul buffo cineasta
dell’anno prima, che Alessandra sembrava aver dimenticato. Aveva anche molti
più impegni, e quindi si videro poco, qualche volta a cena, appuntamenti
difficili perché Alessandra si teneva libera fino all’ultimo momento.
I primi giorni senza di lui, una settimana,
forse anche due, passarono atoni, come se il tempo si fosse fermato. Una volta
che incrociò il libraio sulla soglia, andando al Rinascimento dove Alessandra
aveva voluto tornare, il glaucomatoso tacque di proposito. Sembrò non riconoscerla.
Poi evitò il suo sguardo. E lei vide un’altra se stessa. Impotente. Sensazione
che non aveva mai sofferto, e che contrastava con il suo carattere, ma reale:
l’uomo era scomparso e lei non poteva reagire, non poteva farlo riapparire, e
nemmeno cercarlo, o scacciarlo. La sua storia, semplicemente, era finita, anzi
sparita: poteva essere stata un’illusione, un miraggio. Un ricordo è una
continuazione della storia, ha bisogno di appigli, cose in comune, abitudini,
nostalgie, contrasti, mentre a lei restavano chiacchiere e sensazioni - e forse
nemmeno quelle, erano l’idea di sensazioni, che potevano essere state un’illusione.
Fu come una fredda mutilazione. Della
perdita ebbe percezione fisica, un pezzo di sé l’aveva abbandonata. Non aveva
più rivisto quell’uomo, con cui pure aveva provato la felicità in modo probabilmente
irripetibile, la felicità dev’essere intensa e lieve, né l’aveva cercato, dove
avrebbe potuto? Tutto questo rivide mentre osservava la finestrina sopra
l’insegna, e fu sorpresa che un pezzo di passato l’avesse abbandonata senza più
alcuna vibrazione, inabissato con le sue tante aeree radici, e che tutto fosse
avvenuto in breve tempo.
L’apertura era piccola, una presa d’aria
più che di luce, e sguarnita, nulla di più lontano dal balcone di Romeo. Ma
attraverso di essa si era vista lei, l’omaccia, passare come un folletto, per
artigliare nella penombra la preda. L’immagine si era ripetuta, moltiplicata,
l’ossessione era diventata sofferenza, e quando la raggiunse, passando
naturalmente per la porta principale, anche Alessandra sembrò condividerla. Da
amica naturalmente, che non sa niente, pochi giorni non fanno un’epoca, né una
fantasia la realtà - ma la realtà letteraria riserva sorprese.
Tra Giulietta e Romeo finisce male
Si celebra il Novecento, l’anno
capo di secolo, anche a Vigata. Con un ballo in maschera. E le famiglie nemiche
non mancano d’incontrarsi, né manca la scintilla, fra i giovani delle due
famiglie. Ma la coppia romantica a Vigata non quaglia. Basti dire che lei se ne
scapperà, lasciando a lui questo testamento: “Appena sarò in Svizzera (nel collegio,
n.d.r.) farò dire una messa di ringraziamento per non avere sposato un imbecille
come te”.
Camileri dispiega, su soggetto
classico e non, la sua fantasia di racconto e umorismo. Fofò Zaccaria, tornando
“dalli Stati riccu sfunnato”, racconta al circolo tra le altre meraviglie degli States che si pratica lo spiritismo, che ci sono donne che parlano con i morti. La
cosa suscita perplessità: e se si venisse a sapere che il marchese Burruano
morto a trent’anni non si sa di che era stato avvelenato dalla moglie
adultera? Ma suscita anche interesse. Opposti interessi.
“ Repubblica” prolunga la
fortunata promozione con due racconti dalla raccolta “La Regina di Pomerania”.
Andrea Camilleri, Romeo e Giulietta
La
seduta spiritica,
la Repubblica, gratuitamente col quotidiano
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