sabato 19 settembre 2020
Non c’è che dire al centenario del Pci – la sinistra scomparsa in Italia
Non si annuncia niente per i cent’anni del partito Comunista Italiano, il prossimo 21 gennaio. Un convegno, una ricerca, una testimonianza, una revisione. Un film, un documentario. Niente, di un partito che ha condizionato la storia della Repubblica. Con l’errore tragico di una partito che si è legato all’Urss di Stalin e Breznev, contro di fatto l’Italia. E con la guerra di Berlinguer a qualsiasi sinistra che non fosse lui – a favore di Andreotti e poi, dopo aver governato con Andreotti, resuscitando l’ambigua “questione morale” della Destra Storica.
Secondi pensieri - 429
zeulig
Das Geviert – Zaccaria propone la
traduzione “uniquadrato”. Dei quattro elementi in gioco, terra, cielo, uomini,
dei, in coappartenenza ma insieme in “chiara differenza”. Avvertendo che “usualmente
significa «quadro» o «figura quadra», ma anche «appezzamento di forma quadrata».
L’orto, giusto lo Heidegger campagnolo.
Filosofia
tedesca –
La Francia aveva “la tradizione di una scrittura filosofica semplice e chiara”,
la famosa clarté, “che nel Novecento
si sarebbe perduta. Colpa dell’infatuazione di Sartre e compagnia per l’oscura
filosofia tedesca. Husserl, Heidegger….”. Lo dice Onfray, polemista, ma è vero.
È anche singolarmente avulsa, senza testa, senza radici – a parte i
presocratici, che si tirano ovunque, frammentari e di lingua elastica. Una
filosofia per programma aporetica – nel senso generico, non scettica.
Intelligenza
artificiale –
Dopo un secolo di tentativi di una “teoria del tutto”, senza riscontri, la
fisica, spiega a “La Lettura” un fisico teorico e divulgatore britannico, Jim
Al-Khalili,, “conviene confidare in acceleratori di particelle più potenti, sì.
O rassegnarci magari al fatto che il cervello sia arrivato all’estremo delle
sue possibilità e serva un’intelligenza artificiale”. Una contraddizione, che
il cervello umano possa crearsene uno artificiale in grado di superare i suoi
limiti, i limiti del creatore, e renderlo obsoleto. È il racconto del golem. O
più modestamente di “E.T.”, di “Odissea nello spazio”, del “Truman Show”. Un
errore logico, grossolano. Mentre – ma questo si sa – gli acceleratori sono solo
macchine per spendere (molti) soldi - come lo spaziale: una sorta di industria
della ricerca, a nessun fine, né pratico (utile) né di ricerca, giusto prendersi la fetta più grossa possibile
dei finanziamenti pubblici, gli scienziati pensano anch’essi big business.
Italia – È orientale più che classica: la “porosità” dell’Italia,
la sovrapposizione di più strati culturali, di più storie, è orientata verso
Oriente, e dall’Oriente indirizzata, invece che, come si presume, dalla
classicità greco-romana. È la tesi di Ernst Bloch nello scritto “Die italienische
Deutschfreunflichkeit”, 1925, e in “Italien und die Porosität” dell’anno dopo.
Due scritti trascurati in Italia (ma anche, pare, nell’edizione dell’opera omnia
di Ernst Bloch), ora riletti da Chritina Ujma, “Zwierlei Porosität. Walter
Benjamin und Ernst Bloch beschreiben italienische Städte”. Eccetto che per il
breve capitolo sulla “porosità”, in relazione al concetto elaborato da Walter
Benjamin e Asja nel soggiorno a Capri nel 1925, derivandolo dalla
scenografia-architettura teatrali e applicandolo a Napoli, come forma storica e
sociale della città, e del linguaggio, parzialmente tradotto da Valentina Di
Rosa in Ramondino-Müller, “Dadapolis”.
In
architettura, da cui il termine è derivato -
con estensione successiva al materiale calcareo, tufo, su cui Napoli è
piantata – la porosità è mescolanza di forme, per accumuluo, nella storia, nei
secoli (Tanja Michalsky, “Naples vertical. Deep holes in a porous city”. “Porosa
come la pietra (tufacea, n.d.r.) è l’architettura. Edilizia e attività
quotidiane interagiscono nei cortili, le gallerie, le scale”, spiega W.Benjamin
elaborando la nozione che Asja Lacis, attrice, aveva tratto dalla pratica
teatrale.
A
Napoli e nella società italiana, argomenta E.Bloch, vige “la confusione o commistione di età e di
epoche, di classi e di miti”. Cercandone l’origine, vi trova un che di
orientale. “Cercando l’origine di tale confluenza e mescolanza, molti pensano
volentieri al sole, all’aria aperta; come se questo dovesse spiegare ciò che si
oppone alla compostezza classica. Ma i Greci e i Romani avevano lo stesso sole;
esso dovrebbe semmai delineare i contorni con maggiore precisione; allora si
accorderebbero molto meglio alla porosità la luce e l’atmosfera del Nord Europa.
Accade invece il contrario: le suddivisioni, la chiara facciata inglese e la
ragione misurata sono proprie del Nord”. Se ne imputa all’Italia la mancanza, o la
scarsezza, per un errore storico: il Rinascimento divenne presto Nord- Europeo,
mentre in Italia fu soffocato dalla
Spagna e dalla chiesa, con la Controriforma: “Il Rinascimento, il cui compito
borghese fu bruscamente interrotto dalla dominazione spagnola e dalla
controrifoma, è piuttosto – a nostro avviso – il dirottamente del medioevo
arabo-bizantino verso il barocco, e non la rinascita del mondo antico; arte
moresca, mai del tutto superata, barocche
sono tuttora le direttive più forti della cultura italiana”.
Su
questo abbrivo avventuroso Bloch indirizza la “porosità”, la sovrapposizione di
culture e modi di vita, verso Oriente invece che verso la classicità:
“L’Oriente
conosce ancora oggi l’intreccio, la concatenazione di tutte le espressioni
vitali, caratteri della scrittura, linee della vita, l’arabesco, e come esso
conduca dalla casa alla bottega artigiana, al mercato, alla moschea, dall’uno
al tutto, dal tutto di nuovo a un punto qualsiasi del percorso.
“Ancora
diverso e tuttavia con un’essenza ugualmente non statuaria, il barocco è
orientato verso il transeunte, l’espressivo
(in it.), verso la trasparenza di ogni fenomeno, verso la capacità di
rispecchiamento di ogni monade, affinché essa possa a suo modo rappresentare e
contenere l’intero universo.
“Questo barocco non è nemmeno
necessariamente «assenza di forma», piuttosto una forma diversa, più profonda,
o tale perlomeno da non escludere nessun elemento del caos, come accade invece
nell’arte classica: un’aspirazione quindi alla tuttilità (italianismo coniato dall’autore, n.d.r..), arricchita di
alelgorie incrociate e la cui radice è il bizzarro”.
Villaggio
Globale –
Il villaggio globale di McLuhan si realizza nella specie orwelliana di “1984”,
o meno cattiva di “The Truman Show. Senza l’Autorità esterna impositiva, di controllo,
ma nella dipendenza. Nella comunicazione non come compartecipazione ma come
controllo – o la comunicazione è
controllo più che (prima che) compartecipazione, compassione? Un controllo
minuto nell’età della privacy, per
ironia: quando cioè si vuole protetta per legge, la privacy si cancella o si sradica, semplicemente.
Si
cancella autonomamente, senza padrone o controllore. Senza un controllore con
personalità, istituzionale di fatto o giuridica, ma nella stessa funzione:
anonima e generalizzata – completa, totalizzante. Senza più tempo, pausa, riservatezza,
nemmeno riflessione se non minima, transitoria, superficiale.
Cancella
l’area personale, il tempo, il pensiero stesso. Si vive sul modello di un
Grande Fratello, poiché la convivenza forzata genera risentimenti. Un mondo –
modello di vita - che sembrava pacchiano, commerciale, e lo è, ma dominante e
popolare, e senza ombra di critica.
zeulig@antiit.eu
Le sorelle condannate a morte
Cinque sorelle divertite e
divertenti sotto un allegro colombario vanno incontro alla morte in serie. Dell’anima,
del fisico, delle cose, financo della luce, sempre più ingrigita.
Ogni scena è di morte, il bagno
felice in mare, l’amore tra due ragazze (finisce al mattatoio), i sogni, l’amore,
il non amore, la salute, la malattia. Pronubi di morte si sanno anche i
colombi, che le ragazze affittano per feste gioiose e poi ritornano, simbolo di
Venere psicopompa (specie a Erice, dove, forse, si ambienta la storia), che
conduce le anime al Tartaro.
Un film che si vuole di autore. Una tragedia sebbene in abiti
borghesi, la sventura senza colpa - non per caso nata a teatro? Impositiva, come lo era classicamente, in
immagini aggressive.
Emma Dante, Le sorelle Macaluso
venerdì 18 settembre 2020
Appalti, fisco, abusi (183)
Da giovedì 10, da otto giorni, Unicredit cede
ogni giorno in Borsa l’1-2 per cento - oggi oltre il 3 - per un ribasso composto del 15 prr cento. Senza un motivo specifico. Da prima del down di lunedì e martedi su internet
banking e le app.
Anche questo down, è solo tecnico? Non è stato spiegato – e di natura tale che
ci sono voluti due giorni per rimediare.
Si fanno lunghe file all’esterno delle Poste,
al caldo, senza ombra, mentre si potrebbe fare la fila all’internto, col
distanziamento – le “posizioni” sono segnate, e osservate, nelle chiese, nei
cinema, ma alle Poste non si può. Per la sicurezza di chi, se bisogna aspettare
al sole per ore?
I tempi di ogni pratica si sono dilatati
all’infinito alle Poste. Si vede dalla coda a ogni singolo ufficio, ora che
bisogna aspettare in fila unica all’esterno: una pratica prende dai tre ai
cinque minuti, un tempo eterno.
È anche possibile (probabile) che gli
sportelli siano stati ridotto con la scusa del contagio: per la furbata del
“lavoro da remoto”, o perché a Poste conviene usare l’orario ridotto?
Si passa alla fibra, più o meno obbligati dalla
compagnia telefonica, con un peggioramento notevole, nella telefonia e nei collegamenti
internet. Sono promessi velocissimi, istantanei, e invece sono lentissimi - in
certi momenti (affollamento in rete?) notificano l’offline.
Si parla molto della rete in fibra come se
fosse già fatta. Mentre non lo è. E dove risulta in attività è inefficiente. Il
deperimento della rete telefonica, in corso ormai da un quarto di secolo,
continua. A vantaggio di chi?.
Enel fattura per l’elettricità domestica ca
90-100 kW a maggio e giugno, secondo lettura. Poi a luglio e agosto, anche se la
casa è chiusa, calcola 110-120. Che moltiplicato per quanti utenti, due
milioni, venti milioni, fa una bell’acconto.
È difficile poi, è faticoso, noioso, con perdita
di tempo e di energie, tenere il conto dei consumi fra le stime passate e le
rilevazioni future, e degli anticipi e le detrazioni in bolletta. Bisogna fidarsi,
i chi non dà affidamento? Si può cambiare operatore, ma in peggio? Il mercato
libero in Italia è un disastro, per gli utenti.
La colpa è dell’Europa
L’Europa era smarrita già un
secolo fa. Non solo in Musil, un po’ ovunque, a seguito della Grande Guerra,
così stupida e così bestiale. Ma Musil va più in là: “Tre saggi sull’illusorietà
della razza e della nazione” è il sottotitolo. Aveva capito già nei primi anni
1920 che che anche il razzismo andava a distruggere l’Europa.
Musil fu in guerra, a Bolzano,
redattore della “Soldaten Zeitung”. Di famiglia nobilitata per il patriottismo
- con titolo, Edler, nobile, ancora
negli anni di questi saggi utilizzato da Robert. Un patriota, insomma. Funzionario
per un paio d’anni dopo la guerra al ministero degli Esteri a Vienna, quindi
consigliere governativo, per altri due anni, per gli affari militari. Ma aveva
i suoi dubbi, e tra il 1919 e il 1923 li espresse negli scritti qui raccolti –
insieme con l’incompiuto “L’uomo tedesco come sintomo”. Tre saggi. Oltre quello
del titolo, “Spirito ed esperienza” e “La nazione come ideale e come realtà”.
Un dibattito Musil apre sul
nazionalismo, allora all’ombra dell’annosa dialettica tedesca fra Kultur e Zivilisation,
che oggi è ampiamente superato – approfondito, svelato (a partire dal diverso significato
in tedesco della parola “civiltà”…). Per non dire dell’affannosa ricerca, in
ambito austro-tedesco dopo la sconfitta, di colpe o debolezze esogene. Più
interessante, coevo o prodromo di molta ricerca filosofica, da Heidegger in
qua, è la sua nozione – “teorema” nel linguaggio dell’ingegner Musil – della
“assenza di forma” della natura, della specie, della stessa specie umana: “L’esperienza della guerra ha verificato in un immane
esperimento di massa che l’uomo può senza sforzo toccare un estremo e tornare
indietro senza mutare nella sua essenza. Muta, ma non muta in sé”. Un
involucro da riempire. O della storia da fare.
Con qualche stonatura: “Storico è tutto ciò che non si farà mai da sé. Il suo contrario è
ciò che vive”.
Vive nel tempo minimo, incalcolabile, invisibile, della vita di ogni essere o
in quello della storia? Ma è vero, la storia andando per pezze d’appoggio, che “della cosa nella sua interezza si dà solo il
fenomenico: un certo tipo di edifici, di poesie, di sculture, di azioni, di
eventi, di forme di vita e il loro evidente essere in stretti rapporti e in
mutua appartenenza”. Il resto – la realtà – è indefinitezza.
Si prenda la “specie”, che sembra nozione definibile, circoscrivibile:
“La botanica, per esempio, distingue in una porzione di terra così esigua come
la Bassa Austria all’incirca tremila forme di rosa selvatica e non sa se queste
debbano essere ricondotte in trenta o trecento specie”. E l’uomo? “L’uomo dal
1914 è risultato essere una massa sorprendentemente più malleabile di quanto
comunemente ci si attendesse”, per usare un eufemismo. L’illuminismo ci ha illusi,
l’idealismo è costruzione arbitraria.
Una riflessione molto datata, anche geograficamente: a Vienna,
alla fine dell’impero. Che esso stesso ha provocato, un omicidio-suicidio. Ma un luogo e un tempo
dove, curiosamente, i problemi che essi hanno provocato sono addossati al
mondo, all’umanità, all’Europa.
La traduzione è a fronte del testo
tedesco. Il tutto a cura di Alessandro Ottaviani, lo storico della scienza e
della filosofia.
Robert Musil, L’Europa smarrita, Meltemi, pp. 318 € 20
giovedì 17 settembre 2020
Ombre - 530
Stefano
Tomassini tenta da giorni su “la Repubblica” di drammatizzare il 20 settembre, “la
storica battaglia” per Roma capitale. Mentre il problema con Roma è che è diventata
capitale perché lo era – per destino immemorabile. Non ha mosso un dito e non
ha cambiato un’acca.
Zingaretti
si accorda con Conte per far durare il governo anche dopo il referendum e le
elezioni regionali, come che vadano. Un’intesa che lascia il tempo che trova –
se al referendum il no ribaltasse i pronostici, contro i due partiti al governo,
e qualche regione passasse dal Pd al centro-destra, Mattarella non potrebbe non
tenerne conto (ci penserebbero comunque i 5 Stelle). M l’“accordo” è presentato
da “Corriere della sera” e “la Repubblica” come un atto da statisti: il futuro
è assicurato - non quello dei giornali, e si capisce.
Carlo
Debenedetti più sfrontato che suonato va da Gruber e insiste sulla patrimoniale
– che a uno in affari mobiliari come lui gli fa un baffo. Ma non solo: “Io sono
cittadino svizzero”, vanta, “e in Svizzera si paga una patrimoniale, con aliquota
modesta ma annuale”. Sulla villa di Sankt Moritz, e il palazzo a Lugano. Forse
lui non ha casa in Italia, e nemmeno il conto corrente, poiché non sa delle patrimoniali
in Italia, modeste ma costanti.
Ma
come fa un uomo a essere così tanto virtuoso?
I
quattro arrestati per l’assassinio a calci e pungi a Colleferro del ragazzo
intervenuto in una rissa per difendere un amico godono del reddito di cittadinanza.
Benché sui social si raffigurino nei siti più costosi, intenti a bere
champagne. Ma questa notizia è stata a lungo confinata ai giornali moderati, i
tg Rai e i grandi giornali la trascuravano – anche se i media, si dice, hanno
bisogno di sensazioni forti. Il reddito di cittadinanza è di sinistra?
“Ma
questo non è il Bronx”, “la Repubblica si fa dire dopo l’assassinio a pugni di
Willy Monteiro. Il Bronx, a Colleferro?
E
nel Bronx ammazzano i ragazzi a calci e pugni, arrivando a freddo, chiamati da
un compare?
Il
pil pro capite scende quest’anno da 29.349 euro del 2019 a 26.481 circa. Il
debito pro capite sale da 39.562 euro a 42.079. Ancora uno sforzo, e il debito
può raddoppiare il reddito.
Dombrovkis,
l’ex primo ministro lettone che ha impoverito il suo paese, costringendo
all’emigrazione in cinque anni di governo il 12 per cento della popolazione,
250 mila persone su 2,2, riducendo il suo partito, la Dc locale, dal 30 all’8
per cento dei consensi, è il general manager dell’economia europea a Bruxelles.
Promosso ora da Von der Leyen anche al Commercio internazionale (leggi: Usa,
Cina). La Germania può essere, ancora dopo Bonn e Berlino Ovest, pesante. Se
non peggio – una Merkel nell’Ottocento è difficile da trovare.
“La
svalutazione dei crediti deteriorati fino al 100 per cento in due anni”,
disposta dalla Bce un anno e mezzo fa, “è bomba atomica per le banche dopo il Covid”,
Alberto Nagel, ad di Mediobanca. Come un anno e mezzo fa nessuno ha sentito. Né
in Parlamento,
dove se ne parlava, né fuori. I media, si dice, hanno bisogno di sensazioni
forti, ma questa evidentemente non lo è. È vero che capire è anche difficile.
Saviano, per criticare il partito Democratico (“vi
occupate solo di cazzate”, invece degli immigrati), si esprime così su twitter:
“Ma andate a cagare, voi e le vostre bugie”. È lo stile twitter o Saviano?
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Genova per Cortellesi, grigia e spenta
Paola Cortellesi muta e spenta, in una Genova di vetro e acciaio, sotto una costante luce grigia, e anche inerti. Un debutto che pare sia piaciuto ala creatrice del personaggio, Petra Delicado, ex avvocato ispettrice di Polizia, addetta agli archivi, pluridivorziata e senza passioni. Non proprio brillante nei racconti originari, ma leggendola non si immaginavano, lei e la sua Barcellona, così grigie, o fredde. Lo stesso per Cortellesi, attrice brillante e brillantissima, che si è voluta cimentare nel drammatico: meritava occasione migliore.
Maria Sole Tognazzi, Petra – Riti di morte, Sky Cinema
mercoledì 16 settembre 2020
L’immigrazione come invasione
Alla prima pubblicazione
dei quattro interventi di Eco sull’immigrazione, sotto questo titolo antiit.com dedicava questo commento il 18
maggio 2019:
“L’intolleranza più tremenda è quella dei
poveri, che sono le prime vittime della differenza. Non c’è razzismo tra i
ricchi. I ricchi hanno prodotto, se mai, le dottrine del razzismo; ma i poveri
ne producono la pratica, ben più pericolosa”. Tutto vero, e non: i ricchi
alla Eco forse non sono razzisti, mentre i poveri-poveri hanno altro cui
pensare – e la “differenza” non si penserebbe che faccia vittime, piace più che
impaurire. Eco sa sollevare la questione, acuto come sempre e bonario, ma
confuso. Apocalittico e integrato.
Quattro interventi sono
qui raccolti. Due scritti apparsi nella raccolta del 1997, “Cinque scritti
morali” (“Quando entra in scena l’altro” e “Migrazioni, tolleranza e
intollerabile”, sulle “migrazioni nel terzo millennio”), e due conferenze
pronunciate all’estero e non tradotte. Quella di Nimega, il 7 maggio 2012, alla
premiazione con la medaglia commemorative della pace di Nimega, intesa come
primo trattato di pace europeo, nel 1678-79, una serie di trattati in realtà,
dove Eco fu presentato come “vero europeo” dal sindaco Dijkstra, fa una utile
distinzione, importante, tra immigrazione e migrazione. Quella di individui,
che accettano e fanno proprie le regole del paese che li accoglie, questa di
orde o popoli, che fanno l’opposto, “radicalmente trasformano la cultura del
territorio che hanno invaso”.
Sul che fare invece
subentra la confusione. Nel caso dell’Europa al volgere del Millennio, Eco il
fenomeno dice di migrazione: “Il Terzo Mondo bussa alle porte dell’Europa, e
entrerà anche se l’Europa non è d’accordo”. L’Europa sarà presto “un continente
multirazziale”. Una tesi contestabile, sul piano demografico e territoriale, ma
possibile. Subito poi però confonde i piani, dell’analista (storico, demografo,
demologo) col profeta o politico. Col paraocchi del politicamente corretto.
“Nei prossimi anni ogni città europea sarà come New York o come alcuni paesi
latino americani”. Cioè mista, di differenti popoli e culture, che “coabitano
sulla base di alcune leggi in comune e di una comune lingua franca, che ogni
gruppo parla insufficientemente bene”, ma ognuno separato dagli altri. Si
direbbe un’analisi negativa. Tanto più che le orde porteranno fondamentalismi:
“Nel corso di un tale processo di migrazione gli europei dovranno fronteggiare
nuove forme di fondamentalismo, espresso da differenti culture e religione”. Ma
non c’è rimedio. Il rimedio è di accettare tutto, divisioni, fondamentalismi e
dispetti reciproci. Assurdo - New York funziona in un paese integrato, altro
che se integrato: identitario.
Sempre in questa
conferenza, Eco introduce – senza citare Popper – il problema dei limiti alla
tolleranza che Popper ha posto in “La società aperta e i suoi nemici”: se
l’intolleranza sia da tollerare. L’intolleranza dice naturale: “L’intolleranza
ha radici biologiche”, negli animali si esprime come territorialità, nel
bambino è spontanea, eccetera. La tolleranza va insegnata, se non come
accettazione, almeno come conoscenza della differenza. Ma con un limite. Anzi
due. La tolleranza non si estende all’intolleranza. E non deve finire in
relativismo: tolleranza “non significa che dobbiamo accettare ogni visione del
mondo e fare del relativismo etico la nuova religione
europea”. Senza limiti però all’immigrazione, o
migrazione.
A Eco piacevano i
manifesti, l’intervento giorno per giorno, l’impegno intellettuale. E l’uso dei
suoi scritti come manifesti - questi sul razzismo dopo quelli sul
fascismo “eterno” - non gli sarebbe dispiaciuto. Ma allora come giornalismo di
retroguardia, da talk-show: parole semplici, temi semplificati. Col
vezzo, benché fosse conciliante di natura, all’opportunismo che ne deriva –
molcire il pubblico. Al secondo punto del breve scritto sulle “migrazioni del
terzo millennio”, un intervento a un convegno francese, dice – diceva a marzo
del 1997: “Trovo più pericolosa l’intolleranza della Lega italiana che quella
del Front National di Le Pen. Le Pen ha ancora dietro di sé dei chierici che
hanno tradito, mentre Bossi non ha nulla, salvo pulsioni selvagge”. Ma Bossi,
ora Salvini, non aveva e ha dietro Milano e la Lombardia – mentre Le Pen padre
era razzista professo?
Umberto Eco, Migrazioni
e intolleranza, La Nave di Teseo, pp. 71 € 7
martedì 15 settembre 2020
Letture - 432
letterautore
Atassia locomotoria – Ne è morto Shakespeare? È la “malattia
dei geni creativi” secondo Conan Doyle - “Through the Magic Door”, divagazioni
sugli autori prediletti. In particolare, a conclusione del cap. II, la ipotizza
per Shakespeare, che muore relativamente giovane, per spiegarne la scrittura da ultimo incerta, tremolante, ricordando che ne avevano sofferto recentemente Heine
e Daudet. È lo scoordinamento della funzione ambulatoria, e quindi dei
movimenti in generale – che oggi però può sconfina nel Parkinson, e in alcune
forme di Alzheimer prima della perdita definitiva della memoria.
Lafayette – Il generale
marchese francese, che fu protagonista della Rivoluzione americana e poi di
quella francese, fu anche involontario paraninfo della grande letteratura
americana. Nel 1824 il presidente Monroe lo invitò a visitare gli Stati Uniti,
come preliminare alle celebrazioni dei cinquant’anni dell’indipendenza. Il
viaggio fu un trionfo popolare. A New
York, che fece festa per lui per quattro giorni di seguito, Lafayette sollevò
tra le braccia un bambino di sei anni, e lo portò con sé per un tratto: Walt
Whitman. In Virginia, a Richmond, ebbe come scorta i Junior Richmond Riflemen,
tra i quali era il sedicenne Edgar Allan Poe, fresco di accademia militare,
indirizzato dall’amato nonno, generale Poe.
Italia – È in
sintesi nel Goethe in “Viaggio” a proposito della Campania: “Ora che tutte
queste spiagge e i promontori e i seni e i golfi, isole e penisole, rocce e
coste sabbiose, colline verdeggianti, dolci pascoli, campagne feconde, giardini
di delizie, alberi rari, viti rampicanti, montagne perdute fra le nubi e
pianure sempre ridenti, e scogli e secche, e questo mare, che tutto circonda
con tanta varietà e in tanti modi
diversi – ora, dico, che tutto questo è presente nel mio spirito, ora soltanto
l’Odissea è per me una parola viva”. Una scoperta.
Pane al volo – Si
direbbe un “classico” francese. Léo Malet ha – nel romanzo “Il sole non è per
noi” – il pane lanciato al volo dentro le celle dalle guardie carcerarie: i più
svelti se ne appropriavano, scatenando pori risse con i codetenuti. Guy Bueno,
lo scrittore spagnolo, ricordava che il pane veniva lanciato al volo, sempre in
Francia, oltre i reticolati dietro i quali erano ammassati i rifugiati spagnoli
durante la guerra civile.
Papa Francesco –Richiama
il saggio di Corrado Alvaro su Campanella, dove lo scrittore fa del frate un
predecessore di don Chisciotte dal vero: “Nel Seicento il Cattolicismo, e la
società, si staccarono definitivamente dai concetti classici miracolosamente
sopravvissuti fino a quel tempo. Fu la mentalità spagnuola che operò nel mondo,
con una mistica mussulmana, tale trasformazione”. Lo richiama all’apparenza
senza ragione, se non per quella “mistica mussulmana”. Che però c’è, è
operativa.
Il
papa argentino è il primo papa ispanico – il primo dopo il papa Borgia, che
però era di famiglia italianizzata, e tuttora è riferita in spagna col nome
italianizzato.
Punto
e virgola -
Musil (“Ribellione al maschio”, nella raccolta “Parafrasi”, p.145): “Punto e
punto e virgola sono sintomi di regresso – sintomi di stasi. Dunque non si
dovrebbe lasciare la sintassi nelle mani di professori fossilizzati”. Di più:
“Punto e punto e virgola li scriviamo non soltanto perché abbiamo imparato a fare
così, bensì perché pensiamo così. – Questo è il pericolo. Finché si pensa in
periodi col punto finale - certe cose non si lasciano dire - al massimo
vagamente sentire”. Musil usa invece il trattino? Ma le divagazioni le fa lunghe.
Storie personali –
Inventate, esagerate, la biografa di Poe, Shelley Costa Bloomfield, dice genere
americano, delle origini – ma poi anche di tutto l’Ottocento, come Mark Twain che
lei cita fa dire a Huck del suo libro precedente all’inizio delle “Avventure di
Huckleberry Finn”: “Ci sono cose che ha esagerato, ma in genere ha detto la
verità”. Un paese giovane, che si era “liberato dal colonialismo e dall’ortodossia”,
aveva bisogno di eroismo, scrive Costa Bloomfield: “Frottole e burle erano
popolari e geniali… Gli spiriti erano accesi e le esagerazioni abbonda vano.
Storie personali si inventavano”.
Al
genere sarebbero invece negati gli inglesi, secondo Conan Doyle (“Through the
Magic Door”) perché non sono sinceri: “Nessuna autobiografia britannica è mai
stata franca, e di conseguenza nessuna autobiografia britannica è buona”. Si
può scherzare ed esagerare ma non nascondersi – ci si può nascondere dietro lo
scherzo?
Toyboy – “Prestatori
del pene” per Gadda. La prostituzione maschile Pasolini eleva - “Supplica a mia
madre” (“Poesia in forma di rosa”) - ad amore, seppure senz’anima: “Ho un’infinita fame\ d’amore, dell’amore di corpi senza anima”.
Gadda liquidava i toyboy come “prestatori
del pene” – i “ragazzotti
prestatori
del pene», come direbbe Gadda” scrive Bassani a Calvino a proposito della
copertina de “Gli occhiali d’oro”, per la quale voleva un De Pisis, una delle gouaches “raffiguranti nudi o seminudi
di splendidi ragazzotti ‘prestatori del pene’, come direbbe Gadda”.
Trump – Risuona
nella forma della pronuncia, “Tramp! Tramp! Tramp!”, in una delle canzoni più
popolari della guerra civile americana – “la guerra più sanguinosa che la razza
anglo-celtica abbia combattuto” (A.Conan Doyle). Ma è una canzone di speranza,
dei prigionieri di guerra nordisti che si incoraggiano – “tramp” è la sonorizzazione
del passo militare, dl passo di marcia.
Viaggio - Ha
cancellato le differenze. Conan Doyle ricorda con vivido gusto (“Through the
Magic Door”) la “Storia d’Inghilterra” di Macaulay, di quando nel Seicento un
Londinese in campagna era una stranezza: “Un cockney in un villaggio rurale era
guardato come se avesse sconfinato in un kraal
di Ottentotti. Lo stesso quando il Lord di un castello del Lincolnshire o dello
Shropshire appariva a Fleet Street”, a Londra, “si distingueva alla stessa
maniera dai residenti come un Turco o un Lascar” – lascar era un marinaio
indiano.
letterautore@antiit.eu
Ma il fascismo è fascista, non è eterno
Alla prima pubblicazione in solitario della conferenza americana di Eco, antiit.com dedicava questa lettura il 15 gennaio 2018:
Una conferenza-saggio
molto echiana, sfarfallegiante, s’inventa anche l’Ur-fascismo, ma curiosamente
superficiale, un assemblaggio di luoghi comuni. Gli studenti della Columbia cui
Eco si indirizzava in origine, nel 1995, ne saranno rimasti abbagliati,
capendoci poco. Si ripubblica come fosse una premonizione, specie in terra
americana. Sulla base dell’elemento “sei” della trattazione, del fascismo come
movimento piccolo borghese, di disadattati: “Nel
nostro tempo in cui i vecchi ‘proletari’ stanno diventando piccola borghesia (e
i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il Fascismo troverà in questa
nuova maggioranza il suo uditorio”.
Non è
il solo ingrediente: sono quattordici. Un guazzabuglio. Senza, curiosamente,
l’ingrediente principale e caratterizzante: la negazione della libertà d’opinione
e politica. Il fascismo di Eco è nazionalista, con l’indotta xenofobia. Però
anche “aristocratico”, “elitista”: “L’elitismo è un aspetto tipico di ogni
ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico”. E
maschilista, machista. Proprio oggi che i capi dei movimento neo
fascisti, in Italia, Francia, Germania (e la Birmania? e la Liberia? per dire
dei Nobel per la pace) sono donne. Il quattordicesimo requisito del fascismo è
la Neolingua, la lingua di legno – quella per la verità che Orwell prese di
mira nel sovietismo. Ma oggi la Novella Lingua non è il politicamente corretto,
l’insostenibile conformismo di una certa sinistra – da ultimo obamiana - per il
resto guerrafondaia, imperialista, monopolista, speculatrice?
Tutto
vero, ma anche tutto falso – dire, alla Eco, quasi la stessa cosa. La storia
non si semplifica, l’Ur-Freud s’incazzerebbe. “L’Ur-Fascismo può ancora tornare
sotto le spoglie più innocenti”
è la conclusione. Vero anche questo. Ma bisogna vigilare con occhi liberi, senza
paraocchi.
Di “eterno” il fascismo
non ha nulla, è un movimento politico europeo, del Novecento, tra le due
guerre, teorizzato e diffuso dal fascismo italiano. Il franchismo postbellico,
o Salazar in Portogallo, che nella guerra fascista fu un pilastro alleato, sono
già un’altra cosa. Il fascismo per antonomasia, mussoliniano, italiano,
quello che è durato di più, anche se solo un ventennio, e che è stato il più
vociferante e presenzialista, era il meno definito e anzi contraddittorio:
anticlericale e clericale, innovatore e tradizionalista, rivoluzionario e
reazionario, dei ricchi e dei poveri, e fu bellicista dopo essere stato
pacifista.
La tradizione è
l’elemento fondante e costituente del fascismo, spiega Eco agli studenti
newyorchesi. Ma la tradizione di che cosa? Mussolini s’ingegnò di magnificare
tutto dell’Italia, da Romolo e Remo a Mazzini, l’impero e le repubbliche,
l’imperialismo e la resistenza, le città e le campagne, e i preti con
Savonarola e Giordano Bruno. Hitler cancellò duemila anni di storia tedesca per
rifarsi ai Nibelunghi. E le avanguardie, nella arti, nelle arti applicate (la
pubblicità, per esempio: radio, slogan, manifesti, manifestazioni),
l’architettura, l’industria, il mito della tecnica: i fascismi sono più
tradizionalisti o più modernisti (sono l’una e l’altra cosa)? E poi:
Chateaubriand non è certo fascista, neppure Joseph De Maistre a ben vedere, o
Donoso Cortès: perché la tradizione sarebbe fascista – c’è più tradizionalista
(colto medievista, professore, collezionista) di Eco? Il culto della guerra e
della morte, il culto dell’azione, la rimozione dello Spirito sono più fascisti
o più giovanili – per esempio nel terrorismo post-Sessantotto? Il
fascista è razzista per definizione – ma anche quando, come i fascisti italiani,
ha il mal d’Africa? Non tollera il disaccordo: il disaccordo è
tradimento. Ma questo è avvenuto più a lungo, e più sanguinoso, nel Pci. “L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione
individuale o sociale”. A naso? E quanti fascisti ha conosciuto Eco personalmente?
Partendo da una domanda
molto echiana, semplice – “tutto è fascismo”, ma che vorrà dire? - Eco si
risponde subito alzando i paletti: è storia. E fa le differenze. “Il nazismo
era decisamente anticristiano e neopagano”, con un testo sacro che era “un
manifesto politico”, “Mein Kampf”. Allo stesso modo, “il Diamat (la versione
ufficiale del marxismo sovietico) di Stalin era chiaramente materialista e
ateo”. Due sistemi dottrinari, due dittature totalitarie. “Il fascismo fu
certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per
la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia”.
Poi, invece di dire che il fascismo in senso proprio è un fatto storico
preciso, alcuni fatti storici, si perde nei suoi 14 attributi, direbbe Spinoza.
Che di fatto sarebbero uno, e ben preciso: un sistema di potere non
democratico. Eco diventato anche lui il tuttologo che disprezzava, professore
di scienza politica, non sfugge nemmeno al tutto fascismo – fascista dice
la New Age, che invece si voleva mite. E Ur- come radice, invece che
preistoria? Se è eterno non è fascismo, non è politica. Rigirare le carte,
invece, è nel suo piccolo fascismo.
La conferenza-saggio
tenuta alla Columbia University di New York il 25 aprile 1995, per commemorare
i cinquant’anni della Liberazione dell’Italia, fu pubblicata subito variamente:
sulla “New York Review of Books” il 22 giugno, come “Ur-Fascism”, tradotta su
“La Rivista dei Libri”, a luglio, col titolo “Totalitarismo fuzzy e
ur-fascismo”, ripresa su “la Repubblica” (la seconda metà), il 2 luglio,
infine nella raccolta “Cinque scritti morali”, 1999. Riesumata dalla
“Nyrb” il 10 agosto 2016, contro Trump, per lo stesso motivo si riedita ora in
italiano. Ma letta a distanza, isolatamente, è un centone di luoghi
comuni, anche raffazzonato – con uno strano effetto di straniamento: come di un
professore burlone, obbligato a tenere egli eterni studenti l’eterna lezione
sull’eterno fascismo, nel 2018 come un secolo prima (e che secolo, dopo il
1918).
Umberto Eco, Il fascismo eterno, La Repubblica,
gratuitamemnte col giornale
lunedì 14 settembre 2020
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (436)
Giuseppe Leuzzi
Campania, Sicilia, Calabria, la stessa Puglia, le regioni meridionali registrano tra agosto e questo primo settembre molti più contagi ogni giorno di quanti risultavano nella fase acuta del coronavirus. Il numero dei contagi è effetto del maggior numero di tamponi, probabilmente. Ma anche dei contagi d’importazione: per gli arrivi moltiplicati di migranti all’avventura, per il turismo balneare, e per il nostos, il ritorno dell’emigrato, sia pure per poche ore.
Il
Sud non decolla causa unità
Agosto di polemiche sulla destinazione
dei fondi “Recovery” stanziati dalla Unione Europea, per la ripresa economica dopo la chiusura. Che Il
Sud non ha nei progetti del governo la parte di cui ha bisogno, di cui
l’economia nazionale trarrebbe maggiore beneficio – cresce il Nord se cresce il
Sud. Che il riterio della “spesa storica” è sbagliato e ingiusto - ripartire
cioè i fondi pubblici in proprozione a quanto già stanziato in passato. Che si
tarda a, o non si vuole, adottare i Lep, livelli essenziali di prestazione, per
tutti gli interventi pubblici, sanità, igiene, istruzione, servizi basici
(acqua, elettricità, telefonia, internet, etc.).
Non
una nuova “questione meridionale” ma quasi – Svimez, Eurispes, Agenzia per la Coesione si sono molto
impegnati, risvegliandosi da un lungo sonno. E tutto giusto, forse. Il criterio
della spesa storica è certamente sbagliato dal punto di vista economico prima
che sociale: è dare a chi ha, riducendo la capacità di spesa di chi ne ha
maggiore propensione, oltre che bisogno. Chi ha è più virtuoso, certo, risparmiatore,
ingegnoso, applicato. Ma la spesa pubblica non ha il fine di premiare i
“buoni”: ha il fine di uguagliare le condizioni basiche o di partenza, nelle
infrastrutture e nei diritti, all’istruzione, alla salute, alla cultura, in una
prospettiva di produttività complessiva per tutti, certo, ma nell’eguaglianza.
Il criterio adottato nell’Italia leghista, anche se a opera (in particolare
nell’istruzione e nell’industria) soprattutto di politici ora Pd, in tutti i
settori, dalla sanità all’università, sotto l’apparente neutralità (di fatto
non neutrale, né nella sanità né nell’università, questo è chiaro a tutti e non si contesta), ha creato e
crea buchi colossali. I dati dei Conti Pubblici Territoriali, pubblicati dall’Agenzia
per la Coesione, lo testimoniano.
Ma è questo il problema numero uno del
Sud, l’unica regione al mondo che accresce il divario di produzione e reddito
con le regioni del paese più ricche invece di colmarlo o comunque ridurlo? Uno
sguardo non del tutto distratto nelle realtà meridionali fa nascere l’ipotesi che il Sud non cresce,
non abbastanza, a causa dell’unità: il
Sud è prigioniero di un assetto di produzione e di consumo che lo marginalizza.
Dappertutto s’incontrano iniziative economiche,
produttive, buone, ma che stentano, sempre e comunque. Non producono abbastanza
reddito, non subito. Hanno difficoltà a decollare: commerciali (chi ti compra il prodotto?), distributive, finanziarie (le banche vogliono vedere fatturati), promozionali (effetto immagine negativo), legali (le pratiche con la Pubblica Amministrazione, sempre abusive, la concorrenza – una denuncia, se sei un’azienda
del Sud, anche più di una, anche anonima, è inevitabile). Con l’handicap
aggiuntivo, quindi, di consulenze onerose da spesare.
La distribuzione non è indifferente. Il
supermercato in paese, i tre-quattro supermercati in paese, non vendono gli ortaggi
locali, pure più freschi e saporiti, perché si riforniscono-vengono riforniti dai
mercati generali, con condizioni di prezzo, pagamento, consegna più favorevoli.
Anche, è straordinario, per i prodotti poveri o a basso valore aggiunto, i
carciofi, i peperoni, gli asparagi, l’origano, perfino le patate.Non vendono
i prodotti agroindustriali locali, formaggi, salumi, conserve, benché più freschi, di sapore tradizionale, e
meno cari rispetto a quelli della grande industria, perché hanno con la distribuzione
dei prodotti di marca accordi di lungo periodo e condizioni più favorevoli, di
credito, di pagamento, e di immagine del prodotto - che è pubblicizzato, e
questo è garanzia di qualità.
Il giovane, la giovane, che avvia una
produzione anche la più aggiornata, verde, bio, proprietà organolettiche eccetera, va avanti per qualche
tempo, ottiene qualche buona eco, qualche riconoscimento anche, perché no, ma
non vende. Non abbastanza per decollare. Non ha tempo, non ha margini. Il
processo di accumulazione dentro un’economia matura è breve, rapido, e quindi
esige un forte balzo iniziale.
Non è che al Sud manchi l’iniziativa.
L’iniziativa c’è, ma muore. Dopo i primi passi. Come un bambino nato prematuro,
o anche nato sano, ma subito poi in deperimento, per cause organiche, compreso
il latte della mamma – la banca.
Nell’attesa del decollo, è innumerevole
il conto delle aziende nate morte, morte poco dopo la nascita, speranzosa,
solida, brillante. E a ondate il Sud si depriva delle sue energie migliori: ci
mette poco chi ha titolo, capacità, ambizione, a trovarsi un’opportunità senza
tanti handicap.
Il Sud stenta, unica area al mondo,
perché frenato dagli handicap. Quelli che gli impone, effetto perverso,
un’economia nazionale brillante, che di un paese povero ha fatto uno ricco. Un
Sud separato avrebbe fatto meglio? Non avrebbe potuto non farlo.
Il Sud non può decollare, ha difficoltà
a ingranare, unica area al mondo che perdura da un secolo e mezzo in una situazione
di sofferenza, perché è parte senza protezione di un’area ricca, produttiva,
integrata nei mercati (commerciale, finanziario). Gli aiuti speciali alleviano la
dipendenza ma non ne intaccano il motore: che è appunto questa integrazione.
L’integrazione fa sì che il Sud non
abbia tempo. Il tempo necessario per l’accumulazione primaria.
Napoli
A
Caivano, 37 mila abitanti a un quarto d’ora da Napoli, dove un fratello in moto
sperona lo scooter della sorella, perché convive con un trans, e la uccide, la
piazza principale, aperta nel 1980 per accogliere i terremotati, battezzata
speranzosamen te Prato Verde, è reputata la più grande piazza di spaccio
d’Italia. “Qui”, dice al “Corriere della sera” don Maurizio Patriciello, il
parroco della ragazza morta, da trent’anni a Caivano, “lo Stato non c’è. No,
non cè, e lo può sottolineare… Si soffre, si muore. Per ignoranza, abbandono.
Tutti sanno che il Parco Verde è una piazza di spaccio. E cosa succede?”
È
la città probabilmente più ricca di storia e arte, palazzi, chiese, dipinti,
statue, architetture, archeologie, musei, ma si compiace di “Gomorra” – come
già la Sicilia al tempo della “Piovra”, anni 1980, “grande successo mondiale”,
grazie al quale si poteva girare l’isola a piacimento senza bisogno di
prenotare, e godersi Segesta, Piazza Armerina, Solunto, perfino Selinunte, in
solitario.
“Gomorra” rende di più, a chi? È il gioco perverso di chi vuole male al Sud? Ha
ragione Freud, c’è sempre una merda attaccate a alle scarpe? È il Sud,
l’odio-di-sé – l’ipotesi non si può scartare (s’introietta la colpa per il senso
di colpa).
È
la metropoli che si si è comportata meglio nelle fasi acute del coronavirus,
rispettosa cioè delle prescrizioni sanitarie, a giudicare dagli effetti. E
anche dopo, in questa fase di decantazione, benché aperta al turismo. Hanno
retto anche le strutture sanitarie. Quanto pesa su Napoli l’“immagine” Napoli,
che per lo più è opera dei napoletani? Si dicevano “maledetti” alcuni poeti,
anche grandi, la qualifica incontra.
Era
greca ancora al tempo di Virgilio, parlava greco. Orazio vi studiò Epicuro alla
scuole di Sirone.
Ancora
in epoca moderna, Goethe a Napoli scrive: “Ora soltanto l’Odissea è per me una
parola viva”.
Braudel
vagheggiava per Napoli nel 1983 sul “Corriere della sera” il ruolo di capitale
d’Italia. Non senza argomenti: “L’unica città dell’Occidente, dopo il riflusso
dell’Islam, a dare il proprio nome ad un regno, qualcosa di più di una
capitale, e l’asserzione di un diritto di proprietà eminente”.
“Nota
caratteristica di Napoli è che quasi tutte le sue glorie sono musicali:
Scarlatti (Domenico, n.d.r.), il suo discepolo Porpora, Leonardo, Leo (Leonardo
Leo, n.d.r.), Francesco Durante, Pergolese, Paisiello, Cimarosa, e tutti quei
maestri che fino a Bellini, a Mercadante uscirono dal Conservatorio di Napoli”,
Ferdinand Gregorovius, “Passeggiate per l’Italia”, 1850 ca.
“Lavorerio”
si dice e si pensa a Milano, dei lombardi. Mentre non c’è di più indaffarato
dei napoletani. “Tanto all’interno che all’esterno del palazzo dove vivo”,
testimomava trent’anni fa Fabrizia Ramomndoino in apertura al suo “Dadapolis”,
l’omaggio a Napoli, “si fabbrica di
tutto: borse di cuoio, dolci, putrelle di ferro, una rivista per studenti
universitari, bare di zinco, vestiti, caffè tostato e macinato”.
Si
cita nelle bibliografie un “Voyage à Naples” di Sainte-Beuve, del 1839, che di
Napoli parla poco – parla poco anche di Roma: in tutto, nel suo unico viaggio
in Italia, non ci passò un mese – giusto un mese, da metà maggio al 18 giugno.
In una successiva “Ecloga napoletana”, tuttavia, uno degli ultimi tentativi di
“fare il poeta”, pubblicata a parte e attaccata al “Voyage”, ridicolizza San
Genanro, e in genere i riti cattolici.
La
Napoli di Sainte-Beuve è studiata in Francia, Napoli non se ne cura – Napoli è
anche snob.
Fu
sempre “violata”, stabiliscono Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller in
“Dadapolis”: “Partenope, la vergine, fu violata da Romani, Normanni, Svevi,
Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci, Francesi, Piemontesi, Tedeschi,
Americani”. Con un dubbio: “Ma era una vergine o una maîtresse?” Ricordando peraltro che “spesso i peggiori
conquistatori di Napoli furono i Napoletani stessi”.
Bakunin
ci passò quindici mesi, eccezionali. Un’eternità per uno nomade. Da giugno 1865
ad agosto 1857. “Napoli piacque tanto a Bakunin”, racconta il biografo, Pier
Carlo Masini, che nella primavera del 1876, poco prima di morire, aveva già
deciso di tornarvi definitivamente a finire i suoi giorni”. La sua morte fu celebrata
col lutto da molto giovani napoletani che lo avevano frequentato.
A
Napoli Bakunin fondò un Circolo dei socialisti rivoluzionari, “che genererà ai
primi del ’69 la Sezione napoletana – prima in Italia – dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori”.
leuzzi@antiit.eu
L’uomo è sparito – è un sintomo, un’ombra
L’uomo “tedesco”, Musil specifica al primo paragrafo, è per modo di dire:
è l’uomo, l’essere umano. Sintomo allora di che cosa? Della civiltà. Dell’Europa.
Del progresso. Che sono spariti, vittime dell’organizzazione dell’egoismo. Del
capitalismo che tutto subordina all’interesse. A una forma di egoismo limitato
e di fatto improduttivo.
L’uomo “tedesco” come sintomo di un’impossibilità, di ogni idea dominante.
Ora non più possibile, al lume dell’ideologia, del partito preso, del pregiudizio.
Essendo crollata o svanita ogni fede, ogni regola di vita. Non c’è più l’uomo,
ce ne resta il sintomo.
Un saggio incompiuto, cioè non
portato a termine, del 1923. Ma tutta la saggistica di Musil è di fatto incompiuta
– ambiziosa ma inconcludente: sull’Europa, su Ernst Mach. Problematica invece che
risolutiva. Problematica dello stesso concetto di crisi. Inafferrabile, si
direbbe , come il suo “uomo senza qualità”, senza spessore, quasi senza storia. Le considerazioni vagano dalla situazione della generazione musiliana al teorema della umana mancanza di forma, al ruolo della ideologia nella vita, e ai fatti - al tempo, al ruolo, agli amici e ai nemici dei fatti. Concetti complessi, i fatti, le forme, le ideologie, affrontati con curiosità analitica (filosofica) ma da dilettante. Sullo stesso tema, la trasformazione che il capitalismo – l’interesse, il
guadagno – ha imposto alla vita, al lavoro, Ernst Jünger negli stessi anni ci
vedeva meglio, al di là del rifiuto o della
critica.
Con una postfazione, postanalitica, di Antonello Sciacchitano.
Robert Musil, L’uomo tedesco come sintomo, Pendragon,
pp. 116 € 14
domenica 13 settembre 2020
La peste
Nessuno muore più di fame,
a nessuno è negata una cura,
una scuola, un bagno di mare,
donde la paura -
l’abbondanza è molesta.
Cronache dell’altro mondo - 72
Per
concorrere ai premi Oscar a partire dal 2024 ogni film dovrà avere almeno un
attore-attrice “etnico”, etnicamente così definito: “Asiatico, ispanico, nero
non americano, afroamericano, nativo americano, abitante dell’Alaska,
mediorientale, nordafricano, hawaiano o altro nativo delle isole del
Pacifico”. E, a scelta, un Lgbtq
dichiarato, almeno uno, oppure una persona affetta da disabilità. Inoltre, il 30
per cento degli staff della produzione del film che si candida agli Oscar dovrà
appartenere a questa categorie.
Si
chiamano inclusion standards ,
regole per l’inclusione. Ma l’alternativa lgbtq o disabile? Può essere mancanza
di senso dell’umorismo. E il razzismo, per etnia, sesso, disabilità? Escluso
dalla costituzione e dal passaporto rientra con queste regole che si vogliono
della “inclusione”, della protezione cioè delle minoranze, e dell’uguaglianza
pratica dei diritti: nessuno potrà più pretendere di essere quello che non è,
solo il bianco caucasico non ha bisogno di certificazione.
Ad
ogni elezione da cinque anni in qua, presidenziale, di mid-term, ora di nuovo presidenziale, si lamentano hacker russi che influenzano il voto.
Come e per chi non si sa. Né si rimedia – che non sarebbe impossibile, nemmeno
difficile.
Kate
Winslet 2017: “Woody Allen è un regista incredibile. Come Roman Polanski.
Lavorare con loro è stata un’esperienza straordinaria”. La stessa 2020: “Come
cavolo ho fatto a lavorare con loro? Per me è incredibile constatare come
quegli uomini siano stati venerati per così tanto tempo. È vergognoso”. Kate
Winslet è impegnata nella promozione di “Ammonite”, una storia d’amore lesbico
nell’Inghilterra del 1840.
Non
sarà Trump che ha avvelenato Navalny, per mettere in crisi il gasdotto
Russia-Germania? È l’unica infamia che non viene addossata, non ancora, dagli antitrumpiani
americani, il 90 per cento dei media, al loro presidente – è bugiardo (la
cugina), era un bambino cattivo (la zia), è uno stupratore (alcune prostitute),
dice i reduci “sfigati” e “fessi” (un generale molto destrorso), è un untore (Bob
Wodward), vuole truccare il voto.
Ecobusiness - 5
Solo
plastiche negli esercizi pubblici da febbraio, niente vetri, niente ceramiche o
porcellane. Niente di lavabile, solo usa-e-getta. Per proteggere meglio la
salute e l’ambiente?
Il
mare, calmo, è trasparente alla nove di mattina. Alle undici è ancora
trasparente. Finché non arriva la massa dei bagnanti, giovani, famiglie, che
anzitutto si cospargono di creme, poi affrontano il mare, che subito spumeggia:
sono i grassi delle creme. Ecosolubili, ecoprotettive, e per questo non
inquinanti?
La Tari è raddoppiata – come minimo - dal 2007. Ma le
città, Roma per esempio, Milano, sono sporche, più di prima, incomparabilmente.
La
Tari è raddoppiata per il business, principalmente, della raccolta
differenziata. Che invece avrebbe dovuto ridurla, dovendo ogni sua parte -
carta, vetro, umido, plastiche – essere produttiva, se non del tutto
riproduttiva o quasi (carta e vetro).
La
California, all’avanguardia dell’ecobusiness, quella dello sciacquone a doppio
tiraggio, per la pipì e per la cacca, è anche quella dell’anti-zucchero – “I am
not a sugar person” è una professione di fede - lo zucchero considerando,
spiega Michele Masneri, “Steve Jobs non abita più qui”, “una sostanza
moralmente degradante”, “peggio dell’eroina”, responsabile di diabete, obesità,
alzheimner, ipertensione, disfunzioni coronariche, cancro. Tutto giusto? Forse,
non si sa. Ma proprio l’industria degli zuccheri anni fa pagò, dice Masneri,
eminenti specialisti “per occultare gli
effetti del glucosio su cuore e arterie (e pance) , spostando l’attenzione
sugli incolpevoli grassi, espulsi da ogni dieta per cinquant’anni”. C’è una
morale?
La
California che peraltro ogni anno brucia, per incuria e per piromania.
Le
politiche ambientali servono a generare tasse,
e non a ridurre l’inquinamento: è stato l’effetto di tutte le tasse “ambientali”,
giustificate cioè con la protezione dell’ambiente, finora introdotte. Lo spiega Alessandro Marangoni con lo studio “Plastic Tax, novità o arma spuntata”,
pubblicato sula “Staffetta Quotidiana, l’ex “Staffetta Petrolifera”. L’ambiente
si migliora con investimenti nella gestione dei rifiuti : impianti di
trattamento, incentivi all’uso di materiali di riciclo, miglioramento del
riciclo, e magari quote obbligatorie di riutilizzo di materiali riciclati in
alcuni prodotti. L’ecotassa europea, 80 centesimi al kg per la plastica non
riciclabile significherà una bolletta da 400 milioni l’anno a carico degli
italiani, si stima, senza effetti dissuasivi sull’uso di plastica non riciclabile –
la tassa viene semplicemente passata ai consumatori.
L’associazione
francese Opération Mer Propre stima che “in mare ci sono ora più
mascherine che meduse”. Con la
riapertura delle scuole, scrive “Il Sole 24 Ore”, “si
stimano altri 11 milioni al giorno (di mascherine) da buttare”. L’Ispra,
istituto superiore per la protezione e la ricerca mbientale, stima che per
tutto il 2020 “tra 160mila e 440mila tonnellate di dispositivi anti-Covid
saranno da trattare come spazztura indifferenziata”.
L’impegno
del solo governo italiano, di distrbuire ogni giorno nelle scuolle 11 milioni
di amscherine, significherà a fine anno scolastico, contando solo 200 giorni di
lezione, 2,2 miliardi di mascherine usa e getta, non riciclabili.
Camilleri e il ritorno del racconto italiano
Amore e morte, un classico,
il primo dei due racconti, veloce, irresistibile. Con ampio sfogo, a sorpresa e
rieptuto, della propensione di Camilleri per le “posizioni nell’amore” - qui
per il catalogo delle perversioni sessuali naturali, delle perversioni senza
perversione. Un amore balordo, di sbattimenti casuali, semrpe senza parole,
“ingenui”, il secondo, coronato da una mite vendetta – i cattivi sono puniti.
Ancora un racconto da “La
regina di Pomerania” il primo, e da “Gran Circo Taddei” il secondo, le due
raccolte di racconti brevi non montalbaniani di Camilleri una decina d’anni fa.
La piccola fortunata serie
del quotidiano consente un quadro preciso, dietro il successo enorme, della
favolistica di Camilleri: un po’ licenzioso, un po’ paesano, un po’ vecchi
tempi – podestà, maresciallo, circolo operaio, circolo dei notabili – che la
canzonatura (beffa, tranello, vendetta) unifica inorgogliendo. È l’Italia – la
Sicilia di fatto, ma molto italiana – della risata contenuta, beffa bonaria. La
ripresa di una tradizione, detta “italiana”, che è stata fiorentissima, nel
Tre-Quattro-Cinquecento, e ancora si legge – in mancanza di aggiornamenti, come
questi di Camilleri per gli anni tra le due guerre.
Andrea Camilleri, L’uovo sbattuto
Regalo di Natale, la Repubblica, gratuitamente col quotidiano
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